E Questi Da Dove Spuntano? Però Molto Bravi! Loose Koozies – Feel A Bit Free

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Loose Koozies – Feel A Bit Free – Outer Limits Lounge LP/Download

Da anni il mercato discografico indipendente americano è diventato una giungla quasi infinita, con decine e decine di uscite mensili di vario genere e livello: è ovvio che non è umanamente possibile stare dietro ad ogni nuovo solista o band che si affaccia sul panorama musicale, ma a volte capita di imbattersi in dischi che rispondono pienamente ai nostri gusti, e che magari sono pure belli. Un valido esempio è certamente questo Feel A Bit Free, album d’esordio dei Loose Koozies (avevano pubblicato solo un singolo nel 2018) quintetto proveniente da Detroit ma con un suono che non ha nulla a che vedere con la Motor City. Infatti i nostri non fanno rock urbano né hard né alternativo, ma suonano un’accattivante miscela di rock’n’roll e country di stampo quasi rurale e con un innato senso del ritmo e della melodia. Pura American Music quindi: i cinque non seguono le orme né di Bob Seger né di Alice Cooper (per citare due icone rock della capitale del Michigan), ma il loro sound ricorda da vicino i primi Uncle Tupelo ed i Son Volt, anche per il timbro di voce del leader E.M. Allen molto simile a quello di Jay Farrar (completano il gruppo il lead guitarist Andrew Moran, Pete Ballard alla steel, Erin Davis al basso e Nick German alla batteria).

Feel A Bit Free è prodotto da Warren Defever (leader della band alternativa His Name Is Alive), il quale si occupa anche di suonare piano ed organo, ed è quindi un ottimo dischetto che farà la felicità di quanti amano il country-rock alternativo a quello di Nashville: rispetto alle due band citate poc’anzi (Tupelos e Son Volt), qui la componente country è leggermente maggiore se non altro per il notevole peso specifico della steel nel sound generale, ma i ragazzi non si tirano certo indietro quando si tratta di arrotare le chitarre; last but not least, le canzoni sono ben scritte e sono tutte dirette e piacevoli, e quindi nei quaranta minuti di durata del disco non c’è un solo momento di stanca. Il dischetto inizia in maniera splendida con Easy When You Know How, un country-rock limpido e solare dotato di una melodia scintillante ed un bel suono elettroacustico molto roots, il tutto completato da ottime parti di chitarra: un avvio brillante. Nella cadenzata Forget To Think spunta la steel guitar anche se il brano è molto più rock che country, anzi l’approccio mi ricorda quello di gruppi come Jason & The Scorchers o Old 97’s, un pezzo coinvolgente e suonato alla grande; Marita è più morbida e countreggiante, una ballata in cui però la parte rock non è affatto sopita, un po’ come quando i Rolling Stones fanno (facevano) un pezzo country (ed il refrain è vincente), mentre con la saltellante Rollin’ Heavy torniamo in territori più propriamente country, pur con il suono elettrico tipico dei nostri con chitarre e steel a creare una miscela perfetta, unita ad un motivo delizioso.

Lotsa Roads è puro rock’n’roll, chitarre che riffano che è un piacere, gran ritmo e mood travolgente, in aperto contrasto con Sugar Notch, PA che è invece una turgida ballata elettroacustica dal sapore western-crepuscolare, con la chiara influenza di Gram Parsons, un’atmosfera evocativa ed un ispirato assolo da parte di Moran. Slow Down Time è il singolo di due anni fa, un rockin’ country diretto e gustoso ancora con le chitarre in evidenza ed uno squisito ritornello alla Tom Petty; una languida steel apre la strepitosa Hazel Park Race Track, altro pezzo trascinante che coniuga alla perfezione rock e country, in cui il canto “scazzato” di Allen si integra benissimo e ci porta alla bella Hills, una country ballad elettrica dal sapore quasi texano. Il disco termina con la lunga Something To Show, quasi sette minuti che si staccano decisamente dal resto del disco con i Koozies che ci propongono uno slow rarefatto ed etereo dai toni quasi psichedelici, per poi tornare subito coi piedi per terra con la conclusiva Last Year, puro country’n’roll a tutto ritmo, godibile ed avvincente.

