Ecco Il Primo Capitolo Della Serie Lu’s Jukebox. Lucinda Williams Runnin’ Down A Dream A Tribute To Tom Petty

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Lucinda Williams – Runnin’ Down A Dream – A Tribute To Tom Petty – Highway 20 Records/Thirty Tigers

Come moltissimi altri musicisti, nel periodo della pandemia anche Lucinda Williams si è ingegnata per trovare nuovi progetti musicali che potessero alleviare il lungo periodo del confinamento casalingo: lei lo ha fatto creando la serie Lu’s Jukebox che si articolerà in una serie di sei Live In Studio incentrati su omaggi/tributi sia ad alcuni grandi musicisti, quanto a generi musicali molto diversificati fra loro. Il tutto in rete ha già preso l’abbrivio dall’ottobre dello scorso anno con una serie di trasmissioni streaming in alta definizione e a pagamento, per devolvere i fondi ricavati a musicisti ed addetti ai lavori in difficoltà finanziaria, destinati poi a diventare dei CD con una serie di uscite cadenzate durante il 2021. Il primo sarà quello dedicato a Tom Petty, di cui tra un attimo, l’ultimo sarà quello sui Rolling Stones: ad accompagnare Lucinda, oltre al produttore Ray Kennedy, che insieme alla Williams e al marito Tom Overby, ha coordinato il tutto dai Room And Board Recording Studios di Nashville, ci sono una serie di musicisti che ultimamente accompagnano la musicista di Lake Charles: Stuart Mathis alla Chitarra Solista, Joshua Grange, Chitarra e Tastiere ,Stephen Mackey al Basso e Fred Eltringham alla Batteria.

La nostra amica aveva ottimi rapporti con Petty tanto che era stata l’opening act nella tre serate all’Hollywood Bowl, culminate con la data del 25 settembre 2017, l’ultimo concerto di Tom prima della prematura scomparsa avvenuta il 2 ottobre dello stesso anno: sono già passati tre anni e mezzo, ma il biondo musicista manca sempre di più a tutti, anche se le sue canzoni continuano a vivere con una serie di eventi che si sono succeduti da allora. L’ultima a voler approcciare il suo songbook è stata appunto Lucinda Williams, che per questo Runnin’ Down A Dream A Tribute To Tom Petty ha scelto dodici brani della sua sterminata produzione, aggiungendo una canzone scritta appositamente per l’occasione. Come sa chi legge abitualmente questo Blog il sottoscritto apprezza molto la musica della nostra amica https://discoclub.myblog.it/2020/04/24/sferzate-blues-e-ballate-elettriche-urticanti-dalla-citta-degli-angeli-lucinda-williams-good-souls-better-angels/ , ma mi rendo conto che per vari motivi, soprattutto la voce, molti non la amano e rispetto la loro scelta: però non mi esimo dal dire che anche questa volta mi sembra che l’obiettivo di fare un buon disco sia stato centrato. Forse, anzi sicuramente, non un capolavoro, ma un sentito omaggio ad uno dei migliori talenti espressi dalla musica americana negli ultimi 40 e passa anni.

L’approccio ovviamente è diverso, manca il tipico jingle-jangle del rocker della Florida, a favore di un sound più bluesato e compatto tipico della Williams, ma non “sconosciuto” al sound degli Heartbreakers. Si apre con Rebels, brano tipicamente “sudista” che evidenzia le affinità tra i due: bella rilettura, molto laidback e vicina a quella dell’originale, meno carica rispetto a certe canzoni di Lucinda, ma sempre con la giusta tensione chitarristica, affidata all’interscambio tra Mathis e Grange, si prosegue con la title track, una delle canzoni nate dalla collaborazione con Jeff Lynne, più grintosa e tirata, decisamente vicina al groove dell’originale, con le chitarre che riffano di brutto nello spirito rock’n’roll pettyano, con assolo ruvido al seguito. Gainesville e Louisiana Rain sono altri due brani che evidenziano le comuni radici, non solo musicali, ma anche di vita, dei due, la seconda con il piano elettrico di Grange ad evidenziare l’atmosfera sospesa ma esuberante della canzone che ben si adatta alla interpretazione della Wiiliams.

