Da Ascoltare Molto Attentamente, Soprattutto Le “Celestiali” Armonie Vocali. David Crosby – Here If You Listen

david crosby here if you listen

David Crosby – Here If You Listen – Bmg Rights Management

Prosegue il filotto di David Crosby, sette dischi in quasi cinquant’anni, di cui però quattro sono usciti negli ultimi quattro anni, uno all’anno, e con una qualità sempre elevata, che quasi si innalza ad ogni nuova uscita. Here If You Listen non fa eccezione, se vogliamo questo potrebbe essere definito un album corale, visto che i nomi degli altri cantanti che appaiono nel disco, ovvero Michael League, Becca Stevens Michelle Willis, sono riportati anche nella copertina del disco, quasi alla pari con quello di Crosby. Definirli “solo” cantanti è forse riduttivo, in quanto la Lighthouse Band, come si sono autodefiniti (nome ispirato dal CD del 2016, Lighthouse appunto), suona anche tutta gli strumenti che appaiono nell’album, ma indubitabilmente quello che affascina in questa nuova opera è l’uso direi quasi celestiale delle voci, con intrecci tra i quattro protagonisti di grande seduzione, il tutto guidati da un David Crosby che sembra avere ritrovato quella serenità, conseguita attraverso un avvicinamento al Buddismo, che gli consente di mostrare una nuova vitalità e una prolificità che non erano mai stati tra i suoi segni distintivi nei suoi anni d’oro, ma anche una malinconia che gli fa dire in un testo di un suo brano “I’ve been thinking about dying/How to do it well”, salvo poi smentirsi in un disco che è comunque meno meditabondo e riflessivo del citato Lighthouse.

Rispetto al precedente Sky Trails, che era comunque un album molto bello, complesso e dalla strumentazione ricchissima https://discoclub.myblog.it/2017/09/28/lo-strano-caso-di-mr-david-crosby-tre-album-in-45-anni-e-poi-tre-in-tre-anni-sta-per-uscire-il-nuovo-sky-trails/ , qui si è optato per un approccio più scarno e disadorno, benché sempre ricco di nuances sonore complesse ed affascinanti, ancora una volta affidate soprattutto al lavoro di Michael League, il leader degli Snarky Puppy, che oltre al proprio strumento, ovvero il basso, suona anche molti tipi di chitarra, acustica, elettrica, fretless, 6 e 12 corde, oltre a diversi tipi di synth, nonché cura la produzione del disco. L’unico “ospite” è Bill Laurance, anche lui del giro Snarky Puppy, impegnato al piano, e coautore in un solo brano, mentre tutte le altre canzoni sono firmate coralmente da tutti i protagonisti e in particolare anche dalle due donzelle, Becca Stevens Michelle Willis, che sono (cant)autrici anche in solitaria di un pezzo ciascuna (la prima con Jane Tyson Clement), oltre a suonare pure diversi strumenti, chitarre, ukulele e charango la Stevens, vari tipi di tastiera, oltre al basso, la Willis.

L’apertura è affidata alla splendida Glory, una ballata che rimanda al repertorio storico di David, una chitarra elettrica “trattata”, poi l’acustica di Crosby e la sua voce, delle tastiere di supporto,un liquido piano elettrico in particolare, il basso di League, anche all’acustica, mentre le due voci femminili si alternano a quella di Crosby, prima di intrecciarsi in spericolate e corali armonie vocali di grande fascino, con dei rimandi ai vecchi CSNY ma anche alla Joni Mitchell migliore. Vagrants Of Venice ricorda vecchi incontri con la città italiana, sul suono quasi modale della 7 corde elettrica della Stevens, lo schioccare delle dita che dà il ritmo, e la voce di David tornata forte e sicura che si intreccia con quella delle due ragazze che mi hanno ricordato come timbro vocale e fascino quello che avevano le Roches, non dimenticate interpreti della scena newyorchese, città dove è stato registrato questo disco, la musica scorre fluida e con equilibri sonori perfetti; 1974 profuma sempre di nostalgia del passato proiettata però su un presente sereno e senza rimpianti, lo scat vocale del leader, intrecciato con una chitarra acustica, man mano si arricchisce di una 12 corde, del basso sinuoso di League, di organo e synth, e delle voci calde e guizzanti delle ragazze.

