Un’Altra Perla Sbucata Dalle Nebbie Del Passato. The Steve Miller Blues Band – Live From The Fillmore West 1968

The Steve Miller Blues Band - Live From The Fillmore West 1968

The Steve Miller Blues Band – Live From The Fillmore West 1968 – Retroworld/Floating World Records

In questo ultimo periodo mi è capitato più volte di occuparmi di Steve Miller, incluso un lungo articolo retrospettivo pubblicato sul finire del 2019 https://discoclub.myblog.it/2019/12/07/steve-miller-band-tra-blues-rock-e-psichedelia-parte-i/ , ma quando dalle nebbie del passato miracolosamente appare qualche “nuova” testimonianza del periodo fine anni ‘60, tra blues e psichedelia, è quasi doveroso portarlo alla vostra attenzione. Come è il caso di questo Live From The Fillmore West 1968, un broadcast radiofonico della emittente KFA Radio, relativo a tre serate speciali del 26/27/28 Dicembre appunto del ‘68, dove il gruppo si esibì insieme a Sly And The Family Stone e ai Pogo (che da lì a breve sarebbero diventati i Poco di Richie Furay). Due o tre precisazioni: il disco è attribuito alla Steve Miller Blues Band, ma, come evidenzia la locandina dell’evento, erano già la Steve Miller Band, avendo pubblicato due album con quel nome durante l’anno, nelle note viene ricordato che Boz Scaggs non era presente, in quanto se ne era andato a Settembre ‘68, ma come mi pare di desumere da altro materiale degli archivi di Bill Graham https://www.wolfgangs.com/music/steve-miller-band/audio/20053982-6771.html?tid=4884717 , sembrerebbe ancora presente nella line-up della Band, almeno nella data del 29, quindi non una di queste, ma dubito che 3 date no e poi una sì, e comunque mi sembra proprio la sua voce, oltre che una canzone scritta da lui, l’iniziale Stepping Stone.

E infine, rispetto anche ad altri CD che riportano date dal vivo dell’epoca, soprattutto del ‘67, la qualità sonora non è perfetta ma è più che soddisfacente. E la chicca della serata è la presenza di Paul Butterfield all’armonica in alcune tracce: con loro ci sono Lonnie Turner al basso, Tim Davis alla batteria e Jim Peterman alle tastiere: a prescindere dalla formazione, il concerto è favoloso, appunto l’iniziale Stepping Stone è testimonianza della furia chitarristica di uno Steve Miller infoiato con il pedale wah-wah costantemente inserito per un brano di una potenza devastante, dove il nostro emula le evoluzioni di Hendrix in salsa psych-blues. Mercury Blues è un brano che Miller e soci avevano già eseguito al Monterey Pop Festival, e inciso nella colonna sonora di Revolution, canzone che poi sarebbe entrata a far parte del repertorio dei Kaleidoscope di David Lindley, anche in questo caso wah-wah a manetta con Steve che impazza per gli oltre sette minuti del brano, con la band che lo segue come un sol uomo.

In Blues With A Feeling il nostro amico invita Paul Butterfield sul palco per una sanguigna ripresa di questo classico del blues, uno slow di Little Walter dove Miller distilla dalla sua chitarra una serie di assoli degni di Magic Sam o Buddy Guy, ottimamente spalleggiato da un ispirato Butterfield, che poi rimane anche per la jam improvvisata di Butterfield Blues, con botta e risposta tra i due, e si sente anche un’altra chitarra, quindi probabilmente Scaggs era presente, ma io non c’ero quindi… Paul rimane sul palco anche per le sublimi volute psichedeliche di una sontuosa, lunga ed improvvisata Song For Our Ancestors, e anche Roll With It, un lato B dell’epoca ha profumi acidi e psych, come pure una lunga cover di un brano degli Isley Brothers (altri pionieri del rock e del soul miscelati tra loro, come Sly Stone che divideva il palco con Miller in quella serata) quasi dieci minuti di blues-rock tirato e di grande potenza, con Steve sempre impegnatissimo alla solista, con Peterman di supporto all’organo, oltre alla seconda chitarra, e qualche deriva funky aggiunta come sovrappiù alle operazioni, con il gruppo in un continuo crescendo irresistibile.

Steve Miller Band Vintage Concert Poster from Fillmore West, Dec 26, 1968 at Wolfgang's

Drivin’ Wheel è una cover di Roosevelt Sykes che Miller suona dal vivo ancora oggi , un altro blues che parte lento e poi diventa un brano di grande intensità, anche con forti connotazioni rock, e ancora un electric blues Chicago style come Bad Little Woman, per concludere in gloria una splendida esibizione, sempre con uno Steve Miller molto ispirato alla chitarra. Una piacevole sorpresa. *NDB Documenti sonori di quel concerto in rete non ce ne sono, vi dovete comprare il CD, quindi ne ho messi un paio sempre del 1968, ma vi assicuro che la qualità del suono di questo Live From The Fillmore West benché lungi dall’essere perfetta è nettamente superiore, e raramente mi è capitato di sentire la Steve Miller Band suonare così bene dal vivo.

