Paganini Non Ripete, Lui Sì E Più Volte, Tra Rock, Sudore e Anima! Jimmy Barnes – Modus Operandi Live At The Hordern 2019/My Criminal Record

jimmy barnes modus operandi

Jimmy Barnes – Modus Operandi (Live At The Hordern Pavilion 2019) /My Criminal Record 2 CD Bloodlines/Liberation Records

A distanza di circa un anno dall’uscita del suo ultimo lavoro di studio il rocker australiano Jimmy Barnes (ri)pubblica, per la terza volta (era già uscito in versione standard e Deluxe), il suo My Criminal Record in una edizione a tiratura limitata in doppio CD con l’aggiunta del live Modus Operandi, uno spettacolare concerto tenuto dall’ex frontman dei Cold Chisel all’Hordern Pavilion di Sidney nell’Ottobre dello scorso anno. Durante il lungo tour che ha attraversato l’Australia e la Nuova Zelanda, il buon Jimmy si è avvalso di una band stellare con il fido Daniel Wayne Spencer alle chitarre, Benjamin Rodgers e Michael Hegerty al basso, i fratelli Clayton e Lachlan Doley alle tastiere, il figlio Jackie Barnes alla batteria e percussioni, arricchita ai cori dai membri della famiglia a partire dalla moglie Jane, i figli Mahalia, E.J. e Elly Barnes, e prodotto come al solito dal noto sudafricano Kevin Shirley (Joe Bonamassa, Beth Hart, e l’ultimo George Benson oltre a vari gruppi rock), per un torrido “set” di ben 17 brani, di cui sette estratti da My Criminal Record, otto dal suo immenso repertorio, e due dal periodo “storico” con i Cold Chisel di cui da poco è uscito il nuovo album https://discoclub.myblog.it/2020/01/24/sono-proprio-loro-sono-tornati-ecco-la-nona-cold-chisel-blood-moon/ .

Jimmy sale sul palco con la sua band di 10 elementi, e attacca subito alzando immediatamente il livello del volume sonoro con la baldanzosa Driving Wheels, riportando tutti al periodo degli esordi solisti con Freight Train Heart (87), per poi presentare due brani dall’ultimo lavoro My Criminal Record, la muscolosa I’m In A Bad Mood e una Stolen Car (The Road’s On On Fire) con la sezione ritmica che gira a mille, brano cantato e urlato da Barnes, diverso dalla versione in studio, e una My Criminal Record anche lei rivoltata come un calzino, con uno strepitoso sound quasi caraibico. Con Ride The Night Away (scritta da Steve Van Zandt) si ritorna ai classici del passato, un brano di rock stradaiolo, che fa da introduzione alla mitica Khe Sanh, canzone del periodo Cold Chisel (a tutt’oggi uno dei pezzi più richiesti alle radio australiane), un brano “pub-rock” cantato e suonato con tanto cuore in un ambiente ideale per Jimmy e la sua band, che contagia poi (e non c’era ancora il virus) il suo pubblico con due brani di energico e sano rock’n’roll (autentiche bombe caloriche) come Lay Down Your Guns (90) e Boys Cry Out For War (84).

Dopo una breve pausa Barnes torna sul palco più baldanzoso che mai proponendo un breve “set” dall’ultimo lavoro che parte con il solido rock di Money And Class, e prosegue con una granitica e meravigliosa versione di Working Class Hero di John Lennon, il pop rock esemplare ma efficace di I Won’t Let You Down, entrando nel cuore della gente con Shutting Down Out Town, un brano dal sound molto “boss style” (o del suo alter-ego Joe Grusheckyhttps://www.youtube.com/watch?v=XGAXnSIOiKo .L’ultima parte del concerto è un tuffo nel passato che inizia con il rock datato ma sempre efficace di I’d Die To Be With You Tonight (85), a cui segue una tambureggiante No Second Prize (84), con la famiglia Barnes ai cori in evidenza, per poi rispolverare il suo inno, la sempre “mitica” Working Class Man (85), con il testo che viene cantato all’unisono dal pubblico in sala e nella quale dove Jimmy come sempre non si risparmia https://www.youtube.com/watch?v=PKqts9V8mr4 , infuocare ancora di più il pubblico con la passionale Love And Hate (99), ma siccome tutte le cose belle devono finire, il nostro amico chiude quasi due ore di concerto di sano rock australiano “vintage” (che però nella versione completa, con 6 brani in più si può ascoltare solo su Spotify) , con un finale appropriato recuperando giustamente dal repertorio dei Cold Chisel, Goodbye (Astrid Goodbye) (79), che in questa occasione viene presentata in una versione lunga e travolgente https://www.youtube.com/watch?v=PKqts9V8mr4 , dove ancora una volta viene evidenziata la bravura della band (coriste comprese).