Sentiremo ancora parlare dei Loose Koozies, sono pronto a metterci la firma.

Marco Verdi

*NDB Purtroppo non esiste la versione CD, solo LP o download digitale, come ultimamente, anche per la situazione globale, capita sempre più spesso.

Un Bel Disco, Ulteriormente Potenziato E Migliorato. Son Volt – Okemah And The Melody of Riot

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Son Volt – Okemah And The Melody Of Riot – 2 CD Transmit Sound/Thirty Tigers

Proseguono le ristampe potenziate del catalogo dei Son Volt: dopo quella di The Search uscita ad Aprile, che già rivalutava l’opera della band nella seconda parte di carriera, arriva ora Okemah And The Melody Of Riot, quarto album della loro discografia, e il primo ad uscire dopo la lunga pausa dal 1999 al 2004. All’origine il disco avrebbe dovuto essere registrato con la prima formazione della band, che si era già ritrovata per incidere un brano per il tributo ad Alejandro Escovedo, e viste le buone vibrazioni aveva deciso di continuare, ma poi qualcosa deve essere andato storto e Jay Farrar ha messo in piedi una formazione completamente diversa, con Andrew Duplantis al basso e alle armonie vocali, Dave Bryson alla batteria e l’ottimo Brad Rice alla chitarra (già nelle band di Ryan Adams e Peter Case, e con Backsliders e Whiskeytown). Il suono ottenuto era decisamente più (alternative) rock rispetto ai loro classici dischi degli anni ’90, ma per nulla disprezzabile, come invece alcuni critici, peraltro non tutti, avevano sentenziato all’epoca all’uscita del disco.

Album che già in origine uscì in diversi formati, tra cui una versione Dual Disc (qualcuno li ricorda? I dischetti a doppio strato con audio e video insieme), che conteneva delle bonus nella parte DVD della confezione. Questa nuova versione aggiunge ulteriore materiale, nel secondo CD ci sono due brani extra e sette pezzi dal vivo, mentre il CD originale, a differenza di The Search, dove era stata cambiata la sequenza dei brani, mantiene quella della prima edizione. Il disco non sarà forse un capolavoro, ma rispetto a molti dei dischi di rock contemporanei, ha parecchie frecce al suo arco: il suono è decisamente più elettrico e chitarristico, spesso vibrante, ma lasciando comunque spazio alle malinconiche ballate che sono sempre state nel DNA di Farrar sin dai tempi degli Uncle Tupelo. Il suono potrebbe ricordare quello dei R.E.M. della prima fase: prendiamo il primo brano, Bandages And Scars, con un testo che si richiama a Woody Guthrie per fare un parallelo con la situazione politica di quegli anni (in un album che è comunque tra i più “impegnati” in questo senso di Farrar), ma musicalmente le chitarre sono molto presenti  e tirate, con un suono lontano (ma non poi così tanto) dall’alt-country  e dal suono roots dei primi dischi, il cantato di Jay è quello tipicamente laconico e laidback, caratterizzato da quella voce immediatamente riconoscibile, anche se calata in una dimensione decisamente più R&R ,estremamente godibile e mossa. Potrebbe ricordare i lavori più elettrici di Neil Young, o un country-rock più energico  anni ’70; della stessa tempra sonora anche Afterglow 61, sempre potente e con le chitarre mulinanti, come pure la vivace 6 String Belief, che il lavoro delle chitarre lo magnifica fin dal titolo, e pure Jet Pilot a tutto riff, completa la trilogia rock di apertura.

