Preservato Per I Posteri. Stevie Ray Vaughan featuring Bonnie Raitt – Bumbershoot Arts Festival 1985

stevie ray vaughan bumbershoot

Stevie Ray Vaughan featuring Bonnie Raitt – Bumbershoot Arts Festival 1985 – Go Faster Records 

Come i più attenti fra i lettori avranno notato (ma anche quelli meno attenti, tanto è evidente) ormai escono quasi più dischi “Live” di quelli ufficiali. Chiamati con felice eufemismo Broadcast radiofonici, sono perlopiù i cari vecchi bootleg che circolano in modo legale su alcuni mercati, e noi appassionati, finché dura, non ce ne lamentiamo, perché si tratta spesso di documenti sonori di buona qualità audio di grandi concerti pescati dal passato. Tra i più gettonati l’immancabile Springsteen, Tom Petty, ma anche Stevie Ray Vaughan ha parecchi titoli al suo attivo. L’unica avvertenza, come detto in altre occasioni, è stare attenti, perché spesso gli stessi concerti escono con diversi titoli e copertine ma identici contenuti. Non mi sembra, per il momento, il caso di questo Bumbershoot Arts Festival 1985 dedicato al grande chitarrista texano. Siamo al 1° settembre 1985 in quel di Seattle, Coliseum Arena, nel weekend del Labour Day, all’interno di un Festival che si tiene nella città americana dai primi anni ’70 ai giorni nostri: SRV era negli anni più bui della sua dipendenza da alcol e droghe ed aveva appena finito di registrare il suo terzo album Soul To Soul, che sarebbe stato dato alle stampe il 30 di settembre, ma era già in promozione nel corso di un lungo tour, partito a giugno di quell’anno e proseguito fino all’agosto del 1986.

Stevie Ray alternava serate svogliate ad esibizioni strepitose e scoppiettanti (per esempio il Festival di Montreux che vedete qui sopra) e anche quella contenuta in questo dischetto: accompagnato dai Double Trouble, nella versione ampliata con Reese Wynans alle tastiere in aggiunta a Layton e Shannon. Una delle particolarità del concerto è che viene eseguito proprio l’album Soul To Soul nella sua quasi totalità (manca solo Gone Home) e anche con l’esatta sequenza dei brani, cosa abbastanza rara in generale nei tour promozionali, con l’aggiunta di classici e rarità, che comunque non mancano. La qualità sonora è piuttosto buona ed il concerto si apre con una versione feroce dello strumentale Scuttle Buttin’, con il nostro in gran forma che inizia subito a fare i numeri con la sua solista prima di entrare, senza soluzione di continuità, nella sequenza del terzo album: partendo con una formidabile versione a tutto wah-wah di Say What che ricorda il miglior Hendrix di Electric Ladyland anche grazie all’ottimo lavoro di Wynans all’organo e poi con Lookin’ Out The Window e Look At Little Sister che furono i due singoli estratti dall’album al tempo e che nelle versioni dal vivo acquistano in grinta, soprattutto il secondo brano con un pianino R&R scatenato, ancora Wynans (peccato per la non perfetta qualità, a tratti, della voce di Vaughan). Fantastica la versione dello slow blues Ain’t Gonna Give Up On Love, uno dei brani migliori del nuovo album firmati da Vaughan, per l’occasione in grande controllo del suo strumento trattato con il tocco del fuoriclasse.

Anche Change It, uno dei due brani scritti da Doyle Bramhall (il babbo) per il disco, scorre con il classico drive del Texas blues, tipico delle migliori esibizioni del nostro, come pure You’ll Be Mine, un vecchio brano di Willie Dixon per Howlin’ Wolf, è un perfetto esempio di blues’n’roll di casa Chess, e anche Empty Arms conferma che per SRV suonare il blues era facile come respirare aria pura. Come On, il vecchio brano di Earl King, la faceva pure Jimi, e la versione di Vaughan, registrata nella tana del lupo, in quel di Seattle, non ha nulla da invidiare come grinta a quella di Hendrix, anche se il mancino rimane insuperato dai suoi vari discepoli, di cui sicuramente Stevie è stato il più grande. Fine per il momento della sequenza di Soul To Soul, si prosegue con una buona versione di Cold Shot (ne ha fatte di migliori) mentre Couldn’t Stand The Weather è un altro riuscito omaggio all’arte hendrixiana e la lunghissima versione di Life Without You, sempre dal terzo album, è da manuale. Tiratissimo anche il super classico Pride and Joy e poi, per il finale, Vaughan chiama sul palco Bonnie Raitt per una intensissima Texas Flood, dove la slide della rossa californiana si unisce alla solista del nostro per una versione al calor bianco, poi replicata in una eccellente versione di Testify degli Isley Brothers, presa a tutta velocità. Grande versione che conclude degnamente un eccellente concerto preservato per i posteri.

