Correva L’Anno 1968 3. Elvis Presley – ’68 Comeback Special: 50th Anniversary Edition

elvis presley '68 comeback special front

Elvis Presley – ’68 Comeback Special: 50th Anniversary Edition – RCA/Sony 5CD/2Blu-ray Box Set – 2LP “The King In The Ring”

Ennesima riedizione, si spera quella definitiva, per il famoso ’68 Comeback Special di Elvis Presley, uno dei più clamorosi casi di rilancio della carriera di un artista nella storia della musica. I “favolosi” anni sessanta non erano stati così favolosi per i pionieri del rock’n’roll dei fifties, soppiantati da artisti appartenenti a generi via via più in voga come il Folk Revival, la British Invasion, la psichedelia e la Summer Of Love: Elvis però ci aveva messo del suo, disperdendo il suo talento durante tutta la decade per partecipare a filmetti di terza categoria (e relative insulse colonne sonore) e riducendosi a parodia di sé stesso, molto più che nel successivo periodo “Elvis grasso” a Las Vegas negli anni settanta, in cui almeno la sua abilità di performer era ai massimi livelli. Gran parte della colpa di questo era da attribuire al famigerato manager di Elvis, il “Colonnello” Tom Parker, che aveva ridotto il nostro ad una sorta di burattino nelle sue mani, privilegiando una visione dollarocentrica della sua carriera, e lasciando la musica in secondo piano (emblematica una scena del bel serial tv Vinyl, passato lo scorso anno su Sky, nel quale il protagonista del film, un discografico indipendente di grandi visioni, si trova a colloquio negli anni settanta con uno stanco e demotivato Elvis all’interno della “Jungle Room”, e riesce a riattivare la scintilla nei suoi occhi spenti convincendolo a fare un disco di crudo rock’n’roll come all’inizio della carriera: Parker, sentita la cosa, arriva a minacciare fisicamente il protagonista con l’intento di fargli abbandonare l’idea. E’ finzione, certo, ma il personaggio era quello).

Nel 1968 però si era arrivati ad un punto di non ritorno, e così Parker approcciò il produttore televisivo Bob Finkel con l’idea di uno special natalizio nell’ambito della serie di trasmissioni Singer Presents (sponsorizzata dalla celebre azienda produttrice di macchine per cucire). Inizialmente sembrava che Elvis dovesse cantare solo canzoni natalizie, cosa che non gli interessava fare, ma poi Finkel ed il regista del programma Steve Binder ebbero l’idea di rendere la trasmissione un vero e proprio ritorno dell’artista alla performance dal vivo con lo spirito rock’n’roll dei primi giorni. Elvis accettò con entusiasmo, e per una volta non diede ascolto a Parker che tentennava…ed il resto è storia. Lo special televisivo ebbe infatti un grandissimo successo, e così il disco che ne venne tratto, Elvis (NBC TV Special) e riportò in auge il nome del nostro, che da lì in poi la smise di recitare in film di serie C e riprese in mano la sua carriera musicale, e ricominciò anche a fare concerti. Il programma mostrò un Elvis in strepitosa forma fisica, tirato a lucido in un completo di pelle nera, ed autore di una solida performance nella quale riprese in mano anche i vecchi successi degli anni cinquanta, dando finalmente una sensazione di spontaneità (vennero anche richiamati i suoi musicisti dell’epoca, il chitarrista Scotty Moore ed il batterista D.J. Fontana).

Lo spettacolo era però tutt’altro che improvvisato, ed era una sorta di taglia e cuci di varie performance che comprendevano due show da seduto con strumentazione parca ed intima, due in piedi con orchestrazioni più complesse, coreografie, cori gospel, eccetera (e diverse basi musicali erano in playback), ma il risultato finale era quello di un artista finalmente a suo agio e che faceva ciò che gli riusciva meglio: cantare. Negli anni sono uscite, in album postumi o sparse in varie antologie e cofanetti, praticamente tutte le performance legate a questo speciale, ed oggi la Sony pubblica per il cinquantenario quello che dovrebbe essere il box definitivo, cinque CD e due BluRay in cui troviamo tutto ciò che è successo in quel mese di Giugno del 1968 (c’è anche un doppio vinile intitolato The King In The Ring, che si limita ai due concerti “sit-down”, che deve il titolo alla disposizione a cerchio dei musicisti). Il cofanetto, realizzato in formato LP pur non contenendo vinili (e con all’interno uno splendido libro pieno di note, testimonianze e strepitose foto ad alta definizione, un vero incentivo all’acquisto), potrebbe sembrare l’ennesima operazione inutile dell’industria discografica dato che non c’è nemmeno l’ombra di un inedito, ma è così se siete in possesso della discografia completa di Elvis prima e dopo la morte, cosa abbastanza complicata. Certo, se nel 2008 vi siete accaparrati l’edizione in quattro CD per il quarantennale, e anche e soprattutto il triplo DVD edito nel 2004, che contiene la parte video uguale a quella dei 2 Blu-ray, potete anche bypassare, ma se non è così (come nel caso del sottoscritto che ha solo il disco originale ed il postumo Tiger Man), questo box è assolutamente da avere.

