Meglio Tardi Che Mai, Preziosi Ritrovamenti! Sean Costello – In The Magic Shop

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Sean Costello – In The Magic Shop – Vizztone

Se questo In The Magic Shop fosse stato un nuovo disco, sarebbe stato tra i migliori dischi di Blues (e dintorni) dell’anno, e comunque nella ristretta cerchia dei top dell’anno nel genere, il CD ci rientra comunque. Sean Costello è ormai scomparso da circa sei anni, il 28 aprile del 2008, il giorno prima del suo 29° compleanno, per una overdose accidentale, dovuta probabilmente ai disturbi causati dai suoi disordini bipolari, e il CD della Vizztone è il terzo prodotto postumo che esce da allora. Da sempre considerato uno dei chitarristi prodigio usciti negli anni ’90 (il primo album Call The Cops, fu pubblicato nel 1996, quando Costello aveva 16 anni), rispetto ai vari Lang, Shepherd, lo stesso Bonamassa, Sean, solista dalla tecnica e dal feeling sopraffino, aveva in più anche una voce fantastica, in grado di spaziare tra, Blues, rock, soul, R&B, le sue passioni, con un timbro ed una potenza che di volta in volta potevano richiamare gente come Steve Marriott, Rod Stewart, Frankie Miller, ma anche cantanti soul come Al Green, Johnny Taylor, anche Bobby Womack, di cui riprende un brano in questo In The Magic Shop, e molti altri che si intuiscono nelle pieghe della sua musica https://www.youtube.com/watch?v=TC9_c6SynBE .

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Sean Costello, oltre che interprete sopraffino era anche un ottimo autore, e questo disco, registrato sul finire del 2005, sulla scia del disco omonimo pubblicato l’anno prima dalla Artemis Records, con buoni riscontri di critica, era rimasto criminalmente nei cassetti della casa discografica per circa una decina di anni e solo oggi vede la luce, dopo la ristampa dell’eccellente At His Best/Live http://discoclub.myblog.it/2012/01/08/un-altro-grande-talento-che-non-c-e-piu-sean-costello-at-his/ , che era un compendio di varie esibizioni dal vivo, con una registrazione cruda, una sorta di bootleg ufficiale. Il produttore originale delle sessions di studio, Steve Rosenthal, vincitore di 4 premi Grammy, e titolare del Magic Shop di New York, dove l’album venne inciso nell’autunno del 2005, ha fatto un lavoro perfetto con i nastri originali, e il disco suona fresco e pimpante come fosse stato inciso cinque minuti fa. Sono state catturate tutte le caratteristiche di Costello: il chitarrista fenomenale, in grado di”perdersi” (in senso buono), in una versione sbalorditiva di It’s My Own Fault, che da sola varrebbe tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=3MkEZkH54s4 , se anche il resto non fosse comunque buono, dove il nostro amico unisce una tecnica degna del miglior Mike Bloomfield, al feeling innato del suo autore B.B. King, e alla ferocia del più cattivo Buddy Guy, per un assolo che è un miracolo di equilibri sonori e che ti risucchia nella sua bellezza con una intensità e una passione che sono cosa rara anche nei migliori bluesmen, e nella parte cantata ricorda Steve Marriott

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Ma non mancano la passione per la buona musica soul, o addirittura per il suo predecessore R&B, in Can’t Let Go, un pezzo dello stesso Sean, che su un delizioso tappeto di organo, piano elettrico, voci femminili e misurati interventi della chitarra, ci permette di godere la sua voce qui più soffice e melliflua https://www.youtube.com/watch?v=6iPARKqtQEM , per poi tornare al blues torrido di Hard Luck Woman, dove Paul Linden, il tastierista, raddoppia anche all’armonica, che duetta con la solista di Costello https://www.youtube.com/watch?v=vwOU3AoH2Gs , senza tralasciare una bellissima ballata acustica come Trust In Me, dove l’espressiva voce del nostro si divide tra sonorità che oscillano tra il crooner navigato e il soulman appassionato alla Sam Cooke https://www.youtube.com/watch?v=whYxoHOuK00 . Per passare poi a Feel Like I Ain’t Got No Home, che è un blues-rock degno degli Humble Pie più assatanati https://www.youtube.com/watch?v=hZt_CtXdGws , con la voce di Sean Costello che oscilla tra la potenza di Steve Marriott e del giovane Joe Cocker, mentre la chitarra e la ritmica pestano di brutto, ma con gran classe. You Don’t Know What Love Is, cover di Fenton Robinson, è un altro blues con chitarra lancinante, ma su una base decisamente funky e quella voce incredibile che veicola la passione che c’è alle spalle della canzone https://www.youtube.com/watch?v=pfepCcZ3CxQ , mentre Check It Out, dalla penna di Bobby Womack, è un’altra trascinante perla di R&B ritmato e trascinante, come richiesto dal genere musicale, con la solista sempre pungente ed inventiva.