Nell’arco della sua lunga carriera Jimmy Barnes a partire da Barnestorming (88) fino a questo Modus Operandi ha pubblicato (se non ho sbagliato i conti) ben 14 album dal vivo (fra ufficiali e non) e credetemi, ogni sera che sale sul palco Jimmy non ha bisogno di convertire nessuno, in quanto è la sua gente, il suo pubblico, raccontando con la sua voce poderosa di piccole storie di dolore personale e di amore eterno, non disdegnando anche un certo impegno politico, sempre con un solido “rock’n’roll” passionale e carico di “soul”, che manda in visibilio il vasto pubblico. Jimmy Barnes apre i suoi concerti urlando “you are ready for a rock and soul” (siete pronti per una serata di rock and soul), e li chiude con la stessa energia, e c’è poco da aggiungere, quella sera del 5 Ottobre 2019 all’Hordern Pavilion di Sydney, ha suonato e cantato per il suo pubblico, e come sempre ha trionfato. Se riuscite a trovarlo, imperdibile!

Tino Montanari

85 E Non Sentirli: Il Suo Miglior Album Da Oltre 40 Anni. John Mayall – Nobody Told Me

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John Mayall – Nobody Told Me – Forty Below Records

John Mayall a novembre ha compiuto 85 anni, ma sembra non avere alcuna intenzione di chiudere la sua carriera: da qualche anno, più o meno in coincidenza con il 70th Birthday Concert, dove a festeggiare con lui l’avvenimento c’erano Eric Clapton e Mick Taylor, due dei suoi “alunni” preferiti nei Bluesbreakers, il musicista di Macclesfield, ha ripreso – ma aveva mai smesso? Sì, direi dalla metà anni ’70 e per buona parte degli ’80 – a macinare dischi di buona fattura, e soprattutto dal 2014, anno in cui ha firmato con la Forty Below Records, l’etichetta di Los Angeles fondata da Eric Corne (che produce con Mayall, anche questo Nobody Told Me), sta pubblicando una serie di album di buona fattura, inframmezzati anche dalla pubblicazione di materiale dal vivo d’archivio, come i due Live In 1967 https://discoclub.myblog.it/2016/05/10/chi-si-accontenta-gode-john-mayalls-bluesbreakers-live-1967-volume-two/ . Lo scorso anno era uscito pure un Three For Road, sempre Live, dove il nostro amico si esibiva appunto dal vivo, rivisitando il suo vecchio materiale, in una formazione priva , per la prima volta da molti anni, della chitarra solista, ed il risultato, come testimoniato su queste pagine virtuali, era stato più che soddisfacente https://discoclub.myblog.it/2018/04/05/quasi-85-anni-ma-ancora-in-gran-forma-john-mayall-three-for-the-road/ . Però già nel corso dello stesso 2018 aveva reintrodotto un (anzi una, per la prima volta una donna) chitarrista, la bravissima Carolyn Wonderland. 