Atmosphere è una bella ballata mid-tempo cadenzata, dall’ambientazione solenne e malinconica, con improvvise accelerazioni e cambi di tempo. Ipecac ci riporta al sound acustico e meditato dei primi album, ed è un ottimo brano, dove si apprezza lo spirito più gentile della band, mentre Who mi ha ricordato il suono dei sopracitati R.E.M., con un bel jingle jangle delle chitarre, con Endless War che vira addirittura verso atmosfere leggermente psichedeliche alla Gene Clark, poi ribadite in Medication,in un ambito più folk e ricercato, con piccoli tocchi orientaleggianti che rimandano a Bert Jansch o ai Pentangle, anche grazie alla slide e al dulcimer di Mark Spencer. Con le chitarre elettriche che ritornano a farsi sentire nella Younghiana Gramophone, dove fa capolino anche una armonica o nella atmosferica Chaos Streams, prima di regalarci la deliziosa, sognante e pianistica Wolrd Waits For You, con tanto di ripresa e coda chitarristica con la pedal steel di Eric Heywood e la slide di John Horton in bella evidenza. Exurbia e la pianistica Anacostia, i due inediti di studio aggiunti, appartengono al lato più intimista di Farrar, mentre tra i brani dal vivo spiccano une deliziosa Joe Citizen Blues con un ottimo Rice alla solista e Afterglow 61,anche questa ripresa dal vivo a Philadelphia nel maggio del 2005. La sequenza di altri cinque brani Live tratti dall’album conferma l’impressione che i Son Volt dell’epoca erano una eccellente band. Una ottima ristampa da avere, e non solo per mero “completismo”,

Bruno Conti

Brisbane Mancava? Ancora Dall’Australia ! Halfway – Any Old Love

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Halfway – Any Old Love – Plus 1 Records

Gli Halfway sono una band di otto elementi con sede a Brisbane in Australia, da cui provengono tre membri del gruppo:  il bassista Ben Johnson, Luke Peacock alle tastiere e pianoforte e il chitarrista John Willsteed (ex Go-Betweens), mentre John Busby voce e chitarra acustica, Chris Dale voce e chitarra elettrica e Elwin Hawtin batteria e percussioni sono di Rockhampton nel Queensland, mentre i due fratelli Noel e Liam Fitzpatrick pedal steel e banjo e mandolino, dalla mia amata Dublino. Questo ricco “ensemble” esordisce con Farewell To The Fainthearted (04) dal suono roots-rock mosso e galoppante, a cui hanno fatto seguire Remember The River (06) https://www.youtube.com/watch?v=e5KVvhZHqo4 , che annoverava tra gli ospiti Rob Younger (lo storico vocalist dei Radio Birdman), e dopo una breve pausa An Outpost Of Promise (10) https://www.youtube.com/watch?v=t3IzVC39QbE fino ad arrivare a questo nuovo lavoro Any Old Love, vincitore del Air Award Winner 2014 (come miglior album country indipendente australiano), prodotto da Robert Forster (co-fondatore con Grant McLennan del grande gruppo indie-rock Go-Betweens).

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Any Old Love è un “concept-album”, diviso in quattro parti, intervallate dalla title track a sua volta spezzata in quattro frammenti , sulla storia di  un ex fantino, anche se la cosa abbastanza particolare, ma non unica, è che quasi tutti i tredici brani sono canzoni d’amore, a partire dal trittico iniziale Dropout https://www.youtube.com/watch?v=9vjJ_6ZpkUE , Honey I Like You https://www.youtube.com/watch?v=VV_ehogmfV0  e Hard Life Loving You, musicalmente con chiari punti di riferimento con i primi Son Volt, Wilco e Whiskeytown, mentre Dulcify https://www.youtube.com/watch?v=91ssAp9328I e Shakespeare Hotel risentono molto della produzione di Forster, per poi farci sobbalzare con il cow-punk di Factory Rats, la malinconia di Erebus & Terror, andando a chiudere con le struggenti ballate (specialità della casa) Sunlight On The Sills e The Waking Hours, cantate dai due “songwriters” Chris e John.

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La formula degli australiani Halfway rimane fortunamente invariata, e loro sono senza dubbio una delle band di punta del circuito “roots-rock” tradizionale in madre patria, sempre molto vivaci ma ancora poco noti e apprezzati al di fuori dell’Oceania (complice anche una concorrenza spietata), ma Any Old Love rimane un lavoro tutto sommato affascinante, suonato con una certa freschezza, che alla lunga nella resa complessiva risulta credibile, e quindi per chi ancora non li conosce e se siete in cerca di epigoni del classico sound down under, potrebbero fare al caso vostro.