Your Own Ride, con il piano di Bill Laurance protagonista assoluto, è un altro notevole esempio di questo raffinato folk misto a chamber pop, in cui ogni nota, ogni inflessione vocale, solista e corale, è incastonata in melodie mai banali ma comunque godibili e dove la voce di Crosby si libra sempre sicura ed ottimista, anche nel brano che comprende il testo citato all’inizio e che abbraccia questa riscoperta spiritualità. Poi ribadita in Buddha On A Hill, dove il protagonista che aspetta sulla collina non è “lo sciocco” del famoso brano dei Beatles, con la Stevens, virtuosa della chitarra, che se nel precedente brano suonava il terrapatch (di qualsiasi cosa si tratti), qui è impegnata alla Hammertone Electric Guitar, mentre la Willis e League, suonano un impressionante numero di tastiere e strumenti a corda, in un brano nuovamente corale, dove l’arrangiamento si fa via via più complesso e incalzante con lo scorrere della canzone.I Am No Artist, benché il titolo vorrebbe farci credere il contrario, ci conferma la statura artistica di Becca Stevens, autrice di un brano che si affida comunque ancora alla voce di David Crosby, sorretto dalle solite armonie vocali scintillanti ed articolate, prima di lasciare spazio a Becca che canta la sua parte con il piglio della Joni Mitchell più matura, e pure la parte strumentale non scherza quanto a complessità; il ricordo del passato si spinge fino al 1967, per un brano senza parole, ispirato dalla vecchia Orleans, solo un paio di chitarre acustiche, un basso pulsante e poi le voci che entrano improvvisamente a rinverdire i fasti degli incroci sonori con i vecchi amici Nash e Stills, sotto una nuova forma sonora e con nuovi interpreti, ma ugualmente affascinanti.

Molto bella anche Balanced On A Pin, al solito introdotta dalla voce sognante di Crosby e da una chitarra acustica, a cui si aggiungono lentamente le altre voci e una strumentazione in questo caso più soffusa, ma sempre composita e ricercata nel suo dipanarsi; e anche Other Half Rule è una variazione su questa tema, e come la precedente, pur negli arrangiamenti vocali corali, vede una maggiore presenza della vocalità di Crosby. Che poi lascia spazio a Michelle Willis, per Janet, il brano scritto dalla brava artista canadese (che a livello almeno geografico fa la parte di Young e di Joni) che duetta con un ispirato David in uno dei pezzi più mossi, leggermente jazzato e funky, con Wurlitzer, organo e basso a rimandare “nuovamente” al suono della Mitchell più elettrica. Che viene poi omaggiata in una rilettura sontuosa di Woodstock, acustica ma ancora una volta decisamente complessa, con le quattro voci che si alternano alla guida e si intrecciano con un abbandono e una classe disarmante. Se Crosby voleva stupirci, ci è riuscito una volta di più.

Bruno Conti

Lo “Strano Caso” Di Mr. David Crosby: Tre Album in 45 Anni, E Poi Tre In Tre Anni! Ecco Il Nuovo Disco Sky Trails

david crosby sky trails

David Crosby – Sky Trails – BMG Rights Management 

David Crosby, come ricordo nel titolo del Post, da solista ha pubblicato 3 album in 45 anni circa di carriera, e poi, improvvisamente, dal disco del 2014 Croz a oggi, un filotto di ben 3 nuove uscite in tre anni. E’ ovvio che in tutto questo lungo periodo il nostro amico ha pubblicato altro materiale come CPR, Crosby & Nash, CSN, C S N & Y, oltre a varie partecipazioni a dischi di altri artisti, le più recenti quelle con Chris Hillman, Kenny White Becca Stevens, ma anche nel disco Family Dinner Vol.2 degli Snarky Puppy, di cui tra un attimo. E sapete una cosa, mi sono accorto che non abbiamo mai parlato estesamente dei due dischi precedenti, limitando la presenza di Crosby sul Blog a livello recensioni ad un vecchio disco dal vivo del 1970 http://discoclub.myblog.it/2014/12/24/dal-inviato-nel-passato-david-crosby-live-at-the-matrix-december-1970/  (scritta da Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers) e all’inedito C S N Y 1974, pubblicato nel 2014 http://discoclub.myblog.it/2014/07/26/sogno-o-son-desto-crosby-stills-nash-young-csny-1974/. Quindi l’uscita di questo nuovo Sky Trails è l’occasione gradita per parlare di questo grande artista che in tarda età sembra avere trovato una inattesa prolificità, e anche con album di ottimo livello qualitativo, come conferma il nuovo CD del 2017. A differenza del precedente Lighthouse dello scorso anno, che era un disco molto intimista e quasi acustico prodotto da Michael League degli Snarky Puppy, che suonava anche quasi tutti gli strumenti, quello nuovo è un album più “elettrico”, spesso full band, molto influenzato dal jazz contemporaneo (e dalle frange jazz-rock più moderne), con il figlio James Raymond che è il produttore per l’occasione, oltre a suonare le tastiere, affiancato dagli eccellenti Mai Agan, di origine estone, al basso (suonato in uno stile fretless alla Jaco Pastorius), Steve DiStanislao alla batteria, e Steve Tavaglione, al sax, che sono il cuore della band, che in vari brani si amplia con l’aggiunta dei altri musicisti.

