Parte “Rockumentario” E Parte Fiction, Ma Nell’Insieme Una Vera Goduria! Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story

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Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story – The Criterion Collection Blu-Ray – DVD

E’ finalmente disponibile da pochi giorni su Blu-Ray o DVD la versione fisica di Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story (peccato che costi un botto), splendido lungometraggio diretto da Martin Scorsese uscito nel 2019 per la piattaforma Netflix, che documenta appunto la prima parte del leggendario tour di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, un gigantesco carrozzone di musicisti, poeti ed artisti di vario genere che girò l’America nel biennio 1975-1976: in particolare il film si concentra sul ’75, quando la tournée girava perlopiù nei piccoli teatri con concerti che spesso venivano organizzati senza molto preavviso, prendendo spunto un po’ dai “Medicine Show” di fine ottocento ed un po’ dalla Commedia Dell’Arte italiana (mentre nel ’76 Dylan, anche per rientrare dalle perdite dell’anno prima – la troupe la doveva comunque pagare – si esibì in arene più convenzionali per un concerto rock degli anni 70) https://www.youtube.com/watch?v=RulpXOLn6BI .

last waltz

Non è la prima volta che Scorsese si cimenta con film a sfondo musicale: a parte il mitico The Last Waltz vorrei ricordare il film-concerto Shine A Light dei Rolling Stones o la splendida biografia di George Harrison Living In The Material World, e, con Dylan stesso come protagonista, il capolavoro No Direction Home, probabilmente uno dei migliori “rockumentari” di sempre se non il migliore. Rolling Thunder Revue non raggiunge quei livelli ma non ci va neanche troppo lontano, ed in due ore e venti minuti che scorrono in un baleno ci delizia con uno strepitoso mix di scene inedite girate all’epoca, altre prese dal famoso film Renaldo And Clara ed alcune interviste recenti ai protagonisti, oltre ovviamente a diverse performance musicali https://www.youtube.com/watch?v=uDikcwqQDr8 . Tra gli intervistati la parte principale è ovviamente quella dello stesso Dylan (non era scontata la sua presenza visto il personaggio), che come spesso capita tende a commentare con ironia le varie fasi del tour cercando di togliergli quella patina di leggenda, affermando tra il serio ed il faceto di non ricordare quasi nulla di ciò che avvenne, e sentenziando alla fine che a distanza di 40 anni della Rolling Thunder Revue non è rimasto niente, “solo cenere”.

no direction homerenaldo e clara

Altre interviste, a parte alcune “particolari” che vedremo tra poco, riguardano Joan Baez, che si ricongiungeva in tour con Bob a distanza di dieci anni, il giornalista Larry “Ratso” Sloman, incaricato da Rolling Stone di seguire il carrozzone, il poeta Allen Ginsberg (in immagini di repertorio essendo morto nel 1997), anch’egli tra i protagonisti della tournée, alcuni musicisti ed ospiti dei vari concerti (Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliot, Ronee Blakely, David Mansfield, uno spettacolare Ronnie Hawkins uguale a Babbo Natale), l’attore, scrittore e drammaturgo Sam Shepard, ingaggiato da Dylan per lo script di Renaldo And Clara, ed l’ex pugile Rubin “Hurricane” Carter, protagonista all’epoca di un celebre caso di malagiustizia cantato da Bob nella nota Hurricane. Il film inizia con le immagini dei rehearsals per il tour, in cui un Dylan rilassato e sorridente improvvisa varie canzoni in studio tra le quali Rita May, Love Minus Zero/No Limit ed il classico di Merle Travis Dark As A Dungeon. Poi ci si sposta al Gerde’s Folk City di New York, famoso locale del Village in cui un giovane Dylan mosse i primi passi e nel quale all’inizio del 1975 ci fu una rimpatriata sotto gli occhi estasiati del proprietario Mike Porco: le immagini mostrano Bob che si esibisce con la Baez ed altri musicisti che entreranno a far parte della RTR (si intravedono Bob Neuwirth e David Blue), e poi lo inquadrano tra il pubblico (seduto vicino a Bette Midler) assistere ad una performance di Archer Song da parte di Patti Smith accompagnata alla chitarra da Eric Andersen.

patti smith rtrIl film si dipana poi in veri momenti di vita on the road (con Dylan che spesso è alla guida del tour bus): non vi racconto le varie scene per filo e per segno, ma vorrei segnalare un paio di momenti divertenti che riguardano Ginsberg, che prima legge il suo Kaddish ad una platea di arzille pensionate in una sala bingo e poi, visto che man mano che il tour proseguiva il suo spazio on stage era sempre più ridotto, per rendersi utile dà una mano alla troupe con i bagagli (questa scena era presente sulla versione di Netflix ma sul Blu-Ray viene solo accennata) https://www.youtube.com/watch?v=iUD5snx-XOo . Ci sono anche due momenti notevoli dal punto di vista musicale, il primo toccante con Dylan che suona The Ballad Of Ira Hayes di Peter LaFarge di fronte ad una platea di Indiani d’America, ed il secondo straordinario con una versione superba di Coyote di Joni Mitchell cantata dalla stessa cantautrice canadese accompagnata da Dylan e McGuinn alle chitarre, il tutto a casa di Gordon Lightfoot che, in canottiera, osserva i tre sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=zeaO5UZ5OcI .

