Di Nuovo Dalla Danimarca Con Furore! Thornbjorn Risager & The Black Tornado – Songs From The Road

thornbjorn risager - songs from the road

Thorbjorn Risager & Black Tornado – Songs From The Road – CD/DVD Ruf 

Certamente la Danimarca non è il primo paese a cui si pensa quando si tratta di Blues, ma siccome sono le eccezioni che confermano le regole Thorbjorn Risager con i suoi Black Tornado è un perfetto esempio di questo assunto. Dalla patria di Amleto, degli Aqua e dei Michael Learns To Rock (idoli dei filippini), ma anche di Lars Ulrich, il batterista dei Metallica: forse l’unico contributo alla musica rock, potrebbe essere quello dei Burnin’ Red Ivanohe, band rock progressiva in azione dal finire degli anni ’60, e tutt’ora in attività. Invece Risager e soci si inseriscono a pieno diritto nel filone blues, vincitori più volte come miglior band danese, ma anche segnalati da riviste europee, inglesi ed americane tra i migliori rappresentanti del Blues continentale, con una decina di album al loro attivo, tra cui un paio di live, fautori di uno stile che privilegia l’uso di una formazione abbastanza ampia, con tre fiatisti, sezione ritmica, un tastierista, un chitarrista e lo stesso Risager, all’altra chitarra, solista e ritmica, e per la registrazione di questo Songs From The Road, anche un paio di voci femminili di supporto, quindi dieci musicisti sul palco che creano un sound completo e soddisfacente che spazia tra le classiche 12 battute,  con echi soul & R&B, boogie e R&R, la classica revue di stampo americano.

Conoscevo già alcuni album precedenti di Thorbjorn Risager, distribuiti in Europa dalla Dixiefrog, anche se è con il disco dello scorso anno, il primo per la Ruf, Too Many Roads, che si sono fatti conoscere e da cui proviene gran parte del materiale presente in questo Live, anche se un paio di canzoni erano su Track Record, il disco del 2010 in cui li avevo sentiti per la prima volta e che mi aveva colpito http://discoclub.myblog.it/2010/07/25/temp-c9257c271ae90042d8fcdbe2ad63bdbf/ . Ovviamente il punto focale della band è Risager, cantante dalla voce potente e duttile, un timbro basso e baritonale che potrebbe ricordare quello di altri bianchi che hanno cantato il blues, come Chris Farlowe o David Clayton-Thomas, fatte le dovute proporzioni, ma comunque un frontman più che adeguato alla bisogna. Intorno a lui ruota una formazione dove la chitarra di Peter Skjerning e le tastiere di Emil Balsgaard sono spesso alla ribalta, insieme alla sezione fiati, utilizzata non solo in funzione di accompagnamento ma anche con ampi spazi solisti dei singoli componenti, e con lo stesso Risager, ottimo chitarrista, spesso in primo piano con la sua Gibson che non lo abbandona mai nel concerto. Per darci un riferimento potremmo essere dalla parti dei Roomful Of Blues, anche se lì si viaggia più sullo stile swing-jump da big band e qui su un blues venato di rock più elettrico, ma i punti di contatto ci sono. CD e DVD (questo con tre brani in più) replicano lo stesso concerto registrato nell’aprile di quest’anno all’Harmonie di Bonn, venue preferita dalle band sotto contratto per l’etichetta di Thomas Ruf.

Come prima impressione mi sembra che il concerto non decolli immediatamente, o forse in base agli ascolti passati le mie aspettative erano maggiori, ma poi quando la band inizia a carburare è un vero piacere ascoltarli, per certi versi ricordano anche una versione maschile, per la leadership vocale, dei Sister Sparrow di Arleigh Kincheloe http://discoclub.myblog.it/2015/07/13/piu-sparviero-che-passerotto-sister-sparrow-and-the-dirty-birds-the-weather-below/ . Tutti i brani, con l’eccezione di tre cover mirate, portano la firma di Risager, che comunque opera nell’ambito delle variazioni sui canoni classici del blues e dintorni: China Gate era nelle colonna sonora di un vecchio film di Sam Fuller dallo stesso titolo, mentre Baby Please Don’t Go e Let The Good Times Roll le conosciamo tutti in mille versioni. Molti componenti in giacca e cravatta formali, tanti cappelli che nascondono gli anni che passano, ma la grinta di Risager e soci è evidente sin dall’apertura della poderosa If You Wanna Leave, con il vocione di Thorbjorn subito sul pezzo in un vorticare di organo, assoli di sax, chitarre e armonie vocali delle due coriste a sostenerlo con energia, Paradise è più atmosferica e ricercata, ma gli elementi sonori sono quelli, Drowning introduce elementi quasi jazzati da ballata notturna, mentre Baby Please Don’t Go viaggia tra R&R e blues come richiede il copione.