Il nuovo disco in studio (se ho fatto bene i conti, dovrebbe essere il numero 36, a fronte più o meno di altrettanti Live e anche come raccolte ed antologie varie siamo su quella cifra, superando quindi i cento album complessivi in una discografia monumentale) è stato registrato tra gennaio e febbraio del 2018 allo studio 606 di Nothridge, California, di proprietà dei Foo Fighters, e per ribadire il concetto espresso dal buon John che” era tempo ancora una volta di utilizzare il fuoco di una chitarra elettrica” nella propria musica, e per non farsi mancare nulla, oltre alla Wonderland, ci sono ben cinque altri solisti impiegati come ospiti nel nuovo album, che risulta essere addirittura uno dei  più belli in assoluto della sua lunga carriera, a tratti in grado di rivaleggiare, come impeto e forza, con gli album classici degli anni ’60 e primissimi anni ’70. Lo stesso Mayall, a dispetto dell’età. è in grande spolvero a livello vocale, la sezione ritmica, con Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria, non fa rimpiangere quelle dei suddetti album, e poi gli ospiti, che ora vediamo, aggiungono proprio “fuoco”e fiamme, senza mai andare sopra le righe, nelle varie esibizioni, con il bonus in alcuni pezzi anche di una sezione fiati guidata da Ron Dziubla al sax.

Sarà anche “solo” un disco di blues elettrico, ma fatto da uno dei maestri assoluti del genere, che pare avere azzeccato, con l’aiuto di Corne,anche la scelta del materiale: What Have I Done Wrong, il celebre brano di Magic Sam, con uso della pimpante sezione fiati, presenta Joe Bonamassa come chitarra solista a fianco della Wonderland, perfetto in un misurato e reiterato assolo che ricorda molto il suo idolo Eric Clapton, ma anche, visto l’uso dei fiati, il suono dell’album Crusade, con Mayall che canta veramente alla grande. The Moon Is Full è un pezzo scritto da Gwendolyn, la moglie di Albert Collins, ed ha la forza dirompente dei migliori brani del chitarrista nero, grazie ad una prestazione sontuosa di Larry McCray alla solista, inconsueta la scelta del brano dove appare il canadese Alex Lifeson dei Rush (bellissimo il suo assolo peraltro), per un omaggio al compatriota Jeff Healey, in un brano dal suono classicheggiante Evil And Here To Stay, con la prima apparizione dell’armonica di Mayall, ottimo anche il lavoro al piano.

Anche Todd Rundgren, che dimostra di saper maneggiare il blues, pesca nel passato un brano di Little Milton, la fiatistica e gagliarda That’s What Love Will Make You Do; il primo dei tre brani dove Carolyn Wonderland è la chitarra solista, stranamente è un pezzo scritto proprio da Joe Bonamassa, una sinuosa Distant Lonesome Train a tutta slide, seguita da Delta Hurricane, un pezzo degli Uptown Horns, quindi con uso fiati, già nel repertorio di Larry McCray, dove per gli interscambi la chitarra solista è proprio quella di Bonamassa, sempre molto misurato ma anche decisamente “vigoroso”. Larry McCray torna per un omaggio al blues-rock di Gary Moore, con un brano del chitarrista irlandese, la flessuosa The Hurt Inside dalla solista fluente, anche in modalità wah-wah. L’ultimo ospite in ordine di apparizione è Steven Van Zandt, alle prese con un pezzo nuovo di Mayall, It’s So Tough, un brano a tempo di shuffle, puro Chicago blues, ma non mancano altre due canzoni scritte da Mayall, entrambe con la Wonderland come chitarra solista, la mossa  e brillante Like It Like You Do, e l’unico lento dell’album Nobody Told Me, un intenso slow cantato con gran classe da Mayall, con la Wonderland a centellinare note, per chiudere un album veramente splendido e sorprendente. Non lasciatevelo sfuggire. Esce domani 22 febbraio.

Bruno Conti

Quasi Più Springsteen Di Bruce! Joe D’Urso & Stone Caravan – Sway

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Joe D’Urso & Stone Caravan – Sway – Schoolhouse Records – 2013

Joe D’Urso un rocker (dal pelo duro), è in pista da quasi venticinque anni (arriva da Rockland County a nord di New York) e, accompagnato dai suoi fidati Stone Caravan, con Sway, arriva al tredicesimoalbum di una più che dignitosa carriera. Joe è un “clone” di Bruce Springsteen, come Dan Bern lo è di Bob Dylan, e come Bern scrive canzoni di buona fattura, la sua musica e le sue liriche parlano della grande terra americana, di figure perdenti che inseguono un sogno e delle illusioni che ne derivano. Per quelli che lo seguono dagli inizi (come chi scrive), è inutile ricordare i suoi album, ma mi permetto di menzionare, l’ottimo esordio con Mirrors, Shoestrings & Credit Card (1996), cui faranno seguito Glow (1998) e Rock & Roll (2000), un paio di dischi dal vivo, l’ormai introvabile Audience Of One (acustico) e il doppio elettrico One More Song Live (2009) e le due ultime produzioni Cause (2006) e Down Here By The River (2010).