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Ma il film ha fatto parlare di sé anche per quattro interviste a personaggi inventati o che narrano storie non vere, una cosa molto “da Dylan” alla quale lo stesso Bob si è prestato volentieri. La prima riguarda il fantomatico Stefan Van Dorp, che in teoria dovrebbe essere il regista originale delle immagini del 1975 ma in realtà non è mai esistito e nelle interviste viene interpretato dall’attore Martin Von Haselberg, marito tra l’altro della Midler. Poi ci sono le testimonianze di Jim Gianopulos, che è un vero discografico (ed attuale presidente della Paramount) e qui viene presentato come il promoter del tour ma in realtà non ebbe mai nulla a che vedere con esso, e del senatore Jack Tanner che non esiste, essendo l’attore Michael Murphy che riprende un suo personaggio di una serie TV degli anni 80 diretta da Robert Altman. E poi, dulcis in fundo, abbiamo il “fake” più succoso di tutti, in cui una stupenda Sharon Stone (è incredibile come stia invecchiando splendidamente senza l’aiuto apparente della chirurgia estetica) racconta di quando appena diciannovenne andò ad un concerto del tour con sua madre indossando una maglietta dei Kiss e fu notata nel backstage da Dylan che scambiò con lei qualche battuta, ed incontrandola di nuovo qualche settimana dopo la convinse ad unirsi al tour come aiuto-costumista, lasciando intendere che tra i due ci sia stato anche un breve flirt.

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La cosa pare essere totalmente inventata, anche perché la Stone all’epoca di anni ne aveva 17 e quindi una relazione con Dylan avrebbe potuto creare qualche imbarazzo, però è raccontata dai due in maniera decisamente credibile: inoltre qui si apre un altro mini-fake, e cioè che Bob aveva avuto l’idea di dipingersi la faccia prima dei concerti con la RTR dopo aver assistito ad uno show proprio dei Kiss, al quale era stata portato dalla violinista Scarlet Rivera che all’epoca usciva con Gene Simmons (è falso che il trucco facciale dei membri della band sia stato influenzato dalla hard rock band di New York, ma stranamente il fatto che Simmons e la Rivera si vedessero sembra vero). Last but not least, i vari momenti musicali presenti sono davvero di altissimo profilo in quanto Dylan all’epoca era all’apice come performer ed anche disponibile verso i fans (divertente il siparietto quando qualcuno dal pubblico urla “Bob Dylan for President!” ed il nostro risponde ridendo “President of what?”) https://www.youtube.com/watch?v=9wKi3_W6sQo .

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Le canzoni presenti, in parte o complete (e che comunque si trovano tutte sul cofanetto The 1975 Live Recordings del 2019) https://www.youtube.com/watch?v=HCAiAf21K20 sono Mr. Tambourine Man, When I Paint My Masterpiece, una strepitosa A Hard Rain’s A-Gonna Fall in versione rock-blues, I Shall Be Released e Blowin’ In The Wind in duetto con la Baez, Hurricane, The Lonesome Death Of Hattie Carroll (splendida anche questa), Isis, Oh Sister, Simple Twist Of Fate, One More Cup Of Coffee https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8  ed una Knockin’ On Heaven’s Door in cui Bob divide il microfono con McGuinn https://www.youtube.com/watch?v=4viQhTmhDX8 . Il dischetto, oltre a contenere un bellissimo libretto con foto inedite e scritti di Shepard e Ginsberg, è masterizzato digitalmente con la tecnologia 4K e tra gli extra contiene una esauriente intervista a Scorsese e tre performance aggiuntive (e complete)  https://www.youtube.com/watch?v=SqmTfkf7GRg di Tonight I’ll Be Staying Here With You, Romance In Durango e Tangled Up In Blue; l’unica pecca per chi non fosse troppo padrone della lingua straniera è il fatto che i sottotitoli siano solo in inglese per i non udenti (ma non escludo come già successo per il film su Harrison una versione italiana fra qualche mese. Un film quindi che non esito a definire impedibile: siamo solo a febbraio ma potremmo già avere per le mani il DVD/Blu-Ray dell’anno.

Marco Verdi

Dopo Jono Manson, Torna Un Altro Songwriter Amico Dell’Italia. Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1

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Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 – Appaloosa/IRD CD

Bocephus King, musicista canadese di Vancouver (all’anagrafe James Perry), alla fine degli anni novanta sembrava una delle “next big things” del cantautorato mondiale. Dopo l’esordio nel 1996 con Joco Music (da lui poco amato), King pubblicò infatti nel 1998 e nel 2000 due tra i più riusciti lavori di quegli anni, A Small Good Thing e The Blue Sickness, due album che rivelavano un musicista geniale e creativo, con influenze che andavano da Bob Dylan a Van Morrison passando per Tom Waits e Bruce Springsteen, ma anche Townes Van Zandt e Willie Nelson (la splendida Ballad Of The Barbarous Nights, che chiudeva alla grande The Blue Sickness, sembrava proprio un valzerone del countryman texano). Negli anni seguenti il nostro si perse un po’, complice un comportamento un po’ naif e “freak” e soprattutto un lungo silenzio tra All Children Believe In Heaven del 2003 e l’ottimo Willie Dixon God Damn! del 2011 (secondo chi scrive il suo ultimo lavoro di un certo spessore). Nello stesso periodo King ha cominciato a frequentare il nostro paese (da lui sempre amato in quanto grande appassionato di arte, poesia e cinema d’autore), partecipando a più riprese agli annuali Buscadero Day e soprattutto a svariate edizioni del Premio Tenco, ricevendo anche più di un riconoscimento.

Senza dimenticare l’amicizia con Andrea Parodi, che lo porterà a produrre i primi due album del musicista di Cantù, e la decisione di intitolare la bellissima antologia uscita nel 2015 Amarcord, in omaggio a Federico Fellini. Ora, a cinque anni di distanza dal discreto The Illusion Of Permanence e quattro dal doppio CD di cover Saint Eunice, Bocephus pubblica quello che si può considerare il suo disco più “italiano” di sempre: intanto esce per la nostrana Appaloosa (sua etichetta già da qualche anno), poi è prodotto proprio insieme all’amico Parodi, ed infine l’emblematico titolo The Infinite And The Autogrill (con quel Vol. 1 che fa presagire un seguito) che rivela la sua ammirazione per le opere di Giacomo Leopardi e per le canzoni di Francesco Guccini (e proprio Autogrill del cantautore di Pavana è stata interpretata in uno dei passati Premi Tenco da King), entrambi tra l’altro raffigurati sul disegno in copertina. E l’album, inciso tra Vancouver e Meda (comune della Brianza) è davvero riuscito, forse il migliore del nostro da Willie Dixon God Damn!, un lavoro di un artista finalmente ispirato e “sul pezzo” come non accadeva da diverso tempo. King non si perde in inutili svolazzi artistici ma ci consegna un disco solido, ben suonato e con una miscela creativa e stimolante di rock, folk, Americana ed un pizzico di soul.