Too Many Roads è classico blues urbano, sulle ali della slide malandrina di Skjerning, mentre in China Gate è Risager il solista per un blues di nuovo dalle atmosfere sospese e ricercate, da paludi della Louisiana. Rock’n’Roll Ride e la lunghissima Let The Good Times Roll spargono ritmo e sudore sui convenuti alla serata, ma il nostro sa incantare anche con ballate soul suadenti come Through The Tears o la dolcissima I Won’t Let Down, con uno struggente assolo di tromba e non manca neppure una stonesiana High Rolling. A chiudere Opener (?1?), un’altra esplosione ritmica di voci, fiati, chitarre e tastiere in libertà, e tutto il resto della band non è da meno!

Bruno Conti    

Più Sparviero Che Passerotto! Sister Sparrow And The Dirty Birds – The Weather Below

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Sister Sparrow & The Dirty Birds – The Weather Below – Party Fowl/Thirty Tigers

Nuovo disco per i Sister Sparrow & The Dirty Birds della famiglia Kincheloe, che con questo CD arrivano a quota tre (più un EP): rispetto al precedente Pound Of Dirt  http://discoclub.myblog.it/2012/04/13/un-altra-sorella-del-soul-e-non-solo-sister-sparrow-the-dirt/ hanno perso per strada un cugino. Bram, che sedeva dietro la batteria, e anche un componente della sezione fiati, quindi ora sono “solo” in otto. Ci sono state altre variazioni nella formazione della band, ma il nucleo originale rimane, con Fratello Jackson Kincheloe all’armonica e Sorella Arleigh, voce carismatica, protagonista assoluta e autrice di tutti i brani, nonché il chitarrista Sasha Brown e due dei fiatisti, Phil Rodriguez alla tromba e Ryan Snow al trombone; i nuovi arrivi sono il sassofonista Brian D. Graham, il bassista Josh Myers e il batterista Dan Boyden. Verrebbe da dire, come usa, che questo disco, The Weather Below, è quello della definitiva consacrazione, ma per chi scrive, erano ottimi già i precedenti: la formula è la solita, del sano soul e R&B, misto a blues, funky e qualche contaminazione rock anni ‘60, rispetto a gente come gli Alabama Shakes, i Banditos, il gruppo di Dana Fuchs o quello di Beth Hart, o anche Nicole Danielle, ex Trampled Under Foot,  che si affacciano più o meno sullo stesso filone, c’è la sezione fiati in più (ma nei dischi della Hart in coppia con Bonamassa ci sono pure). Se poi vogliamo approfondire il paragone vocale, sempre secondo il sottoscritto, la Hart (e anche Dana Fuchs) hanno una voce più potente e versatile rispetto alla brava Arleigh, ma anche la nostra amica più che un “passerotto” spaventato sembra a tratti uno sparviero abbastanza incazzato (rispetto ai due significati del termine Sparrow) https://www.youtube.com/watch?v=doOr9vt4GGc  e anche gli altri “rapaci” della band ci danno dentro di gusto nei dieci brani di questo CD.

L’album ci catapulta nella versione moderna dell’era dei Muscle Shoals e degli Hi Studios, della Motown e del blues-rock acido e meticciato con il soul di Janis Joplin, con un ottimo produttore e ingegnere del suono come Ryan Hadlock (Lumineers, Johnny Flynn, e anche titolare dei famosi Bear Creek Studios di Seattle) che in un paio di brani smussa leggermente i toni della band per cercare un maggiore appeal commerciale, ma siamo entro i limiti di guardia. Per il resto si parte sparatissimi con Borderline, firmata collettivamente dalla band, dove la voce rauca e vissuta di Arleigh Kincheloe è subito in evidenza, tra bordate di trombe, tromboni e sax, svisate ferocissime di chitarra, l’armonica di Jackson che alza la quota blues, in un sound che ingloba anche elementi dei primi Blues Traveler, della J.Geils Band e delle colleghe citate prima https://www.youtube.com/watch?v=4799mC8LIJ8 . Sugar è classico R&B seventies oriented, come quello che poteva uscire dai Royal Studio di Memphis, adattato ai giorni nostri: gente come Alicia Keys o Mary J Blige, che hanno delle bellissime voci, potrebbero applicarsi con profitto a brani come questo, basso super funky, fiati come piovesse, una chitarrina maliziosa, un ritornello orecchiabile, si chiama anche pop volendo, ma di quello buono! Prison Cells ha sempre questa patina non fastidiosa di modernità, una sorta di pop soul alla Motown che a tratti rallenta verso un deep soul più rigoroso, mentre Mama Knows è un buon esempio di soul music classica, quella per cantanti dalla pelle bianca ma con l’animo nero, anche Susan Tedeschi e Bonnie Raitt fanno parte di questa schiatta.