Due brevi note sul personaggio: Joe D’Urso (il cognome tradisce le sue radici), ha una storia più che interessante alle spalle, in quanto per anni ha lavorato come “procacciatore” di molte star che passavano nel New Jersey e le influenze degli U2 prima e di Springsteen e Leonard Cohen poi, lo hanno spinto verso una carriera completamente diversa da quella che lui (e la sua famiglia) avevano pianificato. E così dopo aver imbracciato la chitarra e suonato in polverose small towns di provincia  (una sana e robusta gavetta), il nostro Joe, con i suoi Stone Caravan, raggiunge una solida notorietà, ma essendo un ragazzo semplice, preferisce continuare ad incidere per piccole etichette, in modo così da percorrere un cammino scelto unicamente da lui. In seguito si crea una sua label, e questo gli permette di togliersi molte soddisfazioni, avendo creato in vari paesi (Italia inclusa), una fitta rete informativa che gli consente di essere vicino ad un pubblico che lo stima.

Nelle dodici canzoni di questo Sway, nove portano la sua firma, mentre le tre “cover” escono dalla penna di “personcine” come Steve Van Zandt, Willie Nile e del compianto Terence Martin (che ammetto di non conoscere) e con il sostegno abituale di Sam LaMonica alla batteria, Steve Pavia alla tromba, Lou DeMartino al basso, Tony Pellagrosi alle tastiere (chissà da dove provengono le loro famiglie?), Greg Lykins alle chitarre, Neil Berg al piano, la brava vocalist Rita Harvey  e il nostro Joe alla chitarra acustica, ci trascinano con la loro musica ad una festa ad Asbury Park. La festa infatti inizia con Come Down With Me (Asbury Park), dove una robusta sezione fiati è dirompente nella sua linea melodica, mentre la cadenzata Brand New Start ci regala una canzone fresca e godibile.Si riparte con il rock and roll di Hanging Out in Tucson dall’intro vigorosissimo e roccato, con un ottimo pianoforte (oserei dire alla Roy Bittan) che accompagna tutto lo sviluppo del brano, cui fa seguito uno dei punti più alti del disco, la dolcissima Sway una ballata malinconica e spezzacuori,  cantata in duetto con la Harvey.

Arriva il momento di It’s Been A Long Time (brano scritto da Van Zandt per Southside Johnny per lo splendido album Better Days), e questa versione rivisitata da D’Urso , viene resa al meglio grazie anche al suono poderoso della band, che si ripete alla grande nella trascinante All My Friends, ritmata, energia e feeling in puro Springsteen-style. La cover di I’ll Take All The Blame del cantautore Terence Martin (un doveroso omaggio ad un’artista poco conosciuto e sfortunato), è una ballata di grande spessore, ben sostenuta da una melodia forte e da un gioco di chitarre di primaria importanza, niente a che di vedere con l’impetuosa One Guitar di Willie Nile (pescata dall’album The Innocent Ones), puro rock che si ascolta tutto di un fiato. Con Love Her Blues si vira verso un blues d’annata, con il piano di Neil Berg  in evidenza, mentre la seguente Summertime Dreaming è un tirato honky-tonky , un brano che mi ricorda il primo Bob Seger (quello per intenderci di Ramblin’ Gamblin’ Man) dove la bravura dei musicisti alcune volte sovrastava il “leader”. Si chiude con Freedom, una canzone trascinante che lascia il segno per la cadenza ritmica, gli assolo delle chitarre slide e il cantato liberatorio di Joe, mentre la conclusiva NYC Taxi Ride  è uno brano strumentale suonato alla Willie DeVille, perfetto per l’entrata in scena dei suoi meravigliosi concerti live.

