Tra Leggende…Ci Si Intende! Bob Dylan – Shadows In The Night

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Bob Dylan – Shadows In The Night – Columbia/Sony CD

I mondi di Bob Dylan e Frank Sinatra sono distanti soltanto in apparenza. Infatti il Vate di Duluth ha sempre avuto una smisurata ammirazione per la Voce di Hoboken (e per Charles Aznavour, ma questa è un’altra storia), ammirazione d’altronde ricambiata da Sinatra stesso, che a differenza di atteggiamenti pubblici al limite dello sprezzante, ha sempre guardato con attenzione al mondo del rock, dal celebre duetto con Elvis in diretta televisiva, all’incisione di brani di Beatles e Paul Simon, fino all’incontro negli anni settanta con Alice Cooper per discutere della possibile incisione da parte di Frank della hit del rocker di Detroit Only Women Bleed (ipotesi poi tramontata, ma esistono foto che immortalano l’incontro).

I due mondi si incontrarono nel 1995, quando, durante il concerto celebrativo per gli ottant’anni di Ol’ Blue Eyes, Dylan offrì forse la performance più toccante della serata, con una splendida versione full band della poco nota Restless Farewell (pare su richiesta di Sinatra stesso), che, come ha intelligentemente suggerito qualcuno, è un po’ la My Way di Dylan (anche se Bob l’ha scritta all’età di 23 anni, per marcare forse l’addio all’ambiente del folk politicizzato che cominciava a stargli stretto). Tutto questo per far capire che non deve sorprendere il fatto che Dylan, come suo nuovo album di studio, abbia deciso di pubblicare un disco di covers di brani di Sinatra: che poi non è esattamente così, dato che Shadows In The Night (pronto già dallo scorso anno ma slittato a favore dei Basement Tapes) è in realtà un disco di standards della musica americana che sono stati ripresi anche dal grande cantante del New Jersey.

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Quindi non ci sono le hit di Sinatra, niente Strangers In The Night, My Way o New York, New York, ma una bella serie di classici che Ol’ Blue Eyes ha ripreso almeno una volta in carriera, anche se difficilmente li troverete in un greatest hits di Frank. Una scelta trasversale, molto dylaniana, che però dimostra una profonda conoscenza del songbook di Sinatra e di quello americano in generale; qualcuno inoltre ha storto il naso per il fatto che uno con la voce di Dylan omaggiasse quello che è stato forse il più grande crooner della storia, ma ad un attento ascolto dei dieci brani che compongono Shadows In The Night posso dire tranquillamente che tutte queste critiche preventive crollano miseramente. Dylan ha fatto un lavoro splendido, adattando i sontuosi ed orchestrati arrangiamenti tipici di Sinatra ad un combo rock di sei elementi (oltre a Bob, la sua abituale touring band, cioè Charlie Sexton, Tony Garnier, Stu Kimball, Donnie Herron e George Receli), con appena qualche discreto intervento di fiati: il risultato è un disco meraviglioso, nel quale il nostro adatta al suo stile attuale una serie di evergreen che parevano intoccabili, spazzando via in un colpo solo, per esempio, tutti i vari volumi dell’American Songbook di Rod Stewart.

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Bob ha capito che riproporre questi brani con un arrangiamento “alla Sinatra” sarebbe stato rischioso e probabilmente fallimentare (lui stesso, con il solito genio, ha definito queste interpretazioni “uncovers”), così ha deciso di spogliare le canzoni e di adattarle al suo sound, con un esito molto vicino al suono che ultimamente si sente ai suoi concerti. Chitarre discrete e mai invadenti, batteria leggera e spesso spazzolata, una steel che langue in sottofondo, la voce di Dylan al centro, una voce che appare ancora più presente del solito, con punte inattese di dolcezza ed un feeling enorme; un plauso va anche al Dylan produttore (Jack Frost è lo pseudonimo che di solito usa), che migliora di disco in disco, e che qui è quasi al livello di gente come Daniel Lanois, Joe Henry o T-Bone Burnett (a cui ha affidato i cosiddetti New Basement Tapes).  Ma veniamo ad una veloce disamina dei brani presenti nel CD (che dura appena 35 minuti, ma sono minuti molto intensi).