Bruno Conti

Riprende La Campagna Di Ristampe Deluxe Di Sir Paul, Con Uno Dei Suoi Dischi Migliori Di Sempre. Paul McCartney – Flaming Pie

paul mccartney flaming pie

Paul McCartney – Flaming Pie – Capitol/Universal 2CD Deluxe – 2LP – 3LP – Super Deluxe 5CD/2DVD Box Set – Uber Deluxe 5CD/2DVD/3LP/45rpm Box Set

A poco più di un anno e mezzo dalla doppia uscita Wild Life/Red Rose Speedway ecco il tredicesimo capitolo delle ristampe potenziate del catalogo di Paul McCartney, in assoluto una delle serie più amate (ma anche più discusse) dai fans: se molti pronostici, incluso il mio, indicavano un’altra doppia pubblicazione che avrebbe chiuso gli anni settanta, cioè London Town e Back To The Egg (album quest’ultimo verso il quale ho sempre avuto un debole, e che andrebbe assolutamente rivalutato), Macca ha spiazzato tutti scegliendo quello che a tutti gli effetti è il lavoro più recente tra quelli presi in esame finora in questa serie, vale a dire Flaming Pie del 1997. Una scelta che comunque ha suscitato reazioni positive (anche nel sottoscritto, per quanto può valere), dato che stiamo parlando di uno degli album migliori dell’ex Beatle, anzi forse il suo ultimo vero grande disco, nonostante in seguito abbia ancora pubblicato lavori più che positivi come Chaos And Creation In The Backyard ed il recente Egypt Station: personalmente lo metto nella mia Top Three degli album di Paul, ultimo di un’ideale trilogia che comprende anche Band On The Run e Tug Of War.

Flaming Pie (che prende il titolo dal famoso sogno nel quale un giovane John Lennon vide un uomo uscire da una “pie” fiammeggiante – dove per “pie” si intende il tipico pasticcio di carne della cucina inglese – pronunciando la celebre frase “Voi sarete i Beatles con la A!”) è infatti un disco splendido, ispirato e pieno di grandi canzoni, un lavoro di un McCartney tirato a lucido ed in forma come non mai, con alcuni dei suoi brani migliori degli ultimi 30-40 anni. Il fatto che otto brani su quattordici siano prodotti dal mio “amico” Jeff Lynne (gli altri sei vedono alla consolle lo stesso Paul, quattro da solo e due con lo storico produttore dei Fab Four George Martin) non influenza il giudizio, al massimo è la classica ciliegina sulla torta. Lynne all’epoca era reduce dal progetto The Beatles Anthology per la quale aveva supervisionato i due brani nuovi Free As A Bird e Real Love, e sembrò a tutti una cosa naturale che alla fine l’ex ELO finisse per collaborare direttamente con Paul. Flaming Pie è anche l’ultimo album in cui compare l’amata moglie di Paul, Linda, già colpita dal tumore che la porterà via con sé nel 1998; oltre a McCartney, Linda e Lynne non è che il disco contenga molti altri musicisti: Paul e Jeff si occupano di gran parte degli strumenti, mentre in alcune canzoni alla batteria troviamo il vecchio compagno Ringo Starr ed alla chitarra solista in tre pezzi addirittura Steve Miller, amico di Paul da una vita (e nel brano Heaven On A Sunday l’assolo di chitarra è dell’allora diciannovenne figlio di Macca, James McCartney).

La ristampa di Flaming Pie esce nella solita varietà di formati, ed il top di gamma “umano” (sì perché c’è anche una versione mastodontica venduta solo sul sito di Paul a quasi seicento euro, e che incredibilmente non aggiunge neanche un minuto di musica rispetto al cofanetto “normale”) è il classico box Super Deluxe ricchissimo di contenuti visivi, con un libro davvero magnifico che raccoglie una lunga serie di bellissime foto di Paul in studio ed in famiglia (ed anche alcuni scatti insieme a George e Ringo per l’Anthology), una riproduzione del songbook originale ed un libretto di ricette di Linda con sei tipi diversi di pasticci di carne. Ma, memore delle critiche feroci piovutegli addosso per la ristampa di Flower In The Dirt, anche il contenuto musicale è più ricco che mai, e prosegue la nuova tendenza inaugurata con Wild Life e Red Rose Speedway: nonostante ciò, i circa 250 euro chiesti per questa edizione sono davvero esagerati. Il primo CD contiene ovviamente la versione rimasterizzata del disco originale, un lavoro ribadisco splendido.

Le tipiche ballate di Paul sono il frutto di un artista veramente ispiratissimo, deliziosi bozzetti come The Song We Were Singing, Calico Skies (un brano che ricorda Blackbird, ancora oggi nelle setlist dal vivo), Little Willow, Great Day (che invece rimanda curiosamente al piccolo frammento del White Album prima di Revolution # 9), e soprattutto le straordinarie Somedays, piccolo gioiello acustico con la raffinata orchestrazione di Martin ed una melodia da brividi, e la pianistica Beautiful Night, dotata anch’essa di un motivo di prima qualità ed un finale corale travolgente con il vocione di Ringo in evidenza (la canzone ha origini antiche, in quanto era stata incisa già nel 1986 ma inspiegabilmente lasciata in un cassetto). La produzione di Lynne qui è meno caratterizzante del solito, se si eccettuano il trascinante rock’n’roll della title track ed il coinvolgente pop-rock della bella The World Tonight, che sembra una outtake dei Traveling Wilburys.

E poi c’è Steve Miller che fa sentire la sua chitarra nella rockeggiante If You Wanna, nella jam session cruda e bluesata Used To Be Bad, nella quale duetta con Paul anche vocalmente, e soprattutto nella squisita Young Boy, una di quelle pop songs irresistibili che solo Paul è in grado di scrivere e che all’epoca uscì come primo singolo. Chiudono il cerchio la raffinata Heaven On A Sunday, dal tocco jazzato, il godibile errebi bianco di Souvenir e Really Love You, collaborazione più unica che rara a livello di scrittura tra Paul e Ringo e musicalmente una pura improvvisazione sullo stile di Why Don’t We Do It In The Road?

