Sempre Meno “Giovani”, Ma Sempre Bravi! Young Dubliners – 9 “Nine”

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Young Dubliners – “Nine”– YD Records

Nuovo lavoro per la band di nativi irlandesi, ma di elezione statunitense (si sono trasferiti a Los Angeles, California praticamente da subito), un ensemble particolarmente creativo, dall’anima “punk”, a cui potrebbe stare bene la definizione “celtic roots” o “Celtic Rock And Roll”, come riporta il loro sito http://youngdubliners.com/ . Gli Young Dubliners, fondati a Dublino nel 1988 dai vocalist e chitarristi Keith Roberts e Paul O’Toole (che ha lasciato nel 2000), sono oggi un sestetto che comprende oltre al leader Roberts, il bassista Brendan Holmes (anche lui un membro fondatore irlandese), Dave Ingraham alla batteria e percussioni, Bob Boulding alle chitarre, banjo, mandolino e lap steel, Chas Waltz al violino e piano, e il membro aggiunto Eric Rigler, agli strumenti tradizionali irlandesi, Uilleann Pipes e Tin Whistles, ma che suona nella propria band, i Bad Haggis.

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Hanno al loro attivo, ricordando anche lo splendido EP d’esordio Rocky Road del lontano ’93 e il primo disco in studio Breathe apparso l’anno seguente, un torrido live Alive Alive’O (98), due dischi molto apprezzati dalla critica Red (00) e Absolutely (02,) usciti per la loro etichetta Omtown Records, e sempre mantenendo una frenetica attività “on stage”  https://www.youtube.com/watch?v=1QxJY6OBKlY (dove si sono conquistati un seguito di fedelissimi quasi, ma quasi. pari a quello di band come i Phish e la Dave Matthews Band https://www.youtube.com/watch?v=E1JQNHZS4mY ) hanno inciso il poco considerato Real World (05), a cui hanno fatto seguito With All Due Respect, The Irish Sessions (07) una sorta di tributo ai maestri della tradizione irlandese passata e presente, e Saints And Sinners https://www.youtube.com/watch?v=Y-1tzmBdOfQ  (09), entrambi distribuiti dalla nuova etichetta, 429 Records, prima di riapparire, dopo una pausa di qualche anno, con questo autogestito nono album Nine-9-Naoi (la fantasia non abbonda!) prodotto da Tim Boland, già uscito da qualche mese, ma giunto solamente ora nelle mani del vostro umile recensore.

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Gli “old” Young Dubliners (scusate il bisticcio, voluto) danno subito segnali di vitale energia aprendo questo nuovo CD con la muscolare We The Mighty, mentre la seconda traccia, Say Anything ricorda sfumature anni ’80, per poi ritornare rapidamente al ritmo punk-pop di Up In The Air, con un uso intrigante del megafono. L’intro di mandolino svela il lato folk-celtico della band, che si manifesta nella suggestiva ballata Rain, a cui fa seguito una Seeds Of Sorrow che prende la forma di una danza irlandese, sorretta da un grezzo coro punk, per poi arrivare allo strumentale Abhainn Mòr, guidato da un violino da corsa, uilleann pipes e fischietti, brano dove il gruppo mostra la solita energia e un solido talento per la melodia celtica. Si riparte con The Deep, un brano dall’andatura più moderata e il tono delicato, per poi cambiare ancora subito il ritmo con la frizzante e accelerata Fall, il pop-rock di un motivo orecchiabile come One Touch, dal refrain accattivante, e andare a chiudere con la ballata pianistica Only You & Me (un lento ricco di passione), degna conclusione di una serie di canzoni che mostrano il “nuovo corso” degli Young Dubliners, con un “songwriting” maturo e il suono che sprizza energia e si evolve in ogni nota come la loro arte, rimanendo allo stesso tempo fedele ai loro credo musicali.

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Mi auspico, e spero, che Nine sia un nuovo punto di partenza per Roberts e compagni, e che l’ispirazione dimostrata in questo lavoro possa continuare a supportarli anche in futuro, consentendogli una volta di più di produrre della buona musica che li possa catapultare, ma sarà assai difficile, all’attenzione di un pubblico più vasto, magari ai “fans” di gruppi come i grandi Waterboys https://www.youtube.com/watch?v=idBIyL0nkWk , dei Levellers, di Saw Doctors, Wolfstone, Black 47 (di cui andremo a parlare sul Blog nei prossimi giorni del nuovo album), Oysterband, senza dimenticare i Pogues e altre “anime gemelle”, in varie declinazioni, del celtic rock .

