Questi Ci Danno Dentro Alla Grande! Moreland & Arbuckle – Just A Dream

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 Moreland And Arbuckle – Just A Dream – Telarc   

Capitolo terzo per il trio del Kansas, Moreland And Arbuckle che pubblicano questo Just A Flood il loro secondo album per la Telarc dopo l’esordio su NorthernBlues con 1861, e si confermano una delle migliori formazioni in circolazione con il loro Blues fortemente venato di rock. Come saprete non c’è un bassista nella formazione anche se il chitarrista Aaron Moreland (con chitarra modellata alla Bo Diddley), almeno su disco, si cimenta anche al basso. Dustin Arbuckle oltre ad essere la voce solista è anche un’armonicista di quelli “cattivi” con un suono sporco e distorto che spesso applica anche nelle parti cantate. Brad Horner picchia con gusto e varietà sui tamburi e, se devo essere sincero, il suono del gruppo, in molti brani mi ha ricordato quello del post British Blues, gruppi come Ten Years After, Savoy Brown, i Chicken Shack di Stan Webb, ma anche il John Mayall più tirato e persino i Cream. Sarà una mia impressione ma il suono roots che viene evocato o “affinità elettive” con ZZTop, Thorogood e gli alunni della Fat Possum, che indubbiamente ci sono, sono meno evidenti di quelle citate. Se proprio vogliamo avvicinarli a qualcuno di “moderno” pensate a dei Black Keys più “disciplinati” per quanto picchino sempre duro.

Dal travolgente inizio di The Brown Bomber con il pianino in overdrive di Scott Mackey che si aggiunge alla slide devastante di Moreland e alla voce e all’armonica distorte di Arbuckle è evidente che gli affari sono seri.

Just A Dream è forse il brano che più si avvicina a quel suono roots, tipo i Black Crowes o i Los Lobos in deriva blues ma con la giusta dose di radici e una chitarra dal suono pungente. Purgatory addirittura ha qualche aggancio con il sound dei primi Sabbath con un’armonica e un organo aggiunti mentre Travel Every Mile con un basso molto profondo in evidenza potrebbe essere un brano dei Cream a guida Jack Bruce, poderosa come sempre la slide di Moreland. Il suono che esce dalle casse nella cover di Heartattack and Vine di Tom Waits ricorda quello dei Bluesbreakers di Mayall anche nell’uso dell’organo e l’effetto è quello di una Help Me leggermente accelerata. Rispetto ai due dischi precedenti gli assoli di Moreland sono più frequenti e più articolati. L’hard slow blues di Troll quasi vira verso sonorità psichedeliche con l’organo di Tyson Hummel ad aumentare ancora una volta lo spettro sonoro. La brevissima Gypsy Violin privilegia scelte sonore inconsuete con uno strano call and response delle due voci.

Shadow Never Changes è “semplicemente” (sembra facile) una bella canzone dall’andatura ondivaga che nel dualismo chitarra/armonica ricorda i primi Blues Traveler, quelli più ispirati. Good Love a tempo di boogie potrebbe essere degli ZZTop, di Thorogood ma anche dei vecchi Canned Heat. Who Will Be Next è un brano scritto da Mel London, lo stesso di Manish Boy, Poison Ivy e altri successi di Waters e Howlin’ Wolf e ha un suono Chicago Blues “moderno”. Molto bella l’accoppiata finale con una tirata So Low dal suono agile e saltellante e una cover selvaggia di White Lightnin’ con l’autore Steve Cropper presente alla chitarra solista.

Bravi e “originali”. Si fa per dire! Nel piattume che ci propongono molte band troppo convenzionali che suonano blues al giorno d’oggi questi Moreland And Arbuckle si elevano sopra la media.

Bruno Conti      

Il Migliore Del “Colonnello”! Steve Cropper – Dedicated

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Steve Cropper – Dedicated – 429 Records/Fontana/Universal

Mi avevano detto di aspettare fino alla data di uscita prima di parlare di questo nuovo CD di Steve Cropper, ma visto che per l’Italia sarà il 30 di agosto, mentre negli Stati Uniti esce martedì prossimo 9 agosto rompo gli indugi e ve ne parlo. Il disco è molto bello, sicuramente il migliore come solista per Steve “The Colonel” Cropper che però, non dimentichiamolo, ha inciso una valanga di dischi con Booker T & The MG’s e suonato in tutti i dischi più belli della Stax, da Otis Redding a Sam And Dave passando per Wilson Pickett e Eddie Floyd. E poi, ed è il motivo per cui è conosciuto in Italia, ha suonato con i Blues Brothers di John Belushi e Dan Aykroyd.

