Speriamo Che Ci Ripensi! Eric Clapton – Slowhand At 70: Live At The Royal Albert Hall

eric clapton slowhand at 70 live at royal albert hall

Slowhand At 70: Live At The Royal Albert Hall – Eagle Rock/ 2CD/DVD – 3LP/DVD – DVD – BluRay – Deluxe 2CD/2DVD

Nel corso della sua lunga carriera Eric Clapton non ci ha mai fatto mancare incisioni dal vivo, sotto forma, a seconda dei momenti di LP, CD o DVD, e con almeno due di essi assolutamente imperdibili (l’elettrico Just One Night del 1980, del quale ancora attendo una ristampa come si deve, ed il famoso e pluripremiato Unplugged del 1992) (*NDB E il cofanetto quadruplo Crossroads 2 tutto con materiale dal vivo anni ’70 dove lo mettiamo?), ma questo Slowhand At 70 ha un’importanza particolare, in quanto testimonia il meglio delle serate conclusive (lo scorso mese di Maggio) del suo ultimo tour, in quanto il nostro al compimento dei 70 anni ha deciso di appendere la chitarra al chiodo, almeno come live performer. Non è un caso che questo doppio CD (o DVD/BluRay se vi interessa anche la parte video) sia stato registrato nella splendida cornice della Royal Albert Hall, in quanto il famoso teatro londinese è sempre stato un po’ la sua seconda casa, avendoci suonato la bellezza di 178 volte come solista e 205 se aggiungiamo anche le esibizioni con i vari Yardbirds, Cream, Delaney & Bonnie e partecipazioni varie a spettacoli benefici insieme ad altri artisti. Alcune di queste apparizioni fanno peraltro parte del DVD aggiuntivo della versione Deluxe (comprese alcune con i Cream e, purtroppo, anche una con Zucchero), che per una volta mi sento di consigliare dato il costo stranamente contenuto e la bella confezione a libro con stupende foto in alta definizione.

Ma veniamo al concerto documentato su questo doppio CD, che è manco a dirlo, bellissimo (direbbe il Mollicone nazionale, come lo chiama Bruno *Altro NDB Anche Vince Breadcrump per gli anglofili!)): Clapton sapeva che erano le ultime volte che calcava un palco, e quindi ha dato tutto sé stesso, sia come chitarrista che come cantante, seguito dalla sua abituale band, un combo dal suono assolutamente potente e con una serie di fuoriclasse assoluti al suo interno (il grande Chris Stainton al pianoforte, l’altrettanto bravo Paul Carrack all’organo e voce, la possente sezione ritmica formata da quei due maestri di Nathan East al basso e Steve Gadd alla batteria, oltre alle coriste Michelle John e Sharon White), un gruppo che fornisce l’alveo perfetto per le canzoni del nostro, un suono potente e robusto, dove ovviamente domina la chitarra di Manolenta, ma anche piano ed organo dicono la loro; dulcis in fundo, il disco è registrato in maniera magnifica, l’ho ascoltato a volume adeguato e mi sembrava di avere Eric davanti che suonava per me.

eric clapton live at rah

L’album inizia con un dovuto e sentito omaggio all’amico e fonte d’ispirazione JJ Cale, con una versione robusta della poco nota Somebody’s Knockin’ On My Door, che serve per scaldare l’ambiente a dovere; l’amore principale di Clapton, si sa, è il blues, ed in questo concerto ce n’è parecchio, a partire da una strepitosa Key To The Highway, trascinante come non mai, con il nostro che arrota come sa e la band che lo segue a ruota (e Stainton inizia a fare i numeri sulla tastiera). Tell The Truth è uno dei brani di punta di Layla And Other Assorted Love Songs, e qui la troviamo in una roboante versione che potrei definire quella definitiva, con assolo finale formidabile (altro che mano lenta…); Pretending sul disco Journeyman non mi piaceva molto a causa dei suoi synth e di un suono un po’ gonfio, ma qui gli strumenti sono veri ed il brano aumenta notevolmente il suo appeal, mentre il classico di Willie Dixon (o Muddy Waters) Hoochie Coochie Man è blues deluxe, classe e potenza che si fondono insieme per una rilettura tutta da godere (un plauso anche alle due ottime coriste). You Are So Beautiful è un pezzo di Billy Preston che Eric fa cantare a Carrack, che è bravo ma in un concerto di Clapton io vorrei sentire solo Clapton, ancora di più quando il classico dei Blind Faith Can’t Find My Way Home è ceduto a Nathan East, grande bassista ma come cantante non proprio (ma non si poteva coinvolgere Steve Winwood anche se solo per una canzone?).

Per fortuna Manolenta si riprende la scena con una fluida e possente I Shot The Sheriff: io non amo il reggae, ma se Eric è in serata riuscirebbe a farmi digerire anche l’hip hop, e poi questa volta il classico di Bob Marley ha un arrangiamento decisamente più rock (e che chitarra!); è quindi il momento della parte acustica, con quattro pezzi: due classici blues, Driftin’ Blues e Nobody Knows You When You’re Down And Out, nei quali Eric ci dà un saggio della sua immensa classe (e la seconda è davvero splendida), la sempre toccante Tears In Heaven, dedicata al figlioletto tragicamente scomparso, alla quale uno strano arrangiamento questa volta sì reggae toglie un po’ di pathos, ed una Layla eseguita in puro unplugged style, sempre bella ma per le serate finali di una carriera avrei preferito la versione elettrica. La band riattacca la spina per una vibrante e maestosa Let It Rain, seguita dalla famosissima Wonderful Tonight, una ballad che non ho mai amato moltissimo (e secondo me neppure George Harrison…scusa George per la battuta squallida ma anche tu da lassù so che apprezzi l’ironia), ma non potevo certo pretendere che Eric non la facesse.

Poteva mancare Robert Johnson? Assolutamente no, e quindi ecco una solida Crossroads ed una scintillante Little Queen Of Spades, ancora con un formidabile Stainton; chiude la serata Cocaine (ancora Cale, come all’inizio), una scelta forse scontata ma sempre una grande canzone. L’unico bis, al quale partecipa anche Andy Fairweather-Low, è in tono secondo me minore: non è che High Time We Went di Joe Cocker sia brutta (a proposito, il buon Fornaciari deve aver ascoltato una o due volte questa canzone, per usare un eufemismo, prima di “comporre” la sua Diavolo In Me), ma perché come gran finale avrei preferito ascoltare una White Room o una Sunshine Of Your Love, anche perché, a parte Crossroads che è comunque una cover, i Cream sono stati incredibilmente ignorati. Ma alla fine sono quisquilie: Slowhand At 70 è un signor album dal vivo (se consideriamo il superbox dei Grateful Dead una ristampa potrebbe essere anche il live dell’anno), che mi fa sperare che, come dico nel titolo del post, Eric Clapton ritorni sulle sue decisioni e si faccia ancora vedere su qualche palcoscenico ogni tanto.

Marco Verdi

Ma E’ Ancora Vivo, Eccome! Van Morrison – Duets: Re-Working The Catalogue, La Recensione.

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Van Morrison – Duets: Re-Working The Catalogue – Yada/Yasca – RCA/Sony – 24-03-2015 “Ma è ancora vivo!”: circa un mesetto fa così titolavo il post dove vi annunciavo l’uscita del nuovo disco di “Van The Man”, ora l’attesa è finita e il nostro amico è vivo e vegeto, pronto anche a lui a compiere i 70 anni alla fine di agosto, e li festeggia con un bel disco di duetti, andando a pescare nel suo enorme catalogo passato di canzoni, lasciando per una volta da parte i classici per rivisitare episodi cosiddetti minori, che parlando però di uno come Van Morrison , tali non sono, diciamo meno conosciuti. Inutile dire che l’album suona un gran bene e lui ha ancora una voce strepitosa, non sempre, forse, i suoi partners sono all’altezza, ma nel complesso il disco pare destinato a diventare un piccolo classico del suo catalogo, per rimanere in tema con il titolo e in ogni caso l’arte del duetto è sempre stata insita nella natura di Morrison. Quindi andiamo a vedere, brano per brano, cosa succede in questo Duets. Per l’occasione si è preso come collaboratori per completare l’album, registrato lo scorso anno tra Belfast e Londra, non uno ma addirittura due produttori, Don Was e Bob Rock, e dall’aria che si respira nel disco sembra che si sia divertito parecchio a farlo, a giudicare dalle risate di compiacimento tra i due alla fine di How Can A Poor Boy?, il duetto dal vivo con Taj Mahal, o la complicità che traspare nello scambio di battute musicali tra lui e Chris Farlowe nella rilettura di Born To Sing, il brano più recente, apparso nel disco omonimo del 2012.