Il secondo dischetto del box è riservato agli Home Recordings di 11 dei 14 brani del disco, incisi da Paul tra il 1993 ed il 1995, voce, chitarra acustica e piano; se i pezzi di stampo acustico sono simili a quelli conosciuti, le sorprese riguardano The World Tonight, If You Wanna, Young Boy (qui ancora intitolata Poor Boy) e Flaming Pie, estremamente gradevoli anche in questa veste “stripped-down” (per la serie: se una canzone è bella, è bella sempre). Con il terzo CD ci spostiamo in studio (The Mill Studios nel Sussex, di proprietà di Paul, dove è stato inciso il disco): qui possiamo ascoltare i demo acustici, solo Paul e Linda, di Great Day, Calico Skies e If You Wanna, un work in progess di Beautiful Night con Paul e Ringo, una lunga versione alternata e non troppo rifinita di Heaven On A Sunday, un breve accenno di poco più di un minuto di C’mon Down C’mon Baby, brano mai più ripreso in seguito (ed a sensazione non ci siamo persi molto), e quattro “rough mix” di tre pezzi che finiranno sull’album ed uno, Whole Life (un discreto funk-rock inciso con Dave Stewart), che verrà usato sulla compilation a scopo benefico One Year On.

E veniamo al quarto dischetto, che inizia con un brano molto particolare: si tratta della nota collaborazione tra Paul ed Allen Ginsberg in The Ballad Of The Skeletons, una poesia del grande artista americano messa in musica proprio da Macca ed incisa con una superband che vede al suo interno oltre allo stesso Paul Lenny Kaye, Philip Glass, David Mansfield e Marc Ribot. Il brano, per chi non lo conoscesse, è una bella sorpresa: Ginsberg recita in maniera molto musicale, l’accompagnamento è elettrico al punto giusto (sembra quasi un pezzo di Lou Reed) e l’insieme risulta addirittura trascinante. Il CD prosegue con quattro b-sides, le prime due rispettivamente ancora con Lynne e Miller, ma se la funkeggiante Looking For You non è il massimo, il blues elettroacustico Broomstick non è affattto male; le altre due, Love Come Tumbling Down e la sofisticata Same Love (con il grande Nicky Hopkins al piano), risalgono addirittura al biennio 1987-88, ed avrebbero potuto occupare tranquillamente entrambe due lati A.

La parte finale del dischetto è appannaggio di sei diversi capitoli della saga di Oobu Joobu, una trasmissione radio curata da Paul in cui l’ex Beatle parlava, scherzava e cazzeggiava, ma mandava in onda anche canzoni inedite: qui possiamo ascoltare una serie di brani registrati nel 1986 (alcuni con la produzione di Phil Ramone), tra cui la versione originale di Beautiful Night incisa con la band di Billy Joel, le orecchiabili Don’t Break The Promise e Love Mix e le meno riuscite I Love This House, Atlantic Ocean e Squid, tutte rovinate da orribili sonorità sintetizzate tipiche degli anni ottanta. Il quinto CD, intitolato Flaming Pie At The Mill, è uno spoken word di un’ora circa in cui Paul ci illustra il suo studio e parla del disco (di difficile ascolto se non siete di madre lingua), mentre gli episodi salienti dei due DVD sono i vari videoclip promozionali ed il documentario In The World Tonight (che ricordo all’epoca aveva trasmesso anche la RAI).

Un cofanetto quindi decisamente esauriente (ma, ripeto, costosissimo), che ci fa riassaporare in profondità uno dei più bei lavori di sempre di Sir Paul McCartney: non credo che con la prossima uscita ci si spingerà ancora più avanti come periodo, e quindi punto fin da ora sull’accoppiata di cui vi parlavo prima London Town/Back To The Egg (a meno che Paul non decida di rischiare e sorprenderci di nuovo con i criticatissimi Give My Regards To Broad Street e Press To Play).

Marco Verdi

Il 31 Luglio Esce Flaming Pie, La 13a Uscita Della Serie Delle Ristampe Di Paul McCartney

paul mccartney flaming pie

Paul McCartney – Flaming Pie – MPL/Capitol/Universal – 2 CD – 2 LP – Limited 3 LP Boxset – Superdeluxe 5 CD + 2 DVD – 31-07- 2020

Dopo il lungo lockdown, anche a livello discografico, l’estate sta portando ad un ritorno, sia pure ancora prudente, e con ulteriori diversi rinvii, anche all’ultimo momento, delle date di uscita, alla pubblicazione di parecchi nuovi album, anche nell’ambito dei cofanetti. Ne sono stati annunciati parecchi, e altri si aggiungono con cadenza nuovamente vivace.

Questo di Flaming Pie di Paul McCartney è sicuramente uno dei box più lussuosi (e ovviamente costosi, con un prezzo indicativo intorno ai 250 euro, ma c’è anche una Collector’s Edition limitata a 3.000 copie, con quattro vinili aggiunti, che sul sito di Macca costa 600 euro): oltre al contenuto discografico, il cofanetto, rivestito di panno, contiene, oltre a memorabilia assortita, che allargando l’immagine sopra, o guardando il video, potete verificare, il solito librone rilegato da 128 pagine (e anche gli Stones con Goats Head Soup per la prima volta seguiranno l’esempio) ricco di interviste, foto inedite di Linda, informazioni brano per brano, anche sui musicisti impiegati, tra cui alcuni ospiti di pregio, da Jeff Lynne, che co-produce il disco con Paul e George Martin, a Steve Miller, Ringo Starr, anche il figlio di Paul, James McCartney, che all’epoca aveva 20 anni, e una miriade di altri strumentisti, che fanno sì che questo album del 1997 sia uno dei migliori della sua produzione solista, anche per le canzoni presenti, tra cui ce ne sono parecchie di ottima qualità. Nella confezione anche 2 DVD, ma pure un CD parlato Flaming Pie At The Mill: negli altri 4 CD troviamo il disco originale rimasterizzato, un dischetto di registrazioni casalinghe e demo, un altro di studio tracks varie, e infine le B-sides di singoli, mix, e mini cd, per un totale di 32 canzoni extra.

Come al solito a seguire trovate il contenuto completo del cofanetto.