Il primo CD vede la riproposizione del disco originale, con Elvis accompagnato dalla Wrecking Crew, ovvero lo strepitoso ensemble di sessionmen di Los Angeles presente su una miriade di album di quel periodo (tra cui lo straordinario bassista e pianista Larry Knetchel, il batterista Hal Blaine ed i chitarristi Tommy Tedesco, Mike Deasy e Al Casey) e da una lunga serie di backing vocalists (compresa Darlene Love): sette tracce, perlopiù lunghi medley tra canzoni e dialoghi, provenienti anche da sessions diverse. Dopo il celeberrimo inizio di Trouble/Guitar Man, abbiamo versioni scintillanti di brani di punta del repertorio del nostro, un mix formidabile di rock’n’roll e ballate con titoli come Lawdy, Miss Clawdy, Heartbreak Hotel, Hound Dog, All Shook Up, Can’t Help Falling In Love, Love Me Tender, Jailhouse Rock. C’è anche un bel trittico di brani gospel (Where Could I Go But To The Lord/Up Above My Head/Saved) e due pezzi lenti incisi in studio, i singoli Memories e If I Can Dream. In più, quattro tracce bonus, tra le quali It Hurts Me e Let Yourself Go non presenti nel programma originale. Il secondo e terzo CD (in mono, così come il quarto, mentre il quinto è in stereo ed il primo un mix di entrambe le cose) ripropongono per intero sia i due “sit-down” shows che i due “stand-up”: in particolare sono strepitosi i due spettacoli da seduto, che senza volerlo anticiperanno di molto l’approccio unplugged che poi diventerà moda con MTV (anche se la chitarra di Moore è elettrica). Qui rivediamo finalmente l’Elvis musicista a tutto tondo (ed anche chitarrista), rilassato, informale, scherzoso e perfettamente a suo agio, ma tremendamente serio quando snocciola performance da urlo di pezzi come That’s All Right (che nel 1956 diede inizio a tutto), Heartbreak Hotel, Blue Suede Shoes, One Night, Are You Lonesome Tonight, Baby What You Want Me To Do (suonata per ben cinque volte complessivamente) e Tiger Man: due concerti da cinque stelle.

Non che i due show “in piedi” siano di molto inferiori, anche qua Elvis è in pieno controllo e forse perfino più convinto nella prestazione vocale, solo il suono è più lavorato ed orchestrato e le due scalette sono sovrapponibili (a differenza di quelle dei due “sit-down shows”, che avevano delle varianti), ma comunque la seconda esibizione è semplicemente fantastica, con il King in pura trance agonistica. E le grandi canzoni si sprecano: oltre a quelle suonate nei due spettacoli da seduto, troviamo anche trascinanti riproposizioni di All Shook Up, Don’t Be Cruel, Jailhouse Rock, Trouble e Guitar Man, oltre alla splendida Can’t Help Falling In Love che per me è in assoluto la più bella ballata di Elvis. Il quarto dischetto ci offre le prove in camerino prima di andare in scena, con Elvis che cazzeggia alla grande con i membri della band, ma poi si cimenta anche in brani che non troveranno spazio nello show, come I Got A Woman di Ray Charles, Blue Moon, Danny Boy e Blue Moon Of Kentucky, ed il gruppo riprende anche il famoso Peter Gunn Theme di Henry Mancini. Ottimo per capire come il nostro si preparava prima di uno spettacolo, peccato che la qualità sonora non sia delle migliori. Il quinto ed ultimo CD, molto interessante, ci fa sentire le prove insieme alla Wrecking Crew, con una serie di canzoni che, eccetto Trouble e Guitar Man (ed anche Memories ed If I Can Dream, che però erano cantati dal vivo su base pre-registrata), Elvis non suonerà nei quattro show di cui sopra, ma che finiranno in forma ridotta a far parte dello show. E ci sono diverse cose decisamente intriganti, come la solida Nothingville, un tentativo poi abortito di fare Guitar Man ad un tempo molto più veloce, una versione piena di ritmo del classico di Jimmy Reed Big Boss Man (peccato sia troppo breve), la deliziosa ballad It Hurts Me ed una strepitosa Saved (due takes), tra gospel e rock’n’roll, cantata in maniera inarrivabile. Infine i due BluRay (che al momento non ho visto) contengono, oltre allo special andato in onda in origine e le quattro performance seduto ed in piedi, tutta una serie di prove, outtakes, scene tagliate e chicche varie, praticamente ogni minuto del dietro le quinte (alcuni di questi filmati erano già finiti sul recente documentario The Searcher.