1. Some Peace Of Mind – Van Morrison & Bobby Womack Il brano che apre questa raccolta era stato in origine pubblicato nel doppio album (l’unico in studio dell’irlandese) del 1991, Hymns To The Silence. E Morrison in un’intervista recente https://www.youtube.com/watch?v=1mYkDbmJ8S8 dice che non era a conoscenza delle cattive condizioni di salute di Womack che sarebbe morto a fine giugno del 2014, anzi, gli pareva in buona forma, almeno esteriormente. Il brano viene proposto in una versione più grintosa rispetto a quella del 1991, con Van e Bobby che si alternano alla voce solista e poi armonizzano nel finale, mentre un bel arrangiamento di archi e fiati irrobustisce il sound della canzone, con due soli di sax e trombone che lo impreziosiscono. Un classico esempio di soul alla Van Morrison, tanto per aprire alla grande.

2. If I Ever Needed Someone – Van Morrison & Mavis Staples La voce di Mavis Staples ha combattuto mille battaglie sonore nel corso degli anni e risente, con una certa raucedine, del passare del tempo, ma è ancora animata dal fuoco del gospel e del soul e in questa versione di un brano che appariva su His Band And The Street Choir, un disco del 1970, è assolutamente paritaria con il “vecchio” Van, per un risultato che emoziona non poco, grande musica.

3. Higher Than The World – Van Morrison & George Benson

Questo brano viene da Inarticulate Speech Of The Heart, uno degli album più spirituali della discografia del rosso irlandese, che in questo caso appoggia il suo stile al jazz-soul di Benson, con una versione ritmata e mid-tempo dove l’artista americano ha modo di mettere in evidenza il suo vellutato stile chitarristico e anche accenni del suo tipico scat vocale, piacevole senza essere memorabile, bello l’assolo di sax nel finale, ma a memoria l’originale mi sembrava più bello.

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4. Wild Honey – Van Morrison & Joss Stone

Wild Honey era su Common One, un altro dei dischi del periodo soul celtico degli anni ’80 e Joss Stone se la cava alla grande, mettendo a disposizione del suo ospite quella bella voce che la conferma come uno dei migliori giovani talenti del soul contemporaneo https://www.youtube.com/watch?v=10lpglxnM0I , l’interscambio tra le due voci è perfetto, e per una volta entrambi possono duettare tra pari, su uno sfondo quasi jazzato di gran classe. Il tono della voce di Van pare essere quasi compiaciuto e deliziato nello splendido finale con i due in assoluta libertà.

5. Whatever Happened To P.J. Proby – Van Morrison & P.J. Proby P.J. Proby ormai veleggia verso i 77 anni, ma già nel 2002 il nostro Van si chiedeva cosa gli fosse successo, in questo piccolo divertissement che all’origine si trovava su Down To Road. Il vecchio texano (ma tutti sono convinti che sia inglese, perché lì si è svolta la sua carriera), una dozzina di anni dopo gli fa sapere che tutto va bene e dimostra di essere ancora in grado di fare un bel duetto tra leggende, anche se il brano obiettivamente era e rimane, in questo caso, “minore”!

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6. Carrying A Torch – Van Morrison & Clare Teal

Clare Teal è considerata una delle più grandi cantanti jazz inglesi contemporanee (sentire per credere https://www.youtube.com/watch?v=0ppqwywWias), quella che ha avuto in tempi recenti il contratto più sostanzioso da una etichetta discografica. La voce è in effetti deliziosa e contribuisce non poco alla bellezza di una ballata sentimentale come Carrying A Torch, sempre tratta da Hymns To The Silence, dove gli archi e il piano sono gli altri elementi portanti di questo intenso brano.

7. The Eternal Kansas City – Van Morrison & Gregory Porter

The Eternal Kansas City era su A Period of Transition, forse a ragione considerato il disco “più brutto” del primo periodo di Van Morrison, anche se non si direbbe, a giudicare da questa versione registrata con Gregory Porter, una delle stelle del nuovo jazz americano https://www.youtube.com/watch?v=zbBbI8N2qJc , vincitore del Grammy 2014 di categoria ed in possesso di una voce in grado di spaziare con estrema facilità tra jazz e soul, come dimostra in questa canzone, anche grazie all’intermezzo strumentale che è jazz puro e all’incrociarsi libidinoso delle due voci https://www.youtube.com/watch?v=r5iS336UiDw .

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8. Streets Of Arklow – Van Morrison & Mick Hucknall Veedon Fleece è uno dei miei album preferiti in assoluto di Van Morrison, uno dei più complessi ed intensi della sua discografia e Streets Of Arklow una delle canzoni più belle del disco. Questa versione che segna l’incontro tra i due “rossi” mantiene la magia mistica dell’originale ed è uno dei punti più alti di questo album di duetti, anche grazie a “Mister Simply Red” Mick Hucknall che realizza una delle migliori interpretazioni vocali della sua carriera. Perfetta. 9. These Are The Days – Van Morrison & Natalie Cole La canzone era una delle più belle in Avalon Sunset, uno degli album di maggior successo della carriera di Morrison, quello per intenderci che conteneva anche Whenever God Shines His Light e Have I Told You Lately. Si tratta di una ballata mid-tempo, leggera e scorrevole, che si attaglia perfettamente alla voce di Natalie Cole. van morrison 4

10. Get On With The Show – Van Morrison & Georgie Fame

Georgie Fame è stato l’organista della band di Morrison dal 1989 al 1997, ma è stato anche uno degli artisti di maggior successo nelle classifiche inglesi degli anni ’60 con ben tre brani al numero uno, poi si è ritagliato una carriera R&B e Jazz che prosegue a tutt’oggi: i due vanno a nozze con questa canzone tratta da What’s Wrong With This Picture?, un disco dei primi anni 2000 uscito per la Blue Note, qui ripreso in una divertente versione a tempo di cha-cha-cha.

11. Rough God Goes Riding – Van Morrison & Shana Morrison

La figlia di Van, Shana, ha già duettato parecchie volte con il babbo, sia nei suoi dischi come in quelli del padre e fa la sua porca figura (nel senso che canta veramente bene) in questa bellissima riscrittura di un brano che appariva in origine su The healing game, il disco del 1997 che è uno dei migliori del Morrison dell’ultimo periodo. Classico celtic soul con Van che però viene interrotto e sfumato quando cominciava ad infervorarsi da par suo nel finale della canzone, che rimane comunque tra le più soddisfacenti dell’album.

12. Fire In The Belly – Van Morrison & Steve Winwood

L’incontro tra due delle più belle voci della musica britannica avviene sulle note della bluesata Fire In The Belly, sempre tratta da The healing game, e i due cantano, cazzo che se cantano, scusate, mi è scappato, ma ci voleva.Oggigiorno, in una pletora di dischi inutili dove ci vengono magnificati e propinati improbabili cantanti provenienti da talent show e gare sonore varie, presentati come fenomenti, sentire due che cantano (e suonano, sentire l’assolo di organo di Steve Winwood) così è un vero piacere per le orecchie https://www.youtube.com/watch?v=aH9R0KN7y5s

13. Born To Sing – Van Morrison & Chris Farlowe A proposito di gente nata per cantare, come recita il titolo del brano, Born To Sing, che era anche il titolo dell’ultimo album di Van Morrison sino ad oggi (in effetti era No Plan B), pure il duetto con Chris Farlowe,  uno che a livello di talenti canterini non scherza, è notevole. Tra Sam Cooke e Ray Charles i due si sfidano in un brano fiatistico di grande appeal, musica “semplice”, in fondo stanno “cantando il blues”, ma lo fanno con un impegno ed una passione sempre ammirevoli, non scalfita dal passare degli anni e senza quell’aria di deja vu o se preferite, “già sentito”, che ogni tanto percorre stancamente certi dischi dell’irlandese, ma per il sottoscritto, che è assolutamente imparziale, ci mancherebbe, potrebbe anche cantare l’elenco del telefono e andrebbe sempre bene, ma non è il caso di questo disco. La rivista Mojo che ultimamente non sempre era stata tenera con i dischi di George Ivan Morrison gli ha assegnato le canoniche quattro stellette che spettano ai dischi “importanti”!