Tino Montanari

Se Li Scrive, Se Li Canta E Se Li Vende! Dall’Irlanda Pat Gallagher & Goats Don’t Shave

NDB: Anche il giorno di Natale doppia razione. Se vi interessano i dischi di cui leggete qui sotto li trovate solo a http://www.patgallagher.ie/. Buona lettura.

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Pat Gallagher – When I Grow Up – Pat Gallagher 2011
Goats Don’t Shave – The Collection – Pat Gallagher 2011

Per il mio immenso piacere personale ritorna con due lavori autoprodotti il cantautore del Donegal Pat Gallagher, ex barista e leader dei Goats Don’t Shave ( Le capre non si radono), l’ottima band irlandese che ha calcato le scene per sette anni dall’inizio degli anni novanta, proponendo una musica viva e attuale, con le basi ben radicate nella tradizione, che ha riscosso consenso e successo non solo in Europa, ma anche negli States (ha piazzato sia singoli che album nelle charts), e nel 1993 è stata votata dalla rivista “Time Out” quale miglior gruppo dell’anno. Dopo il debutto da solista con Tor del 1993, Pat con When I Grow Up ci regala una prova decisamente positiva, che ci consegna un personaggio che vive ancora un buon momento creativo, cha ha ancora diverse cose da dire, che canta canzoni che hanno un senso, una logica, che fanno pensare oltre che rilassare. Aiutato in studio (penso di casa sua) da John Mc Hugh alle tastiere e Charlie Arkins al violino, Gallagher (che suona tutti gli altri strumenti) propone 12 brani di cui solo il tradizionale The Master’s Hand non porta la sua firma.

L’iniziale When I Grow Up è una canzone dal ritornello piacevolissimo, mentre la seguente All Together è un eccellente ballata cantata con grande convinzione. Dopo il tradizionale The Master’s Hand, Half A Man è un motivo di atmosfera, mentre Down On My Knees e Symptoms Of Love sono in puro e godibilissimo stile “country”.  A questo punto Pat riprende due grandi canzoni del passato, la bellissima Closing Time, il brano forse più pop della sua produzione, con il violino di Arkins in grande spolvero, e Super Hero che sostanzialmente era un brano acustico, qui viene riproposto in versione accelerata. Little Hotel Room è una  delle più belle canzoni scritte da Pat, ballata di grande spessore ed intensità, cui fa seguito una Cant Live Without You motivo d’amore cantato alla Christy Moore, con una bella melodia intessuta da mandolino e armonica. La conclusiva If I Had You è un ottima “country bar song”.

Il secondo disco come fa notare lo stesso Pat nelle note del libretto, è una compilation dei suoi brani favoriti tratti dai lavori fatti con il gruppo, e precisamente The Rusty Razor del 1993 e Out In The Open del 1994. Tra i pezzi tutto ritmo e carica spiccano la scoppiettante Las Vegas, con il “whistle” in evidenza, il quasi furioso Mary, Mary dal grande impatto corale e il “fiddle” superveloce (con un belato finale per stare in tema con la denominazione del gruppo), e Let the World Keep on Turning, dove gli impasti del ritornello ricordano i Men They Could’n Hang. Molto belle e ovviamente più serie le ballate proposte, a cominciare da Eyes motivo d’amore, The Evictions dal tema sempre più attuale e con il violino suonato come nei primi dischi dei Saw Doctors , per citare un gruppo di riferimento.

La campestre strumentale Biddy From Sligo è ripresa  dal vivo, mentre Arranmore e Crooked Jack riportano alla mente certe cose  dei Pogues. You’re Great è una song delicata carica d’emozioni, mentre la potente Coming Home con la sezione ritmica che gira a mille, è parente stretta dei migliori Levellers (quelli di Levelling The Land per intenderci). Anche qui non poteva mancare Closing Time nella sua versione originale, e una Let It Go incisiva con frequenti cambi di ritmo, che mi ricorda i grandi Hothouse Flowers (i miei preferiti da sempre). Si segnala per originalità un brano dal ritmo africano John Cherokee, cantato quasi a cappella con supporto di sole percussioni e basso, mentre Claim e Gola sono due maestose ballate “folk rock”, per chiudere con A Returning Islander motivo praticamente parlato, che concentra l’attenzione sulle acque dell’Atlantico.

