A New York Succede Anche Questo! Live From The Lowdown Hudson Blues Festival 2011

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Live From The Lowdon Hudson Blues Festival 2011 – Sojourn Records

Quest’anno a luglio, la terza edizione, se siete a New York in quel periodo non mancate!

Non entrerà  forse nella storia dei Festival più importanti, da Woodstock passando per Newport e Montreux, ma il Lowdown Hudson Blues Festival, di cui questa registrazione testimonia la prima edizione, tenuta nel cuore di New York City al World Financial Center Plaza tra il 28 e il 30 luglio del 2011, mi sembra abbia dei punti in comune soprattutto con un’altra delle istituzioni della musica americana, il New Orleans Jazz And Heritage Festival che si tiene tutti gli anni in quel di New Orleans. Almeno a giudicare dagli artisti impiegati e dalla musica che ruota intorno a questa manifestazione, che nel nome riporta il Blues come principale attività ma poi, all’atto pratico, si sviluppa in varie direzioni.

La Steve Bernstein’s Millennial Territory Orchestra è una band guidata da un trombettista (spesso utilizzato nei progetti di Hal Willner, ma era anche nei Midnight Ramblers di Levon Helm e nel tributo a Leonard Cohen, per segnalarne la ecletticità) che si muove tra jazz, funky e soul-blues ma che per l’occasione, ospitando nei suoi ranghi il pianista Henry Butler, nativo appunto di New Orleans, accentua il suo stile di rivisitazione creativa della musica anni ’20 e ’30, arricchendola con lo stile fluente del grande pianista cieco della Crescent City, Buddy Bolden’s Blues è un esempio glorioso di questo blues che viene dalla Lousiana, così come la lunga Viper’s Drag, che si ascolta più avanti nel concerto e che ha una  introduzione più funky-jazz, quasi avanguardistica alla Art Ensemble, prima di sciogliersi in un lungo assolo di Butler, ben coadiuvato peraltro dalla sezione fiati dell’orchestra,  che la riporta verso lidi tra blues e ragtime, molto piacevoli. L’altra formazione che presenta due brani in questo CD è quella di James Blood Ulmer con i Memphis Blood Blues che ospitano anche Vernon Reid dei Living Colour, altri artisti neri sempre in bilico tra jazz, blues e rock. Per l’occasione eseguono I Want To Be Loved un funky-blues sanguigno che appare in Memphis Blood, con il wah-wah minaccioso di Reid che viene oscurato dal violino dell’ottimo Charles Burnham e dal piano di Rick Steff, anche perché le chitarre, in fase di mixaggio risultano molto sullo sfondo.

Pure I Live The Life I Love, che viene dallo stesso album, come la precedente è stata scritta da Willie Dixon ed è un omaggio ai grandi del Blues, nella persona del più importante autore di casa Chess, e conferma Ulmer come uno degli ultimi “innovatori”, almeno a livello di suoni, del blues moderno, strano ma affascinante, sempre con il violino che si fa largo, tra organo e chitarre varie con uno stile urticante. The Beauties vengono definiti una band alternative country e non so cosa c’entrano con il resto, ma ragazzi è un Festival, forse perché il brano si chiama Fashion Blues? Comunque non sono male, il brano sembra una via di mezzo tra Lou Reed, i Talking Heads e i primi Modern Lovers, ma ti acchiappa. Amy Lavere viene da Memphis, Tennessee (ma è nativa di Shreveport, Lousiana), suona il contrabbasso, canta (tre dischi solisti all’attivo) e si esibisce anche nel quintetto bluegrass The Wandering (con Luther Dickinson e Valerie June) e in duo con Shannon McNally, Washing machine ha un testo surreale ma musicalmente è molto complessa e accattivante. Il blues più classico trionfa nella versione di I Wish You Would eseguita dal Danny Kalb Quartet, guidato da un musicista che era presente sulla scena folk-blues di NY già dagli inizi degli anni ’60 e poi è stato uno dei chitarristi della formazione originale dei Blues Project, nonostante i 70 anni passati ancora una voce e una grinta invidiabili, electric blues di gran classe.

Non conoscevo e non avevo mai sentito nominare i Citigrass, ma dicono che si tratta del migliore gruppo bluegrass di New York e a giudicare da questa Ain’t Gonna Change penso che mi farò un ripasso, ottime armonie vocali, non si finisce mai di imparare. Anche Ryan Shaw mi era sconosciuto ma fa dell’ottimo soul gospellato (come le truppe cammellate), bella voce e In Between è una delizia per gli amanti della musica nera. Mike Farris lo conosciamo bene, e da quando ha abbandonato gli Screaming Cheetah Wheelies si è trasformato in un perfetto cantante gospel e la versione di Oh Mary Don’t You Weep con la Roseland Rhythm Revue è da applausi a scena aperta, così come la fusione tra blues, jazz, klezmer, calypso e ritmi neri degli Hazmat Modine, in una formidabile I’ve Been Lonely For So Long, è memorabile, come un Taj Mahal (presente al concerto ma non nel CD) giovane, se Wade Schuman, che suona anche l’armonica alla grande, non fosse un bianco di Ann Arbor, Michigan.

Un disco eclettico ma assai interessante, degno di un Festival Blues (?!?) tenuto a New York City.

Bruno Conti