14. Irish Heartbeat – Van Morrison & Mark Knopfler Irish Heartbeat era il titolo della title-track del disco registrato da Morrison con i Chieftains nel 1988, un brano bellissimo nella versione originale, ma se è possibile questa registrata con Mark Knopfler nel suo studio è ancora più bella, a conferma dello stato di grazia raggiunto dall’ex Dire Strait con l’ultimo Tracker e che viene ribadita in questo brano dove nel finale Van vocalizza e duetta nel suo modo inconfondibile con la chitarra di Knopfler. Stupenda versione. Il brano era stato inciso per la prima volta su Inarticulate Speech Of The Heart. https://www.youtube.com/watch?v=_oPb2Ma9z2M.

15. Real Real Gone – Van Morrison & Michael Bublé Nell’anticipazione sul Blog del nuovo album ipotizzavo, sulla base dell’ascolto di questo solo brano, che se perfino il brano cantato con Michael Bublé era bello, l’intero album si preannunciava, come poi è stato, un successo a livello creativo e di idee; la canzone Real Real Gone, è una delle tipiche composizioni gioiose di Morrison, di quelle da cantare a voce spiegata, orecchiabili e radiofoniche, ma sempre a livello sublime in confronto a quello che si ascolta abitualmente on the radio.

16. How Can A Poor Boy? – Van Morrison & Taj Mahal Si finisce a tempo di Blues, John Lee Hooker e Jimmy Witherspoon che erano due dei partner abituali di Morrison, quando voleva cantare il blues, non ci sono più, ma Taj Mahal è ancora in grado di infiammare le dodici battute con la sua classe immensa e i due, come dicevo all’inizio del Post si divertono davvero tra loro e divertono l’ascoltatore con questa versione incandescente di How Can A Poor Boy?, un brano che si trovava su Keep It Simple, ma in questo nuovo duetto è infinitamente superiore. Chi paventava la ciofega o la patacca non tema, questo Duets è un grande disco, con due o tre brani non dico scarsi, ma “normali”, e il resto decisamente sopra la media, esce martedì 24 marzo.

Bruno Conti

Sono 70 Anche Per Lui. Si Potevano Festeggiare Meglio, Ma Non E’ Detto! Eric Clapton – Forever Man

eric clapton forever man

Eric Clapton – Forever Man – 3CD – 2CD – 2 LP – Reprise/Warner 28-04-2015

Il 30 Marzo anche il vecchio “Enrico Manolenta” compie 70 anni! E per l’occasione la Reprise, una delle etichette per cui ha inciso Eric Clapton, pubblicherà una compilation retrospettiva dedicata al materiale che il chitarrista inglese ha inciso per il gruppo Warner (che come è noto non è proprio il migliore della sua carriera, ma ha comunque delle punte di nota). Purtroppo non si è colta l’occasione per pubblicare un cofanetto antologico che raccogliesse il meglio di tutta la sua carriera, quindi multilabel, e magari ricco di inediti, ma mai dire mai, c’è sempre tempo – infatti si parla da tempo anche della ristampa potenziata di No Reason To Cry, il disco uscito nel 1976 a cui parteciparono Bob Dylan, Van Morrison e la Band, curata da Bill Levenson  e di un non meglio identificato Slowhand Box Live, dedicato ai 50 anni di carriera concertistica, dagli Yardbirds ai prossimi concerti alla Royal Albert Hall, mi sembra di essere Biscardi quando parlo di questi “sgub” – e comunque in passato di box ne sono già usciti parecchi. L’operazione ha tutta l’aria di essere stata organizzata in fretta e furia, visto che l’uscita è prevista per il 28 aprile, quasi un mese dopo il compleannno di Clapton, ma magari mi sbaglio visto che è pubblicizzata anche sul suo sito, con varie edizioni Bundle, come le chiamano loro, di quelle composite e costose, con magliette, litografie, tazze e quant’altro. In un certo senso forse è meglio che non ci siano inediti, considerando che spesso quei pochi pezzi aggiunti sono croce e delizia per fans e collezionisti, costretti ad acquistare confezioni spesso costose per un minimo di materiale extra, ma non sembrerebbe questo il caso, leggendo le tracklists delle varie edizioni, quella doppia e quella tripla, con un CD di materiale dal vivo:

FOREVER MAN TRACK LISTINGS

3CD and Digital Download Edition
CD1 – Studio
01.  Gotta Get Over
02.  I’ve Got A Rock ‘N’ Roll Heart
03.  Run Back To Your Side
04.  Tears In Heaven
05.  Call Me The Breeze
06.  Forever Man
07.  Believe In Life
08.  Bad Love
09.  My Father’s Eyes
10.  Anyway The Wind Blows – with J.J. Cale
11.  Travelin’ Alone
12.  Change The World
13.  Behind The Mask
14.  It’s In The Way That You Use It
15.  Pretending
16.  Riding With The King – with B.B. King
17.  Circus
18.  Revolution
CD2 – Live
01.  Badge
02.  Sunshine Of Your Love
03.  White Room
04.  Wonderful Tonight
05.  Worried Life Blues
06.  Cocaine
07.  Layla (Unplugged)
08.  Nobody Knows You When You’re Down & Out (Unplugged)
09.  Walkin’ Blues (Unplugged)
10.  Them Changes – with Steve Winwood
11.  Presence Of The Lord – with Steve Winwood
12.  Hoochie Coochie Man
13.  Goin’ Down Slow
14.  Over The Rainbow
CD3 – Blues
01.  Before You Accuse Me
02.  Last Fair Deal Gone Down
03.  Hold On, I’m Comin’ – with B.B. King
04.  Terraplane Blues
05.  It Hurts Me Too
06.  Little Queen Of Spades
07.  Third Degree
08.  Motherless Child
09.  Sportin’ Life Blues – with J.J. Cale
10.  Ramblin’ On My Mind
11.  Stop Breakin’ Down Blues
12.  Everybody Oughta Make A Change
13.  Sweet Home Chicago
14.  If I Had Possession Over Judgement Day
15.  Hard Times Blues
16.  Got You On My mind
17.  I’m Tore Down
18.  Milkcow’s Calf Blues
19.  Key To The Highway – with B.B. King
2CD and Digital Download Edition
CD1
01.  Gotta Get Over
02.  I’ve Got A Rock ‘N’ Roll Heart                            
03.  Anyway The Wind Blows – with J.J. Cale                    
04.  My Father’s Eyes                                          
05.  Motherless Child                                          
06.  Pretending                                                
07.  Little Queen Of Spades                                    
08.  Bad Love                                                  
09.  Behind The Mask
10.  Tears In Heaven
11.  Change The World
12.  Call Me The Breeze
13.  Forever Man
14.  Riding With The King – with B.B. King
15.  It’s In The Way That You Use It                           
16.  Circus
17.  Got You On My Mind
18.  Travelin’ Alone
19.  Revolution
CD2 – Blues
01.  Before You Accuse Me
02.  Last Fair Deal Gone Down
03.  Hold On, I’m Comin’ – with B.B. King
04.  Terraplane Blues
05.  It Hurts Me Too
06.  Little Queen Of Spades
07.  Third Degree
08.  Motherless Child
09.  Sportin’ Life Blues – with J.J. Cale
10.  Ramblin’ On My Mind
11.  Stop Breakin’ Down Blues
12.  Everybody Oughta Make A Change
13.  Sweet Home Chicago
14.  If I Had Possession Over Judgement Day
15.  Hard Times Blues
16.  Got You On My mind
17.  I’m Tore Down
18.  Milkcow’s Calf Blues
19.  Key To The Highway – with B.B. King

Quindi tanti auguri a Eric Clapton per il suo compleanno, che verrà festeggiato anche con un tour mondiale (forse tour è troppo, saranno due date al Madison Square Garden e sette alla Royal Albert Hall nel mese di maggio), ma, per fortuna, non sarò tra i fruitori di questo disco fondamentalmente inutile (mi chiedo sempre chi li concepisce)!