[CD1]
The Song We Were Singing
The World Tonight
If You Wanna
Somedays
Young Boy
Calico Skies
Flaming Pie
Heaven On A Sunday
Used To Be Bad
Souvenir
Little Willow
Really Love You
Beautiful Night
Great Day

[CD2: Demos & Home Recordings]
The Song We Were Singing [Home Recording]
The World Tonight [Home Recording]
If You Wanna [Home Recording]
Somedays [Home Recording]
Young Boy [Home Recording]
Calico Skies [Home Recording]
Flaming Pie [Home Recording]
Souvenir [Home Recording]
Little Willow [Home Recording]
Beautiful Night [1995 Demo]
Great Day [Home Recording]

[CD3: Studio Tracks]
Great Day [Acoustic]
Calico Skies [Acoustic]
C’mon Down C’mon Baby
If You Wanna [Demo]
Beautiful Night [Run Through]
The Song We Were Singing [Rough Mix]
The World Tonight [Rough Mix]
Little Willow [Rough Mix]
Whole Life [Rough Mix]
Heaven On A Sunday [Rude Cassette]

[CD4: B-Sides]
The Ballad Of The Skeletons
Looking For You
Broomstick
Love Come Tumbling Down
Same Love
Oobu Joobu Part 1
Oobu Joobu Part 2
Oobu Joobu Part 3
Oobu Joobu Part 4
Oobu Joobu Part 5
Oobu Joobu Part 6

[CD5]
Flaming Pie At The Mill (Spoken Word)

[DVD1]
In The World Tonight (Documentary)

[DVD2]
Beautiful Night
Making Of Beautiful Night
Little Willow
The World Tonight [Dir Alistair Donald]
The World Tonight [Dir Geoff Wonfor]
Young Boy [Dir Alistair Donald]
Young Boy [Dir Geoff Wonfor]
Flaming Pie Epk 1
Flaming Pie Epk 2
In The World Tonight Epk
Flaming Pie Album Artwork Meeting
Tfi Friday Performances
David Frost Interview

Per tutti gli ulteriori dettagli ed una disamina della parte musicale, dopo l’uscita del manufatto troverete sul Blog un resoconto dettagliato.

Bruno Conti

Dischi Dal Vivo, “Nuovi E Vecchi”, Più O Meno Ufficiali! Parte 1: Neil Young, Rick Derringer, Stevie Nicks, Lucinda Williams, Howard Wales & Jerry Garcia, Copperhead, Cold Blood, Steve Miller

neil young in a rusted

Sul Blog ho parlato spesso di questi live, più o meno ufficiali (direi meno), quasi sempre incisi bene, tratti da broadcast radiofonici e pubblicati da varie etichette “misteriose”. Li ho recensiti sia in breve, nella rubrica delle anticipazioni discografiche, sia per esteso, ad esempio, recentemente, quelli di Steve Miller http://discoclub.myblog.it/2015/04/11/stadium-rock-depoca-steve-miller-giants-stadium-east-rutherford-n-j-25-06-78/, James Taylor http://discoclub.myblog.it/2014/10/18/vecchi-buoni-james-taylor-feel-the-moonshine-georgia-on-my-mind/, Bonnie Raitt http://discoclub.myblog.it/2015/01/13/i-primi-passi-bonnie-raitt-under-the-falling-sky/, tanto per citarne alcuni, ma nel Blog ne trovate molti altri. Purtroppo spesso manca il tempo per parlare di tutti, almeno i più interessanti, quindi, a cominciare da oggi, vi segnalo, in breve e divisa in più parti, una consistente serie di questi concerti dal vivo.

Partiamo con Neil Young & Crazy Horse In A Rusted Out Garage Tour ’86, lo vedete effigiato sopra, etichetta Air Cuts, qualità sonora tra il discreto e il buono, però gran concerto, Live at “Cow Palace”, San Francisco (CA), 21/11/1986, trasmesso dalla radio FM americana; occhio perché circola anche con altri titoli, comunque sempre di non facilissima reperibilità.

rick derringer at the whisky a go-go

Stessa etichetta anche per Rick Derringer Live At The Whisky A Go Go, February 18, 1977, è lo stesso anno del Derrringer Live, il buon Rick apriva per i Led Zeppelin nel loro ultimo tour americano ed era in gran forma come dimostra questo brano https://www.youtube.com/watch?v=GxS-yKBioJ8. Qualità sonora del broadcast decisamente buona.

stevie nicks the summit

Ancora Air Cuts anche per questo Stevie Nicks The Summit, Houston, Texas, October 6th 1989 trasmesso dalla KSAN-FM Radio. Qulaità sonora buona, ma è il sound anni ’80, tipico del periodo, che è “orrido”.

lucinda williams live on texas music

Qui siamo proprio all’inizio della carriera di Lucinda Williams Live On Texas Music Austin, TX, 4th October 1981, la vede nelle vesti della folksinger dei primi tempi, anche se in alcuni brani è accompagnata dal trio di Austin Uncle Walt, mai sentiti ad onor del vero. Qualità sonora discreta, etichetta sempre Air Cuts, tratta da una famosa trasmissione texana che credo sopravviva tuttora in versione televisiva.

howard wales and friends

Questo è un doppio CD, uscito già da qualche mese per la Echoes, qualità sonora eccellente, da avere assolutamente, attribuito a Howard Wales And Friends With Jerry Garcia Symphony Hall, Boston 26th January 1972, nel tour per promuovere l’album Hooterholl http://discoclub.myblog.it/2010/11/15/il-primo-disco-da-solista-di-jerry-garcia-con-howard-wales-h/, oltre a Jerry Garcia, chitarra e voce e Howard Wales, tastiere e voce, c’erano Roger Troy degli Electric Flag al basso e Jim Vincent degli H.P. Lovecraft alla chitarra, Jerry Love alla batteria https://www.youtube.com/watch?v=-2–JM8Ckyc. 