Tino Montanari

Con Quel Nome Possono Fare Ciò Che Vogliono, Ma Fanno Del Country-Rock Sopraffino! I See Hawks In L.A – Mystery Drug

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I See Hawks In L.A. – Mystery Drug – Blue Rose

E al country-rock canonico possiamo aggiungere tocchi di quello “cosmico” di Gram Parsons e quello più “esoterico” di Gene Clark, con o senza Byrds e anche qualche spruzzata psichedelica, ma leggera, dei Grateful Dead più acustici, come dimostra il video che vedete qui sotto. Il tutto cantato principalmente da Rob Waller, il leader e autore in capo del gruppo, con una voce bassa e risonante che può ricordare un Johnny Cash o un Waylon Jennings in alcuni momenti, gli altri due cantanti citati, in altri. Belle canzoni, ricche di melodia e cambi di tempo, con un sound pieno di mille sfumature: in copertina sono in otto, ma nel disco suonano addirittura in dieci, anche se il nucleo principale, oltre a Waller, ruota intorno a Paul Lacques, chitarra solista e voce e al bassista Paul Marshall, anche lui cantante ed autore, con gli altri due, della totalità dei brani del disco. E poi hanno questo nome evocativo, in questo ambito possono competere solo gli Starry Eyed And Laughing, un vecchio gruppo, peraltro inglese, di inizio anni ’70, che prendeva il proprio “patronimico” da un verso di Dylan, loro padre spirituale e dai figliocci Byrds, anche a livello musicale, più jingle jangle degli “Hawks”, come li chiamerò d’ora in poi, per brevità.

La formazione nasce nella California del Sud intorno alla fine degli anni ’90, e sino ad ora, compreso questo Mystery Drug (che esce in questi giorni, in ordine sparso, nei vari paesi), hanno realizzato sette album, uno più bello dell’altro. La caratteristica saliente di questo nuovo album, rispetto ai precedenti, è la presenza della pedal steel, strumento che sta ritornando in auge, suonata da due diversi musicisti, Rick Shea (già con Dave Alvin) e Pete Grant, peraltro solo in cinque brani, che però sono tra i più interessanti del disco (di solito, con minor frequenza, come lap steel, la suona Laques). Ad esempio la bellissima Oklahoma’s Going Dry, un brano che parla dei cambiamenti climatici che stanno preoccupando i contadini e gli allevatori americani, il tutto condito da una musica che scivola deliziosamente sulle corde d’acciaio della pedal steel di Rick Shea, e che pare uscire da un vinile dei primi anni anni ’70 degli Ozark Mountain Daredevils, degli Eagles, ma anche dei Flying Burrito Brothers, con cascate di chitarre elettriche ed acustiche, armonie vocali fantastiche e quell’aria tipicamente sognante della migliore musica Weastcoastiana, pre e post Parsons. Ancora intrecci vocali da brividi nella delicata e più acustica Mystery Drug o nella sognante Yesterday’s Coffee, dove il testo su in caffè invecchiato è una metafora su una relazione che sta finendo, sempre con la pedal steel che si fa largo tra la chitarre acustiche e le voci armonizzanti del gruppo, guidate da Waller, che vocalmente mi ricorda per certi versi anche retrogusti à la Gordon Lightfoot o Neil Diamond, o, tra i “moderni”, per una certa indole malinconica, anche i Son Volt di Jay Farrar. 

Ma gli “hawks” sanno andare anche su tempi rock (e negli album precedenti ce ne sono parecchi esempi) e quindi quando parte un ritmo incalzante, segnato da una slide pungente, come in The Beauty Of The Better States, l’ascoltatore non può non godere, perché gli intrecci delle acustiche e delle voci non vengono meno, ma si arricchiscono di nuove nuances più grintose. We Could All Be In Laughlin Tonight, con il suo testo che cita le cover bands che sera dopo sera eseguono versioni di Free Bird (un omaggio indiretto ai Lynyrd), sembra una sorella minore, nata tanti anni dopo, di canzoni come Tequila Sunrise o certi brani del primo Guy Clark, e perché no, anche Michael Martin Murphey (non nella voce, quella di Waller è troppo maschia e particolare), weeping pedal steel guitar inclusa. One Drop Of Human Blood, con i suoi matrimoni rituali nel deserto e una fisarmonica malandrina che si aggiunge alle operazioni potrebbe ricordare certe canzoni di Tom Russell o Joe Ely, miscelate a quelle canzoni desertiche del Gene Clark prodotto da Thomas Jefferson Kaye (No Other). Sky Island è un’altra bellissima ballata, leggermente mid-tempo, nella quale il gruppo eccelle, con le sue armonie vocali avvolgenti ed emozionanti e la musica acustica, ma ricchissima che esce dai solchi digitali di questo eccellente disco.

