Un “Capolavoro” Della Musica Rock! Blues Project – Projections

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Blues Project – Projections – Sundazed Records – ****

Questo Projections è uno dei dischi “fondamentali” della storia della musica rock e di quell’anno straordinario che fu il 1966. Così come i Blues Project sono stati tra i gruppi più importanti di quel periodo fecondo di novità. Nati come prosecuzione del Blues Project che era una compilation di brani di artisti vari pubblicata dalla Elektra nel 1964, in cui appariva tra gli altri anche il musicista folk e blues Danny Kalb, originario della zona del Greenwich Village, che poi fu fulminato come molti musicisti dell’epoaca dalle prime apparizioni dei Beatles sul suolo americano e decise di formare una band rock. Il gruppo nacque nell’estate del 1965 intorno a un nucleo che oltre a Kalb vedeva Steve Katz anche lui alla chitarra, Andy Kulberg al basso e al flauto, Roy Blumenfeld alla batteria e il cantante Tommy Sanders. E con questa formazione si presentarono ad un provino per la Columbia dove vennero clamorosamente rimbalzati. Ma in quell’occasione conobbero Al Kooper, un ex chitarrista trasformato da poco in tastierista e reduce dal clamoroso successo della partecipazione a Like A Rolling Stone di Bob Dylan. I sei uniscono le forze e firmano per la Verve Folkways che li fa esordire con un buon disco dal vivo Live At The Cafe Au Go Go che mette in luce subito i loro grandi pregi.

I Blues Project (che nonostante il nome, non facevano solo Blues, anche ma non solo) erano uno dei primi gruppi “rock” della storia, una delle prime jam band dell’epoca, liberi di improvvisare, come i Grateful Dead loro contemporanei facevano sull’altro lato dell’America, tra psichedelia, lunghe cavalcate chitarristiche, ritmi soul e folk, tanto Blues, l’organo e il piano di Al Kooper in grande evidenza. Il primo disco Live è un buon disco ma il loro capolavoro è questo Projections uno dei dischi più “influenti” di quel periodo. Registrato nell’autunno del 1966, con la produzione di Tom Wilson (reduce dal lavoro nel brano citato di Dylan e che da lì a poco avrebbe prodotto il primo Velvet Underground), nella formazione del gruppo non c’è più il cantante Tommy Flanders e la parti vocali sono divise equamente tra Kalb, Katz e Kooper.

Onestamente Projections, sentito ancora oggi a 45 anni dall’uscita originale del novembre 1966, è un album formidabile, 9 brani per più di 50 minuti di musica di grande livello. La qualità sonora, anche con la rimasterizzazione in mono della Sundazed, non è fantastica, forse il suono del basso di Kulberg è più rotondo. Siamo sui livelli (anzi, forse inferiori come qualità sonora, ma è un parere personale che non inficia la validità del dischetto) delle precedenti edizioni in CD, quella degli anni ’90 che era uscita brevemente per la Mercury se non ricordo male e sempre a fine anni ’90 appariva nella sua interezza nel doppio Anthology pubblicato dalla Universal nella serie Chronicles, in stereo e anche con il meglio del resto della produzione del gruppo.

Comunque per chi vuole l’album puro e duro come fu concepito se lo ritrova in questo CD della Sundazed: si capisce che le cose sono serie fin dalle prime note di I Can’t Keep From Cryng Sometimes, un brano tradizionale arrangiato da Al Kooper che sin dalle prime svisate dell’organo e dai suoni in libertà delle chitarre lancinanti segnala la nascita di quel suono che poi avrebbe influenzato tutta la scuola californiana dai Grateful Dead passando per i Jefferson Airplane, i Doors e quanti altri possono venirvi in mente. Per non parlare dei Ten Years After che avrebbero fatto di questo brano un formidabile tour de force per le loro improvvisazioni dal vivo.

In un baleno ci ritroviamo nel folk barocco e psichedelico a tempo di minuetto della Steve’s Song firmata da Katz, sognante e ricercata ricorda il suono dei primi esperimenti nel rock di Donovan sull’altro dell’oceano. Altro cambio di scena e siamo nel rock’n’roll bluesato della cover di You Can’t Catch me di Chuck Berry con le chitarre lievemente acide che duettano con il pianino di Kooper e nel finale se ascoltate attentamente si riconosce il riff di I’m Going Home del nostro amico Alvin Lee che evidentemente sulla musica del gruppo ci ha costruito una carriera.

Two Trains Running raccoglie undici minuti di pura magia sonora, un lungo slow blues torrido e cadenzato che riprende un brano del repertorio di Muddy Waters e lo trasforma in una delle prime cavalcate rock-blues, in contemporanea con la nascita della Butterfield Blues Band e i primi passi del British Blues, senza dimenticare che questo stile era già presente, in embrione, nel disco dal vivo pubblicato un anno prima. Al Kooper è già uno dei più grandi organisti della storia del rock nel blues come avrebbe confermato con la sua Supersession di un paio di anni dopo. Se non vi basta c’è anche Wake Me, Shake Me che è un altro traditional arrangiato da Kooper e che presenta anche  aspetti rock&soul non dissimili da quanto faceva Stevie Winwood con lo Spencer Davis Group in Inghilterra o in ambito più beat i primi Them di Van Morrison e anche gli Stones.

E poi c’è pure Ma Che Colpa Abbiamo Noi dei Rokes, o meglio Cheryl’s Going Home di Bob Lind  splendido esempio di quel pop psichedelico e flower power che sarebbe nato l’anno successivo. Non manca la prima versione di Flute Thing, un brano strumentale scritto da Al Kooper e guidato dal flauto di Andy Kulberg che scivola verso percorsi easy jazz duettando con l’organo, il piano e l’ondioline di Kooper e le due soliste e che sarebbe poi riapparsa nel repertorio dei Seatrain, il gruppo post Blues Project degli anni ’70.

Si conclude con un altro formidabile blues come Caress me Baby firmata da Jerry Reed ricca di tensione e assoli e la conclusiva Fly Away che i tipi della Sundazed sicuramente per un refuso di stampa attribuiscono a Reed ma è un brano di Al Kooper, un piacevole brano pop con l’armonica di Katz in evidenza ma non particolarmente memorabile. I due Kooper e Katz, nel 1968 avrebbero fondato i grandi Blood, Sweat & Tears ma quella è un’altra storia.

Per il momento “accontentiamoci” di questo Projections uno dei dischi più belli di quel periodo d’oro e che non può mancare in nessuna discoteca che si rispetti. Super consigliato.

Bruno Conti