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I Went Wrong, firmata da Costello torna a quel blues, BB King style, che era da sempre nel DNA di questo giovane talento da Atlanta, Georgia. In questo senso You Wear It Well, , sempre molto seventies, cover di un brano del primo Rod Stewart, altro praticante del genere, non sorprende e ci sta benissimo https://www.youtube.com/watch?v=_YuMurfToqg . Non male Told Me A Lie, inconsueta ed incompiuta, ancorché costruita intorno ad un interessante giro di basso, e il funky con wah-wah della ritmatissima Make A Move, con Dayna Kurtz tra le voci di supporto. Conclude una delicatissima Fool’s Paradise, una sorta di brano da after hours che ci riporta al Sean Costello crooner. Un bel disco ritrovato, ma veramente bello, ve lo giuro, che era un peccato non poter ascoltare: come non essere d’accordo con quel “pretty good” quasi sussurrato che conclude l’album!

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Parte del ricavato della vendita del CD va al fondo di ricerca sulla Bi-polar Disease research.

Bruno Conti

Piovono Chitarristi, Il Ritorno! Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What

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Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What – Underworld Records

Non posso che confermare quanto detto di buono in relazione alla precedente uscita di Jason Elmore, Upside Your Head (forse ai tempi sul Busca avevo anche “ciccato” il titolo), dischetto del 2010 che ci aveva presentato questa nuova realtà del rock, intriso di blues, texano. Anzi, se possibile, questo nuovo Tell You What è ancora più soddisfacente, nella sua corposa e sanguigna varietà che ruota intorno a questo sound molto anni ’70 (anche più indietro) ma che tiene conto dei vari chitarristi che si sono susseguiti nelle decadi successive, Stevie Ray Vaughan e Joe Bonamassa i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono molti altri.

Quindi, come al solito, niente di nuovo, ma per chi ama il genere rock, nelle sue varie declinazioni e i chitarristi in particolare, qui c’è di che gioire: le influenze vanno dagli Zeppelin di Page, sentire per credere la potente Botton Feeder al Rory Gallagher degli inizi, citato in prima persona con una grandiosa cover di Country Mile che ha stampato nel proprio DNA l’indimenticabile forsennato drive dei migliori brani dell’irlandese, e per riprodurlo al meglio si sono dovuti mettere in due, con l’amico e consulente (?!?) Jim Suhler che aggiunge la sua slide alla feroce solista di Jason Elmore (sembra uno pseudonimo ma è più un caso di “nomen omen”, un destino), per una cavalcata selvaggia e senza freni nel miglior rock-blues d’annata. Ma anche il southern-rock blues “cattivo” di Southbound, che non è quella degli Allman ma ha quei profumi e ritmi boogie, addizionati con la verve di certe jam band anni ’90 come i Blues Traveler o i Gov’t Mule, chitarre fumanti e voci distorte ma anche assolo di assoluta precisione chirurgica e tecnica sopraffina. O ancora lo slow blues Cold Lonely Dawn, con l’organo B3 di Tommy Young e la screziatura di fiati di Ron Jones (una novità di questo album) che aggiungono una patina di deep soul al suono vibrante del pezzo e la chitarra disegna linee soliste assolutamente degne di nota, fluide e ricche di inventiva, insomma in soldoni, questo è uno buono, forse i suoi sono avanzi della cucina del giorno prima, ma presa da un ristorante a cinque stelle, si chiama arte del riciclo!

C’è anche quell’aria country got soul, passavo per caso da Memphis, di When The Sun Goes Down o le brillanti evoluzioni strumentali dell’iniziale, frenetica Sharecropper Shuffle che qualche grado di parentela con la musica di SRV sicuramente le ha, ma cita pure la Hideaway di Freddie King e il blues tutto nel suo crescendo, breve ma inarrestabile. Dirt Ain’t Enough è un altro slow blues atmosferico, questa volta tra Jimi e Stevie Ray, d’altronde quelli sono alcuni dei punti di riferimento di Elmore, poi lui ci mette del suo con una cascata di note, nell’assolo nella parte centrale e finale del brano, che ha quell’effetto devastante sul gatto nero disegnato in copertina. Buckaroo è un breve omaggio all’inventore del Bakersfield Sound, Buck Owens, puro country picking strumentale, mentre Don’t Pass Me By vuole ricordare un altro giovane talento, scomparso troppo presto, come Sean Costello, un ulteriore pezzo bluesato ma marinato nel soul, come usava fare il chitarrista, anche lui “sudista” come il nostro Jason.