E pure quando i ritmi rallentano ulteriormente, come nella dolcissima If You remind Me, con un refrain da ucciderli per quanto sono bravi, non puoi fare a meno di meravigliarti perché sono conosciuti, purtroppo, da così poca gente, anche tra i cultori del genere,  sono meglio del 90% di gruppi che vengono presentati da molta critica come i salvatori del mondo (musicale). Rock’n’Roll Cymbal From The Seventies, fin dal titolo, è decisamente più energica, con le chitarre elettriche nuovamente sugli scudi e una delle autrici aggiunte del brano, la batterista Victoria Jacobs, indaraffata al suo strumento (la Jacobs si alterna alla batteria con altri due strumentisti, Shawn Nourse, quello storico del gruppo e con il fratello del chitarrista Paul Lacques, Anthony, uno dei membri fondatori degli Hawks). Tongues Of The Flames è un breve brano che vive su gli intrecci delle acustiche e delle voci, mentre Stop Driving Like An Asshole, è una divertente presa in giro dei frequentatori delle highways, peraltro molto bella musicalmente, peccato duri solo un minuto e mezzo. My Local Merchants parte come Get back e diventa un brano alla Creedence, un rock’n’roll tirato e coinvolgente, dove la band lascia intuire che anche dal vivo non sono da trascurare, per la loro grinta, peccato che anche questa sia cortissima. Ma ci rifacciamo con la conclusiva The River Knows, quasi otto minuti di magia sonora, dove la pedal steel ripende il ruolo che le compete, circondata dalle acustiche insinuanti e dalle armonie vocali magnifiche del trio Waller-Lacques-Marshall, mentre il ritmo del brano si fa sempre più incalzante, in un crescendo fantastico, dove la pedal steel è protagonista assoluta, ma è tutto l’insieme che funziona come un orologio svizzero, costruito in California dai I See Hawks In L.A, prendere nota e non dimenticare.

“Ho visto dei falchi a Los Angeles” ed erano magnifici! 

La ricerca continua.

Brunio Conti

*NDB Non ci sono video dei brani nuovi, ma si capisce lo stesso che sono bravi, la riprova qui sotto.

Novità Di Marzo Parte I. Jimi Hendrix, Dido, Stereophonics, Laura Mvula, Son Volt, Josh Ritter, Madeleine Peyroux, Ashley Monroe, Roddy Woomble

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Confermata per domani 5 marzo l’uscita di Jimi Hendrix People, Hell And Angels, il disco “inedito” già annunciato sul Blog a fine gennaio (in tutto il mondo, Italia inclusa, ma esclusa misteriosamente l’inghilterra, dove uscirà il 1° aprile), etichetta Sony Legacy. Confermato anche Memphis di Boz Scaggs, di cui avete già letto le recensione completa pochi giorni fa.

Torna, per dirla alla Chico di Zagor o come Brian Eno, Dido Florian Cloud De Bounevialle O’Malley Armstrong, per darle il suo nome completo: il disco Girl Who Got Away, Rca Sony, è il primo dal 2008, e naturalmente esce anche in versione Deluxe doppia con 6 brani in più. Il fratello Rollo, dei Faithless, è sempre al suo fianco come autore e c’è anche un duetto con il rapper Kendrick Lamar. Già da anni aveva annunciato che l’album avrebbe avuto un approccio elettronico ma, per fortuna, non ha mantenuto totalmente le promesse, anche se… 

Anche i gallesi Stereophonics rompono un silenzio che durava dal 2009 e pubblicano per la Stylus Records/EMI, domani 5 marzo, il nuovo CD Graffiti On The Train. C’è la versione Deluxe? Che domanda, certo! Anche se i 6 brani nel secondo dischetto, a parte uno, Overland, sono versioni alternative, acustiche o remix.

 

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Tre voci femminili, piuttosto diverse tra loro, ma tutte interessanti.