I Won’t Back Down è uno dei capolavori assoluti di Tom, un pezzo trascinante ed esuberante, che ti resta subito in testa e che non viene stravolto in questa versione con Mathis alla slide che (quasi) riproduce lo stile inconfondibile di Mike Campbell; anche A Face In The Crowd viene dall’accoppiata Petty/Lynne ed è uno dei brani che meglio si adatta anche allo stile vocale di Lucinda, come pure Wildflowers, che in fondo è una ballata, ben si attaglia alla vocalità pigra e rilassata della signora, con il piano elettrico in bella evidenza e un arrangiamento avvolgente e confortevole. You Wreck Me non raggiunge la devastante potenza di sparo degli Heartbreakers, anche se i musicisti forse ce l’avrebbero nelle loro corde e anche la scelta della non notissima Room At The Top, brano estratto da Echo, magari non è felicissima, ma evidentemente ognuno ha le sue preferenze, e questa canzone triste e malinconica, sulla fine del primo matrimonio di Tom, si adatta nella sua scarna interpretazione al mood della Wiiliams che ben si allinea anche allo stile ciondolante, figlio del Sud, scelto per You Don’t Know How It Feels, da dove vengono, sin dal titolo e come ubicazione, anche sia Down South che una accorata Southern Accents che Lucinda Williams aveva già nel suo repertorio Live.

La affettuosa dedica finale di Stolen Moments, brano peraltro molto bello, è sia per Tom quanto per la moglie Dana e chiude degnamente un album complessivamente soddisfacente, ma, manco a dirlo, le canzoni originali rimangono insuperabili, comunque grazie a Lucinda per averci provato.

Bruno Conti

Sferzate Blues E Ballate Elettriche Urticanti Dalla Città Degli Angeli. Lucinda Williams – Good Souls Better Angels

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Lucinda Williams – Good Souls Better Angels – Highway 20/Thirty Angels – CD – 2 LP

Non si può negare che Lucinda Williams sia un’artista che divide, molto amata da chi ammira la sua musica, e sono la maggioranza di chi segue la buona musica, e “odiata” (diciamo non apprezzata) dai detrattori che non sopportano la sua voce. E questo non si può forzare, ognuno rimarrà fermo nelle proprie convinzioni: Good Souls Better Angels è il quattordicesimo album della sua discografia, iniziata nel lontano 1979 con Ramblin’ ed il cui capitolo precedente era la rivisitazione nel 2017 di This Sweet Old World, “aggiornamento” di Sweet Old World uscito in origine nel 1992, mentre l’ultimo album di canzoni nuove era stato https://discoclub.myblog.it/2016/01/20/il-miglior-disco-del-2016-forse-presto-lucinda-williams-the-ghosts-of-highway-20/ , uno dei dischi migliori di quella annata. La nostra amica torna più agguerrita che mai con questo nuovo CD, che esce oggi 24 aprile, concepito, come ricordo nel titolo del Post, anche a Los Angeles, dove poi è stato masterizzato il disco, influenzato quindi dalle tematiche urbane della città degli angeli, ma comunque registrato a Nashville, dove Lucinda vive con il marito Tom Overby, e prodotto da Ray Kennedy che torna in cabina di regia, con risultati eccellenti, a 22 anni di distanza da Car Wheels on a Gravel Road, uno degli album più belli in assoluto della cantante di Lake Charles, Lousiana.

Ad accompagnarla lo stesso nucleo di musicisti con cui aveva lavorato nel disco del 2017, e nei concerti degli ultimi anni, ovvero il chitarrista Stuart Mathis (anche al violino), fantastico il suo lavoro, e la rodata, eclettica e rocciosa sezione ritmica composta da Butch Norton alla batteria e David Sutton al basso, non c’è Greg Leisz, ma all’organo in un paio di brani troviamo Mark Jordan e nella versione doppia limitata in vinile, c’è un secondo LP con cinque versioni acustiche di brani dell’album, curate da Colin Linden. Q, Mojo, Uncut e il sito American Songwriter ne hanno parlato in termini entusiastici, dalle 4 stellette in su, come pure il Buscadero, la rivista per cui scrivo, che lo ha eletto Disco Del Mese, ma, per quella piccola percentuale di detrattori di cui vi dicevo, l’Indipendent si è distinto definendoolo “doom laden”, che però forse alla fine è anche un complimento. Il marito Tom Overby viene promosso da “ghost writer”, visto che come ha dichiarato la stessa Lucinda in alcune interviste, già in passato aveva collaborato con la moglie fornendo i suoi suggerimenti sia per i testi che per i titoli di dei brani, a co-autore a tutti gli effetti. Partiamo non dalla prima canzone, ma da Man Without A Soul, uno dei pezzi centrali e più belli del disco, soprattutto a livello di testi, ma è anche una splendida ballata sudista di grande intensità sonora: testo che recita “You bring nothing good to this world / Beyond a web of cheating and stealing / You hide behind your wall of lies, but it’s coming down…”, chi sarà questo uomo? Ma certo è “The Donald”, Trump per i nemici, il soggetto di questo brano, una delle canzoni più esplicite della Williams, che comunque non le ha mai mandate a dire. Mathis ci regala un lavoro alla solista eccezionale, che oscilla tra blues e psichedelia, wah-wah innestato e slide all’opera per una serie di assoli torbidi e variegati, su cui la voce roca e spezzata di Lucinda declama la sua rabbia con vigore ed impeto in un crescendo di grande vigore.