Bruno Conti

Per Amanti Della Chitarra, In Astinenza! Dudley Taft – Screaming In The Wind

dudley taft screaming in the wind

Dudley Taft – Screaming In The Wind –  American Blues Artist Group

Non è il primo album (e non è neppure recentissimo) per Dudley Daft: nativo di Washington, D.C., ma residente da tempo a Cincinnati nell’Ohio, con un inizio di carriera, tantissimi anni fa, ai tempi della High School, parliamo degli anni ’80, condiviso con il futuro Phish, Trey Anastasio, in una band chiamata Space Antelope (che non ha lasciato nessun segno nella storia del rock), poi a Seattle negli anni dell’esplosione del grunge con una band chiamata Sweet Water (dove Taft era uno dei chitarristi), tutt’ora in attività, autrice di due album pubblicati dall’Atlantic, e poi nei Second Coming, altra band dal suono duro e roccioso, e anche in questo caso un album per la Capitol, sempre nei ‘90. Quindi una carriera abbastanza “importante”, anche se non memorabile. Avete memorizzato tutto? Benissimo, adesso scordatevelo, perché nel 2007, in un primo momento a Seattle, inizia una sorta di conversione verso il blues-rock, che culmina in un trittico di CD, Left For Dead del 2010, Deep Deep Blue del 2013 e ora questo Screaming In The Wind, finanziato con l’aiuto dei fans, come è ormai usanza consolidata https://www.youtube.com/watch?v=vssUk7p0iQA .

dudley taft left for dead dudley taft deep deep blue

Bisogna dire che Dudley Taft ha fatto buon uso del denaro, scegliendosi un produttore come Tom Hambridge, nuovo Re Mida del Blues, registrando in due studi di Nashville, con l’aiuto di Reese Wynans alle tastiere, aggiunto agli abituali collaboratori, John Kessler al basso e Jason Patterson alla batteria. Hambridge, che è un tuttofare (ottimo batterista, ma non in questo caso), ha firmato anche i testi di sei brani, lasciando l’apertura del disco affidata a due cover. Prima di addentrarci nel disco, vorrei dire, come Ferrini a Quelli della Notte, che “non capisco ma mi adeguo”, nel senso che ho letto alcune recensioni entusiastiche del disco, chi lo paragona a Robin Trower, per il passato, chi a Frank Marino o ai primi ZZ Top (e ci sta tutto), chi a Kenny Wayne Shepherd, tra gli artisti più recenti: per chi scrive è un buon chitarrista, anche ottimo volendo https://www.youtube.com/watch?v=YDR5HnBhIVA , un appena discreto cantante, ma con una tendenza troppo marcata verso il suo passato hard, che viene mediata dalla produzione nitida e precisa di Hambridge, che evidenzia spesso il lavoro della solista e filtra la voce per nascondere eventuali magagne.

dudley taft 1 dudley taft 2

Non per nulla due dei brani migliori sono proprio le cover: Hard Times Killing Floor, un classico di Skip James, in versione power trio, tra Hendrix e Trower (fate voi) https://www.youtube.com/watch?v=7BP-sk0Jd5A  e Pack It Up, un brano funky, con tanto di fiati aggiunti, a firma Chandler/Gonzalez, che viene dal disco omonimo di tali Gonzalez del 2000, con un bel lavoro di Taft alla solista ed un arrangiamento che ricorda certe cose dell’ultimo Bonamassa. Non male anche Red Line che ha il tiro boogie-rock degli ZZ Top più ingrifati, misto all’hard rock marca Nugent, Marino e dei sudisti più cattivi https://www.youtube.com/watch?v=PeXlNvChyds . Quello che si apprezza più spesso nel disco è il suono della chitarra di Dudley, sempre potente e ricca di tecnica con soli taglienti e ricchi di continue variazioni sul tema, meno la qualità complessiva dei brani, per quanto Screaming In The Wind, ancora hendrixiana e con il valore aggiunto dell’organo di Wynans, si lasci apprezzare https://www.youtube.com/watch?v=8hceIChr4sw . Però alla lunga ci si ripete, 3DHD ruba il riff iniziale da If Six Was Nine, ma poi di buono ha solo la chitarra lancinante e qualche apertura melodica, I Keep My Eyes On You sembra un po’ moscia, The Reason Why, è un discreto slow blues con uso d’organo, ma ne abbiamo sentiti centinaia di migliori, e anche Hambridge più di tanto con la voce di Taft non può, rimane la solita chitarra.

dudley taft 3 dudley taft 4

In Rise Above It si gioca anche la carta di un misto grunge-hard abbastanza risaputo, magari sbaglio io, Barrio tenta la strada della ballata elettroacustica, ma per quanto le vocalist di supporto, le ottime McCrary Sisters, si impegnino, la voce del nostro è quella che è e anche la canzone non è particolarmente memorabile. L’uso dell’acustica dà una maggiore profondità di suono che, unita ad una solista pervasiva, rende più pungente Sleeping In The Sunlight, ma niente per cui stracciarsi le vesti https://www.youtube.com/watch?v=juy5F_DzV4Q .Tears In Rain, più sognante e leggermente “prog” vira verso atmosfere più ricercate, ma il blues (rock), da un po’ di brani, è latitante. Say You Will, dal ritmo cadenzato, ha dei momenti zeppeliniani, ma anche di stanca, con la chitarra, rivoltata come un calzino, pure con sonorità esagerate alla Tom Morello, che cerca di salvare baracca e burattini. Ho provato ad adeguarmi, ma continuo a non capire l’entusiasmo di molti per questo signore: gran bravo chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=YDR5HnBhIVA , comunque.

Bruno Conti