coppehead live at winterland 1973

Raro concerto dal vivo, Live At Winterland, September 1st 1973, nel caso in questione su etichetta Keyhole, pubblicato su CD da un annetto e relativo al quartetto che Cipollina formò nel 1973 dopo avere lasciato i Quicksilver: questa è la formazione della band, attiva solo quell’anno, John Cipollina – lead guitar; Gary Philippet – vocals, guitar, organ; Jim McPherson – vocals, bass, piano; David Weber – drums. Il set, durata poco meno di un’ora, nove brani in tutto, viene dagli archivi di Bill Graham, e quindi la qualità sonora è ottima, con la chitarra di John Cipollina in grande evidenza https://www.youtube.com/watch?v=Qx2ONAJQIjM, il gruppo era superiore come caratura alla relativa “oscurità” che ha avuto a livello discografico grazie all’unico disco pubblicato per la Columbia nella primavera del ’73.

cold blood live at the fillmore west

Altro piccolo pezzo di storia riportato in questo CD, edito ancora dalla Keyhole nel luglio del 2014, riguarda un’altra band della Bay Area, attiva già dal 1969, i Cold Blood, formazione  che venne consigliata al solito Bill Graham da Janis Joplin. Si trattava di un ensemble di nove elementi, con fiati, che mescolava il classico sound acido della West Coast, con funky, blues, molto soul e jazz, tanto da essere considerati uno dei primi gruppi di quel genere che poi sarebbe stato definito blue-eyed soul, ma di quello bello tosto. Il leader e fondatore della band era il chitarrista Larry Field, ma la stella era Lydia Pense, una cantante jopliniana dalla notevole estensione vocale, ideale per il suono ibrido del gruppo: anche questo CD  Live at the Fillmore West 30th June 1971, viene dagli archivi dell’impresario americano e ha circolato in passato come bootleg, pur con qualità sonora sempre eccellente. Se amate la Joplin qui c’è trippa per gatti! Questo è il concerto del giorno prima…

Domani proseguiamo con altri album, lo Steve Miller nel titolo del Post è quello che trovate linkato all’inizio.

Bruno Conti

Più Che Un Tributo, Una Goduria! The Art Of McCartney

art of mccartney 2 cd art of mccartney 2 cd + dvd

The Art Of McCartney – Arctic Poppy 2CD – Deluxe 2CD/DVD – Super Deluxe 4CD/DVD/4LP/USB

E’ solo negli ultimi anni che la critica “intelligente” ha riabilitato e sdoganato Paul McCartney. Infatti, per decenni il buon Paul era considerato l’anima poppettara e commerciale dei Beatles, a lui si preferiva di gran lunga John Lennon, che rappresentava alla perfezione l’essenza di artista radical-chic, con cuore a sinistra e portafoglio a destra (e lussuoso appartamento nell’Upper West Side di New York), o anche George Harrison (da sempre il Beatle preferito da chi scrive), per la sua riservatezza, la sua spiritualità, il suo sarcasmo e la sua elegante e raffinata tecnica chitarristica (Ringo Starr è invece sempre stato visto come il simpaticone del gruppo e basta).

art of mccartney super deluxe

A concorrere all’opera di riabilitazione artistica di McCartney un posto di primo piano lo occupa questo sontuoso tributo appena uscito, The Art Of McCartney, nel quale le canzoni dell’ex scarafaggio vengono rivisitate da una serie impressionante di artisti.

Il curatore e produttore del progetto, Ralph Sall, è un esperto del settore, avendo in passato pubblicato lo splendido Deadicated, che omaggiava i brani dei Grateful Dead, ed il popolarissimo Common Thread, dedicato agli Eagles (Stoned Immaculate, che riguardava le canzoni dei Doors, è meno conosciuto). Sall ha impiegato ben undici anni per mettere insieme il cast presente su questo tributo (non faccio nomi per ora per non ripetermi dopo), ma il risultato finale lo premia oltremodo: The Art Of McCartney è un lavoro splendido, nel quale tutti gli artisti coinvolti hanno dato il meglio, con esiti quasi sempre eccellenti, specie nel primo CD, che sfiora a mio parere il massimo dei voti.

art of mccartney paul mccartney

Certo, ci sono dei brani sottotono, qualche assenza importante (la più clamorosa quella di Ringo, ma aggiungerei anche quella di Elvis Costello, che alla fine degli anni ottanta collaborò con Paul alla stesura di varie canzoni), ma è il classico pelo nell’uovo: The Art Of McCartney è senza dubbio il tributo dell’anno, ed uno dei più belli degli ultimi anni.

Merito anche dell’idea di Sall di usare come house band, tranne pochi casi, il gruppo che da anni accompagna Paul dal vivo, e che quindi conosce le canzoni a menadito: Brian Ray, Rusty Anderson, Paul “Wix” Wickens ed Abe Laboriel Jr.

E poi ci sono, naturalmente, le canzoni, molte delle quali sono tra i capolavori degli ultimi cinquant’anni. L’album esce in versione standard doppia con 34 canzoni, doppia con un DVD che presenta un documentario sulla realizzazione (che al momento non ho ancora visto), ed una Super Deluxe Edition con un CD aggiuntivo con otto brani extra, un altro CD che però è la parte audio del documentario, il DVD, quattro LP colorati con tutte le 42 canzoni ed una chiavetta USB a forma di basso Hofner con i pezzi dei primi due dischetti (oltre ad uno splendido libro, vari poster, ecc.).