Fiati, armonica, chitarra e sezione ritmica perfettamente integrati con la voce perfetta della Kincheloe, che assume timbriche quasi caraibiche per una ritmata Disappear, salvo tornare al blues sanguigno e crudo di Don’t Be Jealous, dove l’armonica di Jackson Kincheloe e la chitarra di Brown, contendono ad una infervoratissima Arleigh il centro della scena https://www.youtube.com/watch?v=YIVvHMHQYV8 . Più leggera e pop di nuovo in Every Road, piacevole ma meno ricca di sostanza, forse alla ricerca di un effetto Winehouse. We Need A Love sarebbe stato un bel singolo nell’epoca d’oro della Motown, con le sue improvvise aperture melodiche su un ritmo per il resto incalzante e in Cold Blooded finalmente, su un giro di basso minaccioso, la Kincheloe può duellare con la chitarra di Sasha Brown, per il resto meno impegnata rispetto al disco precedente, un brano dal taglio decisamente più rock e tirato, che si avvicina al sound dei concerti della band. Finale blues, sulle note dell’armonica di Fratello Jackson si innesta di nuovo la chitarra di Brown, in modalità slide e la brava Arleigh può dare di nuovo sfogo alle sue indubbie qualità vocali nella conclusiva Catch Me If You Can, con grande accelerazione full band nella coda del brano.

Bruno Conti

“Porzioni Mini” Ma Gustose! Sister Sparrow & The Dirty Birds – Fight

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Sister Sparrow & The Dirty Birds – Fight EP – Modern Vintage Recordings

In attesa di una nuova prova sulla lunga distanza torna la mia “amica” Arleigh Kincheloe, con fratelli, cugini e amici della band al seguito, per un EP, Fight, che vuole rendere meno lunga l’attesa per i fans che si erano appassionati dopo l’ottimo Pound Of Dirt, di cui vi avevo parlato all’incirca un annetto e mezzo fa (un-altra-sorella-del-soul-e-non-solo-sister-sparrow-the-dirt.html). Curiosamente, ma non troppo, l’album era uscito più o meno in contemporanea a quello degli ottimi Alabama Shakes e devo ammettere che chi scrive aveva espresso (e tuttora mantiene) una leggera preferenza per questi Sister Sparrow & The Dirty Birds (pur avendo goduto alla grande anche con la band di Athens, Alabama): mi sembra che l’ottetto di Brooklyn, New York (hanno perso per strada un componente, un sassofonista, sono rimasti “solo” in otto), abbia qualcosa in più rispetto ad altri gruppi. Saranno i fiati? Sarà la voce super Jopliniana della Kincheloe? Sarà l’armonica di “fratello” James Kincheloe? Saranno gli arrangiamenti funky e jazzati, ma al contempo molto raffinati? Non so, comunque la somma di tutti questi elementi è sempre presente in questo nuovo mini CD, prodotto da Randy Jackson (di cui non sempre in passato ho apprezzato il lavoro, alcuni dei suoi “protetti”, per me, sono impresentabili) che questa volta si è limitato ad accentuare, con la sua produzione dal suono brillante, tutte le caratteristiche migliori del gruppo newyorkese.

D’altronde non sarà per nulla che incidono per una etichetta che si chiama Modern Vintage Recordings! Sedici minuti di musica che vola via, gradevole e leggera, quattro brani che spaziano dalla fiatistica The Long Way, swingante e complessa, con Arleigh che scalda subito l’ugola, alla ballata deep soul Fight, che ci porta dalle parti di Memphis, Muscle Shoals o anche New Orleans, nel cuore del vecchio soul americano, gran voce tra Janis e le nuove leve rappresentate da Beth Hart e Dana Fuchs, tutte bianche ma cresciute anziché a pane e Nutella, a pane e black music, che sempre scuretta è! Boogie man è un mega funky che permette al bassista Josh Myers, probabilmente attizzato da Randy Jackson (bassista pure lui) di mettersi in evidenza al suo strumento, con i fiati sincopati e la chitarrina di Sasha Brown che preparano la strada per un assolo notevole di armonica di James Kincheloe. Conclude il menu di questo veloce appetizer un’altra piccola delizia in salsa funky-jazz che si chiama Crawdaddies, con tutta la band molto impegnata a dare il meglio per mettere in evidenza le grandi qualità di Sister Sparrow. Nell’attesa può bastare, oppure procuratevi i due album precedenti, non resterete delusi!