Ribadisco, se di queste sessions avete poco o niente, un cofanetto da non perdere, anche se non costa poco: per sentire e vedere il Re del rock’n’roll nel suo ambiente naturale.

Marco Verdi

Il 2016 Ha Colpito Ancora! Ci Hanno Lasciato Anche Ralph Stanley, Scotty Moore E Rob Wasserman! Senza Dimenticare Wayne Jackson (Memphis Horns) e Bernie Worrell (Parliament/Funkadelic).

ralph stanley

Era già da qualche settimana che non si registravano morti eccellenti, dopo la vera e propria ecatombe dei primi mesi di questo tremendo 2016, ma in un colpo solo (a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro) ben tre noti musicisti, due dei quali potrebbero anche aspirare al titolo di “leggenda”, sono passati a miglior vita. Una settimana fa circa, il 23 Giugno, ci ha lasciato, alla veneranda età di 89 anni, Ralph Stanley, uno dei padri della musica country americana e tra i creatori del genere bluegrass insieme a Bill Monroe, Lester Flatt, Earl Scruggs ed altri meno noti. Originario della Virginia, cantante e virtuoso del banjo, Stanley iniziò la sua lunga carriera come metà del duo Stanley Brothers insieme al fratello Carter e quasi contemporaneamente come leader dei Clinch Mountain Boys, cominciando come cover band di Monroe e di traditional appalachiani, ma iniziando presto a scrivere materiale originale, cosa che li mise in competizione proprio con Monroe, che arrivò addirittura a lasciare la Columbia (in favore della Decca) quando la famosa casa discografica mise sotto contratto i due fratelli Stanley.

Alla morte di Carter, avvenuta nel 1966, Ralph proseguì come solista, ma avvalendosi sempre dei Clinch Mountain Boys come backing band (con innumerevoli cambi di formazione), fino ai giorni nostri: musicista di grande esperienza e cultura, ha praticamente inventato un suo modo di suonare il banjo, e nel corso della sua carriera ha cantato di tutto, dal bluegrass, al country al gospel, ed il suo nome è prepotentemente tornato in auge grazie a T-Bone Burnett ed ai fratelli Coen per il film del 2000 O Brother Where Art Thou?, nella cui colonna sonora Ralph interpretava O Death ma il suo spirito aleggiava su tutte le canzoni (ed il brano da lui cantato gli valse anche un Grammy). Da quel momento, Ralph riprese ad incidere con regolarità, pubblicando dischi uno più bello dell’altro, il più delle volte aiutato da presenze illustri (come nell’imperdibile Clinch Mountain Country, uscito peraltro nel 1998, con ospiti come Bob Dylan, Dwight Yoakam, George Jones, Gillian Welch, Porter Wagoner ed i BR5-49, o l’altrettanto prezioso Clinch Mountain Sweethearts, con duetti tutti al femminile, o ancora il recente Man Of Constant Sorrow, con Elvis Costello, Robert Plant, gli Old Crow Medicine Show e Dierks Bentley), o anche ottimi lavori in solitario come Ralph Stanley del 2002 e Shine On del 2005. Adesso starà già jammando con Bill Monroe, sperando che abbiano sistemato le vecchie divergenze.

scotty moore elvis scotty moore the guitar that

Winfield Scott Moore III, più noto come Scotty Moore (che di anni ne aveva 84) è stato il chitarrista della prima parte della carriera di Elvis Presley, dal 1954 (quindi periodo Sun compreso) fino ai primi anni sessanta quando il King ha iniziato a frequentare Hollywood (ma si esibirà con lui per l’ultima volta anche nel famoso Comeback Special del 1968): il suo nome sarà sempre legato a quello del bassista Bill Black e del batterista D.J. Fontana, che hanno costruito l’alveo perfetto per le canzoni del primo Elvis, entrando quindi di botto nella leggenda (furono soprannominati The Blue Moon Boys): influenzato dallo stile di Chet Atkins, Moore perfezionò una tecnica fingerpicking decisamente personale sulla sua Gibson, inventando di fatto lo stile rockabilly ed influenzando generazioni di chitarristi, tra cui Bruce Springsteen, Keith Richards e, anche se non si direbbe, Jimmy Page.