Joe D’Urso rimane un clone del Boss, su questo non ci piove, ma questo Sway, proprio come certi dischi di Bruce è fatto di ballate lente, focosi rock’n’roll, in un’alternanza piuttosto rigorosa e la voce di Joe modulata sulle tonalità calde del rocker del New Jersey, avvalora ancor di più le note similitudini dei due. Bel ritorno di un musicista che fa del blue-collar rock nell’oscurità, da anni, ma è “musica sana”, che meriterebbe una maggiore attenzione per la serietà e la costanza con cui continua il suo percorso.

NDT: Una nota di colore, più lo vedo e più fisicamente mi ricorda il mio amico Ed Abbiati dei Lowlands. Separati alla nascita?

Tino Montanari

“Sway” Track Listing:
1. Come Down Tonight (Asbury Park) – D’Urso
2. Brand New Start – D’Urso
3. Hanging Out in Tucson – D’Urso/Berg
4. Sway – D’Urso
5. It’s Been A Long Time – Van Zandt
6. All My Friends – D’Urso/Sica/Albanese
7. I’ll Take All The Blame – Martin/Hicks
8. One Guitar – Nile/Lee
9. Love Her Blues – D’Urso/Berg
10. Summertime Dreaming – D’Urso/Albanese
11. Freedom – D’Urso/Berg
12. NYC Taxi Ride (Instrumental) – Berg/D’Urso

Ma 6 Stellette Si Possono Dare? La Ristampa Del Secolo! The Promise: The Darkness on the Edge of Town Story

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Bruce Springsteen – The Promise: The Darkness On The Edge Of Town Story – Limited Edition Deluxe Collection Columbia 3CD+3DVD

E’ pur vero che mancano novanta anni alla fine del secolo ma dubito che si possa fare meglio, forse qualcuno potrà avvicinarsi o pareggiare (la ristampa di The River?) ma difficilmente verrà superata come ristampa di un singolo album.

Come direbbe Nicola Savino alias Bisteccone Galeazzi “Mitico!”.

Sono 8 ore e 33 minuti di musica da ascoltare e da vedere, alla fine per credere.

Per gustarlo appieno, dal 16 novembre, quando sarà in tutti i negozi, vi consiglio di prendervi un giorno di ferie, vi rintanate in casa e godete smodatamente.

A partire dal famoso quaderno degli appunti di Bruce, quelli vecchi con la spirale, a cui gli autori del packaging più che ispirarsi si sono pari pari rifatti. Quella fonte di mille meraviglie, un po’ come il quadernetto del Numero Uno da cui, di volta in volta, esce di tutto: appunti, testi, liste di brani, altri appunti, altri testi, altri brani, altre liste e così all’infinito. Noto con piacere che Bruce, che usa un “corsivo stampatello” per scrivere, non ha quella che si usa definire una bella calligrafia (che è un po’ un mio cruccio) e quindi nel leggere bisogna andare anche per interpretazioni soprattutto dove ci sono correzioni e ripensamenti ma alla fine si viene ampiamente ripagati.

Naturalmente non manca il classico saggio che accompagna di solito questi cofanetti, anzi ce ne sono due che gettano luce sui motivi che stanno dietro all’operazione (questi rigorosamente battuti a macchina o stampati da un computer se preferite): l’autore è uno dei personaggi che più conosce la materia e meglio riesce a spiegarla ed articolarla. Si tratta di tale Bruce Springsteen, che prima ripropone una vecchia introduzione già utilizzata per il libro “Songs” (quello dei testi) pubblicata nel 1998, ovviamente la parte dedicata a Darkness on the Edge of Town e poi ne inserisce una nuova scritta il 26 luglio di quest’anno.

In quei due scritti c’è tutto quello che dovete sapere su questo cofanetto, difficilmente qualche più o meno dotta recensione potrà fare meglio e io infatti rinuncio e mi limito alla descrizione dei contenuti e qualche piccola curiosità carpita qua e là.

C’è anche un altro piccolo libretto (poche pagine ma sempre formato grande) con i testi delle canzoni e tutti i credits. Una volta tanto pur avendo creato una confezione d’ingegno i CD e i DVD sono raggiungibili con facilità, non occorre essere dei geni per reinserirli nei loro appositi spazi tra le pagine del quadernone e i dischetti sono protetti dalle immancabili bustine (cura anche nei particolari).