Non male anche la quasi jazzata, ma a tempo di boogie rallentato, Good Foot (non ci sono brani scarsi e anche questo è un merito) e, l’unica non memorabile, a onore del vero, la swingata She Fine, che ha qualche attinenza con lo stile di Robillard e si riscatta per il lavoro di fino alla solista di Elmore. Si conclude in gloria con una sontuosa You Don’t Miss Your Water, scritta e cantata da William Bell, ma che molti ricordano perché concludeva quell’indimenticato capolavoro che è Otis Blue: Otis Redding Sings Soul. Non potendo competere nel campo vocale, anche se la parte cantata è più che rispettabile, Elmore James si affida alla sua solista per un lirico contributo alla soul music più “profonda”, ben coadiuvato dal solito organo Hammond di Young e alla lap steel, aggiunta per l’occasione, di Kirby Kelley. Bella musica, questo brano, ma il disco tutto, come si suole dire in questi casi, caldamente consigliato!

Bruno Conti

Da Denton, Texas Un Altro Bravo! Chris Watson Band – Pleasure And Pain

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Chris Watson Band – Pleasure And Pain – Gator Music/IRD

E questo ragazzi è bravo! Niente “pain” solo “Pleasure”, per Chris Watson e la sua band da Denton, Texas. 25 anni circa, questo è il suo secondo disco dopo l’esordio del 2009 con Just For The Show. Se non fosse esistito 30 anni fa e oltre da oggi un certo Stevie Ray Vaughan saremmo a parlare in termini ancora più lusinghieri di questo ennesimo rappresentante del blues texano, cionondimeno non posso che apprezzare la musica che fuoriesce dai “solchi virtuali” di questo album (perché il suono è vintage). Il giovane ha molte frecce al suo arco, non solo ottimo chitarrista, in grado di spaziare in tutti i sottogeneri del Blues, del soul e del funky, ma anche cantante con una voce di quelle “importanti” ed espressive.

Buon autore anche, che non guasta, e pure in grado di scegliere buone cover nel repertorio dei musicisti che ama: soprattutto Sean Costello viene citato e ripreso in alcuni brani che lo rappresentavano in modo deciso. E quindi il gospel tradizionale Going Home viene ripreso in una versione scintillante, aperta da rullate di batteria ripetute che ci spediscono direttamente in un groove funky e coinvolgente, mutuato dalla versione di Costello, ma ricco di brevi interventi chitarristici e cantato con un calore e una partecipazione evidenti anche all’ascoltatore occasionale, non guastano gli interventi di Kristin Major, la voce femminile di supporto. Stesso discorso per l’ancor più funky Hard Luck Woman (firmata direttamente da Costello), ancorata in questo caso da un giro corposo del basso di Chris Gipson e cantata con voce “nera” e robusta da Watson che lavora di fino alla chitarra anche in senso ritmico.

Ma la varietà è uno degli imperativi di questo Pleasure And Pain, se lo volete sentire in un grintoso shuffle Texano alla Stevie Ray, completo di assolo bruciante, lo trovate nell’eccellente Untrue. O anche nei territori tra blues e soul cari al Robert Cray degli esordi in una “choppatissima” title-track cantata e suonata divinamente. Non manca una bellissima deep soul ballad come Heartache, con il corposo contributo di una sezione fiati e della voce della Major. Non c’è un brano scarso tra i dodici che compongono questa proposta indipendente a livello discografico: dall’iniziale Heart On My Sleeve, sempre funky nei ritmi e nella voce e aggressiva negli interventi della solista.

Un altro punto di contatto, in comune con Sean Costello, è l’amore per la musica del grande Bobby Womack, di cui viene ripresa una scintillante Check It Out nella terza ed ultima cover di questo CD. E che dire di Wanted man che in un colpo solo rende omaggio al blues classico e a Jimi Hendrix, con uno slow blues che ci consente di apprezzare la tecnica chitarristica di Chris Watson, prima di concludere con soul uptempo di pura scuola Memphis, ancora con le voci di Watson e della Major che si incrociano gioiosamente sul tappeto sonoro di un organo vintage che fa da apripista ad un assolo delizioso che conclude in gloria questo disco che ci porta la conferma di un nuovo talento da tenere d’occhio. Mi ripeto perché merita, è proprio bravo, gli avrei dato un giudizio ancora più favorevole ma aspettiamolo con fiducia ad altre prove!

Ha anche un suo canale su YouTube, dove carica ottima musica dal vivo ChrisWatsonBand. La ricerca della buona musica continua.