Laura Mvula, all’esordio con questo Sing To The Moon, pubblicato sempre dalla RCA, è la scoperta di quest’anno di BBC e Brit Awards, tra i “names to watch” (e listen). Prodotto, attenzione, da Steve Brown (quello di Rumer) e mixato da Tom Elmhirst (quello di Adele), in Inghilterra, dove la fantasia non manca di certo alla stampa, anche troppo, è stato definito un disco di gospeldelia. Più semplicemente, per chi scrive, una bella voce, raffinata, con arrangiamenti anche complessi, misti a brani più semplici, influenze (e cover di) Nina Simone, George Gershwin e Bjork. Sembra interessante. Sì, c’è la versione doppia Deluxe con 6 tracce extra. 

Non sono passati neanche due anni dal precedente Standing On The Rooftop ed esce già un nuovo disco di Madeleine Peyroux, titolo The Blue Room, prodotto nuovamente da Larry Klein, dopo la parentesi con Craig Street, l’album inizialmente doveva essere un tributo al Ray Charles di Modern Sounds In Country & Western Music, e, tratte da quel disco, oltre a I Can Stop Loving You ce ne sono altre tre, a cui si aggiungono Guilty di Randy Newman e Bird On The Wire di Leonard Cohen, nonché Gentle On My Mind, il brano di Glen Campbell scritto da John Hartford, il tutto molto buono, ai suoi migliori livelli. Questa volta prima di parlarvi della versione Deluxe (che c’è), vi ricordo che per le strane traiettorie della discografia miderna, il disco esce, su etichetta Decca/Emarcy, il 5 marzo negli States, il 26 marzo in Italia e l’8 aprile in Inghilterra, mah! La Deluxe, in questo caso, contiene un DVD con un documentario di 30 minuti, il video di Changing All Those Changes (che è un brano di Buddy Holly) e un video unplugged di I Can’t Stop Loving You. Nel CD, come ciliegina sulla torta, c’è anche una bellissima versione di Desperados Under The Eaves di Warren Zevon.

Ashley Monroe, chi è costei? E’ una che fa country ed è anche brava. Ha fatto un bellissimo disco con le Pistol Annies (Miranda Lambert e Angaleena Presley) nel 2011 e uno, Satisfied, a nome suo nel 2009 e per quelli che seguono, è la tipa che duettava con i Train in Bruises. Per questo nuovo album, che esce solo in Usa, sempre il 5 marzo (una brutta notizia, non c’è la deluxe!), titolo Like A Rose, Warner Bros, per la title-track si è scomodato anche Guy Clark che l’ha firmata insieme a lei e c’è un duetto con Blake Shelton, produce Vince Gill. La nuova Dolly Parton?

 

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Sempre parlando di country, anzi Honky Tonk, è il titolo del nuovo disco dei Son Volt. Jay Farrar torna nei ranghi, e dopo l’operazione Gob Iron e quella per Woody Guthrie di New Multitudes, pubblica, come di consueto, per la Rounder/Universal questo nuovo album, con più pedal steel e due violini rispetto al solito sound, ma la voce è la solita, inconfondibile (che mi evoca sempre ricordi del non dimenticato Gene Clark). Sono già due dischi che non c’è la versione Deluxe, comincio ad essere preoccupato, quasi quasi me la invento.


Ma per il nuovo Josh Ritter c’è, anzi ce ne sono addirittura due, più che altro formati “strani”. The Beast In Its Tracks, etichetta Yep Rock, esce in vinile, con il CD allegato, o nuovamente in LP, con CD e 45 giri allegati, sono dei geni del marketing! Naturalmente il prezzo sale esponenzialmente a seconda delle versioni. Per fortuna il disco è bello, forse i suoi problemi amorosi (si è lasciato con la moglie, musicista anche lei, la bravissima Dawn Landes, dopo solo 18 mesi di matrimonio) hanno contribuito alla riuscita di questo nuovo album. Lui è veramente bravo, quindi non mi meraviglia più di tanto. Penso che qualcuno poi farà la recensione completa del disco sul Blog, per il momento un estratto…

E Per finire: Roddy Woomble era il leader degli Idlewild, qualcuno li ricorda? Band scozzese, che in teoria è in pausa indefinita, per permettere la carriera solista di Woomble, che collabora spesso con Kris Drever, John McCusker, Kate Rusby, Karine Polwart, Eddie Reader, Boo Hewerdine, tutta gente brava e anche lui non è male, come dimostra questo Listen To Keep pubblicato dalla Reveal. Come diceva qualcuno anni fa, provare per credere, questa Making Myths è bellissima!