Vediamo i contenuti.

Il primo CD è la ristampa dell’album originale Darkness on the Edge of Town con il suono già fantastico all’epoca creato da un team che vedeva a fianco di Bruce, Miami e Jon Landau, Jimmy Iovine, Chuck Plotkin e Thom Panunzio. Qui si è fatto un ulteriore passo avanti, tramite l’opera di un altro dei geni della tecnica di regsitrazione, quel Bob Ludwig che ha masterizzato (e rimasterizzato) tutta la musica che conta, tanto per citarne due o tre, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Rolling Stones. La musica vi viene proprio addosso con una chiarezza e una fierezza straordinarie. Chi non la conosce? Ma è sempre un piacere riascoltare i 10 brani originali.

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Il secondo CD è un doppio, si chiama The Promise, e se fosse uscito ai tempi sarebbe stato un altro formidabile tassello nella carriera di Bruce, quello che mancava tra Darkness e The River. Sono 21 canzoni, o meglio, e questa è la prima curiosità sono 22 brani (e lo potete scoprire solo ascoltandolo ovviamente): infatti alla fine dell’ultimo brano del secondo CD City Of Night dopo una breve pausa parte la traccia nascosta ovvero The Way, un altro dei brani inediti più belli registrati per quella occasione.

Un passo indietro. Il primo dischetto parte con una versione straordinaria di Racing In The Street (’78) che è (quasi) più bella di quella che appare nell’album originale o comunque è una bella lotta. Ad abbellirla c’è un violino (che già appariva dal vivo nei concerti tra la fine ’74 e i primi mesi del 1975 affidato alle mani della violinista Suki Lahav e in anni recenti è tornato con Soozie Tyrell, che è nata a Pisa in Italia, non c’entra niente ma mi andava di dirlo): e non è un musicista da poco a suonarlo, si tratta del fido pard di Jackson Browne tale David Lindley che ci regala un bellissimo assolo e poi replica la sua presenza anche in Come On (Let’s Go Tonight) che è Factory sotto mentite spoglie, bellissima in ogni caso.

Cosa altro abbiamo? Per esempio Talk To Me una delle più belle canzoni scritte da Springsteen per Southside Johnny, del quale la sezione fiati degli Asbury Jukes capitanata da Richie “La Bamba” Rosenberg appare nella versione registrata per The Promise. It’s a Shame come brano in sé non è fantastico ma è interessante perché introduce un promettente batterista rudimentale ma efficace, tale Jon Landau.

Scorrendo le note saltano all’occhio anche le coriste presenti in due brani Someday (We’ll Be Together) e Breakaway Tiffany Andrews, Corinda Carford, Michelle Moore, Antoinette Savage, Soozie Tyrell e Patty Scialfa!! Ohibò, ma allora si frequentavano già nel 1978. Per inciso Breakaway è una piccola meraviglia di canzone, una delle tante.

Naturalmente non manca la versione di Bruce di Because The Night (il suo unico hit single come ricorda orgogliosamente Patti Smith nel documentario) ma anche quella di Fire che sarebbe stata ripresa da Robert Gordon (che ha fatto due stupendi dischi con Link Wray che se già non li avete vi consiglio caldamente di ricercare) e poi dalle Pointer Sisters.

The Promise che anche Bruce rimpiange di non avere inserito nell’album originale avrebbe potuto essere (anche a livello di testo) la seconda Thunder Road. The Brokenhearted potrebbe essere una “traccia perduta” della discografia di Roy Orbison. Rendez-vous era uno dei momenti caldi dei concerti di quegli anni. Se Fire era un tributo a Elvis Presley, The Brokenhearted a Roy Orbison, sicuramente Outside Looking In potrebbe esserlo a Buddy Holly (curiosamente in una delle varie liste che appaiono nel quaderno il cognome è scritto Holley) con in più un tocco di attitudine punk che, scopriamo dal documentario e dalle sue note, Springsteen seguiva con attenzione e attitudine da fan comprando molti dei 45 giri che uscivano all’epoca, probabilmente spronato anche dall’amico Steve.

Il resto ve lo sentite da soli.

