Un Nuovo Gruppo “Alternativo” Sotto Il Cielo Di Nashville. Country Westerns – Country Westerns

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Country Westerns – Country Westerns – Fat Possum Records – CD – LP

In questi mesi di forzato “lockdown”, consultando in rete le varie piattaforme musicali, mi è tornata la sottile voglia di accostarmi a nomi e gruppi minori del panorama musicale americano, con la tentazione ed il desiderio di scoprire il nuovo “fenomeno”, con la speranza di sottoporlo al pubblico degli appassionati (e lettori), magari per farne oggetto di culto. Oltretutto spesso la difficile reperibilità dei CD (ultimamente ne abbiamo recensiti alcuni), e degli autori di volta in volta scoperti, aumenta la curiosità ed il gioco di complicità che ne scaturisce, se poi capita che in rete si leggano le recensioni mesi prima della effettiva uscita, come nel caso di questo album, aumenta la confusione. Fatta dunque questa onesta precisazione, mi permetto e vorrei consigliare l’ascolto dei Country Westerns, un solido trio rock di Nashville (nato quasi per caso) composto dal cantante, autore e chitarrista Joseph Plunket (ex membro della band The Weight), dal batterista Brian Kotzur (ha suonato nei grandissimi Silver Jews del compianto David Berman), completala line-up la violinista e bassista Sabrina Rush, il tuttp per un debutto registrato tra gli Studios di Brooklyn e Nashville, con la produzione di Matt Sweeney (Bonnie “Prince” Billy) e, cosa non trascurabile, grazie a un contratto con la Fat Possum Records (importante etichetta indipendente).

Consultando, come appena riportato, le poche recensioni in merito a questo esordio, e di riflesso i commenti degli addetti ai lavori, si percepisce chiaramente che i Country Westerns (chiariamo subito che il nome della band non corrisponde al genere che fanno), di volta in volta vengono accostati al altri gruppi importanti del settore, e questo mi consente di fare un giochino, sviluppare i brani “track by track” segnalando in coda l’artista di riferimento:

AnytimeL’inizio è folgorante, con le chitarre in spolvero che accompagnano la voce passionale e ruvida del cantante Joseph Plunket, brano che ricorda il primo periodo dei Lucero di Ben Nichols.

It’s Not Easy – Altro brano chitarristico con un “drumming” dinamico che detta il ritmo, per una musica robusta e accattivante, che sembra quasi essere suonata dai Replacements di Paul Westerberg.

Guest Checks – Questo pezzo invece è completamente diverso, mette in mostra “intriganti” sonorità in stile anni ‘80, cantato coralmente dal trio, rimanda al Prince che duettava con Apollonia (!?!), ma in meglio.

I’m Not Ready – Altro inizio fulminante con la sezione ritmica galoppante, per un rock’n’roll diretto che arriva diritto al cuore, e che non può non ricordare la band di Brooklyn degli Hold Steady.

Gentle Soul – Arriva anche il momento di una sorta di ballata rock, dove trovano posto meravigliosi “licks” di chitarra, cantata con grinta da Plunket, e che rimanda alla storica band di Young i Crazy Horse.

It’s On Me – Altro giro, altra corsa, ritornano le chitarre “distorte” del gruppo a creare un suono particolare, con assoli tirati e acidi, marchio di fabbrica dei grandi Dream Syndicate di Steve Wynn.

Times To Tunnels – Questo è il brano più “folk-rock” del disco, dove spiccano anche piacevoli armonie vocaie, e qui è fin troppo facile accostarli ai migliori Whiskeytown di Ryan Adams.

TV Lights – Questa traccia ricalibra la band verso una sorta “punk-rock”, dove il basso della Rush tira la canzone, con un frastuono di voci in sottofondo, tipico del punk californiano degli X di John Doe.

Close To Me – Tipica canzone “pop-rock” che prima o dopo entra nel repertorio di ogni band che si rispetti, in questo caso la mente e il cuore viaggiano verso il Texas dei misconosciuti Slobberbone.