Alla prossima.

Bruno Conti

100 Anni Di Woody Guthrie 1912-2012! Iniziano Le Celebrazioni -Jay Farrar & Co. New Multitudes

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Jay Farrar, Will Johnson, Anders Parker and Yim Yames – New Multitudes Rounder Universal CD o 2CD with 11 additional tracks – 28-02-2012

In effetti, discograficamente parlando, le celebrazioni sono già iniziate, con netto anticipo, lo scorso anno, con la pubblicazione del tributo Note Of Hope curato da Rob Wasserman con la partecipazione di Tom Morello, Lou Reed, Ani DiFranco e Pete Seeger tra gli altri e con una epica lunghissima versione di You Know The Night cantata da Jackson Browne.

Ma il centenario della nascita si festeggia quest’anno (il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia, quasi un presagio per un cantante “rivoluzionario” e non il 14 ottobre come erroneamente riportato dal Busca) e comunque di “tributi” a Woody Guthrie negli anni ce ne sono stati moltissimi: in particolare, tipo questo New Multitudes, ovvero testi di Guthrie e musica di altri, c’erano stati i due volumi dei Wilco con Billy Bragg, due poco noti dei Klezmatics e uno, ancora meno noto, ma molto bello di Jonatha Brooke The Works.

Era quasi inevitabile che Nora Guthrie dopo essersi rivolta a Jeff Tweedy si rivolgesse anche al suo vecchio compagno degli Uncle Tupelo, Jay Farrar. In fondo i due, alla fine degli anni ’80, con il fenomeno poi definito alt-country, insurgent country, no depression, Americana, chiamatelo come diavolo volete hanno contribuito alla rinascita della musica folk-country, popolare tradizionale americana mista al rock. E poi avere un “paroliere” come Woody Guthrie non è cosa di tutti i giorni. Quindi questa volta gli archivi che sono stati setacciati sono quelli relativi al periodo californiano di Guthrie, tra Los Angeles e Topanga Canyon. Quindi il progetto nasce a metà anni 2000 dall’incontro tra Jay Farrar (Son Volt) e Anders Parker (dei Varnaline) che danno vita a un gruppo i Gob Iron che pubblicherà l’album Death Songs For The Living, un ciclo di canzoni atto al recupero della musica tradizionale americana. A questo punto chi più “tradizionale” di Woody Guthrie? E quindi l’idea di musicare testi inediti di Guthrie dagli immani archivi che esistono viene allargata anche a Will Johnson (Centro-matic) e Yim Yames(My Morning Jacket) che uniscono le loro forze con gli altri due per un progetto comune che arriva a compimento questo 28 febbraio 2012.

Come in quasi tutti i dischi di un certo pregio ultimamente (ma anche non di pregio), esce anche una versione Deluxe con 11 ulteriori tracce tratte solo dalla prima parte del progetto, ovvero brani registrati dai soli Farrar e Parker. Ma l’album è ottimo anche nella versione singola, però se trovate quella doppia, per dire una Catalanata, è meglio! Questi sono i titoli del disco extra:

Around New York

Jake Walk Blues

Whereabouts Can I Hide

Old Kokaine

I Was a Goner

San Antone Meat House

Dopefiend Robber

World’s on Fire

When I Get Home

Atom Dance

Your Smile Cured Me

Non staremo qui a vagliare l’importanza dell’opera di Woody Guthrie, politica, sociale, di costume, culturale, l’influenza su musicisti come Dylan e Springsteen (e mille altri) nella canzone popolare americana ma ce lo godiamo come autore di testi per alcuni “promettenti” artisti: il brano di apertura Hoping Machine rivaleggia con le più belle malinconiche ballate degli Uncle Tupelo, cantato in modo evocativo da Jay Farrar, con le armonie vocali perfette dei suoi pards e con un bel crescendo musicale alla Gene Clark, indica subito lo spessore del disco. Fly High cantata da Anders Parker sembra una di quelle belle canzoni westcoastiane di Jackson Browne o degli Eagles dei tempi d’oro.