Ed è proprio questa versione che vado ad esaminare.

art of mccartney billy joel maybe

Il tributo si apre con il redivivo Billy Joel che rifà alla grande Maybe I’m Amazed, la prima grande canzone del Paul solista: Billy è in ottima forma, è ancora in possesso di una gran voce, e la band fornisce un background lucido e potente. Non male come inizio https://www.youtube.com/watch?v=8nJZwRIy8G8 .

art of mccartney dylan

Il fiore all’occhiello del lavoro è senza dubbio la presenza di Bob Dylan: il Vate rifà alla sua maniera Things We Said Today, uno dei brani simbolo del periodo noto come Beatlemania, la band lo segue con discrezione e Bob dylaneggia alla grande, secondo me divertendosi non poco https://www.youtube.com/watch?v=efr5XyMd-sw .

art of mccartney ann wilson

Mi sono sempre piaciute le Heart (soprattutto Nancy Wilson, e non solo musicalmente), e con Band On The Run, una delle grandi canzoni di Paul, hanno gioco facile: il brano si impenna come al solito con l’arrivo del tema centrale ed Ann Wilson si dimostra una cantante di peso (battuta scontata, lo so) https://www.youtube.com/watch?v=mXBLUmAo0j8 .

Steve Miller negli ultimi anni ne ha azzeccate poche, ma Junior’s Farm è una pop song gradevole e Steve non delude; di primo acchito The Long And Winding Road non è il primo pezzo che assocerei a Cat Stevens (o Yusuf che dir si voglia), ma il Gatto è ancora un grande e la sua versione, pianistica e senza l’overdose di archi dell’originale dei Beatles, è ben fatta.

Quel piacione di Harry Connick Jr. se la vede con My Love, un brano che mi ha sempre lasciato indeciso: melodia bellissima ma arrangiamento troppo zuccheroso nell’originale di Paul (anzi, dei Wings), e qui il dubbio rimane perché Harry non cambia una virgola, anche se la voce non è male.

art of mccartney brian wilson

Ed ecco uno degli highlights del triplo CD: Brian Wilson si porta la sua band da casa e ci regala una versione scintillante di Wanderlust https://www.youtube.com/watch?v=kG9tXM_x_1o , uno dei brani di punta di quel grande disco che era Tug Of War. L’ex leader dei Beach Boys è in forma smagliante, e se non fosse per il “giovanotto” che incontreremo tra due brani, la palma del migliore se la aggiudicherebbe lui. Bluebird, per contro, è un pezzo che non ho mai amato, e Colinne Bailey Rae non fa molto per farmi cambiare idea.

willie nelson yesterday

Non pensavo di dover arrivare nel 2014 per ascoltare la versione definitiva di Yesterday, un brano che vanta circa 315.600 riletture, eppure Willie Nelson riesce, con il solo ausilio della sua voce, di tre strumenti in croce e di tonnellate di feeling, a regalarci qualcosa di meraviglioso, al limite del commovente: a 81 anni Willie è ancora uno dei numeri uno, e che voce… https://www.youtube.com/watch?v=0KZYBvkVq0M

Da brividi.

barrygibb-wide

Il mio amico Jeff Lynne non ha mai fatto mistero di essere un grande fan di McCartney, e la sua versione della bella Junk ha il suo tocco tipico (oltre ad un suo intervento in sede di produzione) e si rivela godibilissima, come peraltro anche l’ex leader dei Bee Gees (e purtroppo l’unico in vita), Barry Gibb, con una divertente e scanzonata rivisitazione di When I’m 64.

art of mccartney kiss

Confesso di non conoscere Jamie Cullum, ma la sua Every Night è fatta con gusto e misura, mentre un altro momento clou è la riproposizione di Venus And Mars/Rock Show da parte dei KISS: Gene Simmons e Paul Stanley (gli altri due non ci sono) fanno quello che sanno fare meglio, cioè rock’n’roll, e la canzone ne esce rivitalizzata, addirittura non di tanto inferiore all’originale.

Paul Rodgers è ancora in possesso di una gran voce, e Let Me Roll It è una grande canzone: il risultato non può che essere esplosivo, meglio di quanto faccia Roger Daltrey con Helter Skelter, ma forse solo perché il brano mi piace di meno. Perfino i Def Leppard si ricordano di essere una rock band che quando vuole sa suonare, e la loro Helen Wheels ha un sapore boogie che l’originale non aveva; viceversa, i Cure non mi sono mai piaciuti, anche se alle prese con Hello Goddbye (insieme al figlio di Paul, James McCartney) riescono a non deludere https://www.youtube.com/watch?v=uDxDW9jEjHg .

http _www.rockol.it_img_foto_upload_Chrissie Hynde

Billy Joel apre anche il secondo CD, stavolta con la potente Live And Let Die; stesso discorso fatto prima; non pensavo che Let It Be, un capolavoro ma comunque una ballata, potesse riuscire bene nelle mani di Chrissie Hynde, che è essenzialmente una rockeuse, ma la bruna leader dei Pretenders fornisce un’interpretazione di gran classe https://www.youtube.com/watch?v=0egprfEy6yM .

Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick si occupano di Jet, e qui più che in altri momenti affiora l’effetto karaoke, in quanto il brano è proposto pari pari; meno male che c’è Joe Elliott, in ottima forma anche senza i Leppard, che rocka e rolla da par suo con la trascinante Hi Hi Hi.

Ancora le Heart, ancora brave con l’ottima Letting Go, mentre meno bene la seconda chance di Steve Miller: Hey Jude, grandissima canzone, non è secondo me assolutamente tagliata per lui (una provocazione: e chiamare a cantarla Julian Lennon, primogenito di John, dato che Paul l’aveva dedicata a lui?).

art of mccartney perry farrell

I peggiori del lotto sono però gli Owl City, una band di pop elettronico senza alcun talento (ma che ci fanno qui?), che provano a rovinare Listen To What The Man Said e non ci riescono del tutto solo perché la canzone è bella; Perry Farrell invece si dimentica di essere il leader dei Jane’s Addiction e mi stupisce con una versione decisamente in parte di Got To Get You Into My Life, mentre mi aspettavo di più da Dion: il rocker del Bronx, alle prese con Drive My Car, sembra infatti avere il freno a mano tirato.