Tra i musicisti che lo accompagnano troviamo nomi di caratura internazionale come la violinista Scarlet Rivera, il rocker James Maddock e Vini “Mad Dog” Lopez, mitico primo batterista della E Street Band, oltre a realtà nostrane come lo stesso Parodi ed il chitarrista Alex “Kid” Gariazzo (Treves Blues Band). L’iniziale One More Troubadour, dalla lunga introduzione acustica, è un folk-rock cupo ed intenso, con un backgroung elettrico, uno sviluppo melodico discorsivo che ricorda certe ballatone di Tom Petty ed un suggestivo uso di violino e violoncello. Something Beautiful è una deliziosa e solare ballata blue-eyed soul chiaramente ispirata alle opere dei primi anni settanta di Van The Man, con quell’aria californiana ed un gusto pop dietro ad ogni nota; inizialmente pensavo che Buscadero fosse dedicata al mensile musicale che nel 1998 mise per primo il nostro in copertina, ma invece è un racconto western con un testo che mescola antico e moderno citando Toro Seduto, Buffalo Bill, Annie Oakley, Akira Kurosawa e Sergio Leone (il Buscadero è il cinturone nel quale i pistoleri del vecchio West infilavano le pallottole), e musicalmente è un mix strano ma coinvolgente tra folk, western, rock, Messico ed un pizzico di Oriente, un brano debordante dallo stile curiosamente simile a quello del nostro Vinicio Capossela. The Other Side Of The Wind è splendida, una sontuosa rock ballad notturna tra Waits e Springsteen, con le chitarre acustiche ed elettriche a guidare il motivo insieme ad un bel pianoforte e la steel che accarezza sullo sfondo, una canzone che differisce nettamente da John Huston, che vede Bocephus alle prese con una frenetica e sbilenca rock’n’roll song dallo stile quasi ska, con un refrain diretto al quale partecipano vocalmente anche Parodi, Maddock e Lopez.

Identity, in cui spunta anche un sitar, è una ballata fluida e decisamente intrigante, con una melodia accattivante che colpisce al primo ascolto, mentre Life Is Sweet è una incantevole folk song bucolica dal retrogusto old time dato dall’uso dei fiati in puro Dixieland style. Ho volutamente lasciato alla fine le uniche due cover del disco, che uniscono ancora di più King all’Italia dato che sto parlando di due versioni in inglese di classici della musica nostrana (e nessuno dei due è Autogrill): la prima è una splendida rilettura di Lugano Addio di Ivan Graziani intitolata Farewell Lugano, che diventa un terso e limpido folk-rock alla George Harrison con Bocephus doppiato dalla voce di Claudia Buzzetti, uno dei momenti migliori del CD. Creuza De Ma era già una grande canzone nell’interpretazione originale di Fabrizio De André, ed il passaggio dal dialetto genovese all’inglese non ne scalfisce per nulla la bellezza, con il nostro che accelera leggermente il tempo ma mantiene intatta la struttura melodica. Dopo Jono Manson ecco quindi un altro songwriter d’oltreoceano con il cuore in Italia: The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 non sarà bello come https://discoclub.myblog.it/2020/02/12/il-miglior-lavoro-di-sempre-del-nostro-amico-ormai-mezzo-italiano-jono-manson-silver-moon/ ma di certo è uno dei migliori di Bocephus King, e mi sento perciò di consigliarlo senza remore.

Marco Verdi

In Attesa Di Futuri Sviluppi! Concerto Evento a “Spazio Musica” Di Pavia: Eric Andersen & Scarlet Rivera + Eric Andersen Trio – 09/11/2019 Dal Nostro Inviato

eric andersen pavoa spazio musicaScarlet Rivera

Serata da forti emozioni l’altra sera in quel di  Pavia, e precisamente nel rinnovato Spazio Musica,  che sotto la nuova direzione artistica dell’amico Paolo Pieretto, è riuscito a portare sul palco del mitico locale il leggendario cantautore americano Eric Andersen, uno dei grandi protagonisti della gloriosa stagione del Greenwich Village, con alle spalle una carriera iniziata nei primi anni ’60 nei piccoli club di San Francisco, girando poi il mondo in lungo e in largo, e pubblicando in oltre 50 anni una trentina di album; carriera che prosegue tuttora in Europa, soprattutto al nord, come cantautore di “culto”.Ad accompagnarlo in questo “italian tour” è come al solito una band di ottimo livello, dove spicca la nota violinista Scarlet Rivera (protagonista assoluta della Rolling Thunder Revue, e nello storico album Desire di Bob Dylan), con il deciso contributo della brava percussionista canadese Cheryl Prashker (componente per molti anni della band Celtic-Roots Runa), l’eccellente musicista italiano Paolo Ercoli al dobro, e come vocalist e armonicista l’attuale moglie Inge Andersen.

La serata, iniziata puntualmente,  è stata aperta dalla ottima esibizione della cantautrice Simona Colonna (di origini piemontesi), reduce dal successo ottenuto al famoso “Premio Tenco”, che con il solo violoncello ha presentato un breve set dove oltre ai brani del suo ultimo lavoro Folli e Folletti, ha presentato una intrigante versione italiana di Blue River  (uno dei brani più famosi di Andersen).

