Un Ex Metallaro Che Ha Trovato La Sua Reale Dimensione. Aaron Lewis – State I’m In

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Aaron Lewis – State I’m In – Big Machine/Universal CD

Aaron Lewis, dopo aver capitanato per sedici anni un gruppo metal, gli Staind (con i quali ha pubblicato ben sette album), nel 2012 si è reinventato musicista country, una cosa possibile solo in America anche perché lo ha fatto in maniera assolutamente credibile. Il suo debutto, The Road, è stato infatti uno dei più positivi lavori di country-rock del 2012, da parte di un artista che sembrava un veterano e non un esordiente nel genere: un disco robusto e chitarristico che assorbiva pienamente la lezione del movimento Outlaw degli anni settanta, prodotto da una mezza leggenda del settore come James Stroud. Sinner, del 2016, confermava quanto di buono The Road aveva fatto intravedere, e questa volta in consolle c’era Buddy Cannon, l’uomo che ultimamente è dietro ai dischi di Willie Nelson: State I’m In è il nuovissimo lavoro di Lewis, un album che nelle sue dieci canzoni non fa che continuare il percorso di crescita del nostro. Ancora con Cannon in cabina di regia, State I’m In è un ottimo esempio di country-rock vigoroso, vibrante e chitarristico, con canzoni molto dirette e piacevoli, da parte di un musicista che se non sapessi che è del Vermont potrei pensare che fosse texano.

Musica country vera dunque, con il passato metallaro che è ormai un lontano ricordo, e con sessionmen di gran nome che fanno capire che Aaron non è uno qualunque: Dan Tyminsky, chitarrista degli Union Station di Alison Krauss, Vince Gill, Pat Buchanan, il grandissimo steel guitarist Paul Franklin, il piano e l’organo di Jim “Moose” Brown, l’armonicista di Willie, Mickey Raphael e, a cantare con Lewis nella title track, la stessa Alison Krauss con Jamey Johnson. Si inizia nel modo migliore con la bella e coinvolgente The Party’s Over, country song spedita dal mood elettrico e con una melodia di prima qualità: Aaron ha una voce splendida, baritonale e profonda, e la strumentazione classica con chitarre, steel e violino è perfetta. Can’t Take Back è un grintoso pezzo quasi bluesato e con indubbie influenze sudiste, cantato da Aaron con voce leggermente più arrochita, sezione ritmica potente e canzone che scorre che è un piacere https://www.youtube.com/watch?v=2ir-Zkvj7sQ ; Lewis sarà anche un ex hard rocker, ma dimostra di essere credibile anche in ballate come Reconsider (scritta da Keith Gattis), uno slow intenso e con un accompagnamento ricco alle spalle, mentre It Keeps On Workin’ è ancora sul versante rockin’ country, con un approccio maschio, da texano, e più di una rimembranza di Waylon Jennings: davvero bella.

State I’m In è languida e dal passo lento, impreziosita dalle voci della Krauss e di Johnson, God And Guns (che ha un testo che piacerà a chi ha votato per Trump) non aumenta il ritmo ma accresce notevolmente la dose di elettricità, e di nuovo si sentono elementi southern con l’aggiunta di un ritornello molto diretto https://www.youtube.com/watch?v=glPPQdjEx-Q , mentre Love Me è acustica e pacata, e mostra la faccia più romantica del nostro. If I Were The Devil, cadenzata e di stampo rock (ed ancora con più di un rimando al compianto Waylon), precede Burnt The Sawmill Down, luccicante ballata elettrica contraddistinta da una splendida steel ed il solito motivo di impatto immediato; il CD termina con The Bottom (di Waylon Payne), altro slow di buon livello e con un accompagnamento più languido che nei brani precedenti. Ormai Aaron Lewis ha trovato la sua strada artistica definitiva, e State I’m In lo conferma in pieno.

Marco Verdi