L’Impegno Non Manca, I Risultati Purtroppo Sì! Michael Head & The Red Elastic Band – Adios Senor Pussycat

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Michael Head & The Red Elastic Band – Adios Senor Pussycat – Violette CD

Michael Head è un musicista inglese di Livepool che, nonostante sia in attività da quasi quaranta anni, è ancora praticamente uno sconosciuto, anche se qualche successo minore con gli Shack lo ha avuto. Influenzato dal rock californiano di gruppi come i Love (il nostro ha collaborato anche con Arthur Lee), dal jingle-jangle sound dei Byrds e solo in misura minore dai Beatles, Head ha fronteggiato diverse band nel corso della sua carriera: prima dei già citati Shack, negli anni ottanta ha formato i Pale Fountains, mentre in una fase successiva ha girato con un combo denominato The Strands, anche se la sua proposta musicale, un pop-rock immediato e gradevole con derivazioni californiane, non è mai cambiata più di tanto. Il suo ultimo gruppo in ordine di tempo si chiama The Red Elastic Band, con i quali ha già inciso due album nel 2013 e 2015: Adios Senor Pussycat è il titolo del suo nuovo lavoro, che allunga ulteriormente la sua già cospicua discografia ma, e vedremo subito il perché, secondo me non contribuirà a toglierlo dall’anonimato. La Red Elastic Band è un quintetto che, oltre a Michael, comprende Steve Powell alla chitarra, Tom Powell al basso, Phil Murphy alla batteria e Nina (?) al pianoforte, e che nei tredici brani del disco sposta l’obiettivo su una musica decisamente vicina ai già citati Byrds, con sonorità chitarristiche e melodie figlie dello storico gruppo degli anni sessanta, ed il lavoro in questi episodi, pur suonando piuttosto derivativo, funziona abbastanza. Il problema è nelle restanti canzoni, che non hanno una direzione artistica ben precisa, e fanno affiorare in maniera netta i limiti del nostro, sia come songwriter che come cantante: molti brani sono infatti abbastanza anonimi, suonati a dovere ma mancanti di personalità, ed il timbro vocale decisamente qualunque, quando non soporifero, di Michael non contribuisce certo a risollevare le cose; il tutto rende questo Adios Senor Pussycat un disco altalenante, non certo il veicolo migliore per far uscire Head e soci allo scoperto.

Picasso, aperta da una chitarra “morriconiana”, è una sorta di brano a metà tra pop e musica western, però molto attendista e senza particolari guizzi https://www.youtube.com/watch?v=Hmf-28MCMX4 ; meglio la cadenzata Overjoyed, un gustoso pop-rock di derivazione byrdsiana, con begli intrecci chitarristici: Michael rivela da subito i suoi limiti vocali, ma per ora sopperisce ancora con il mestiere. L’eterea Picklock ha dei risvolti cinematografici ed un uso particolare della sezione archi, ma non è un granché https://www.youtube.com/watch?v=ZuQFccyXDOE , mentre Winter Turns To Spring è una delicata ballata pianistica, che però la voce sonnolenta del leader non valorizza appieno. Il meglio il nostro lo dà nei pezzi più elettrici, come nella fluida Working Family, che ha delle ottime parti di chitarra jingle-jangle, anche se la vocalità piatta tende ad ammosciare il tutto. La rarefatta 4 & 4 Still Makes 8 non è né carne né pesce, la cupa Queen Of All Saints è monotona e con risvolti psichedelici che non c’entrano molto, Rumer è pop corale appena discreto, che si salva per le chitarre ed un motivo sufficientemente gradevole. Il resto del disco si conferma di livello poco più che mediocre, e si fa fatica anche ad arrivare in fondo, mancando feeling e idee: si salva una ripresa dello splendido traditional Wild Mountain Thyme, ma solo perché Michael gli costruisce attorno un arrangiamento ancora una volta derivante al 100% dal suono folk-rock inventato da Roger McGuinn e soci, oltre al fatto che la canzone è già di suo un classico.

Micheal Head è sempre stato e continua ad essere un outsider, e non è certo con dischi come Adios Senor Pussycat che potrà cambiare lo stato delle cose.

Marco Verdi