Dopo le meritate ovazioni alla Colonna, e una breve presentazione del giornalista Paolo Vites per il suo libro dedicato, disco per disco, all’intera discografia di Andersen e inittolato Ghosts Upon The Road, sale finalmente sul palco in un completo nero (compreso il cappello) il buon Eric con la sua band, che inizia il concerto recuperando due brani quasi dimenticati dai suoi primissimi album, la delicata e struggente ballata I Shall Go Unbounded, e la grintosa Dusty Box Car Wall, seguita dalla sempre affascinante Foolish Like The Flowers, ai tempi passata quasi inosservata (la trovate su Avalanche).

Come sempre le sue storie musicali partono dagli arpeggi della sua chitarra acustica, che si manifestano nella malinconica Fooghorn, e nella ballata notturna Sheila (dal capolavoro Blue River), per poi passare ad una più recente Salt On Your Skin, registrata in un concerto dal vivo a Colonia, per poi  recuperare uno dei suoi capolavori Violets Of Dawn, una raffinata ballata notturna dedicata ai suoi poeti preferiti. Arrivati a questo punto il concerto comincia a prendere corpo con una bellissima e intensa versione di Don’t It Make You Wanna Sing The Blues, una gioiosa e ritmata Singin’ Man, e, introdotta da un simpatico aneddoto sul suo periodo italiano fine anni ’80, riproporre la dolcissima Hills Of Tuscany,  per poi raggiungere il piano e proporre al pubblico presente, sempre da Blue River, la delicata e intima Wind And Sand.

A questo punto Eric lascia spazio brevemente alla co-protagonista della serata Scarlet Rivera (non solo impegnata con il violino, ma anche seconda voce), per una grintosa interpretazione di una Lady Liberty, supportata alle percussioni dalla bravissima Cheryl, seguita da uno dei capolavori assoluti di Andersen, la pianistica e bellissima Blue River, prima di coinvolgere di nuovo tutta la band in una trascinante You Can’t Relive The Past (scritta ai tempi con Lou Reed). Nella parte finale del concerto Eric fa commuovere il pubblico in sala con la bellissima Under The Shadows, accompagnato dal violino straziante di Scarlet, per poi chiudere con una sequenza di alcuni dei suoi brani più celebri, come Close The Door Lightly When You Go e Thirsty Boots (entrambi sono sul “seminale” Bout Changes & Things). Dopo una lunga e meritata ovazione, la band si ricompone sul palco per l’ultimo pezzo della serata Mingle Of The Universe, dal penultimo lavoro di tre anni fa, dedicato alla vita di Lord Byron, ai tempi recensito dal sottoscritto su queste pagine.

Di seguito trovate la “tracklist” del concerto e i relativi album di riferimento, se non conoscete Eric Andersen, per incuriosirvi a scoprire le innumerevoli “perle” contenute nella sua discografia:

 

1   –   I Shall Go Unbounded – Bout Changes & Things (66)

2   –  Dusty Box Car Wall – Today Is The Highway (65)

3   –  Foolish Like The Flowers – Avalanche (09)

4   –  Fooghorn – Memory Of The Future (99)

5   –  Sheila – Blue River (72)

6   -.  Salt On Your Skin – The Cologne Concert (11)

7   –  Violets Of Dawn – Bout Changes & Things (66)

8   –  Don’t It Make You Wanna Sing The Blues – Blue Rain Live (07)

9   –  Singin’ Man – The Essential Eric Andersen (18)

10 –  Hills Of Tuscany – Memory Of The Future (98)

11 –  Wind And Sand – Blue River (72)

12 –  Lady Liberty – Scarlet Rivera

13 –  Blue River – Blue River (72)

14 –  You Can’t Relive The Past – You Can’t Relive The Past (00)

15 –  Under The Shadows – Beat Avenue (03)

16 –  Close The Door Lightly When You Go – Bout Changes & Things (66)

17 –  Thirsty Boots – Bout Changes & Things (66)

18 –  Mingle With The Universe – Mingle With The Universe: The Worlds Of Lord Byron (16)

C’era molta attesa per questo tour italiano di Eric Andersen (soprattutto per la presenza della violinista Scarlet Rivera), e tutte le aspettative sono state ampiamente ripagate con l’entusiasmo del folto pubblico presente , lo stesso pubblico che è stato coinvolto nelle varie pause del musicista (da vero “storyteller”) nel racconto di aneddoti inerenti al brano, con la band che si presta all’assalto dei presenti per fotografie e autografi, con Eric gentilissimo e signorile come sempre, e Scarlet un po’ sorpresa di tanto affetto. A 76 anni (compiuti) questo “signore”, anche se lontano dalla grande ribalta, si conferma ancora uno degli autori più vitali della grande scuola cantautorale americana.

*NDT La notizia buona è che il concerto è stato registrato, e prossimamente diventerà il nuovo CD dal vivo di Eric Andersen, pubblicato dalla gloriosa etichetta italiana Appaloosa, invece forse l’unico piccolo neo della serata è stato il mancato inserimento nella scaletta di un brano come Woman, She Was Gentle (cercatelo anche nella versione con Michele Gazich su The Cologne Concert), per il sottoscritto una delle “gemme” più belle del suo sconfinato songbook.

Tino Montanari

Un Sensazionale Cofanetto Per Uno Dei Tour Più Famosi (e Belli) Di Sempre. Bob Dylan – Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings

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Bob Dylan – Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings – Columbia/Sony 14CD Box Set

In questi giorni, per l’esattezza dal 12 Giugno in poi (e solo l’11 in poche sale cinematografiche mondiali, in Italia la città scelta è Bologna) uscirà sulla piattaforma Netflix l’attesissimo documentario curato da Martin Scorsese Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story, che come suggerisce il titolo narra le vicende del famoso tour del 1975 di Bob Dylan con la Rolling Thunder Revue, con immagini di repertorio, sia inedite che riprese dal noto film Renaldo And Clara, diverse performances dal vivo e le testimonianze odierne dei protagonisti di allora, Dylan incluso (spero in una prossima pubblicazione su DVD e BluRay, dato che non ho intenzione di abbonarmi a Netflix solo per vedere un singolo evento). La storia della RTR è abbastanza nota: nel 1975 Dylan era a livelli di popolarità simili a quelli del biennio 1965-66, dopo la trionfale tournée dell’anno prima con The Band, lo splendido album Blood on The Tracks e la pubblicazione del doppio LP The Basement Tapes. Bob non aveva dato seguito a Blood On The Tracks con un tour, ma verso fine anno gli venne appunto l’idea della Rolling Thunder Revue, che si rivelò essere un magnifico carrozzone di musicisti di varia estrazione che girò l’America esibendosi sia in arene già usate per concerti rock che in posti meno canonici, a volte perfino senza alcun battage pubblicitario.