Poi abbiamo il primo DVD. Il Film che è andato anche al Festival di Toronto e a quello di Roma con Bruce al seguito, creato da Thom Zinny ha lo stesso titolo di tutto il cofanetto ed è bellissimo pure questo (ma cosa non lo è in questo cofanetto? Domanda retorica!). Guardandolo (ed è anche sottotitolato in italiano) potrete scoprire tutto quello che volevate sapere sul dietro le quinte di questo disco e anche di più. L’incipit, recitato da Bruce, è lo stesso di uno dei due saggi che accompagnano il cofanetto.

Il secondo DVD ha un doppio contenuto. Prima la registrazione completa effettuata in studio (ma dal vivo) o è dal vivo ma in teatro? No direi che è la seconda! Paramount Theater, Asbury Park, 13 Dicembre 2009 Bruce Springsteen & The E Street Band eseguono (senza pubblico) l’esatta sequenza che comprendeva l’album originale e che versioni, ragazzi! Non c’è Nils Lofgren (perchè non era ancora entrato nel gruppo) e, purtroppo, non c’è più Danny Federici sostituito degnamente da Charlie Giordano.

La seconda parte del secondo DVD, quella intitolata Thrill Hill Vault 1976-1978 è una chicca straordinaria: i primi due brani, Save My Love e Candy’s Boy sono registrati a Holmdel, NJ nel 1976 a casa di Bruce, che appare a torso nudo, affiancato da Miami Steve, senza cappello, che sfoggia una folta capigliatura riccia (sia pure declinante), una rarità. Poi c’è Something in The Night Red Bank, NJ 1976 e una serie di brani, in rigoroso bianco e nero, gli stessi che appaiono nel documentario ma completi, registrati in studio a New York nel 1978. Il finale, e mi ripeto,è mitico,si tratta del filmato completo che si è visto varie volte anche in televisione (ma mai nella giusta sequenza) del famoso concerto di Phoenix del ’78, per intenderci quello che si conclude con Rosalita, quando una serie di fans, sfuggite da più parti alla security si impadroniscono di Bruce e fanno benevolmente scempio di lui, con sua grande gioia e divertimento. Una delle scene più gioiose della storia della musica rock.

Il pezzo forte è il terzo DVD: Thrill Hill Vault Houston ’78 Bootleg House Cut. 176 minuti, due ore e cinquantasei minuti, 10560 secondi di pura magia. Bruce Springsteen & The E Street Band dal vivo all’ennesima potenza, in versione sesquipedale (citando ancora il Giuanin Brera), devastante. Tutti i classici, qualche anticipazione di quello che verrà (Indipendence Day) e una serie di cover che allora erano la norma: da Santa Claus Is Coming To Town (il Natale era vicino) a Fever, dal Detroit Medley a You Can’t Sit Down per finire con la leggendaria Quarter To Three di Gary US Bonds.

Il sottoscritto ha avuto la fortuna di assistere al concerto di Springsteen all’Hallen Stadion di Zurigo l’11 aprile del 1981 nel corso del tour di The River (ero il chaperon, con Daniele Biacchessi, di uno dei pullman partiti da Milano per assistere all’evento, viaggio organizzato da Radio Regione, l’emittente da cui trasmettevo Bootleg ai tempi, era il titolo della trasmissione ma li trasmettevo pure). Poi ho visto anche San Siro 1985 e tanti altri in seguito ma vi posso assicurare che in quegli anni il Boss dal vivo era inarrivabile e, devo ammettere, nel 1978 ancora più che nell’81 (come testimoniato da innumerevoli bootleg). Qui siamo di fronte ad un bootleg (ma ufficializzato) e la qualità audio e video è più che buona ma è il contenuto che è fantasmagorico, una esperienza da non perdere.

Questo vi dovevo e spero di avervi convinto, se mi sono dilungato chissenefrega (tanto ormai il Blog è solo mio come i più attenti avranno notato). Buon ascolto e buon divertimento (e buone ferie se seguite il mio suggerimento di ascolto). Se non riuscite a comprarlo fatevelo regalare, inseritelo nella letterina a Babbo Natale, fate qualsiasi cosa ma non potete non averlo.

Bruno Conti