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Dylan ha trascurato il periodo Reprise di Sinatra, quello forse più popolare, prendendo solo un brano, mentre ne ha scelti quattro dal periodo Capitol (il migliore), peraltro tutti dall’album Where Are You?, ed i restanti cinque dal primo periodo, quello Columbia.

I’m A Fool To Want You: uno dei rari brani in cui Sinatra figura anche tra i co-autori, ma paradossalmente resa immortale non da Frank ma dalla grande Billie Holiday. A molti sarebbero tremate le mani, ma Dylan la fa sua con classe, leggerezza ed un tocco country (merito della steel di Herron, grande protagonista del CD), rispettando la melodia originale.

The Night We Called It A Day: uno standard jazz inciso anche da Chet Baker, Doris Day e, in anni recenti, Diana Krall. Bob la canta benissimo, non la maltratta come ogni tanto fa con i suoi classici, e la band alle spalle lo accompagna con grande discrezione, quasi accarezzando la melodia. Un’interpretazione di gran classe (ma sarà una costante in tutto il disco).

Stay With Me: questo è l’unico pezzo del periodo Reprise di Sinatra, un brano recentemente proposto più volte da Dylan come chiusura dei suoi concerti. Apre come al solito la steel, una chitarra arpeggiata, un violoncello, e la voce del nostro che sembra tornata indietro di almeno vent’anni.

Autumn Leaves: uno dei brani più famosi del disco, riadattata dalla francese Les Feuilles Mortes, l’hanno fatta in mille, oltre a Sinatra (tra di loro, Edith Piaf e Nat King Cole). Qui l’interpretazione di Dylan è decisamente sofferta, quasi drammatica, e si candida come uno degli episodi da ricordare di questo album, per merito anche dell’arrangiamento spoglio. Da brividi.

Why Try To Change Me Now: uno dei brani meno noti di Sinatra, riproposto da Bob in maniera più distesa, quasi rilassata, con la band che lo segue languidamente e fornendo un background in perfetto stile “country afterhours”.

Some Enchanted Evening: altro brano famosissimo, scritto da Rodgers e Hammerstein per il musical South Pacific. Forse tra tutte è il brano meno nelle corde di Dylan, che però se la cava ugualmente con mestiere e…l’ho già detto? Classe!

Full Moon And Empty Arms: già uscita lo scorso anno (solo per il download) con largo anticipo sull’album, vede la band più presente, con intrecci di steel, chitarra, ed una batteria appena accennata. Bob, manco a dirlo, la canta come se non avesse fatto altro nella sua carriera.

Where Are You?: canzone che vanta, tra le altre, versioni da parte di Shirley Bassey, Aretha Franklin ed Ella Fitzgerald; bella melodia, languida e distesa, ancora la steel dietro la voce (strumento al quale imputerei almeno il 40% della riuscita dell’album).

What I’ll Do: altro pezzo con mille versioni diverse (Chet Baker, Perry Como, Judy Garland, Sarah Vaughan ma anche Cher, Linda Ronstadt e Harry Nilsson); qui Dylan sembra inserire il pilota automatico, ma man mano che il brano procede canta con maggiore convinzione, e porta a casa quindi il risultato un’altra volta.

That Lucky Old Sun: un’altra tra le canzoni più popolari del lotto, grande successo per Frankie Laine, ma rifatta poi anche da Louis Armstrong, Ray Charles, Jerry Lee Lewis, Willie Nelson, Johnny Cash, Jerry Garcia e Brian Wilson. Lo stesso Dylan la suonò più volte negli anni 1986/87 durante il tour con Tom Petty.  (*NDB: Anche nel 2000.)

Questa versione, introdotta da un french horn, è splendida, con Dylan che canta in maniera superba, regalando emozioni a gogo con la sua voce imperfetta, rovinata, ma nella quale si riesce ancora a sentire il sacro fuoco di mille battaglie.

Un capolavoro, a chiusura di un album che ci accompagnerà a lungo in questo 2015. E negli anni a seguire.

Marco Verdi