Per ingannare l’attesa.

Bruno Conti

Ma E’ Ancora Vivo! Van Morrison – Duets: Re-Working The Catalogue

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Van Morrison – Duets: Re-Working The Catalogue – Yada/Yasca – RCA/Sony – 24-03-2015

Ormai avevo quasi perso le speranze, le grandi case discografiche le aveva girate tutte (litingando con chiunque) e invece all’appello mancava ancora la Rca del gruppo Sony e quindi, dopo tre anni di silenzio (pensavo di più), torna anche il grande Van Morrison, uno dei miei preferiti in assoluto, con un disco di duetti dove rivisita il vecchio catalogo. Oddio, alcuni dei protagonisti di queste accoppiate non li avrei scelti, a favore di altri, ma se persino Michael Bublé risulta sopportabile, speriamo in bene.

Comunque, questa è la lista completa dei brani e degli artisti coinvolti (vi sorprenderà Clare Teal https://www.youtube.com/watch?v=wKE04wbOcYc):

1. Some Peace Of Mind – Van Morrison & Bobby Womack
2. If I Ever Needed Someone – Van Morrison & Mavis Staples
3. Higher Than The World – Van Morrison & George Benson
4. Wild Honey – Van Morrison & Joss Stone
5. Whatever Happened To P.J. Proby – Van Morrison & P.J. Proby
6. Carrying A Torch – Van Morrison & Clare Teal
7. The Eternal Kansas City – Van Morrison & Gregory Porter
8. Streets Of Arklow – Van Morrison & Mick Hucknall
9. These Are The Days – Van Morrison & Natalie Cole
10. Get On With The Show – Van Morrison & Georgie Fame
11. Rough God Goes Riding – Van Morrison & Shana Morrison
12. Fire In The Belly – Van Morrison & Steve Winwood
13. Born To Sing – Van Morrison & Chris Farlowe
14. Irish Heartbeat – Van Morrison & Mark Knopfler
15. Real Real Gone – Van Morrison & Michael Bublé
16. How Can A Poor Boy? – Van Morrison & Taj Mahal

Sembra in forma il grande Van The Man https://www.youtube.com/watch?v=AjhSr4pqLGo , anche lui compie 70 anni nel 2015 https://www.youtube.com/watch?v=NIIAip9F-ws . Manca solo un mese all’uscita.

Bruno Conti

Musica Di “Peso”, Non Fate Caso Al Titolo Del CD! Matt Andersen – Weightless

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Matt Andersen – Weightless – High Romance/True North/Ird

A giudicare dal titolo e dalla piuma che svolazza senza peso, Weightless, sulla copertina del disco, uno non potrebbe neppure immaginare che siamo di fronte ad una “personcina” che ha più il peso e le dimensioni di un Popa Chubby. Ma il talento, in questo caso, non è inversamente proporzionale: ogni etto contiene talento a profusione! Presentato sullo sticker della copertina come vincitore dell’European Blues Award e dell’International Blues Challenge uno si aspetterebbe un disco sulla falsariga di un Duke Robillard, un Matt Schofield, un Johnny Lang. Ma in effetti, anche se il Blues è presente, sarebbe come dire che i Jethro Tull sono una band di heavy metal? Come dite? Ah, gli hanno dato un Grammy proprio per quello! Strano.

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Se dovessi definire lo stile di Matt Andersen. ottimo musicista canadese mi riferirei a gente come John Hiatt, il primo Joe Cocker, il Clapton influenzato da Delaney & Bonnie, la Band. Tutta musica buona: non per nulla il disco è stato prodotto dall’ex Blasters e Los Lobos, Steve Berlin, registrato ad Halifax, nella Nova Scotia canadese, i fiati (elemento integrante del sound) sono stati aggiunti ad Austin, Texas, mixato a Newbury Park, in California e masterizzato da Hank Williams (giuro, non III o Jr.!), in quel di Nashville, Tennessee, Se dovessi sintetizzare, gran bel disco, canzoni notevoli, splendida voce, ottimi musicisti. E qui, se volete, potete smettere di leggere, ma conoscendomi, sapete che non posso esimermi dall’elaborarne un po’ i contenuti, per cui vediamo cosa stiamo per ascoltare, anche se il consiglio sentito è di acquistare questo album https://www.youtube.com/watch?v=SqZtVvziHJA .

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Dodici brani, tutti firmati dallo stesso Matt Andersen, quasi sempre con diversi parolieri e musicisti, uno migliore dell’altro: oltre alla produzione di Berlin il CD si avvale anche del decisivo lavoro del chitarrista Paul Rigby (quello dei dischi di Neko Case). Questo è l’ottavo album di Andersen, già il precedente Coal Mining Blues, prodotto da Colin Linden, era un bel disco https://www.youtube.com/watch?v=unh4gbcanoI , ma in questo Weightless la qualità migliora ancora, prendete la canzone d’apertura, I Lost My Way, un brano che mescola il meglio di Steve Winwood, John Hiatt e Delbert McClinton, un filo di Joe Cocker, la chitarra lavoratissima di Rigby, una sezione fiati che aggiunge pepe al brano, le vocalist di supporto, guidate da Amy Helm, che donano una patina soul à la Band, un’aria rootsy-rock che ricorda anche le mid-tempo ballads del Marc Cohn più ispirato, tanto per non fare nomi https://www.youtube.com/watch?v=GC8jw0LM_z0 .

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My Last Day prosegue con questo groove rilassato ed avvolgente, anche le tastiere si fanno sentire, il cantato è sempre delizioso, una voce avvolgente che ti culla e ti scuote al contempo, sembra di essere in quel di Memphis per qualche session dei tempi che furono, una meraviglia https://www.youtube.com/watch?v=WKbht9nKFKI . Paul Rigby, ha un sound chitarristico inconsueto ma affascinante e tutti i musicisti sono al servizio delle canzoni e non viceversa, come ogni tanto accade. Anche So Easy, con una bella intro di chitarra acustica, ruota intorno alla voce espressiva di Andersen, qui ancora più suadente ed emozionante, e alla pedal steel incisiva di Rigby, che sorpresa, un cantante che sa esporre i suoi sentimenti attraverso la voce senza dovere urlare come un ossesso https://www.youtube.com/watch?v=tNEC6NVDRd4 . Per Weightless tornano i fiati e le voci femminili di supporto, il suono è tra la Band più soul e gli Stones di Honky Tonk Women, qui Matt lascia andare un po’ di più la voce e l’amico Mike Stevens aggiunge un gagliardo assolo di armonica. Alberta Gold è un’altra gioiosa ode ai grandi cantautori degli anni ’70, mossa e ritmata, con Rigby sempre magico alla chitarra https://www.youtube.com/watch?v=ek1-swOBYfY , Let’s Go To Bed viceversa è un gioiellino elettroacustico, molto intimista, “canadese” se vale come aggettivo, sempre con la voce sugli scudi e la chitarra che lavora di fino sullo sfondo.

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The Fight ha un attacco molto pettyano, acustica e organo in evidenza, Berlin al piano (?!), l’elettrica minacciosa subito in primo piano, ma il brano prende quota quando la voce e la chitarra acquistano grinta e stamina per un crescendo entusiasmante, bellissima canzone. Drift away, nuovamente dolce e tranquilla, potrebbe ricordare l’Hiatt più bucolico, ma è solo l’impressione di chi scrive, potete sostituire con chi volete, solo gente brava mi raccomando! Ottima anche Let You Down, dove un mandolino, le armonie vocali avvolgenti e il lavoro di fino del batterista Geoff Arsenault, potrebbero ricordare ancora la Band, ma anche il sound del primo album di Bruce Hornsby, esatto, così bello. Un po’ di country-rock-blues per City Of Dreams, una fantastica ballata tra soul e Cooder, Between The Lines, con la slide di Rigby perfetta, e la conclusione con l‘errebì rauco di What Will You Leave. Cosa volere di più?

