Di Padre In Figlio. Parte Seconda: Adam Cohen – We Go Home

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Adam Cohen – We Go Home – Cooking Vinyl

Domanda delle “cento pistole”: cosa fai quando sei il figlio di Leonard Cohen? Non deve essere stato certamente facile per Adam Cohen (figlio di un personaggio che insieme a Dylan, Springsteen, Cash, ecc. è una delle leggende della musica mondiale) confrontarsi costantemente con il mito paterno, fino a prendere coscienza della sua impossibilità https://www.youtube.com/watch?v=0DVYtpg8aSo . Eppure il buon Adam, dopo un più che discreto esordio con l’omonimo Adam Cohen (98) e un insignificante disco in francese edito solo in Canada dal titolo Melancolista (04), con grande tenacia è riuscito finalmente a liberarsi dalla pesante eredità di papà Leonard, prima con il notevole e acclamato Like A Man (11), e oggi tornando con questo nuovo lavoro, We Go Home, che taglia magnificamente il cordone ombelicale con il padre (o no? forse meglio accettarlo) https://www.youtube.com/watch?v=eN8NTw3XHO8

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Registrato nei luoghi dell’infanzia (la famosa sperduta isola greca di Hydra e la casa di Montreal), sotto la produzione del polistrumentista Don Miguel (alle chitarre, basso, piano e tastiere) e con l’apporto di “musicisti di famiglia” quali Pat Leonard, Bill Bottrell (appaiono entrambi anche in Popular Problems di Leonard che esce in questi giorni), e come ospite l’amica Serena Ryder https://www.youtube.com/watch?v=b9SqAjBQCKc che contribuisce, con la brava Mai Bloomfield (al cello e altri strumenti). alle armonie vocali.

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Il “fil rouge” di We Go Home è l’amore nelle varie forme (relazionato alla famiglia e alla religione) https://www.youtube.com/watch?v=f7Ot16ZOLpY  sin dal brano d’apertura, la delicata Song Of Me And You https://www.youtube.com/watch?v=zYa4T4V4I_o , passando per la profondità di suadenti ballate come Too Real (con la Ryder) e Fall Apart, alla title track, in perfetto stile Mumford & Sons https://www.youtube.com/watch?v=4o3UvJCvxAg , e ancora il folk-rock di Put Your Bags Down e So Much To Learn, ed emozionanti gospel songs dove sono più marcate certe sonorità paterne, come Uniform e Love Is, raggiungendo la perfezione con la meravigliosa What Kind Of Woman, andando infine a chiudere con la pianistica Swear I Was There con un notevole crescendo d’archi, e la dolce breve ninna-nanna Boats, che viene declamata da Adam sulle note del violino di Genevieve Clermont.

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Adam Cohen probabilmente non diventerà mai famoso come il padre, ma la musica di questo quarantaduenne “figlio d’arte” nato a Montreal, cittadino del mondo (ha vissuto in Grecia, Francia, Canada e America) con questo We Go Home, tra piano, chitarre, archi, cori e arrangiamenti garbati, si è meritata finalmente una propria dignità e identità artistica, e papà Leonard come tutti i genitori, ne sarà certamente fiero.

Tino Montanari

Voce E Talento In Armonia. Dal Canada Serena Ryder!

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Serena Ryder – Harmony – Serenader Source/Emi Music 2012/2013

Figlia d’arte (il padre, originario di Trinidad è stato un buon percussionista e la madre una valente corista), Serena Ryder è cresciuta ascoltando i dischi dei Beatles e del grande Leonard Cohen, che ha trovato nella collezione dei suoi genitori. Serena arriva da Millbrook, Ontario (Canada), e da quando il padre (all’età di tredici anni) le ha regalato una chitarra, la sua primaria aspirazione è stata comporre musica, suonarla e cantarla, avendo nelle orecchie i migliori artisti del folk, del rock e della scena alternativa americana e canadese, da Steve Earle a John Prine oltre al già citato Leonard Cohen.

Così a soli 24 anni la rocker canadese aveva già inciso quanto una stagionata veterana del “music-business”, a partire dall’introvabile esordio di Falling Out (99), numerosi EP, live e nastri autoprodotti, una mezza dozzina di lavori di tutto rispetto, tra cui occorre ricordare Unlikely Emergency (2004) con l’aiuto del sottovalutato Hawksley Workman (songwriter dalle eccelse qualità vocali) e If Your Memory Serves You Well (2006), una raffinata antologia di cover (riletture desunte dal repertorio di numerosi connazionali), che la porta ad aggiudicarsi in Canada il prestigioso Juno Awards 2008, come nuova artista dell’anno. Il passo successivo è il contratto con la Atlantic e l’uscita del notevole Is It O.K. (2008), cui fa seguito il folgorante Live In South Carolina (2011), e dopo una breve pausa arriva questo Harmony (uscito in Canada a Natale dello scorso anno e ora anche nel resto del mondo), prodotto da Jerrod Bettis (Gavin DeGraw) e Jon Levine (Nelly Furtado), il tutto registrato nel “cottage” di casa Ryder.