Bruno Conti

And So This Is Christmas…I Migliori Del 2012: Le Tante “Alternative” Parte I

Per iniziare, come doveroso, essendo il giorno di Natale, il brano di John Lennon, quello originale, non una delle tante terribili copie e cover che stanno impazzando sulla televisione e nella pubblicità. Poi, come promesso (o minacciato) “The Best Of The Rest”, ovvero tutti (beh non proprio tutti, tanti) i dischi interessanti di questo 2012, secondo il parere di chi scrive ovviamente. Sono in ordine cronologico di uscita (più o meno) da Gennaio a oggi e corredati, di tanto in tanto, dai video di alcune delle più belle canzoni di questo anno che si avvicina alla conclusione. Mancano all’appello le migliori ristampe, cofanetti e dischi dal vivo a cui dedicherò un Post apposito. E probabilmente ci sarà spazio ancora per i risultati di alcune riviste musicali e per altri addetti ai lavori (se avranno voglia). Naturalmente queste “classifiche” sono anche una ulteriore occasione per ricordare e consigliare della buona musica, spero! Partiamo con la prima parte, ebbene sì vi terro compagnia anche a Santo Stefano, a dimostrazione che di dischi belli, nonostante quello che dicono i pessimisti, ne sono usciti veramente molti, e ne ho dovuti “scartare” molti se no la lista si faceva chilometrica (ogni volta che ne saltavo uno, una stilettata, questo no! AaaaH!)…però potete sempre andare a rileggerveli sul Blog, i Post sono tutti lì…

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Ani DiFranco – Which Side Are You On

Il primo disco bello del 2012.

 

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Little Willies – For The Good Times

 

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Craig Finn – Clear Heart Full Eyes

 

A questo punto dell’anno è uscito Old Ideas di Leonard Cohen, ma quello è entrato di diritto nei Top 3!

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Bap Kennedy – The Sailor’s Revenge

 

 

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Howlin’ Rain – The Russian Wilds

 

 

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Michael Kiwanuka – Home Again

 

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The Chieftains – Voice Of Ages

 

 

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Lyle Lovett – Release Me

 

 

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Cowboy Junkies – The Nomad Series Vol. 4 The Wilderness

 

 

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Alabama Shakes – Boys And Girls

 

 

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Sister Sparrow And The Dirty Birds – Pound Of Dirt

 

 

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Counting Crows – Underwater Sunshine

 

 

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Of Monsters And Men – My Head Is An Animal

 

 

 

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Dar Williams – In The Time Of God

 

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Anders Osborne – Black Eye Galaxy

Anche in ricordo di Franco Ratti, la sua ultima apparizione sul Buscadero.

 

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Jeb Loy Nichols – The Jeb Loy Nichols Special

 

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Joe Bonamassa – Driving Towards The Daylight

 

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Tom Jones – Spirit In The Room

 

 

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Spain – The Soul Of Spain

 

 

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Alejandro Escovedo – Big Station

 

 

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Bonnie Raitt – Slipstream

 

 

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Dexys – One Day I’m Going To Soar

 

 

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Chris Robinson Brotherhood – Big Moon Ritual

 

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Brandi Carlile – Bear Creek

 

 

 

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Mary Chapin Carpenter – Ashes And Roses

 

 

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Little Feat – Rooster Rag

 

Alla fine ho messo un video per ogni album elencato, quindi la pagina è un po’ “pesante”, per Natale (o per la Befana) fatevi regalare un PC più potente o armatevi di pazienza intanto che carica tutta la pagina. Visto quanta buona musica, tanti dimenticati eh”! End Of Part One, a domani! Buona lettura e soprattutto, buona visione e ascolto, ma anche un Buon Natale a tutti!