Slow Nights – Altra moderna ballata rock chitarristica, perfetta per le atmosfere malinconiche e piovose di Seattle (dove è nato il genere grunge), che ricordano certe canzoni dei Walkabouts.

Two Characters In Search Of A Country Song – Si chiude con una “cover” dei Magnetic Fields, un sentito omaggio a Stephin Merritt per la canzone più “country” dell’album, in una versione comunque da Country Westerns.

Il successo di una band si basa sulle proporzioni, e adesso terminato il “giochino”, è ora di dare il giusto merito a questi Country Westerns, in quanto anche se in fondo non fanno nulla di nuovo, c’è una certa abilità in questo trio nell’amalgamare i suoni che prende in prestito, con la spavalderia e la bravura di Plunket, il drumming metronomico di Kotzur, e il basso armonico della Rush, che riescono a creare canzoni rock estremamente accattivanti, con un perfetto bilanciamento tra un mix composto da rock stradaiolo, grunge, punk anni ’70, e il miglior “blue collar rock” (quello per intenderci di Joe Grushechy e i suoi Houserockers). Se ci fosse un solo CD di questo “genere” per il quale dovessi decidere di spendere i miei (svalutati) euro, non avrei alcun dubbio.

L’album è uscito ieri. Meritevole di ascolto!

Tino Montanari

Le Origini Di Una “Grande Band” Di Culto! Silver Jews – Early Times

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Silver Jews – Early Times – Drag City Records 2012

I Silver Jews erano una band “indie-rock” di New York City, fondata nel 1989 da David Berman assieme ai componenti dei Pavement (Stephen Malkmus e Bob Nastanovich), e, purtroppo, scioltasi nel 2009. I Silver Jews sono stati una vera e propria istituzione del panorama “indie” americano (pur venendo considerati erroneamente una “costola” dei menzionati Pavement), diventando una band di “culto”, distaccandosi musicalmente dall’indie- rock lo-fi degli inizi, per diventare, sempre di più, un gruppo solidissimo dalle salde radici nel suono americano. Negli anni, infatti, la creatura di Berman (poeta, narratore, disegnatore, il “genio” e leader indiscusso del gruppo), incide dei meravigliosi dischi come Starlite Walker (94), The Natural Bridge (96), American Water (98), il capolavoro assoluto Bright Flight (2001), Tanglewood Numbers (2005), e  il canto del cigno Lookout Mountain, Lookout Sea (2008).

Ora che il progetto Silver Jews non esiste più. la Drag City ripubblica le prime incisioni uscite sugli EP Dime Map of the Reef (90) e Arizona Record (93) con la line-up degli esordi (vedi sopra). In realtà l’ascolto di queste 14 tracce, con il suono sia pur ripulito. crea un po’ d’imbarazzo, in quanto le canzoni registrate molto probabilmente nella casa di campagna di David, in compagnia di Bob e Stephen, si sviluppano in forma grezza, volutamente lo-fi, e si fa un po’ fatica, ad orecchie non abituate, nell’individuare gemme nascoste quali Canada, I Love the Rights e The Unchained Melody

Probabilmente non importerà niente a nessuno sapere che adesso David Berman (uno capace di reggere quasi il confronto con grandi come Dylan e Cohen) viva tra i campi del Tennessee con la moglie Cassie, e che ha pubblicato lo scorso anno una raccolta di scritti e disegni, forse scriverà un romanzo, perch,é coerentemente con il suo modo di vivere, si sentiva arrivato alla fine della corsa, e ha preferito smettere prima di soccombere alla “routine”.

Per chi conosce e ama la musica dei Silver Jews, questa recensione non servirà a niente, in quanto avranno comprato il CD quando è stato distribuito nei negozi, e ne saranno ormai completamente e irrimediabilmente estasiati e innamorati. Per tutti gli altri, non posso fare altro che dirvi, che gli album dei Silver Jews (quelli menzionati sopra), hanno quel raro potere di “rapire”musicalmentechiunque ne ascolti anche solo una singola nota, e questo semplicemente perché, secondo il parere di chi scrive, Berman è un incredibile musicista, umile e unico, che nelle sue canzoni sa dispensare valori e sentimenti.

Tino Montanari