L’iniziale What I Wouldn’t Do è veloce, orecchiabile, mette subito di buon umore, poi ci sono le ballate Fall e Call Me, dove l’influenza del repertorio di Adele è facilmente riscontrabile. Con Baby Come Back  arrivano i tamburi e l’essenza di una voce che mastica rock e passione, come in Please Baby Please una perla al pianoforte, che Serena ci serve con gli arrangiamenti di archi di Rob Simonsen (confesso di non conoscere), noto autore di colonne sonore americano. For You che cita il classico I Put A Spell On You, e quindi riporta il nome di Screamin’ Jay Hawkins tra gli autori, sembra uscita dai titoli di coda di un film di James Bond, mentre Heavy Love, con le chitarre in primo piano ricorda la migliore Tracy Chapman. E ancora a seguire il “singolo” Stompa,  con un riff che ti martella e non ti lascia più. Gran finale con Mary Go Round che è quasi funky rock, splendida voce, grinta e arrangiamento musicale entusiasmante, e la chiusura a cappella di Nobody But You, solo un minuto, ma intenso.

Harmony è un lavoro piacevole e riuscito, ma dal vivo è un’altra cosa, dieci brani (sono dodici nella nuova versione internazionale) che si incrociano in diversi stili, dove la splendida voce della Ryder sembra a suo agio in tutte le situazioni, sa passare dal grido più rabbioso, alla delicatezza del sussurro (nelle ballate), e percorrere le strade tracciate dalle migliori cantanti rock “a stelle e strisce” (Melissa Etheridge su tutte, e le mie favorite Beth Hart e Dana Fuchs, oltre alla fonte di ispirazione di tutte, Janis Joplin). Serena Ryder (segnatevi il nome), un’artista canadese, una voce e un talento (per chi scrive), che lascia senza parole.

Tino Montanari

Novità Di Agosto Parte IIIb. Little River Band, Black Joe Lewis, Robbie Fulks, Graham Parker, Quicksilver Messenger Service, Dan Zanes, Chris Duarte, Carly Ritter, Serena Ryder

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Seconda ed ultima parte delle novità di agosto, conclude la disamina delle uscite di questo mese, con gli altri titoli in uscita il 27, cioè oggi.

Tra i gruppi storici del cosiddetto AOR (Adult Oriented Rock) americano, c’erano anche i tipi della Little River Band, pur essendo australiani: il grande successo lo hanno avuto negli anni ’70 e qualche disco, tipo Diamantina Cocktail e il doppio Live Backstage pass, non erano neppure male, un rock melodico venato di country, con in evidenza la voce di Glenn Shorrock e la formazione a tre chitarre. Purtroppo il tempo passa per tutti e della formazione originale non è più rimasto nessuno, il componente più “antico” del gruppo è il bassista Wayne Nelson, americano, entrato nella formazione nel 1980, gli altri, americani pure loro, si sono tutti aggiunti nei vari reunion tour degli anni 2000. Il nuovo album Cuts Like A Diamond, esce per l’taliana Frontiers Records ed è dell’onesto rock melodico: una band australiana, composta da americani, che incide per una etichetta italiana. E’ proprio strano il mercato discografico. Nella mia veste di ex negoziante, ricordo che erano uno dei gruppi più apprezzati dai filippini (una nota di colore).

Black Joe Lewis era uno degli artisti americani che, con i suoi Honeybears, nella seconda parte della prima decade dei Noughties meglio fondeva soul e R&B, con rock e blues, alla stregua di gente come Eli Paperboy Reed, Lee Fields, Charles Bradley, Sharon Jones, tanto per citarne alcuni, più o meno influenzati dal soul. Ora, il musicista texano, lasciati sia gli Honeybears che l’etichetta Lost Highway, passa alla Vagrant con questo Electric Slave, dal suono decisamente più rock, anche se l’amore per il blues e il soul rimagono evidenti. I due produttori hanno lavorato, rispettivamente, con White Stripes, Cat Power, Modest Mouse uno, e Explosions In the Sky e Okkervil River l’altro, per cui il suono si è avvicinato al rock psichedelico, ma non mancano gli omaggi al mito James Brown in brani come Come To My Party, comunque da quello che ho sentito il disco è piuttosto buono, ricco di energia e musica di qualità. Un altro nero che alla stregua di gente come Arthur Lee, Hendrix o i Chambers Brothers sa come trattare la materia rock. Interessante.