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Una sorta di “anti-tour” quindi, ma che vide il nostro autore di alcune tra le migliori performance della sua carriera, coadiuvato da una super band che vedeva al suo interno chitarristi come T-Bone Burnett, Mick Ronson e Steven Soles, il polistrumentista David Mansfield, la bravissima violinista Scarlet Rivera (scoperta da Dylan stesso mentre suonava per strada) e la sezione ritmica di Rob Stoner al basso e Howie Wyeth alla batteria. Come ciliegina, giravano con Bob artisti del calibro di Joan Baez (che tornava quindi on stage con Dylan dopo dieci anni), Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliott, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Allen Ginsberg e Ronee Blakley, che avevano tutti, chi più chi meno, dei momenti da solista durante gli spettacoli (Bob aveva invitato ad unirsi al tour anche Patti Smith e Bruce Springsteen, che però declinarono cordialmente in quanto avevano tutti e due una carriera in rampa di lancio).

Il tour ebbe due fasi, intramezzate dalla pubblicazione nel Gennaio del 1976 dell’album Desire (registrato con il nucleo della RTR, senza gli ospiti ma con Emmylou Harris alla seconda voce): l’autunno del 1975 e la primavera del 1976, che vedeva una versione più canonica e meno pittoresca del gruppo, e con meno super ospiti (questa seconda incarnazione è quella immortalata nel live album Hard Rain). Il tour divenne leggendario quindi per le serate del 1975, grazie anche alla forte campagna per la liberazione del pugile Rubin “Hurricane” Carter (incarcerato per triplice omicidio, ma innocente per gran parte dell’opinione pubblica), campagna della quale Dylan fu uno dei principali promotori, e non solo per il popolare singolo Hurricane. Finora questa prima parte del tour, a parte il già citato film Renaldo And Clara (comunque fallimentare) era stata documentata soltanto dal quinto episodio delle Bootleg Series dylaniane (che ora viene ristampato per la prima volta su triplo vinile), un doppio CD bellissimo che però adesso viene reso completamente inutile da questo monumentale cofanetto intitolato Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings, un’opera di immenso valore artistico che è anche in un certo senso il compendio audio del film di Scorsese.

Il box, 14 CD più un libretto di 56 pagine, non ha la pretesa di documentare l’intera tournée (com’era successo per l’altro box dylaniano “a cubo” con i concerti del 1966), ma inserisce “solo” le cinque serate migliori e meglio registrate (solo la parte di Bob, non quella in cui si esibiscono gli ospiti), ma con l’aggiunta di ben tre dischetti di prove di studio mai sentite prima neanche nei bootleg, ed un CD di rarità assortite. Il Bootleg Series del 2002 è presente nella sua interezza, e così anche le quattro canzoni del raro EP 4 Songs From Renaldo And Clara, uscito nel 1978, ma il resto è inedito, ed è di qualità manco a dirlo eccezionale. Certo, non mancano le ripetizioni (le scalette dei concerti erano piuttosto rigide), non è stata inclusa la famosa “Night Of The Hurricane” al Madison Square Garden, ma direi che non ci possiamo lamentare ed anzi dobbiamo godere di queste performances, che scivolano via talmente bene che il box si ascolta relativamente in poco tempo. Last but not least, nei dischetti delle prove sono presenti alcuni inediti dylaniani assoluti (anche se alcuni appena accennati), che non verranno mai più ripresi da Bob in seguito. Ma vediamo in dettaglio il contenuto dei 14 CD.

CD 1: S.I.R. Rehersals, New York Ottobre 1975. Registrato in mono come i CD numero 2, 3 e 14 (mentre i concerti sono in stereo) questo dischetto comprende diverse takes incomplete, tra cui una versione improvvisata del traditional Rake And Ramblin’ Boy, una rara I Want You (nel senso che non appariva nelle scalette dei concerti, ed è un peccato perché prometteva bene), una countryeggiante She Belongs To Me cantata con un’insolita voce carezzevole e l’inedita Hollywood Angel, un discreto pezzo di matrice blues. Tra i brani completi abbiamo la gioiosa Rita May, un breve accenno al gospel What Will You Do When Jesus Comes? (altro inedito dylaniano), una struggente Spanish Is The Loving Tongue (doveva proprio piacere a Bob, in quegli anni la ficcava ovunque) ed una ripresa del classico di Peter LaFarge The Ballad Of Ira HayesCD 2. Come il primo, anche questo CD si occupa delle prove ai S.I.R. Studios della Big Apple: come chicche abbiamo due strepitose She Belongs To Me e A Hard Rain’s A-Gonna Fall entrambe in versione blues, un medley fantastico tra This Wheel’s On Fire, Hurricane e All Along The Watchtower e due rarità come Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts (eseguita una sola volta durante il tour) e It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding). Ci sono altre due canzoni inedite scritte da Bob, la discreta ballata pianistica Gwenevere e la toccante Patty’s Gone To Laredo (molto bella, peccato sia poi sparita dai radar), senza dimenticare una splendida If You See Her, Say Hello in perfetto stile DesireCD 3: Seacrest Motel Rehersals, Falmouth, MA. Uno dei dischetti più belli del box, solo otto canzoni ma suonate con una professionalità tale che sembrano tratte da un concerto, con gemme come la stupenda Tears Of Rage (con Joan Baez), il traditional Easy And Slow, deliziosa e commovente, tra gli highlights assoluti del cofanetto, e la rara (in questo tour) Ballad Of A Thin Man.