E’ ancora un giovanotto, i 70 li compie il 21 ottobre, come testimonia questo disco, bellissimo come si è detto, ma anche per merito di ospiti e amici che suonano in questo tributo. Perché anche Cropper che è un “mito” ha avuto a sua volta degli “eroi” che nel suo caso erano i Five Royales uno dei gruppi storici del doo-wop e poi con contaminazioni con gospel e R&B anche del nascente soul che contribuirono a definire. In particolare Pete “Lowman”, uno dei tre fratelli Pauling, che era la colonna del gruppo e che, come in molte storie della musica non a lieto fine, morirà da alcolizzato nel 1973.

Ma prima ha fatto in tempo a scrivere alcune pagine indimenticabili con una serie di canzoni che resterranno sempre nella memoria collettiva della musica popolare (anche per merito di queste versioni).

Si parte con Steve Winwood che ci regala una 30 Second Lover scoppiettante che non ha nulla da invidiare ai suoi vecchi hits con lo Spencer Davis Group, visto che la voce rimane miracolosamente intatta nel tempo. Bettye Lavette ancora una volta si riconferma come la “vecchia” Diva del Soul più in forma e pimpante anche in questa Don’T Be Ashamed cantata in duetto con Willie Jones.

Breve intermezzo. Nel disco suonano: Steve Cropper, chitarra (eh va beh, ovvio), David Hood basso e Spooner Oldham, tastiere, in una inedita alleanza tra Stax e Muscle Shoals, Steve Ferrone e Steve Jordan si alternano alla batteria, Neal Sugarman dei Dap Kings (gruppo di Sharon Jones, ma anche di Amy Winehouse) si occupa dei fiati. Mentre Jon Tiven (che in alcune recensioni misteriosamente diventa Joe e suona i fiati, per la serie informarsi mai?) si occupa della produzione del disco insieme allo stesso Cropper. Voi direte, e come fai a saperlo? Perchè ho recensito un disco di un suo “protetto” Troy Turner jon%20tiven, e mi ha anche gentilmente ed educatamente ringraziato nei Commenti.

Fine intermezzo. Ovviamente con tutto quel ben di Dio di musicisti sarebbe difficile fare male. Proseguendo, troviamo Baby Don’t Do It in duetto tra un BB King in gran forma e la figlia di un suo “discepolo” Shemekia Copeland, diventata cantante di grande bravura. Molto particolare e godibile la versione di Dedicated To The One I Love che tutti ricordano nella versione di Mama Cass dei Mamas and Papas e che Lucinda Williams, non potendo competere a livello vocale, trasforma in un suo pezzo con l’aiuto di un altro “grande vecchio” Dan Penn.

John Popper (L’ex Blues Traveler) con armonica al seguito se la cava più che bene in My Sugar Sugar. Neanche a dire che quando siamo in ambito soul Delbert McClinton è nel suo elemento e la versione di Right Around The Corner è tra le cose migliori del disco. Nel disco di un chitarrista un brano strumentale non può mancare: e infatti ce ne sono due (facciamo due e mezzo), Help Me Somebody e Think, più Slummer The Slam, in duetto con Buddy Miller, che è anche cantato ma è l’occasione per “lasciare andare” le chitarre per i due musicisti. Uno potrebbe pensare che anche I Do il brano dove appare Brian May potrebbe essere uno strumentale e invece il vecchio “Queen” rispolvera le sue vecchie doti di “armonizzatore” usate in alcuni brani di Mercury e risulta tra i più rispettosi del doo-wop del brano originale, ovviamente modernizzato alle sonorità attuali.

Sharon Jones è, forse, la migliore delle cantanti soul delle ultime generazioni e la conferma è questa ottima e ritmata Messin’ up che potrebbe sembrare un brano di James Brown (che invece aveva cantato Think che qui appare come strumentale). Bettye Lavette le risponde con una sontuosa deep soul gospel ballad come Say it. Dan Penn era più noto come autore che come cantante ma qui sfoggia una voce alla Ray Charles bianco per una bellissima Someone Made You For Me.

Mancano due brani per concludere: Come On And Save Me, un duetto tra Dylan LeBlanc, che forse appare per meriti di famiglia (in quanto figlio di…), e ancora una esplosiva Sharon Jones. Lucinda Williams, “williamizza” se si può dire When I get Like This e conclude in gloria questo piacevole tributo. Inutile dire che Steve Cropper lavora di fino con la sua chitarra nella maggior parte dei brani, da perfetto “comprimario” di gran classe quale è sempre stato, non gregario o “spalla”.

Non ho trovato video in rete relativi a questo album per cui ho messo qualche “classico”, se volete altre informazioni home.html

Bruno Conti

Un “Giovane” Bluesman Da Baton Rouge, Lousiana. Troy Turner – Whole Lotta Blues

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Troy Turner – Whole Lotta Blues – Evidence Music

Come si evince dalla foto di fianco a quella della copertina del disco, Troy Turner, sin da giovane, aveva delle ottime frequentazioni! E qui già vedo le manine che si alzano. Ma non si dice nel titolo Un giovane bluesman da Baton Rouge, in effetti ho leggermente ciurlato nel manico: potrei parlarvi di seconda giovinezza o del fatto che un bluesman nero nato nel 1967 è un giovane a tutti gli effetti, anzi un bambino e non sarei lontano dalla verità.