Robbie Fulks è uno strano tipo di cantautore, sulle scene da una trentina d’anni, ma attivo discograficamente dal 1996, ogni tanto ci lascia qualche missiva del suo country alternativo e sghembo, ma molto raffinato. Gone Away Backward vede il suo ritorno alla Bloodshot, dopo sei anni di silenzio e un paio di dischi pubblicati per la Yep Rock. L’ingegnere del suono è Steve Albini, ma il suono è quello solito, acustico e influenzato da folk e country classici: bella voce, canzoni semplici ma mai banali, basate su chitarra acustica, banjo, violino, mandolino e dobro, con l’occasionale chitarra elettrica. Uno di quelli bravi.

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Un ulteriore trio di uscite eclettiche.

Graham Parker lo scorso anno si è riunito con i Rumour per realizzare con Three Chords Good uno dei migliori dischi di rock classico del 2012. Nell’occasione, per il film This Is 40 di Judd Apatow, ha registrato anche una apparizione in un piccolo locale di Los Angeles nel settembre del 2011, filmata dallo stesso regista Apatow, un brano della quale è stato pure utilizzato nel film. Ma il concerto è stato registrato tutto, e ora, nella forma del combo, DVD+Blu-Ray o viceversa, viene pubblicato dalla Shout Factory negli USA: ci sono molti brani dall’ultimo album ma anche classici della band, oltre ad un brano inedito, Sirens In the night. Molto bello. L’unico fattore negativo è che dura un’ora scarsa. Diciamo breve ma intenso, per consolarci.

A proposito di Live, la Cleopatra Records continua imperterrita a pubblicare CD di concerti inediti dei Quicksilver Messenger Service (se non avessero distribuito quel peraltro bellissimo cofanetto Anthology Box 1966-1970 sarebbe però stato meglio, visto che conteneva estratti dai vari concerti che l’ora l’etichetta sta pubblicando in versione integrale). Dopo l’ottimo doppio Live At Fillmore June 7, 1968 ora è la volta di Live At the Old Mill Tavern March 29 1970 che oltre al quartetto classico Cipollina, Duncan, Freiberg, Elmore vede in azione anche il rientrante Dino Valenti e al piano, Nicky Hopkins, e il grande James Cotton all’armonica in una gustosa jam blues finale. Purtroppo, s’ha da avere!

Dan Zanes ormai ha abbandonato i Del Fuegos da illo tempore e con la propria etichetta, la Festival Five Records, si è dedicato ad una meritoria opera di recupero delle tradizioni della musica folk e popolare americana dedicata ai dischi per l’infanzia. Lo preferivo prima ma vi segnalo comunque questo piacevole Turn Turn Turn in coppia con Elizabeth Mitchell, che comprende anche una nuova versione, rivisitata ed aggiornata ai giorni nostri, nei testi, del classico di Pete Seeger e dei Byrds.

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Gli ultimi tre.

Chris Duarte è al secondo disco di quest’anno e spesso mi capita di recensirlo per Blog e Buscadero, clienti-abituali-chris-duarte-group-my-soul-alone.html, nell’occasione siamo al fatidico doppio CD dal vivo, Chris Duarte Group Live, pubblicato come di consueto dalla Blues Bureau/Shrapnel, e , stranamente, se non sbaglio, è il primo disco registrato in concerto in più di 25 anni di carriera, durante il tour giapponese del 2012. Non escludendo di occuparmene con un Post apposito mi limito a segnalare, che ad un veloce ascolto, mi sembra ottimo, nel genere (rock-blues) con cover di Dylan, Leon Russell, Freddie King, Junior Kimbrough, Coltrane e una versione monstre di People Say dei Meters di più di 10 minuti.

Carly Ritter è una nuova cantautrice che esordisce con questo CD omonimo, prodotto dal figlio di Ry Cooder, Joachim, mentre anche il babbo appare alla chitarra nell’album, a fianco di Juliette Commagere, altra scoperta del duo e del di lei fratello Robert Francis, altro ottimo chitarrista, pupillo del grande Ry che è stato il suo maestro, insieme a John Frusciante. Ma il protagonista del CD è la piacevole voce della Ritter, tra folk e canzone d’autore, in un disco pubblicato dalla storica etichetta Vanguard.

Altra voce femminile è quella della rocker canadese Serena Ryder, con tre album di studio ed un live EP già pubblicati: il nuovo Harmony era già uscito per la EMI canadese lo scorso anno, ma visto che viene pubblicato ora anche per il mercato americano, il buon Tino se ne occuperà nei prossimi giorni con recensione ad hoc. Quindi non aggiungo altro, se non che il CD mi sembra decisamente buono, considerato che è un po’ di mesi che lo sento, ed era tra i papabili tra quelli da recensire, ma per le solite problematiche di tempo era rimasto in un angolino. Rientra, tra i “ripassi” delle vacanze.

That’s all folks.

Bruno Conti