Bruno Conti

Manolenta Va Ai Caraibi! Eric Clapton – Old Sock

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Eric Clapton – Old Sock – Bushbranch/Surfdog/Polydor CD

So che il titolo del post potrebbe anche sembrare quello di un’avventura di un personaggio dei fumetti, ma è in realtà il modo più sintetico per riassumere i contenuti di Old Sock (vecchio calzino, titolo indubbiamente autoironico), il nuovissimo album di studio di Eric “Manolenta” Clapton. A giusto tre anni da Clapton, che era il suo miglior disco di studio da secoli a questa parte (quelli di covers di blues esclusi), Old Sock migliora addirittura il livello, diventando forse il lavoro più bello addirittura da Money And Cigarettes (il disco con Ry Cooder, e stiamo parlando di trent’anni fa), ma operando delle scelte stilistiche diverse in materia di sound. Non è che Eric sia andato fisicamente ai Caraibi ad incidere, ma l’atmosfera all’interno del CD è quella, non tanto per i suoni (non somiglia, per dire, ad un disco di Jimmy Buffett), quanto per l’atmosfera solare e rilassata che si percepisce in tutti i brani.

Clapton ormai ha la sua età, è in pace con sé stesso e non deve dimostrare più nulla da tempo, e può fare ciò che gli pare, quando gli pare e con chi gli pare: a conferma di questo, l’album è il primo ad uscire per la sua etichetta personale, la Bushbranch. Eric riscopre il reggae (se ne era innamorato già negli anni settanta, ricordate I Shot The Sheriff e Knockin’On Heaven’s Door?), usandolo però non in dosi massicce, così da non scontentare chi non ama il genere alla follia (tipo il sottoscritto), fa qualche brano in perfetto stile anni 30-40, addirittura del country, un paio di pezzi tipici suoi, ma tutto in modo assolutamente rilassato. Attenzione, questo non va a discapito del feeling e dalla qualità: Old Sock è un gran bel disco, in cui Eric coniuga abilmente classe, mestiere e voglia di suonare e sperimentare anche sonorità insolite per lui, lasciando talvolta addirittura in secondo piano la sua chitarra (pochi sono infatti i suoi tipici assoli poderosi).

Clapton sceglie di fare perlopiù covers di varia estrazione, i brani originali (tra l’altro neppure scritti da lui, ma da Doyle Bramhall II con…Nikka Costa!!!) sono solo due su dodici, ma, come ho detto prima, Eric è arrivato ad un punto in cui sceglie le canzoni che vuole. Se aggiungiamo a tutto ciò una lista di musicisti impressionante (oltre a Bramhall abbiamo Steve Gadd, Greg Leisz, Jim Keltner, Matt Rollings, Willie Weeks, Henry Spinetti ed altri) ed alcuni special guests davvero special (li nominerò man mano) non ci vuole molto a fare un grande disco. Altro particolare degno di nota, il CD esce in una versione sola, ed oggi è una rarità (a dire il vero una versione deluxe ci sarebbe anche, ma è venduta solo sul suo sito, è limitata a mille copie, costa circa il triplo e l’unica bonus track, No Sympathy, non è sul CD ma su una chiavetta USB allegata. Complimenti…).

L’album si apre con Further On Down The Road, da non conforndersi con il quasi omonimo classico di Bobby “Blue” Bland: questo è un brano scritto da Taj Mahal, che appare al banjo ed armonica, proposto con un arrangiamento solare e delicatamente reggae, molto piacevole, subito una bella canzone. Angel (di e con J.J. Cale) è una ballata laidback tipica del suo autore, raffinata e godibilissima, cantata quasi sottovoce e strumentalmente ineccepibile; The Folks Who Live On The Hill (un brano anni trenta portato al successo da Peggy Lee) ha un arrangiamento di gran classe, tra jazz e musica hawaiana d’altri tempi. Gotta Get Over è un brano nuovo ed è anche il primo singolo, ed il suono qui è più vicino allo stile tipico di Eric, un rock classico ma molto ben fatto, vibrante, orecchiabile, diretto, con Chaka Khan alle armonie (ma non si nota…), ma soprattutto con il nostro che si lascia finalmente andare alla Stratocaster. Till Your Well Runs Dry (Peter Tosh) è molto bella nonostante sia un reggae (anche se solo nel ritornello); in All Of Me Clapton duetta addirittura con Sir Paul McCartney, regalandoci un irresistibile brano jazzato vivace e solare, anni quaranta, dove l’unico tributo alla modernità è il suono della chitarra di Eric (in origine era una canzone interpretata sia da Billie Holiday che da Sarah Vaughan). Born To Lose è stato un successo di Ted Daffan, un pioniere del country oggi dimenticato: l’arrangiamento di Eric è fedele allo stile dell’autore, e sembra che il nostro non abbia mai fatto altro che suonare musica country. Uno dei brani migliori, senza dubbio, una cover scintillante.

E il blues? Eccovi servita una sontuosa interpretazione di Still Got The Blues, un omaggio di Clapton a Gary Moore, con l’amico Steve Winwood a fare i numeri all’organo: versione manco a dirlo da applausi, lunga, profonda e sentita. Grandissima classe. Old Sock cresce brano dopo brano: è la volta della celeberrima Goodnight Irene (di Leadbelly, ma che ve lo dico a fa?), solare, fluida, caraibica, ispiratissima, in breve una delle più riuscite. La migliore del disco? Decisamente sì. Un capolavoro assoluto nella discografia di Clapton, sentire per credere. L’album si chiude con Your One And Only Man di Otis Redding, ancora reggae, Every Little Thing, il secondo brano originale del disco, molto bella anche questa, una ballata anni settanta cantata benissimo da Eric (ma il coro di bambini finale ce lo poteva risparmiare), e Our Love Is Here To Stay, dei fratelli Gershwin, jazzata e raffinata come da copione.

Che altro dire…uscite e compratelo!!!

Marco Verdi

Quasi “Forty Years After”! Alvin Lee – Still On The Road To Freedom

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Alvin Lee – Still On The Road To Freedom – Repertoire

Se avesse lasciato passare ancora un anno avremmo potuto parlare di “Forty Years After” (scusate, ma non ho resistito), tanti quanti ne sono passati dall’uscita del suo primo disco da solista, On The Road To Freedom, pubblicato nel novembre 1973. Ma anche lui non ha resistito e quando l’ispirazione lo ha raggiunto ha deciso di dare alle stampe questa sorta di seguito, Still On The Road On Freedom, sul quale peraltro aveva iniziato a lavorare dal 2008. I Ten Years After (almeno quelli nella versione con Alvin Lee, ne circola una con tale Joe Gooch che è una pallida imitazione dell’originale) si sono sciolti tra il 1973-1974 e per tutti, oltre ad essere stati una delle più grandi formazioni del rock-blues britannico, sono “quelli” di Woodstock, con il chitarrista più veloce del mondo, lo schermo che si apre in tre parti e Alvin Lee che intona I’m Going Home fanno parte dell’iconografia della musica rock.

Ma Lee non ha retto per molti anni la parte e appunto nel 1973 ha deciso di abbandonare quel mondo di tournée interminabili, dischi a getto continuo e stress ad alta densità per dedicarsi ad uno stile più morigerato, quasi roots, con il suo primo album solista. E a quel disco hanno collaborato in modo fattivo George Harrison (sotto lo pseudonimo Hari Georgeson, allora usava) che oltre a suonare nel disco aveva composto anche un brano, Steve Winwood, Ron Wood, Jim Capaldi, Mick Fleetwood, il tastierista Tim Hinkley, che suona anche nel nuovo album, oltre naturalmente a Mylon LeFevre, musicista sconosciuto ai più, ma che prima e dopo ha inciso una valanga di materiale gospel. Risentito oggi, il disco rimane l’ultima prova di valore di Alvin Lee, che da allora non ha più saputo produrre qualcosa degno della sua fama, brani dignitosi e anche ottimi sparsi qui e là ma nulla di significativo. Tra l’altro, vista la provenienza di LeFevre, l’album viene spesso catalogato come gospel, ma in fondo era un disco solista di Alvin Lee con il background dei TYA rivisto attraverso un background più “pastorale”, comunque un ascolto o due li vale!