dion-wide

Allen Toussaint è un grandissimo arrangiatore, un ottimo pianista ma come cantante non è mai stato il massimo, e pertanto alla sua Lady Madonna manca qualcosa (peccato), ed anche Dr. John, solitamente una sicurezza, arranca non poco con Let ‘em In, a causa anche della pochezza del brano.

art of mccartney dr.john

Per fortuna termina questo piccolo momento di crisi con il grande Smokey Robinson: So Bad è una bella canzone romantica, con il tasso zuccherino tenuto a bada, e poi il vecchio Smokey ha ancora una grande voce. I poco noti Airborne Toxic Event rilasciano un’ottima No More Lonely Nights in versione ballata acustica, una piccola perla, mentre Alice Cooper è una delle migliori sorprese del tributo: non pensavo che un giorno avrei trovato il suo nome nella stessa frase con la parola “classe”, ma provate ad ascoltare la sua Eleanor Rigby e poi mi direte. Da non credere https://www.youtube.com/watch?v=sdsevtSO_FU .

art of mccartney bb king

Non amo molto il reggae, ma Toots Hibbert, insieme con Sly & Robbie, rilascia una versione divertente e solare di Come And Get It (un brano a suo tempo ceduto da Paul ai Badfinger), l’enorme (in tutti i sensi) B.B. King bluesa da par suo con On The Way (alzi la mano che si ricorda la versione di Paul, era su McCartney II), mentre chiude il doppio CD “regolare” il rossocrinito Sammy Hagar, che alle prese con Birthday ci regala una versione un po’ sguaiata e sopra le righe.

art of mccartney sammy hagar

Il terzo dischetto vede ancora sotto i riflettori Robert Smith, stavolta senza i Cure: C Moon non è mai stata una gran canzone, e Smith non è certo quello che può migliorarla; Booker T. Jones invece personalizza alla grande Can’t Buy Me Love, sostituendo la parte cantata con il magico suono del suo organo: eccellente. Ma il top il CD lo raggiunge con Ronnie Spector, che fornisce una grande interpretazione di P.S: I Love You: con alle spalle un wall of sound che avrebbe fatto felice l’ex marito Phil Spector, l’ex leader delle Ronettes tira fuori una voce modificata dagli anni e dai vizi, ma profonda e carismatica come poche (alla Marianne Faithfull per intenderci). Meritava di stare nei primi due CD. Sempre scuderia Spector con Darlene Love: qui la voce è ancora purissima, e All My Loving è sempre bella; Ian McCulloch, ex frontman di Echo & The Bunnymen, non è un granché, e così anche For No One risulta un po’ piatta.

La band indie svedese Peter, Bjorn & John rifà molto bene Put It There, una delle ballate acustiche di Paul che preferisco (complimenti anche per la scelta), mentre la “nonna del rock” Wanda Jackson mostra grinta e feeling nella mossa Run Devil Run, nonostante la voce da cartone animato. Chiude ancora Alice Cooper, che dimostra di essere in stato di grazia roccando con finezza e misura con la coinvolgente Smile Away.

Un opera importante quindi, nonostante qualche episodio di livello inferiore: so che questo tributo ha ricevuto critiche controverse da più parti, ma per quanto mi riguarda rientra nella categoria imperdibili.

Marco Verdi

*NDB Come forse sapete anche il titolare del Blog, cioè il sottoscritto è un fan dei Beatles, e di conseguenza di Paul McCartney, anzi alla famose domande: preferisci i Beatles o i Rolling Stones? Ami di più Paul McCartney o John Lennon? Ho sempre risposto: entrambi (ma con una leggerissima preferenza per i primi in entrambi i quesiti, anche se non era politically correct)! Quindi mi unisco agli elogi di Marco per questa operazione, ma secondo me ci si può “accontentare” anche della versione in doppio CD!

Provaci Ancora Eric, Una Anteprima? Eric Johnson – Up Close Another Look

eric johnson up close another look.jpg

 

 

 

 

 

 

Eric Johnson – Up Close Another Look – Mascot/Provogue/Edel 02-04-2013

Eric Johnson è un fantastico chitarrista texano che, nella sua carriera che dura ormai da una trentina di anni (almeno a livello discografico), ha realizzato solo una manciata di album di studio, sei per la precisione, compreso questo Up Close, oltre ad un disco, Seven Worlds, registrato nel 1978 ma pubblicato solo 20 anni dopo, uno dal vivo della serie Live From Austin, Texas nel 2005 (ma registrato nell’88), oltre alla sua partecipazione come un terzo della “società” in una delle varie incarnazioni dei G3, insieme ai Joe Satriani e Stevie Vai. E per lui, come per molti altri, il migliore rimane ancora il primo ufficiale, Tones, uscito nel lontano 1986 per la Reprise, eccellente disco prevalentemente strumentale che ebbe un grosso successo sia di critica che di pubblico in quell’anno, disco che si inseriva in quel filone tra prog, rock, southern e blues dove operavano gruppi come i Dixie Dregs di Steve Morse, tanto per fare un nome, o il materiale meno bluesy di Robben Ford, virtuosi della chitarra elettrica per intenderci, e anticipatore del successo che avrebbero ottenuto i suoi futuri pard Joe Satriani e Steve Vai (già in pista ma noto soprattutto per le collaborazioni con Frank Zappa).