Bruno Conti   

Un Altro Grande Talento Che Non C’é Più! Sean Costello – At His Best Live

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Sean Costello – At His Best Live  – Landslide Records

Ultimamente mi è capitato spesso di occuparmi di “artisti che non ci sono più!”, Lester Butler e i suoi 13 (un-vero-peccato-ma-non-e-mai-troppo-tardi-13-featuring-leste.html) , Jeff Healey (un-adeguato-testamento-sonoro-jeff-healey-band-full-circle.html), ma anche Gary Moore (un-ultimo-saluto-gary-moore-live-at-montreux-2010.html) e a parte Healey si tratta di musicisti che ci hanno lasciato per problemi legati ad alcol o droga. Anche Sean Costello se ne è andato per una overdose, nel 2008, il 16 aprile, un giorno prima del suo compleanno. Avrebbe compiuto 29 anni! Un vero peccato, perché si trattava di un vero talento, di cui mi ero occupato per il Buscadero recensendo (se non ricordo male) un paio di suoi dischi.

Uno dei migliori chitarristi della sua generazione e, caso raro, anche un eccellente cantante, con un voce ora calda e suadente, nel repertorio vicino a soul e R&B, più rauca e vissuta quando si dedicava al Blues, forse l’unico a cui potrei avvicinarlo, di quelli ancora in circolazione, sia come stile e passione per i due generi, sia per le qualità vocali (ma Costello cantava anche meglio) direi che sia l’ottimo Tommy Castro. Nativo di Philadelphia ma cresciuto a Atlanta, Georgia (come ricorda lo speaker nell’intro al 1° brano), Sean ha iniziato la sua carriera discografica da giovanissimo, un altro enfant prodige che ha pubblicato il suo primo disco, Call The Cops, a 16 anni. Ma la fama è arrivata con la partecipazione, come chitarra solista, a Just Won’t Burn di Susan Tedeschi, con la quale, band al seguito, ha condiviso i palchi americani per un breve periodo facendo la giusta gavetta. Dal 2000 sono usciti altri 4 album a nome proprio, tutti molto buoni, che sono culminati nel 2008 con la pubblicazione del migliore di tutti, We Can Get Together, un disco veramente bello che fondeva le sue varie passioni, soul, blues e rock, unite ad una tecnica chitarristica eccezionale e una voce veramente coinvolgente.

E arriviamo a questo At His Best Live, che raccoglie materiale registrato nel corso della sua intera carriera, alternando brani di buona qualità sonora ad altri più ruspanti a livello sound, ma sempre notevoli per l’intensità della musica dal vivo. Si dice sempre che il meglio dei grandi musicisti (se c’è talento) si ascolta dal vivo e anche in questo caso non veniamo delusi. Dalla partenza Blues con il fulminante brano strumentale San-Ho-zay di Freddie King registrato nel 2000 passando per lo slow Blue Shadows (uno di quelli con suono “ruspante) registrato al locale di Buddy Guy a Chicago nel 2002 e nel quale lo spirito del titolare si impadronisce di Costello per un blues veramente torrido. E ancora, una formidabile T-Bone Boogie, registrata in Florida nel 2007, per non dire di una All Your Love di Magic Sam che fa rivivere lo stile del grande Bluesman di Chicago e dei suoi dischi per la Cobra e la Delmark. Ma c’è spazio per il funky di I get a feeling, uno dei cavalli di battaglia di Johnny Guitar Watson e l’errebi fantastico di Check It Out di Bobby Womack propelso da un giro di basso micidiale e in cui la voce di Sean Costello acquista coloriture “black” impressionanti e la chitarra scorre fluida e ricca di inventiva.

Bellissima anche Can I Change My Mind dove c’è spazio pure per l’organo di Matt Wauchope nell’accompagnare la voce super confidente di Costello. Suono ai limiti della decenza in You’re Killing My Love in cui Sean si cimenta con il repertorio di Mike Bloomfield, ma la chitarra viaggia alla grande. Stesso discorso per Reconsider Me, suono scarso ma grande performance. A Doing My Own Thing di Johnnie Taylor (altra passione mai nascosta) applica un trattamento alla Steve Marriott dei tempi d’oro degli Humble Pie, di cui ricorda moltissimo la voce, rock-blues ad altissima gradazione.

The Hucklebuck un duetto chitarra-organo pimpante può ricordare anche il sound di Ronnie Earl o Robillard a dimostrazione della sua ecletticità. Motor Head Baby è un altro brano di Johnny Guitar Watson notevole, peccato per il suono. Bellissima anche Hold On This Time un brano Stax scritto da Homer Banks per Johnnie Taylor, e qui si gode. The Battle Is Over But The War Goes On (che titolo!) non la ricordavo, ma siamo di nuovo in territori rock-blues con la chitarra tiratissima. Merita anche Peace Of Mind di Robert Ward dove anche il gruppo pompa alla grande dietro a voce e chitarra assatanate di Sean Costello. Si conclude con una Lucille ricca di energia. Se questo doveva essere il suo testamento sonoro dal vivo direi che, scontati i problemi tecnici di alcuni brani, ci ha lasciato della grande musica e il titolo del disco, per una volta, è conforme ai contenuti.

Bruno Conti