Dopo le collaborazioni con Elvis, Moore non partecipò a moltissime sessions, preferendo dedicarsi al ruolo di record engineer per, tra gli altri, Carl Perkins e Ringo Starr (l’album Beaucoups Of Blues), e continuando a suonare in occasionali serate dedicate alle vecchie glorie. Nel 1997 Moore si riunì con Fontana per incidere lo splendido All The King’s Men, un sontuoso tributo all’epoca d’oro del rock’n’roll con una serie incredibile di ospiti (Keith Richards, The Band, The Mavericks, Ron Wood, Jeff Beck, Steve Earle, Joe Ely, Cheap Trick). Ora, è facile da immaginare, avrà riabbracciato Elvis ed insieme con Bill Black (Fontana è ancora vivo) staranno già suonando Mystery Train o That’s Alright, Mama.

rob wasserman

Mi ha colto invece di sorpresa la scomparsa avvenuta ieri 29 giugno, a soli 64 anni, e per cause non ben precisate, di Rob Wasserman, bassista californiano di formazione classica il cui nome è legato ai lavori insieme a Bob Weir, prima nei Ratdog e dopo negli episodi da solista dell’ex Grateful Dead. Ma prima ancora Wasserman era stato il bassista di Lou Reed (nei bellissimi New York e Magic And Loss, ma anche più di recente nel controverso Lulu, inciso dal musicista newyorkese con i Metallica) ed aveva collaborato con Van Morrison (Beautiful Vision), Elvis Costello (Mighty Like A Rose), Bruce Cockburn, Rickie Lee Jones ed il David Grisman Quintet.

Particolarmente apprezzati furono poi i suoi album Solo, Duets e Trios, incisi insieme ad ospiti come Brian Wilson, Aaron Neville, Bruce Hornsby, ancora Lou Reed, Jerry Garcia, Neil Young e perfino una collaborazione inedita con Willie Dixon in Dustin’ Off The Bass. In questo caso, è troppo facile pensare al fatto che sia già a fianco di Lou Reed a provare nuove canzoni che l’ex Velvet Underground non ha certo smesso di scrivere neppure nell’aldilà.

Marco Verdi

Parte II

memphis-horns-app_4942896_ver1.0_640_480

Aggiungo anche il mio piccolo contributo ricordando altri due personaggi, scomparsi di recente, che hanno fatto la storia della musica, nei loro casi Soul e Funky. Prima di tutto Wayne Jackson, trombettista bianco, prima nei Mar-Keys, poi nella house band della Stax e infine, con Andrew Love (sassofonista, scomparso nel 2012) come Memphis Horns hanno suonato praticamente con tutti, credo si farebbe prima a dire con chi non sono apparsi (e mi vengono in mente Beatles e Stones), ma per il resto, facendo una selezione veloce: Otis Redding, Wilson Pickett, Sam & Dave e tutto il cucuzzaro Stax, Al Green, Elvis, Bob Dylan, Isaac Hayes, Tony Joe White, James Taylor, Aretha, Rod Stewart, BB King, Willie Nelson, Doobie Brothers, Frankie Miller, Lowell George, gli U2, anche Zucchero, Buddy Guy, Keith Richards, Maria McKee, e sono veramente una minima parte, ci vorrebbe un Post a parte solo per citare i nomi degli artisti con cui ha suonato Wayne Jackson, colpito anche lui dalla maledizione dei 74 anni e morto a Memphis il 21 giugno scorso (per i problemi di cuore che lo affliggevano da anni), lo stesso luogo dove era nato il 24 novembre del 1941.

bernie worrell

E il 24 giugno è morto anche Bernie Worrell, che di anni ne aveva 72 anni ed era da lungo ammalato di cancro, uno dei grandi tastieristi della storia del funk (e non solo), spesso definito il Jimi Hendrix delle tastiere, a lungo braccio destro di George Clinton nei Parliament e nei Funkadelic e che anche lui ha poi suonato con centinaia, anzi migliaia di musicisti nel corso di una carriera durata oltre 45 anni: forse le collaborazioni più note quelle con i Talking Heads, e in anni più recenti i Vintage Vinos di Keith Richards e i Gov’t Mule.

Direi che per oggi può bastare anche se vista la continua moria si pensava di inserire magari una rubrica nel Blog intitolata “Prima che sia troppo tardi”, dove parlare periodicamente di musicisti che hanno fatto la storia della musica e di cui spesso si ignora l’esistenza o quasi, fino al giorno in cui se ne vanno. Vedremo in futuro. Tra l’altro, tornando brevemente a Scotty Moore, ieri sera ero a vedere il concerto dei Blackberry Smoke al Carroponte, ed in chiusura di serata Charlie Starr e soci gli hanno dedicato una bella versione di That’s All Right Mama, quindi per fortuna anche tra le generazioni più giovani il grande patrimonio del passato non è perduto e questo è un buon segno!

Bruno Conti