Quando ho ascoltato per la prima volta il nuovo album ed in particolare la prima traccia, la title-track, mi sono detto, cazzarola ma allora è ancora capace di fare della bella musica! Perché in effetti Still On The Road To Freedom è un signor brano, con l’allure delle migliori composizioni dei Ten Years After, con il suono della chitarra di Lee, che è solo suo ed inconfondibile, come pure la voce, li riconosci dalla prima nota, anche un bel arrangiamento, un testo dignitoso e una resa complessiva che ti resta in testa, ti fa venire voglia di riascoltarlo più volte. E pure il secondo brano, Listen To Your Radio Station, introdotto dal sound di percussioni africane e con un drum loop campionato dello scomparso Ian Wallace, si ascolta con piacere, con la voce filtrata di Lee e la chitarra che disegna linee rapide e pungenti, un’altra canzone di buon spessore. Ma tutto il disco viaggia su livelli dignitosi, non come il primo brano, ma canzoni oneste, un rock di stampo americano, come nell’eccellente Midnight Creeper dove l’organo di Tim Hinkley e la chitarra di Lee si scambiano riff con l’abbandono dei vecchi tempi. Non manca l’omaggio al blues delle origini con Save My Stuff, ma non è quello duro e tirato del suo gruppo, ma molto morbido e raffinato, un country-blues e per l’occasione Alvin rispolvera anche la sua armonica e la chitarra acustica.

I’m A Lucky Man è un R&R/rockabilly scatenato, e chi ricorda la parte centrale del medley di I’m Going Home può capire, ma se aggiungiamo che il nome Ten Years After nel 1966, nasceva in quanto il gruppo ricordava il decimo anniversario della “venuta” di Elvis, tutto si fa ancora più chiaro. Non tutto funziona alla perfezione, Walk On, Wak Tall sembra una parodia non riuscita dell’Elvis country, Blues Got Me So Bad è un blues acustico che ci fa rimpiangere le atmosfere infuocate delle cavalcate elettriche del gruppo di Lee e sembra un brano tra mille, potrebbe essere chiunque anche se la voce lo tradisce. Song Of The Red Rock Mountain è più interessante, uno strumentale acustico con influenze messicane si colloca a cavallo tra Morricone e i Calexico. Piacevole anche Nice & easy che potrebbe essere una traccia perduta di JJ Cale, molto laidback, Back in ’69, sia a livello musicale, molto TYA, che come testo, è un “ricordo” dei bei tempi che furono, e funziona, come l’ottima jam strumentale di Down Like Rock che potrebbe ricordare i duetti strumentali a base di chitarra e organo di Booker T e Steve Cropper con gli altri MG’s. Rimane il breve funky-rock di Rock You e il “seguito”, Love Like A Man 2, che non è il remake della vecchia canzone ma un brano nuovo ispirato, secondo quanto ha detto lo stesso Alvin Lee, da Chuck Berry e da I Hear You Knocking di Smiley Lewis, e se lo dice lui dobbiamo credergli, lo saprà bene! Comunque la chitarra, a sprazzi, ruggisce ancora e conferma la buona qualità di questo ritorno, sono passati quasi 40 anni e il disco è quasi bello!

Bruno Conti  

Variazioni, Correzioni e Aggiunte. Uno Speciale Di Ferragosto Sulle Uscite Future! Velvet Underground, Who, Carmel, Dan Stuart, R.e.m., John Hiatt, Avett Brothers, Steve Winwood, Dwight Yoakam, Paul Simon, Wallflowers, Eccetera

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E’ proprio vero che si torna sempre sulla scena del delitto. Controllando le notizie sulle uscite dei prossimi mesi mi sono accorto che avevo “dimenticato” molti autori e titoli importanti, oltre alle variazioni sulle date di uscita che sono all’ordine del giorno, per esempio questo cofanetto in Super Deluxe Edition di The Velvet Underground And Nico è stato posticipato al 30 ottobre, rispetto al 2 della prima data. Del Box di Sandy Denny vi ho già dato notizia dello spostamento sempre al 30 di ottobre, data in cui uscirà un altro Mega Cofanetto di cui parliamo a fine articolo. Con Post all’uopo dedicati vi informerò sulla seconda uscita delle ristampe di Frank Zappa, la prima dedicata alla discografia dei Beach Boys e tutta la serie, in tre uscite “potenziate”, della discografia degli Aztec Camera. Qualche uscita imminente (21 agosto), oltre ai già citati Bill Fay, Ry Cooder, Lynyrd Skynyrd, Los Lobos Kiko, Box dei Kinks e altro la teniamo in serbo per fine settimana, ma quello che resta è estremamente interessante e “copioso”. Partiamo… in ordine sparso!

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Dan Stuart – The Deliverance Of Marlowe Billings – Cadiz – 04-09-2012

A sorpresa torna un “vecchio amico”. Chiusa l’esperienza Slummers, raccontata dal sottoscritto su questo Blog e sul Buscadero, torna il buon Dan Stuart con un nuovo disco solista, con uno dei suoi pseudonimi Marlowe Billings. Dopo la fine del suo matrimonio, il trasferimento a Oaxaca in Messico e vari problemi di “salute”, il vecchio rocker ci riprova ancora una volta a far ripartire la sua carriera musicale. Producono Antonio Gramentieri e Jack Waterson, degli italiani Sacri Cuori c’è anche Sapignoli. In concomitanza con l’uscita del disco, dall’Inghilterra, proprio tra fine di agosto e l’inizio di settembre, partirà anche un tour europeo.

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Carmel – Strictly Piaf – Secret Records – 03-09-2012

Dopo secoli torna anche Carmel (McCourt). A parte alcuni CD e DVD Live era dal 1995 che non pubblicava un disco “nuovo” di studio. Ok, sono tutte cover di Edith Piaf e su iTunes era disponibile da un anno! In ogni caso, bentornata. Questi i titoli:

1. Running
2. Sous Le Ciel De Paris
3. Les Amants D’un Jour
4. Autumn Leaves
5. La Vi En Rose
6. Mon Legionnaire
7. All My Love (Bolero)
8. The Poor People Of Paris
9. Non, Je Ne Regrette Rien
10. Running (Radio Edit)

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The Who – Live In Texas ’75 – DVD o Blu-Ray – Eagle Rock – 09-10-2012

Registrato nel corso del tour americano per promuovere l’uscita di Who By Numbers questo DVD contiene il concerto completo registrato a Houston, Texas il 20 novembre del 1975. C’è ancora Keith Moon e questi sono i brani contenuti: TRACKLIST. 1) Substitute 2) I Can t Explain 3) Squeeze Box 4) Baba O Riley 5) Boris The Spider 6) Drowned 7) However Much I Booze 8) Dreaming From The Waist 9) Behind Blue Eyes 10) Amazing Journey 11) Sparks 12) Acid Queen 13) Fiddle About 14) Pinball Wizard 15) I m Free 16) Tommy s Holiday Camp 17) We re Not Going To Take It / See Me, Feel Me / Listening To You 18) Summertime Blues 19) My Generation 20) Join Together 21) Naked Eye 22) Roadrunner 23) Won t Get Fooled Again 24) Magic Bus 25) My Generation Blues


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Steve Winwood – Arc Of A Diver – 2 CD – Island/Universal – 25-09-2012

 

CD One

 

1 While You See a Chance
2 Arc of a Diver
3 Second-Hand Woman
4 Slowdown Sundown
5 Spanish Dancer
6 Night Train
7 Dust

 

CD Two

 

1) Arc Of A Diver (4:14 – the edited US single version)
2) Spanish Dancer (6:08 – radio edit 2010 version)
3) Night Train (6:30 – instrumental version from the UK 12” single which has never been released on CD before. This version has extra guitar and keyboards and is much longer).

 

4) BBC Radio 2 documentary – ‘Arc Of A Diver, The Steve Winwood Story’.

Forse si poteva fare meglio, ma almeno lo faranno pagare all’incirca come un singolo. Il disco è bello, ma 3 brani e un documentario radiofonico sono un po’ pochino come bonus!