CD 4-5: Worcester 19/11/75. Bellissimo concerto, che inizia con una bella versione, piena e rotonda, di When I Paint My Masterpiece, per poi proseguire con una scattante It Ain’t Me, Babe  ed una ispiratissima The Lonesome Death Of Hattie Carroll, davvero magnifica. Detto di sei lucide e vibranti proposte dall’imminente Desire (Romance In Durango, Isis, Hurricane, Oh Sister, One More Cup Of Coffee e Sara) e di un’eccellente Tangled Up In Blue con Bob da solo sul palco, troviamo anche un delizioso intermezzo elettroacustico con Dylan e la Baez che armonizzano come ai bei tempi con Blowin’ In The Wind, Mama, You Been On My Mind (in puro stile country-rock) ed il traditional Wild Mountain Thyme, e Joan che resta sul palco anche per una bella cover del classico di Merle Travis Dark As A Dungeon ed una fluida I Shall Be Released. Gran finale con Just Like A Woman, Knockin’ On Heaven’s Door (in cui Bob duetta con McGuinn) ed una rilettura quasi bluegrass dell’evergreen di Woody Guthrie This Land Is Your Land, dove anche la Baez, McGuinn, Elliott, Neuwirth e la Mitchell cantano una strofa. CD 6-7: Cambridge 20/11/75. Scaletta pressoché identica a quella dei due dischetti precedenti, con la sola eccezione di Tangled Up In Blue sostituita da una toccante Simple Twist Of Fate, cantata con passione e sentimento. Dylan è in formissima e molti brani sono anche meglio che a Worcester, come per esempio When I Paint My Masterpiece, Romance In Durango, Blowin’ In The Wind e Hurricane.

CD 8-9: Boston 21/11/75, Afternoon Show. Qualche cambiamento in scaletta, come una trascinante A Hard Rain’s A-Gonna Fall dal ritmo sostenuto ed arrangiamento rock-blues, una strepitosa Mr. Tambourine Man acustica (una delle più belle mai sentite) e, nella parte con la Baez, Blowin’ In The Wind e Wild Mountain Thyme sostituite rispettivamente da una splendida The Times They Are A-Changin’ e dalla squisita I Dreamed I Saw St. Augustine, mentre Dark As A Dungeon cede il posto ad una rilettura di Never Let Me Go di Johnny AceCD 10-11: Boston 21/11/75, Evening Show. Una delle migliori serate di tutto il tour, con il ritorno della scaletta “istituzionale”, compresa anche la vivace It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry al posto di Hard Rain. Non mancano comunque un paio di chicche, cioè un’intensa interpretazione del brano tradizionale The Water Is Wide (con Joan) ed una rara riproposizione di I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met) per voce, chitarra e armonica. CD 12-13: Montreal 04/12/75. Altro concerto strepitoso e scaletta più ricca del solito, 23 canzoni contro le consuete 19/20: abbiamo in aggiunta una fluida Tonight I’ll Be Staying Here With You ed un uno-due acustico da favola con le stupende It’s All Over Now, Baby Blue e Love Minus Zero/No Limit. In più, la migliore It Ain’t Me, Babe di tutte ed altrettante grandissime versioni di Hattie Carroll, Hard Rain, Just Like A Woman, una Sara di rara intensità ed una Blowin’ In The Wind con il ritornello cantato in francese.

CD14: Rarities. L’ultimo dischetto contiene una serie di brani suonati una sola volta durante il tour, o performances comunque particolari, ed inizia con una vera gemma, una toccante One Too Many Mornings a due voci (Bob e Joan), e con Eric Andersen alla chitarra, registrata al Gerde’s Folk City di New York, locale storico del Village in cui si esibì anche un giovane Dylan nel 1961. Si prosegue con una strana Simple Twist Of Fate per sola voce, piano ed una batteria insistita (versione bizzarra, ho sentito di meglio) e con una bella Isis che il violino della Rivera rende più simile a quella finita poi su Desire. Ed ecco un po’ di rarità assortite, una serie di canzoni che vedono Bob esibirsi in acustico e registrate amatorialmente, con una qualità da discreto bootleg anche se le performance sono comunque di grande valore artistico ed i titoli parlano da soli: With God On Our Side, It’s Alright Ma, The Ballad Of Ira Hayes, Your Cheatin’ Heart di Hank Williams (questa registrata un po’ meglio, ma sembra più un rehearsal che un brano live), The Tracks Of My Tears di Smokey Robinson ed una bella rilettura del traditional Jesse James. Chiusura con una tostissima It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry, incisa a New York durante il concerto “Night Of The Hurricane” e con Robbie Robertson alla chitarra solista. Un cofanetto imperdibile quindi, con un prezzo tutto sommato giusto per il contenuto (circa 70 Euro): alla fine dell’ascolto sarete talmente soddisfatti che 14 CD vi potranno sembrare anche pochi.