Bellissima My Revolutionary Mind con l’inconfondibile falsetto di Yim Yames in evidenza per la ripresa di un testo già usato da Tom Morello come Ease My Revolutionary Mind in Note Of Hope, gli archi infondono un’aria maestosa allo scarno incedere di basso e batteria, prima di un discordante finale younghiano. Will Johnson fa sferragliare chitarre e armonica in una gagliarda VD City che ci riporta all’insurgent alt country citato prima. Old L.A è un altro inno al miglior country-rock dei Son Volt (con qualche eco del jingle-jangle dei primi R.E.M.), ma con Anders Parker che canta e gli altri che armonizzano e scaldano le chitarre. Talking Empty Bed Blues (titolo alla Dylan primo periodo, ovvero quando era influenzato da Guthrie) è un’altra ballata onirica di Yim Yames che parte acustica e diventa morbidamente psichedelica nella seconda parte.

Will Johnson si fa aiutare da Yames per una “strange folk” Chorine mentre Careless Restless Love è un altro inconfondibile brano di Jay Farrar, tanto Son Volt ma tanto bello, con il consueto crescendo delle sue canzoni dove pedal steel, chitarre, sezione ritmica entrano mano a mano nel tessuto sonoro. Angel’s Blues, chi la vede alla Neil Young chi la sente alla Tom Petty è comunque un bel rocker cantato da Anders Parker con tante belle chitarre in evidenza. Will Johnson completa il suo percorso (sono democraticamente tre a testa) con No Fear, forse il brano meno entusiasmante del progetto, non sono tutte belle per forza. In Changing World, l’ultima di Yim Yames, se la cantano e se la suonano tra cori vagamente gospel alla Lions Sleeps Tonight e ritmi scarni e basilari, anche questa non mi sembra geniale. Conclude la title-track New Multitudes, ancora Farrar,  una corale folk-song acustica che recita “Gonna Build My World Over/…Gotta Have New Multitudes” in una nota finale di speranza.

Bello e profondo!

Bruno Conti

Adesso Lo Sapete Parte XII. Strade Blu 2010 Folk E Dintorni

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Questi che vedete effigiati qui sopra, sono Jimmie Vaughan & Tilt-A-Whirl Band con Lou Ann Barton, Dave Alvin & The Guilty Women e i Dirt Music ovvero Chris Eckman, Chris Brokaw e Hugo Race. Casualmente sono i primi tre gruppi che si esibiranno il 15, 16 e 17 luglio nell’ambito di Strade Blu 2010.

Visto che ho fatto trenta faccio trentuno, l’altro giorno nel parlarvi degli Slummers e delle molteplici attività di Antonio Gramentieri mi ero dimenticato di citare che è anche il direttore artistico di Strade Blu una manifestazione che si tiene tutti gli anni in Romagna,

Questo blog, come molti sanno, è tenuto da un milanese ma non ci vedo nulla di male a segnalare anche manifestazioni che si tengono a quei 300 chilometri da Milano. In fondo non ci vuole molto, prendete la macchina o il treno o il vostro mezzo di locomozione preferito e (più o meno in un attimo) siete lì, o magari, peggio ancora, siete già lì in vacanza e non lo sapete!

Nella mia funzione (che assumo nei post Adesso Lo Sapete) di alter ego del Numero Uno, e quindi non più giovanissimo, io non mi sposto moltissimo ma in passato ho dato: ricordo ancora con piacere l’11 aprile 1981, Hallenstadion Zurigo, Bruce Springsteen & The E-Street Band, con uno sparuto manipolo di prodi italiani, posso dire io c’ero, e ho visto quindi lo Springsteen dei tempi d’oro prima della fama interplanetaria, ma questa è un’altra storia per un’altra occasione.

Tornando a Strade Blu un po’ di pubblicità gratuita non fa male a nessuno e quindi, se andate qui http://www.stradeblu.org/ trovate il programma provvisorio dell’edizione 2010. Giusto per ingolosirvi un poco!

Alla prossima.

Bruno Conti

Jay Farrar & Benjamin Gibbard One Fast Move or I’m Gone

Son Volt + Death Cab For Cutie + Jack Kerouac= Ottima Musica

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