 

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R.e.m. – Document – 25th Anniversary Edition – 2CD Capitol EMI – 25-09-2012

Con questo titolo si conclude la ristampa degli album dei REM relativi al periodo I.R.S. Anche in questo caso versione doppia, nel secondo CD c’è un concerto registrato a Utrecht, Olanda il 14 settembre 1987:

CD 2 (Live in Holland, September 14, 1987):

01 Finest Worksong
02 These Days
03 Lightnin’ Hopkins
04 Welcome to the Occupation
05 Driver 8
06 Feeling Gravitys Pull
07 I Believe
08 The One I Love
09 Exhuming McCarthy
10 Wolves, Lower
11 Fall On Me
12 Just a Touch
13 Oddfellows Local 151
14 Little America
15 It’s the End Of the World as We Know It (And I Feel Fine)
16 Begin the Begin
17 Disturbance at the Heron House
18 Moral Kiosk
19 Life and How to Live It
20 So. Central Rain

Pare che anche il catalogo Warner verrà ripubblicato in versione speciale, quindi per i prossimi 25 anni siamo a posto.

 

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Avett Brothers – The Carpenter – Universal Republic – 11-09-2012

Sesto album di studio (o settimo, a seconda dei punti di vista) per gli Avett Brothers, sempre prodotto da Rick Rubin:

1. The Once And Future Carpenter
2. Live And Die
3. Winter In My Heart
4. Pretty Girl From Michigan
5. I Never Knew You
6. February Seven
7. Through My Prayers
8. Down With The Shine
9. A Fathers First Spring
10. Geraldine
11. Paul Newman Vs. The Demons
12. Life

 

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Dwight Yoakam – 3 Pears – Warner Bros – 18-09-2012

In Italia il termine ” 3 Pere” di solito ha connotati calcistici, non so quale sia il senso del titolo del nuovo album di Dwight Yoakam ma è un piacere averlo di nuovo in pista dopo sette anni di silenzio:

1. ‘Take Hold of My Hand’
2. ‘Waterfall’
3. ‘Dim Lights, Thick Smoke’
4. ‘Trying’
5. ‘Nothing But Love’
6. ‘It’s Never Alright’
7. ‘A Heart Like Mine’
8. ‘Long Way to Go’
9. ‘Missing Heart’
10. ’3 Pears’
11. ‘Rock it All Away’
12. ‘Long Way to Go’ (Reprise)

Due brani, A Heart Like Mine e Missing Heart, sono stati scritti e prodotti con la collaborazione di Beck…, strana coppia, ma vedremo.

 

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The Wallflowers – Glad All Over – Columbia – 02-10-2012

Torna anche la band di Jakob Dylan, sette anni di pausa anche per loro discograficamente parlando, Greatest Hits escluso. Registrato in quel di Nashville negli studi di Dan Auerbach, con la produzione di Jay Joyce (Emmylou Harris, Cage the Elephant), a fianco di Dylan ci sono l’immancabile (per fortuna) tastierista Rami Jaffee, il bassista Greg Richling, il chitarrista Stuart Mathis e alla batteria l’ex Pearl Jam e Red Hot Chili Peppers Jack Irons. Titoli:

1. Hospital for Sinners
2. Misfits and Lovers
3. First One in the Car
4. Reboot the Mission
5. It’s a Dream
6. Love is a Country
7. Have Mercy On Him Now
8. The Devil’s Waltz
9. Won’t Be Long (Till We’re Not Wrong Anymore)
10. Constellation Blues
11. One Set of Wings

Nuovo video. Se vi sembra di sentire qualche richiamo al passato la presenza di Mick Jones a voce e chitarra potrebbe dire “Clash”!

 

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Ryan Bingham – Tomorrowland – Axster Bingham Records – 18-09-2012

Mollato dalla Lost Highway/Universal ritorna anche il premio Oscar Ryan Bingham con il suo quarto album di studio Tomorrowland, pubblicato dalla sua etichetta personale il 18 settembre come riporta anche il suo sito. Co-prodotto con Justin Stanley in quel di Malibu, California dovrebbe segnalare un ulteriore spostamento verso sonorità più rock e tirate:

1. Beg For Broken Legs
2. Western Shore
3. Flower Bomb
4. Guess Who’s Knocking
5. Heart Of Rhythm
6. I Heard ‘Em Say
7. Rising Of The Ghetto
8. No Help From God
9. Keep It Together
10. Never Far Behind
11. The Road I’m On
12. Neverending Show
13. Too Deep To Fill

 

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Chris Knight – Little Victories – Drifter’s Church Productions – 11-09-2012

Altro grandissimo cantautore, da quello che ho sentito potrebbe essere addirittura il suo disco migliore (e quelli precedenti sono belli)! Settembre ricchissimo, ma volendo, sul suo sito è già in vendita little-victories-cd-tshirt-bundle e aprendo il sito potete ascoltare, se non lo conoscete, molti brani tratti dai suoi fantastici album. Questa la trovate in quello nuovo…

 

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John Hiatt – Mystic Pinball – New West – 25-09-2012

E se vi dicessi che il 25 settembre esce anche il nuovo album di John Hiatt? Sempre prodotto da Kevin Shirley, sempre più rivalutato, disco dopo disco, e autore di un lavoro fantastico nel precedente, bellissimo, Dirty Jeans And Mudslide Hymns e con Hiatt accompagnato anche in questo nuovo Mystic Pinball dal fantastico Combo di Doug Lancio, Patrick O’Hearn e Kenneth Blevins. E se vi dicessi che il “vigliacco” venderà già in anteprima il suo album ai concerti del tour americano che è partito ieri 14 agosto da Annapolis, MD?

Ci sarebbe da incazzarsi, ma, per addolcire la pillolina, da un sito interessante (e con un nome che ispira), ma che non avevo ancora citato nel Blog, potete sentire un brano in anteprima del nuovo album http://www.americansongwriter.com/2012/08/exclusive-hear-john-hiatts-new-single-were-alright-now/.

Mi sono accorto che la lista è ancora abbastanza lunga, per cui continuiamo domani.

Buon Ferragosto, per quello che resta.

Il Migliore Del “Colonnello”! Steve Cropper – Dedicated

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Steve Cropper – Dedicated – 429 Records/Fontana/Universal

Mi avevano detto di aspettare fino alla data di uscita prima di parlare di questo nuovo CD di Steve Cropper, ma visto che per l’Italia sarà il 30 di agosto, mentre negli Stati Uniti esce martedì prossimo 9 agosto rompo gli indugi e ve ne parlo. Il disco è molto bello, sicuramente il migliore come solista per Steve “The Colonel” Cropper che però, non dimentichiamolo, ha inciso una valanga di dischi con Booker T & The MG’s e suonato in tutti i dischi più belli della Stax, da Otis Redding a Sam And Dave passando per Wilson Pickett e Eddie Floyd. E poi, ed è il motivo per cui è conosciuto in Italia, ha suonato con i Blues Brothers di John Belushi e Dan Aykroyd.

E’ ancora un giovanotto, i 70 li compie il 21 ottobre, come testimonia questo disco, bellissimo come si è detto, ma anche per merito di ospiti e amici che suonano in questo tributo. Perché anche Cropper che è un “mito” ha avuto a sua volta degli “eroi” che nel suo caso erano i Five Royales uno dei gruppi storici del doo-wop e poi con contaminazioni con gospel e R&B anche del nascente soul che contribuirono a definire. In particolare Pete “Lowman”, uno dei tre fratelli Pauling, che era la colonna del gruppo e che, come in molte storie della musica non a lieto fine, morirà da alcolizzato nel 1973.

Ma prima ha fatto in tempo a scrivere alcune pagine indimenticabili con una serie di canzoni che resterranno sempre nella memoria collettiva della musica popolare (anche per merito di queste versioni).

Si parte con Steve Winwood che ci regala una 30 Second Lover scoppiettante che non ha nulla da invidiare ai suoi vecchi hits con lo Spencer Davis Group, visto che la voce rimane miracolosamente intatta nel tempo. Bettye Lavette ancora una volta si riconferma come la “vecchia” Diva del Soul più in forma e pimpante anche in questa Don’T Be Ashamed cantata in duetto con Willie Jones.