Marco Verdi

Songwriter, Poeta, Attore e … Contadino – Tim Grimm – The Turning Point

tim grimm the turning point

Tim Grimm – The Turning Point – Cavalier Music/Ird

E’ un tipo eclettico Tim Grimm: ha recitato al cinema con artisti del calibro di Harrison Ford, Russell Crowe, Al Pacino e Robert De Niro, in teatro ha lavorato con il poeta e intellettuale attivista Wendell Berry e, nell’ambito musicale, in carriera ha raccolto riconoscimenti e inciso album diventati piccoli classici della “roots-music” americana http://www.youtube.com/watch?v=5m_bY8hXJDM . Tim viene dall’Indiana, terra di contadini dalle tradizioni radicate e di John Mellencamp (di cui spesso esegue in concerto alcuni suoi pezzi famosi), propone una musica a cavallo tra le sonorità tipiche di Woody Guthrie e John Prine, e un suo disco The Back Fields è stato votato come il migliore album di “americana” nel 2006, oltre a tanti altri premi e riconoscimenti, per un artista che ha visto tutti i suoi ultimi lavori raggiungere la vetta delle classifiche di musica folk e roots (da segnalare Holding Up The World (2008) e il tributo a Tom Paxton Thank You Tom Paxton(2011).

tim grimm the back fields

Tutte le canzoni di The Turning Point (alcune scritte con la moglie Jan Lucas), vedono la partecipazione di Jason Wilber (chitarrista di John Prine e titolare di alcuni interessanti lavori solisti), con il valido apporto della band “newgrass” The Underhills, dove eccellono Diederick Van Wassener e Jordana Greenberg al violino, Rebecca Ree-Lunn al banjo, il figlio Connor Grimm al pianoforte, e restando in famiglia l’armonica di Jan Lucas, con il delizioso contorno di Harpeth Lecter, Cindy Kallett e Beth Lodge-Rigal alle armonie vocali. Molto particolare anche la confezione del CD, che vedete qui sotto!

tim grimm turning point open

Tim cammina sulla sottile linea tra il folk e country fin dall’iniziale The Lake, e sarete rapiti dalla melodia della seconda traccia Family History, dove il violino ricama note struggenti per poi passare alla evocativa folk song King Of The Folksingers dedicata al suo amico Ramblin’ Jack Elliott di cui si raccontano le epiche gesta http://www.youtube.com/watch?v=hN4mq6naDnQ . Si riparte con la narrazione di Rovin’ Gambler ,tra chitarra e armonica, seguita dalla title track The Turning Point, una ballata d’atmosfera con un violino che ricorda la Scarlet Rivera “dylaniana”, come la delicata Anne In Amsterdam (ricordo della visita alla casa museo di Anna Frank) http://www.youtube.com/watch?v=1-UCotSzraY . The Canyon e Indiana riportano alla mente le strade polverose e i paesaggi raccontati da Jack Kerouac, con il banjo e il violino ad accompagnare la voce narrante dell’autore, mentre con la melodica I Don’t Mind si viaggia dalle parti dello Springsteen di Nebraska. Chiudono un lavoro importante la tenue recitativa The Tree e il bluegrass di Blame It On The Dog, degna conclusione di un disco di folk “rurale”.

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Tim Grimm (per chi scrive) è uno dei musicisti e folksinger più interessanti della scena “indie” del Midwest, uno “storyteller” di razza dotato di una voce calda e avvolgente, con una visione umile e nello stesso tempo ambiziosa della sua musica, sempre coerente nello sviluppo di un suono con strumenti tradizionali, come banjo, armonica, chitarra e violino. Dopo parecchi anni passati a Los Angeles (nel periodo artistico), da qualche anno Tim con moglie e figlio è ritornato (come Cincinnato) nella sua fattoria  di 80 acri nell’Indiana, affiancando l’attività agricola a quella musicale, e il risultato è questo The Turning Point forse l’espressione più fedele e autentica di un personaggio, che sicuramente non cambierà il corso della musica, ma sono artisti come lui che all’interno di un ideale abbraccio accomunano i vari Townes Van Zandt, Guthrie Thomas e naturalmente il Dylan più poetico.

Tino Montanari

Signore E Signori: La Storia Della Musica! Bob Dylan – The Complete Album Collection Vol. One – Seconda Puntata

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*NDB Come promesso ecco la nuova rubrica, per il momento provvisoria, del Blog, “La Domenica Del Disco Club”, questa settimana la seconda puntata sull’opera omnia di Bob Dylan a cura di Marco Verdi, si riparte da Blood On The Tracks, buona lettura!

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Blood On The Tracks (1975): il miglior disco di Dylan degli anni settanta ed uno dei suoi migliori in assoluto, un’opera ispiratissima ed eseguita magistralmente, influenzata dal suo divorzio con la moglie Sara.

Canzoni come Tangled Up In Blue, Idiot Wind, Shelter From The Storm, Simple Twist Of  Fate, If You See Her, Say Hello e Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts sono di un livello inarrivabile per chiunque. E Bob canta pure bene, dimostrando che quando vuole è ancora il numero uno.

 

The Basement Tapes (1975): inciso nel 1967 con The Band nella sua casa di Woodstock, è un doppio album di grande livello ma monco, visto che quelle sessions hanno prodotto una quantità di brani sufficiente a riempire sei o sette dischi: molti sperano che uno dei prossimi Bootleg Series si occupi finalmente di queste incisioni leggendarie.

 

Desire (1976): un altro grande disco, con perle come la celebre (e stupenda) Hurricane, Romance In Durango, Sara, Isis e la malinconica Oh, Sister (oltre alla controversa Joey), con Emmylou Harris alla doppia voce in tutti i brani, il meraviglioso violino gypsy di Scarlet Rivera ed un Dylan che canta bene come non mai.

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Hard Rain (1976): bellissimo live tratto dal tour con la Rolling Thunder Revue, purtroppo solo singolo. Contiene versioni infuocate di Maggie’s Farm, Shelter From The Storm e soprattutto Idiot Wind, che Bob canta con una cattiveria da pelle d’oca (pare che nel pubblico fosse presente Sara). Il video del concerto, purtroppo mai pubblicato ufficialmente (ma proposto varie volte da Rai 3), mostra un Dylan con gli occhi della tigre, che lancia certi sguardi che farebbero paura anche a Hannibal Lecter.

 

Street-Legal (1978): un disco molto amato dai fans (me compreso), inciso con un’ottima band e con capolavori come Senor, Is Your Love In Vain? (che si apre con l’immortale frase “Mi ami o stai soltanto estendendo benevolenza?”, solo un genio può iniziare così una canzone d’amore) e la stratosferica Changing Of The Guards. Purtroppo all’epoca il disco uscì mixato malissimo e con un suono indecente. Nuova rimasterizzazione per questo box, ma quella del 1999 andava già benissimo.