Senza farla troppo lunga ma dandogli i giusti meriti, Eric Johnson, ha avvicinato quei livelli qualitativi solo con il successivo Ah Via Musicom del 1990, poi creandosi una nicchia di appassionati, un seguito di culto, che ha continuato a comprare i suoi dischi ma con minore entusiasmo anche negli anni successivi, fino ad arrivare al 2010, l’anno di questo Up Close, uscito ai tempi solo sul mercato americano per la Vortexan/EMI, ma non distribuito in Europa, e che è di gran lunga il suo disco migliore dopo Tones, ma cosa ti va a pensare quel “diavolo” di un Johnson, facciamone una versione aggiornata per il mercato europeo, quell’Another Look, come avranno notato i più attenti: come dice lo stesso Eric Johnson, si è limitato ad aggiungere alcune parti di chitarra ritmica e a remixare il tutto, e la differenza è molto sottile, praticamente non si percepiscono i nuovi interventi, ma il disco suona meglio all’ascolto e se lo dice lui chi siamo noi per negarlo? Quindi prendiamo nota senza peraltro poter fare a meno di notare che questa nuova edizione ha due brani in meno di quella del 2010, strano ma vero, si toglie invece di aggiungere, anche se per onestà si tratta di due brevi intermezzi di poco più di un minuto ciascuno.

Ma quello iniziale, un intramuscolo orientaleggiante di 1:05, Awaken, è rimasto. Fatdaddy è il primo brano strumentale dove, a velocità vorticose, la chitarra solista di Johnson interagisce con una ottima sezione ritmica con vari batteristi che si alternano, Kevin Hall, Barry Smith e Tommy Taylor e il grande Roscoe Beck al basso, con lui da inizio carriera. Brilliant Room è il primo brano cantato, con ospite come vocalist il bravo Malford Milligan, altro texano che era negli Storyville (ve li ricordate?) il gruppo di David Holt e David Grissom con la sezione ritmica dei Double Trouble, un gruppo che ha non tenuto fede alle promesse, ma aveva molte potenzialità, il brano è un veloce rock, anche commerciale, ma con una verve ed un lavoro di suoni e chitarre che molta produzione attuale non ha (dipenderà dal fatto che il co-produttore è tale Richard Mullen ma l’ingegnere è Andy Johns, della premiata famiglia?), un sound fantastico. E sentite come suonano il Blues, in una cover eccellente di Texas (tema che ritorna), il vecchio brano firmato Mike Bloomfield/Buddy Miles che si trovava sul disco degli Electric Flag, per l’occasione a duettare con Johnson troviamo un pimpantissimo Steve Miller alla voce e Jimmie Vaughan alla seconda solista, cazzarola come suonano! Gem è uno di quei brani strumentali stile Prog-rock dove il nostro Eric esplora a fondo la sua tavolozza di colori e suoni per la gioia dei fanatici della chitarra.

Tra i titoli non manca Austin, altro ottimo duetto a tempo di rock con un Johnny Lang in gran vena e la chitarra di Johnson che crea traiettorie quasi impossibili senza scadere nelle esagerazioni di altri suoi colleghi virtuosi. La lunga Soul Surprise è un altro lento con i vocalismi senza parole del titolare e atmosfere sempre molto ricercate. On The Way è un ulteriore strumentale, molto Twangy & Country in questo caso, stile di cui è maestro Albert Lee. Senza citarle tutte, ma non ci sono cadute di gusto, vorrei ricordare il tributo in apertura (una piccola citazione di Little Wing) all’Hendrix più sognante, nella ricercata A Change Has Come To Me e il duetto molto melodico con la slide di Sonny Landreth in Your Book. Una delizia per gli amanti della chitarra elettrica, come tutto il disco peraltro.

Bruno Conti

“Carneadi” Che Passione! Bill Johnson – Still Blue

bjohnsonblues.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Bill Johnson – Still Blue – Bill Johnson Blues.Com autoprodotto

Questo Bill Johnson (da non confondere con l’omonimo pastore americano, guardate in Youtube) è uno degli ennesimi “carneadi” che popolano il sottobosco del blues e del rock Americano (Canadese per la precisione, in questo caso). Una lunga gavetta alle spalle “I am forty six years old, I believe  all you need is love,and I’m still blue”, così si presenta nelle note di questo CD che non è il suo primo ma quello che lo consacra in patria e lo farà conoscere (forse) in giro per il mondo.

Il suo è uno stile che prende da un blues molto laid-back ma caratterizzato da una chitarra dal suono limpido e nitido che ci regala assoli brevi e incisivi, tipo il JJ Cale più movimentato o il Clapton di metà anni ’70 con ampie spruzzate di bayou blues e più di una analogia stilistica, anche vocale, con il Chris Rea più vicino al blues quello che dimentica i torpori della sua musica più commerciale per risalire alle origini della musica del diavolo. E se volete, vi aggiungo che mi ha ricordato anche lo Steve Miller di certi dischi come Born 2b blue, per quella patina morbida che smussa gli angoli più taglienti del Blues.

Brani come Experience con un ottimo lavoro di slide o la ritmica Worked to death con le sue linee soliste pulite appoggiate da un organo mai troppo invadente sono assai piacevoli all’ascolto. Ma anche l’attacco quasi bayou alla Creedence dell’iniziale Fishing with your boots on denota una padronanza della materia molto pertinente. Habitual survivor con i suoi ritmi e le sue sonorità quasi alla Dire Straits primo periodo (e quindi di rimbalzo da un altro ammiratore dell’opera di JJ Cale come Clapton e Rea) conferma questo stile molto godevole che scivola senza grandi scossoni ma con gran classe.

C’è spazio anche per un bel slow blues come l’ottima Half the man e per lo shuffle di Old Les Pau Guitar ma senza sbattersi troppo, mi raccomando! Qualche cover di classe per chiudere il cerchio: la classica 300 Pounds of Heavenly Joy di Willie Dixon e l’ancor più celebrata King Bee alzano la temperatura Blues del disco di Bill Johnson mentre T-Bone Blues di T-Bone Walker ne evidenzia la perizia tecnica e lo stile molto misurato, dai toni jazzati in questo caso. C’è anche un finale tra barrelhouse e jazz con la deliziosamente demodè Remote Control Man che chiude l’album su una nota di assoluta leggerezza.

Insomma, non accenderà il fuoco sotto i vostri sederi, per usare una analogia un po’ colorita, ma tre quarti d’ora di buona musica sono garantiti.

Bruno Conti