L’apertura è affidata alla assertiva You Can’t Rule Me (scritta, come le altre, prima dell’avvento del coronavirus), un midtempo bluesy, con Mathis alla slide a creare vortici di elettricità, sostenuto dal suono secco e potente della sezione rtimica e dalla voce ringhiosa e caratteristica di LW, mentre anche Bad News Blues gira intorno alle 12 battute in modo più classico, con fare pigro e sornione, mentre ci narra, un “po’ seccata”, delle cattive notizie che girano incontrollate sui media e in televisione, spesso bufale ma comunque certo non rassicuranti. Big Black Train è un brano che tratta del tema della depressione, che in modo ricorrente è comunque presente anche nella vita dell’artista americana, non solo in senso metaforico, con la melodia della ballata che si dipana lenta e struggente ed è tipica del songbook delle sue migliori canzoni, sempre con il lavoro di fino di Mathis e l’organo di Jordan che sussurra sullo sfondo; Wakin’ Up è uno dei brani più “duri”, quasi punk nell’attitudine, con scariche percussive e le chitarre incattivite e urlanti che sottolineano il tema trattato, che è quello degli abusi domestici. Anche Pray The Devil Back To Hell, con Mathis anche al violino, è una variazione del tema del blues according to Lucinda, con l’atmosfera incalzante e senza requie che ti porta in crescendo in un mondo sulfureo senza pietà dove la chitarra di Stuart impartisce l’ultima punizione a colpi di wah-wah.

Shadows And Doubts quantomeno non ha certezze assolute, anche se diciamo che l’ottimismo non regna sovrano, ma il suono elettrocustico e delicato di questa ballata ha un che di sereno nel suo dipanarsi lento e solenne, ancora con l’organo di Jordan in bella evidenza a sottolineare il lavoro certosino delle chitarre, con finale in slide di Mathis. L’oscurità è anche il tema di When The Way Gets Dark, che tratta del tema dibattuto di certi aspetti dubbi dei social media, in un altro brano lento ed avvolgente con una vocalità più curata del solito e accorata al tempo stesso, meno opprimente e con soluzioni sonore meno estreme e stridenti; ma è un attimo, perché le chitarre tornano a ruggire in Bone Of Contention, un’altra scarica di adrenalina con un incipit quasi hendrixiano e la voce di Lucinda motivatissima, sostenuta da quella di Mathis, che al tempo stesso estrae dalla sua solista altre stille di eletricità allo stato puro, ancora con rimandi al punk-rock migliore, ma pure a mio avviso al Jimi più visionario degli anni d’oro. E anche in Down Past The Bottom non si scherza, la band sembra un gruppo di novelli Crazy Horse, tra sferzate chitarristiche brucianti e il cantato quasi sguaiato e rozzo della Williams, che poi vengono ribadite anche nella altrettanto feroce Big Rotator, un ulteriore esempio dell’eccellente e duro rock-blues a colpi di wah-wah, impiegato spesso da Mathis in questo Good Souls Better Angels, che però si chiude in una nota di speranza con la (quasi) ottimistica e serena Good Souls, una ballata malinconica e ricca di passione, dove emerge il lato più melodico di Lucinda Williams, che in questo tipo di canzoni veramente eccelle, a conferma del suo status di grande (cant)autrice, con la band che questa volta la accompagna meravigliosamente in punta di dita.

In due parole: grande musica.

Bruno Conti