 

Bob Dylan At Budokan (1978): dal vivo in Giappone con la band di Street-Legal, questo doppio offre un vero e proprio greatest hits live di Dylan, anche se alcuni arrangiamenti sono un po’ gonfi e Bob tende ad infilare il reggae un po’ ovunque. Qualcuno lo paragona al periodo Las Vegas di Elvis, anche per gli orrendi costumi che Bob indossa sul palco.

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*NDB. C’è un “intruso”, a livello di copertine, perché Saved è stato ristampato anche con un altra cover art.




Slow Train Coming (1979): il primo disco della famosa (e per alcuni famigerata) trilogia cristiana di Dylan, piombato in crisi mistica. Inciso nei mitici Muscle Shoals Studios in Alabama e prodotto alla grande dai luminari Jerry Wexler e Barry Beckett, con Mark Knopfler alla chitarra solista, contiene splendide cose come Gotta Serve Somebody (che gli frutta il primo Grammy della carriera), Precious Angel, I Believe In You e When He Returns, cantate dal nostro con rinnovata passione.

 

Saved (1980): Dylan entra negli anni ottanta con un disco criticatissimo per la copertina e per le tematiche da predicatore televisivo, ma Saved è in realtà un ottimo album di musica rock-gospel, con brani trascinanti come la title track e Solid Rock, una grande ballata come Covenant Woman ed la potente Pressing On, dal crescendo irresistibile. Un disco da rivalutare, specie in questa nuova versione rimasterizzata.

 

Shot Of Love (1981): più solare del precedente, con le tematiche religiose un po’ più blande, ma anche senza una reale produzione. Every Grain Of Sand, un capolavoro assoluto, vale da sola il prezzo, ma anche Heart Of Mine, Property Of Jesus e Lenny Bruce, tributo al dissacrante comico (noi abbiamo Beppe Grillo…) sono di qualità superiore. Senza dimenticare il trascinante rock-blues The Groom’s Still Waiting At The Altar, pubblicato inizialmente come lato B di un singolo ma incluso nelle successive ristampe. Per contro, due banalità come Watered-Down Love e Trouble non dovevano finire sul disco, data la qualità delle molte outtakes. Incomprensibilmente non rimasterizzato per questo box.

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Infidels (1983): fino a Oh, Mercy, questo è il miglior Dylan degli anni ottanta, con Bob in grande forma ed un suono compatto, merito anche della solida produzione di Mark Knopfler. Otto brani senza cadute di tono, con una menzione per Jokerman, I And I, Man Of Peace e License To Kill. E se Bob non avesse escluso alcune perle (Blind Willie McTell su tutte), poteva essere ancora meglio. Se dovessi votare per l’argomento che vorrei trattato nel prossimo Bootleg Series, sceglierei queste sessions complete.

 

Real Live (1984): ancora un disco dal vivo solo singolo (prodotto con la mano sinistra da Glyn Johns) che documenta il tour europeo di Bob con una band di grandi nomi (tra cui l’ex Stones Mick Taylor e l’ex Faces Ian McLagan, più Carlos Santana ospite in Tombstone Blues) ma non molto affiatata. Molto belle comunque una Highway 61 Revisited mai così rock’n’roll ed una Tangled Up In Blue acustica meglio dell’originale. Un disco finalmente rimasterizzato, ne aveva bisogno.

 

Empire Burlesque (1985): Dylan decide di diventare “cool”, inizia a vestirsi come Don Johnson in Miami Vice e chiama Arthur Baker per dare al suo nuovo disco un sound anni ottanta. Il risultato non è disastroso perché ci sono canzoni valide come Tight Connection To My Heart (nel cui videoclip si tenta di far sembrare Bob un sex symbol), I’ll Remember You, Trust Yourself, Emotionally Yours e l’acustica Dark Eyes, ma sentire Bob in mezzo a sintetizzatori e drum machines non è bello.

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Knocked Out Loaded (1986): un disco raffazzonato e figlio di sessions slegate e con poco costrutto (e la produzione è assente), si salva per l’epica Brownsville Girl, una zampata da vero fuoriclasse. Ma il resto, tra covers e brani scritti svogliatamente, vale poco, con una nota di biasimo speciale per la versione di They Killed Him di Kris Kristofferson, con il suo terribile coro di bambini. Sembra quasi che Bob per scegliere i brani da mettere sul disco abbia estratto a sorte o tirato i dadi.

 

Down In The Groove (1988): il punto più basso della carriera di Bob, un disco concepito come il precedente (cioè male) ma senza un brano di punta come Brownsville Girl: la canzone migliore è Death Is Not The End, che però proviene dalle sessions di Infidels. Il resto è indegno, si salvano solo una discreta cover del traditional Shenandoah e la nuova Silvio. Bob Dylan sembra davvero alla frutta, forse anche al caffè.

 

Dylan & The Dead (1989): album live (ancora singolo!) tratto dai concerti estivi di due anni prima con i Grateful Dead. Solo sette canzoni, con Bob che appare quasi svogliato ed i Dead che non sembrano la sua backing band ideale (in quegli anni Dylan era in tour con Tom Petty & The Heartbrakers, con ben altri risultati). Solo I Want You reca tracce dell’antico smalto (*NDB, Mi intrometto di nuovo, in qualità di Bruno in questo caso: il disco di Dylan con i Dead ricordo di averlo recensito anche io ai tempi per il Buscadero, anche perché era una recensione doppia, e il giudizio era stato tutto sommato buono, ma ai tempi parlare male, o così così, di siffatti artisti era come sparare sulla Croce Rossa! Ora, purtroppo, si possono fare entrambe le cose).

Marco Verdi

segue…