Come per esempio nell’iniziale She’s Got To Be Somewhere, che nelle parole dello stesso Crosby è un brano alla Steely Dan, suona volutamente come certe cose di Donald Fagen, che è uno dei musicisti che David apprezza di più, un pezzo dove i nove musicisti impiegati ricordano moltissimo il sound dei Dan, quel raffinato ma mosso stile, dove jazz, rock e funky-soul convivono negli intrecci di piano elettrico, sax, chitarra e ritmica intricata: sostituite la voce di Crosby a quella di Fagen e sembra proprio un brano degli Steely Dan, grazie anche alle complesse armonie vocali e alle spruzzate improvvise di fiati, piacevole ed inconsueto per Croz. Che però ritorna al suo stile classico per una eterea e ricercata title-track, scritta con Becca Stevens, che è anche la voce principale e duettante, su una base di chitarra acustica arpeggiata si ricrea quel sound “spaziale” che è il marchio di fabbrica della musica del nostro, mentre il sax di Tavaglione è lasciato libero di improvvisare appunto negli spazi lasciati dalle voci stratificate ed in libertà dei due, molto interessante ed affascinante. Sell Me A Diamond è una deliziosa canzone che fonde lo stile jazzy dell’album con il classico sound alla CSN o Crosby & Nash se preferite, con bellissime armonie vocali e il lavoro notevole della lap steel di Greg Leisz e della solista di Jeff Pevar, oltre alla tessitura del piano di Raymond, per una canzone che mi pare tra le cose più vicine a rock e west coast sound, nonché migliori del disco, mentre Before Tomorrow Falls On Love è una ballata pianistica più introspettiva, firmata con Michael McDonald e cantata con splendida souplesse e voce angelica da David, brano dove si apprezza anche il lavoro di fino del basso fretless di Agan oltre al piano di Raymond, che si ripetono pure in Here It’s Almost Sunset, con il basso più marcato e il sax di Tavaglione che cerca di riprendere il ruolo che fu di Wayne Shorter in Hejira e Don Juan’s Reckless Daughter di Joni Mitchell, altra artista che Croz ammira molto ( e con cui aveva firmato, tantissimi anni fa, nel primo disco dell’artista canadese, Yvette In English) e che per certi versi omaggia (in)direttamente in queste canzoni.

Spingendosi poi fino a riprendere proprio la sua Amelia, in una cover che rivaleggia come bellezza con l’originale di Joni, anche per il tipo di suono jazz ma “californiano” al tempo stesso, con il piano e la lap steel di Leisz in evidenza, come pure la voce di Crosby che si libra ancora sicura e potente sulle note senza tempo di questa splendida canzone.Nel disco, prima del brano della Mitchell, troviamo Capitol, il brano più politicizzato della raccolta, sulla falsariga della vecchia What Are Their Names, che era nel primo disco solo del 1971 e che parlava delle “malefatte” della politica americana dei tempi, questa volta si parla nello specifico degli eletti al Congresso americano che Crosby considera i peggiori di sempre, corrotti, legati alle corporazioni, poco democratici nei loro comportamenti (ricorda qualcosa, mah, non saprei), e lo fa con un brano tra i più ritmati e mossi dell’album, con il classico sound del Crosby dell’ultimo periodo, vicino a Croz, ma con un occhio alle sonorità elettroacustiche del passato, comunque un altro brano decisamente sopra la media in un disco  tra i migliori in assoluto della discografia (non ricchissima) del nostro. Mancano ancora Somebody Home che è la canzone già presente nel disco dal vivo degli Snarky Puppy Family Dinner Volume Two, che viene riproposta in una nuova bellissima versione di studio, sempre accompagnato discretamente comunque dalla band di Brooklyn, con il pezzo che mantiene quell’aura sonora delicata, quasi sussurrata, tipica della migliori canzoni di David, calda ed avvolgente nella sua raffinata semplicità (non è un ossimoro); a seguire troviamo Curved Air, un brano abbastanza particolare, scritto con il figlio James  Raymond, un pezzo dall’impianto sonoro quasi flamenco, ma con la chitarra arpeggiata ricreata con le tastiere ed il gioco ritmico di percussioni e basso ispirato da quella musica, ma che confluisce in una melodia da cantautore “classico” quale possiamo e dobbiamo considerare David Crosby, uno degli ultimi grandi della musica americana, che ci congeda con Home Free, un altro affascinante tuffo nel suo migliore songbook, un brano dove chitarre acustiche, basso elettrico e poco altro si insinuano tra le pieghe di una serena riflessione vocale che sfiora quasi la perfezione sonora. Veramente un bel disco.

Esce venerdì 29 settembre.

Bruno Conti