Van Morrison e Sinead O’Connor ai tempi non si perdevano i loro concerti, questo dimostra quanto Pat Gallagher e i suoi Goats Don’t Shave fossero considerati dagli addetti ai lavori, è ora che vengano riscoperti, se non li conoscete non perdete l’occasione per entrare in contatto con una delle migliori “Folk Bands” Irlandesi. Buone Feste !!!

Tino Montanari

Saw Doctors To Win Just Once The best of

saw doctors to win just once.jpgSe con una domanda brutale a bruciapelo vi chiedessero qual’è il gruppo irlandese che ha avuto il maggior successo all time nelle classifiche irlandesi immagino già i vostri cervelli al ripasso della discografia degli U2.

Ovviamente non è il caso se no non sareste finiti in questo post: ebbene sì i Saw Doctors con I Useta a lover sono i detentori con ben nove settimane al primo posto delle Irish charts. Immagino che pochi sappiano chi diavolo siano costoro, anche se molti lettori di questo blog so che sanno!

Un istituzione in Irlanda, in attività da circa vent’anni, una discografia di sette album di studio, un paio di live e un paio di antologie, un’intensa attività dal vivo, una carriera con picchi e valli: un inizio clamorosamente ricco di successi, un lungo periodo oscuro di ritorno al settore “cult bands” e di nuovo ai vertici delle classifiche negli ultimi due anni. La musica però è rimasta sempre di buona qualità, orecchiabile, antemica, fortemente e ovviamente influenzata dalla musica celtica, ma anche dal punk, dai Clash, da Springsteen, tutte sane qualità.

Con questa nuova antologia sono andati sparati al primo posto delle classifiche irlandesi: ventidue brani contenuti in un CD pubblicato dalla Universal Irlandese e quindi non facilmente reperibile, come il resto della discografia, nelle nostre lande. Varrebbe la pena di fare lo sforzo e sareste premiati da un album che apre con il celtic punk dell’iniziale About you now, numero uno nel 2008, velocissima, sparatissima, immaginate i Pogues in overdrive, o i Sex Pistols alle prese con delle melodie celtiche, per i più colti Undertones o Stiff Little Fingers, o i Doll by Doll del giovane Jackie Leven, e siamo solo al primo brano.

Si prosegue con la deliziosa e coinvolgente N17, fisa, ritmo e pubblico che canta all’unisono con la band, dal vivo, questa versione è spettacolare. Last Summer in New York è rock allo stato puro, qualcuno li ha accomunati a Bruce Springsteen dicendo che fanno musica locale con uno spirito universale, perfetto e quel sax profuma di New Jersey. She loves me she loves me not è la più recente, estate 2009, solo numero 2, un altro singolo perfetto, pura musica pop con quel piccolo quid in più. Il lato folklorico è illustrato perfettamente dall’evocativa Green and Red of Mayo, arie celtiche, cornamuse e un sitar elettrico fusi alle perfezione con le voci di Leo Moran e Davy Carton, i due leader del gruppo, che vanta nelle sue fila anche Anthony Thistlethwaite, al basso e sax, già con i Waterboys (strade che si incrociano i Saw Doctors avevano iniziato come gruppo di supporto della band di Mike Scott).

I useta a lover un valzerone orecchiabilissimo non manca all’appello così come la dolce ballad Red Cortina e l’altro brano al numero 1, Hay wrap, uno strano miscuglio tra una giga, un pezzo alla Clash e vaghe influenze disco.

Nella raccolta, che rimane comunque una cornucopia di delizie sonore. manca I’d love to kiss the Bangles, uno dei brani più divertenti della loro discografia, dove raccontano cosa farebbero alle Bangles, ve lo faccio vedere qua sotto.

A seguire trovate anche la discografia, testi e un bel po’ di video: occhio al titolo del primo album If this is Rock and Roll, I want my old job back, mica male, titolo e musica.

saw-doctors.html

Bruno Conti