Bruno Conti

Un’Altra “Sorella” Del Soul (E Non Solo)! Sister Sparrow & The Dirty Birds – Pound Of Dirt

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Sister Sparrow & The Dirty Birds – Pound Of Dirt – Modern Vintage Recordings

Dopo gli Alabama Shakes, un altro gruppo che ha nel proprio credo la diffusione della musica soul, condita da ampie dosi di rock e funky, ma anche jazz e blues. Per la verità i Sister Sparrow sono sulla scena già dal 2008 e questo Pound Of Dirt è il loro secondo album. Ma entrambi i gruppi, sia il quintetto dell’Alabama che questa ampia formazione (in totale nove elementi) da Brooklyn, New York sono uniti da una passione sia per la musica vintage che per Janis Joplin. Mentre la formazione di Brittany Howard si rifà alla Janis del primo periodo, quella più rock con i Big Brother (con abbondanti iniezioni di Otis e Aretha e qualche tocco à la Zeppelin), il gruppo di Arleigh Kincheloe, quindi sempre con una voce femminile alla guida, riprende il periodo “centrale”, quello della Kozmic Blues Band, con una ampia sezioni fiati, quattro per la precisione e una propensione per un sound Stax-Volt misto a un funky-jazz. Non sono le prime voci femminili che si “ispirano” alla grande vocalist texana in tempi recenti, Beth Hart e Dana Fuchs sono i primi nomi che mi vengono in mente e sono entrambe decisamente brave, ma per quelle brave c’è sempre spazio.

I Sister Sparrow, per brevità, sono un gruppo a conduzione familiare: accanto ad Arleigh c’è il fratello Jackson Kincheloe, un ottimo armonicista che aggiunge una corposa nota Blues al sound della band e, dalla California, c’è pure il cugino Bram, un batterista dallo stile aggressivo e poderoso ma con una notevole tecnica. Due sassofonisti, un trombettista e il trombone di Ryan Snow costituiscono la sezione fiati, un buon chitarrista Sasha Brown e il bassista Aidan Carroll completano la formazione. Naturalmente, visto l’organico “scarno”, in alcuni brani c’è anche un tastierista aggiunto e una sezione archi. A dimostrazione del loro modo di fare ruspante e genuino, sul sito del gruppo, http://www.sistersparrow.com/, la prima cosa che balza all’occhio entrando, è una raccolta fondi (riuscita), presso i fans, per acquistare un nuovo furgone per i loro spostamenti attraverso l’America, dove portano il loro esplosivo show che li ha fatti notare dalla stampa; attualmente sono una delle “scelte” di Usa Today tra i nomi da tenere d’occhio.

Perché quello che conta è la loro musica: fin dalle prime note sincopate di Make It Rain, con la voce roca e jopliniana di Arleigh Kincheloe che scivola sul tappeto fiatistico, i contrappunti dell’armonica e della chitarra, gli interventi del trombone, capisci che sei di fronte ad un gruppo che ha talento e passione da vendere. Il mid-tempo sensuale di Millie Mae con il drumming agile e composito di cugino Bram che ancora il groove conferma le impressioni positive, lei canta con grande partecipazione e l’impatto di tutto l’insieme è notevole e trascinante. Nel breve intermezzo di Bulldozer, Jackson Kincheloe dà libero spazio al proprio virtuosismo all’armonica per poi rientrare nel funky ribaldo di Too Much con la voce della brava Arleigh che si fa largo nel denso tappeto fiatistico mentre la slide di Brown si ritaglia il suo spazio. I ritmi sono perlopiù mossi ma c’è spazio anche per le atmosfere più raccolte della notevole Hollow Bones che toccano territori jazzati, New Orleans style, ma sempre con la voce come faro del suono del gruppo, che poi si concede ampi spazi con gli altri solisti, come nelle vecchie orchestre dell’era pre-rock.

Lasso è nuovamente funky-rock duro e puro che uno immagina nella resa in concerto. This Crazy Torpedo è un altro breve interludio strumentale, questa volta per l’elettrica in tapping di Sasha Brown che poi si stempera in una ballata ritmata (se i due termini si possono usare in contemporanea) in crescendo come Another Ride. Ancora un breve strumentale, Feather Of A Queen, quasi in modalità jazz-rock e poi un brano da soul-revue come la divertente No Rest.

Dirt è un gagliardo rock-blues con armonica e chitarra che come di consueto tracciano la strada per l’ennesima ottima performance vocale della brava Arleigh. Mentre la conclusiva Horse To Water è uno slow raffinato e atmosferico, dagli spunti jazzistici, con la sezione fiati rafforzata da un quartetto d’archi e la Kincheloe che è libera di dare sfogo ancora una volta alle sue notevoli arti vocali in un brano inconsueto ma molto efficace. Come si evince da quanto detto finora Janis Joplin è un punto di partenza, poi il risultato finale ha una sua originalità, per questa cantante e per tutto il gruppo, che cercano di raccogliere il meglio dal passato per proiettarlo verso il proprio futuro, anche i nome dell’etichetta è un proclama. Un disco interessante e intrigante oltre che di notevole valore, consigliato agli amanti delle belle voci, ma non solo!

Bruno Conti