In effetti la sua vera carriera inizia verso la fine degli anni ’80, primi ’90 con un terzetto di album molto ben accolto da critica e appassionati di blues, un bel tocco di chitarra, una voce potente ed espressiva, le giuste frequentazioni, sembra destinato ad una carriera strepitosa, almeno nel blues. E invece per il resto degli anni ’90, silenzio totale, che vuole dire comunque molti concerti, lavoro per altri artisti, ma carriera solista quasi azzerata. Di nuovo riappare nel 1999 con un ottimo album per la Telarc, Blues On My Back, sempre ottime critiche ma rimane uno one shot solitario per l’etichetta di Cleveland (che proprio recentemente ha pubblicato il nuovo album di Pinetop Perkins, 97 anni e non sentirli per l’ex pianista di Muddy Waters, quasi un record, il disco è pure bello).

Ma torniamo a Troy Turner, quel disco poi uscito per la Telarc doveva essere prodotto da Jon Tiven, ma gli fu preferito un altro produttore e altri musicisti.

Undici anni dopo (e qui si fa concorrenza a Peter Gabriel per i tempi tra un disco e l’altro) i due si ritrovano, Jon Tiven raduna nei suoi studi di Nashville, Tennessee un manipolo, si fa per dire, meglio, uno stuolo di musicisti e realizza questo Whole Lotta Blues sicuramente il miglior disco di Troy Turner e in generale un ottimo disco di Blues. La voce è rimasta ottima, potente ed espressiva, una sorta di B.B. King giovane, la chitarra è sempre tagliente e i risultati si sentono. Per chi non lo sapesse Jon Tiven è una sorta di “eminenza grigia” del soul e del blues, negli ultimi anni ha prodotto dischi di Wilson Pickett, Felix Cavaliere & Steve Cropper, gli ottimi Ellis Hook e Mason Casey, Little Milton, Betty Harris, Howard Tate, Sir Mack Rice, Don Covay e una moltitudine di altri, quelli che non sono prodotti da Joe Henry e T-Bone Burnett li produce tutti lui, se non c’è il budget arriva Tiven, andatevi a leggere la lista delle sue produzioni e collaborazioni perché è veramente impressionante.

Oltre a tutto non è che utilizzi musicisti di secondo piano: oltre a se stesso, alla chitarra e alle tastiere, sax e quant’altro, c’è la moglie Sally Tiven, ottima bassista e Troy Turner alla solista. Ma vediamo gli ospiti: come autori o co-autori dei brani, Hubert Sumlin, Jonel Mosser, Steve Cropper e Felix Cavaliere e Brian May nelle inconsuete vesti di compositore di brani blues, l’ottima e tirata Come To Your Senses. In questo brano, per la serie, come direbbero a Roma, “Mei cojoni”, la formazione è la seguente: alle chitarre soliste Leslie West e Steve Cropper, all’organo Reese Wynans e al basso David Hood, dai Muscle Shoals Studios nonché babbo di Patterson Hood dei Drive-by Truckers.

Negli altri brani si alternano, oltre agli ottimi Jonel Mosser, una sorta di Bonnie Raitt più giovane, autrice anche di ottimi abum in proprio e Howard Tate, uno dei miti del soul che molti ricorderanno (spero) come interprete di Get it While You Can resa poi celebre da Janis Joplin, questi due duettano con Turner: tra i musicisti, Simon Kirke, batterista di Free e Bad Company, Chester Thompson batterista spesso con i Genesis, Frank Zappa, Weather Report, Bobby Whitlock l’organista di Derek & The Dominos e Bonnie Bramlett, sempre per restare in campo Claptoniano quella di Delaney & Bonnie, una gran voce. Ma anche il già citato Mason Casey all’armonica, Max Middleton del Jeff Beck Group al piano e per finire in gloria questa è la formazione presente nell’ottima cover, peraltro l’unica, di Going Down di Don Nix.

Brian May, che quindi non compone solo ma suona pure, Leslie West, Audley Freed e Troy Turner alle chitarre, Bobby Whitlock all’organo, Bonnie Bramlett alle armonie vocali, Max Middleton al piano, David Hood al basso, l’unico Carneade sarebbe il batterista Martin Ditcham che peraltro ha suonato con Sade, Rolling Stones e Working Week, tra gli altri. Diavolo di un Jon Tiven.

In conclusione questo disco non sarà un capolavoro assoluto del blues, ma è un ottimo disco e in giro perchè chi ama il suo blues con le giuste spruzzate di soul, R&B e rock, tra i dischi nuovi non è facile trovare molto di meglio.

Bruno Conti