Breve intermezzo. Nel disco suonano: Steve Cropper, chitarra (eh va beh, ovvio), David Hood basso e Spooner Oldham, tastiere, in una inedita alleanza tra Stax e Muscle Shoals, Steve Ferrone e Steve Jordan si alternano alla batteria, Neal Sugarman dei Dap Kings (gruppo di Sharon Jones, ma anche di Amy Winehouse) si occupa dei fiati. Mentre Jon Tiven (che in alcune recensioni misteriosamente diventa Joe e suona i fiati, per la serie informarsi mai?) si occupa della produzione del disco insieme allo stesso Cropper. Voi direte, e come fai a saperlo? Perchè ho recensito un disco di un suo “protetto” Troy Turner jon%20tiven, e mi ha anche gentilmente ed educatamente ringraziato nei Commenti.

Fine intermezzo. Ovviamente con tutto quel ben di Dio di musicisti sarebbe difficile fare male. Proseguendo, troviamo Baby Don’t Do It in duetto tra un BB King in gran forma e la figlia di un suo “discepolo” Shemekia Copeland, diventata cantante di grande bravura. Molto particolare e godibile la versione di Dedicated To The One I Love che tutti ricordano nella versione di Mama Cass dei Mamas and Papas e che Lucinda Williams, non potendo competere a livello vocale, trasforma in un suo pezzo con l’aiuto di un altro “grande vecchio” Dan Penn.

John Popper (L’ex Blues Traveler) con armonica al seguito se la cava più che bene in My Sugar Sugar. Neanche a dire che quando siamo in ambito soul Delbert McClinton è nel suo elemento e la versione di Right Around The Corner è tra le cose migliori del disco. Nel disco di un chitarrista un brano strumentale non può mancare: e infatti ce ne sono due (facciamo due e mezzo), Help Me Somebody e Think, più Slummer The Slam, in duetto con Buddy Miller, che è anche cantato ma è l’occasione per “lasciare andare” le chitarre per i due musicisti. Uno potrebbe pensare che anche I Do il brano dove appare Brian May potrebbe essere uno strumentale e invece il vecchio “Queen” rispolvera le sue vecchie doti di “armonizzatore” usate in alcuni brani di Mercury e risulta tra i più rispettosi del doo-wop del brano originale, ovviamente modernizzato alle sonorità attuali.

Sharon Jones è, forse, la migliore delle cantanti soul delle ultime generazioni e la conferma è questa ottima e ritmata Messin’ up che potrebbe sembrare un brano di James Brown (che invece aveva cantato Think che qui appare come strumentale). Bettye Lavette le risponde con una sontuosa deep soul gospel ballad come Say it. Dan Penn era più noto come autore che come cantante ma qui sfoggia una voce alla Ray Charles bianco per una bellissima Someone Made You For Me.

Mancano due brani per concludere: Come On And Save Me, un duetto tra Dylan LeBlanc, che forse appare per meriti di famiglia (in quanto figlio di…), e ancora una esplosiva Sharon Jones. Lucinda Williams, “williamizza” se si può dire When I get Like This e conclude in gloria questo piacevole tributo. Inutile dire che Steve Cropper lavora di fino con la sua chitarra nella maggior parte dei brani, da perfetto “comprimario” di gran classe quale è sempre stato, non gregario o “spalla”.

Non ho trovato video in rete relativi a questo album per cui ho messo qualche “classico”, se volete altre informazioni home.html

Bruno Conti

Un Altro “Grande” Giovane Bluesman Da Manchester! Matt Schofield – Anything But Time

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 Matt Schofield –  Anything But Time – Nugene Records

Il disco precedente di Matt Schofield Heads Tail And Aces ha ben figurato in molte polls di fine anno, miglior disco Blues, miglior chitarrista, anche la rivista Mojo l’aveva segnalato tra i 5 migliori CD Blues dell’anno.

Questo nuovo Anything But Time mi sembra anche meglio. Prodotto dal grande John Porter (uno che di dischi blues se ne intende) in quel di New Orleans ritorna al formato trio, chitarra, organo, batteria, senza bassista ma con Johnny Henderson che provvede alla bisogna con i pedali dell’organo.

Schofield, inglese di Manchester fa parte di quella NWOBB (New Wave Of British Blues) che sta rinvigorendo un settore che aveva stagnato per un certo periodo. Ian Siegal di cui è uscito di recente l’ottimo The Skinny, di cui Schofield aveva prodotto i tre album precedenti, Aynsley Lister, di cui vi ho parlato in varie occasioni, Oli Brown, Danny Bryant, Simon McBride tanto per ricordare i primi che mi sono venuti in mente ma ce ne sono altri. Che fanno da contraltare ai vari Kenny Wayne Sheperd, Bonamassa, Derek Trucks, John Mayer, Johnny Lang, la lista è lunga, che operano in America. Insomma la scena rock-blues è fresca e pimpante e questo album non fa altro che confermarlo. Si tratta del suo quarto disco di studio, più i due live iniziali che avevano fatto seguito ad un lungo apprendistato come chitarrista nella band di Dana Gillespie.

Insomma Schofield la sua gavetta l’ha fatta e se all’inizio veniva spesso inserito tra gli artisti jazz il suo genere è decisamente Blues. Raffinato, con molti punti in comune con Robben Ford, a cui spesso viene avvicinato ma anche allo stile di chitarristi come Ronnie Earl o Duke Robillard, insomma quelli molto tecnici e raffinati. Ed è anche veramente bravo, molto vario e in possesso di una tecnica che gli consente un continuo passaggio tra ritmica e solista per ovviare alla mancanza, peraltro voluta, del bassista. Il nuovo batterista è Kevin Hayes che ha suonato per 18 anni nel gruppo di Robert Cray e l’ospite di riguardo è Jon Cleary, un residente di New Orleans.

Come Ford, Bonamassa, Lister e altri, Schofield non è un fulmine di guerra come cantante ma è più che adeguato e disco dopo disco sta migliorando aumentando sempre più il numero dei brani cantati rispetto agli strumentali, questa volta “l’en plein”.

E’ anche un buon autore come dimostrano gli otto brani originali (firmati con la partner Dorothy Whittick) a fronte di due sole cover, inconsuete: la prima è un brano di Steve Winwood At Times We Do Forget, un brano recente tratto da Nine Lives che ce l’ha proprio stampato in fronte, Winwood Winwood Winwood, inconfondibile in quel blue-eyed soul piacevole del grande musicista inglese. L’altro brano, molto più consistente, è una cover di Where Do I Have To Stand di Albert King uno slow blues che permette lo strike (brani di Freddie e BB King già fatti nei dischi precedenti), la chitarra scorre fluida, torrenziale e melliflua in uno stile molto vicino a quello del già citato Robben Ford. In questo disco, in un brano, Dreaming Of You Schofield si avvicina per la prima volta anche alle sonorità ritmiche e soliste di Jimi Hendrix, una influenza musicale mai accostata in passato e in questo caso “omaggiata” con gusto e bravura tecnica (perché bravo il “ragazzo” è bravo)!

Il New Orleans Sound trova terreno fertile nella ritmata One Look (And I’m Hooked) con il Wurlitzer e il clavinet di Jon Cleary che “fiancheggiano” la chitarrina funky insinuante di Schofield e l’organo di Henderson. Oltre che nella già citata cover di Winwood il piano di Jon Cleary è presente anche nell’ottimo slow blues See Me Through con la chitarra di Schofield che mi ha ricordato molto il miglior Ronnie Earl (e anche il Santana meno latineggiante). L’iniziale Anything But Time è un omaggio al sound Stax di Booker T and The Mg’s con organo e chitarra a fare le parti che furono di Cropper e Jones.

Anche Where Do I have to stand vira verso il blues classico o organ power trio come lui stesso lo definisce mentre Shipwrecked è più ritmato e funky con il solito interplay micidiale tra l’organo e la chitarra fiammeggiante di Schofield.

Mancano la Claptoniana Wrapped Up In Love e la conclusiva Share Our Smile Again che si spinge in territori più leggeri, quasi pop, alla Lang o John Mayer e diminuisce l’impatto complessivo dell’album che rimane comunque ottimo e abbondante. Per chi ama la chitarra e il blues solido contemporaneo di gran classe e tecnica.        

Bruno Conti