Uno Dei Migliori Dischi Di Sempre Del “Duca”! Duke Robillard Band – Ear Worms

duke robillard band ear worms

Duke Robillard Band  – Ear Worms – Stony Plain

Il nostro amico Michael John, detto” Duke”,  Robillard, lo scorso anno ha raggiunto la rispettabile età di 70 anni, in una annata, il 2018, dove per la prima volta da moltissimo tempo non aveva pubblicato il canonico album annuale. Comunque ecco che, con leggero ritardo, esce questo Ear Worms, che dovrebbe essere il capitolo n°33 di una lunga carriera, e fa seguito all’ottimo …And His Dames Of Rhytm, un album collaborativo insieme ad alcune voci femminili https://discoclub.myblog.it/2017/12/18/beato-tra-le-donne-duke-robillard-and-his-dames-of-rhythm/ , che a sua volta seguiva Blues Full Circle, altro disco con la presenza di diversi ospiti https://discoclub.myblog.it/2016/11/04/anche-potrebbe-il-disco-blues-del-mese-duke-robillard-and-his-all-star-combo-blues-full-circle/ . Anche nel nuovo CD, come di consueto, non mancano le collaborazioni: Chris Cote, Sunny Crownover, Mark Cutler, Julie Grant, Dave Howard e Klem Klimek, sono i vari vocalist aggiunti che affiancano Robillard e la sua band, ovvero gli immancabili partner dell’All-Star Combo che da qualche anno lo accompagna, Bruce Bears (piano, organo Hammond); Brad Hallen ( basso e contrabbasso) e Mark Teixeira (batteria).

Se il disco precedente era andato a pescare nel repertorio anni ’20 e ’30, questa volta Duke ha rispolverato vecchie canzoni ascoltate quando era un teenager, ovvero nei mitici anni ’60. Don’t Bother Trying To Steal Her Love che apre l’album, è però l’unico brano originale firmato da Robillard, una delle sue classiche cavalcate tra blues e rock and roll, che sembra  quasi qualche traccia perduta del songbook di Chuck Berry, una specie di gemello diverso di You Never Can Tell, cantata e suonata con un impeto invidiabile e di cui è quasi impossibile non apprezzare il buon umore e la gioia che trasmette, con la chitarra da subito in grande spolvero; On This Side Of Goodbye era un pezzo di Goffin e King, scritta per i Righteous Brothers, una deliziosa e raffinata ballata di impianto pop, quelle canzoni splendide che negli anni ’60 uscivano a ogni piè sospinto, suonata alla grande come al solito dal Duke e soci, con fiati e voci di supporto a renderla ancora più piacevole e con un paio di assoli di chitarra da urlo di grande gusto. Living With The Animals era una incantevole blues ballad dall’omonimo disco dei Mother Earth, la misconosciuta band della grande Tracy Nelson, un album del 1968 in cui suonava anche Mike Bloomfield.

Nel disco ci sono anche quattro tracce strumentali, la prima è Careless Love, un vecchio pezzo strumentale tradizionale veramente godurioso nell’interscambio felpato tra chitarra e organo. Everyday I Have To Cry Some è un piccolo gioiellino perduto, scritto da Arthur Alexander, ma che Duke, come ricorda lui stesso, conosceva nella versione di Julie Grant, una giovane cantante inglese di stampo pop che nell’epoca di Beatles e Stones era un po’ una controparte di Dusty Springfield e Cilla Black: Robillard la conosceva perché quando si era ritirata dalla musica era andata a vivere e lavorare in un casinò nel Connecticut e i due avevano parlato spesso del passato diventando amici, e per l’occasione l’ha convinta a cantarla di nuovo per questo album, in coppia con Sunny Crownover, e il risultato è assolutamente affascinante, sembra quasi di sentire un brano di Phil Spector cantato dalle Shirelles, puro divertimento assicurato; I Am A Lonesome Hobo è il personale tributo di Robillard a Bob Dylan, di cui è stato chitarrista per alcuni mesi nel 2013, una intensa  ed atmosferica versione abbastanza rispettosa dell’originale, che sembra quasi un pezzo di Bruce Springsteen https://www.youtube.com/watch?v=bfjz4p5izjg , Sweet Nothin’s il vecchio pezzo di Brenda Lee è il veicolo ideale per apprezzare la voce cristallina della Crownover e la strumentale Soldier Of Love è un altro divertito e raffinato tuffo nelle atmosfere spensierate degli anni ’60.

Dear Dad è un vorticoso R&R con chitarre e piano impazziti che si trovava su Chuck Berry In London, seguito da una lunga versione super funky di Yes We Can di Lee Dorsey, dove Duke sfodera un potentissimo e micidiale wah-wah, con Yellow Moon, proprio quella dei Neville Brothers, una rara concessione ad un brano più recente, in un’altra versione dove la quota soul e R&B è di grana finissima https://www.youtube.com/watch?v=TWt4mP29rD8 . Nel finale arrivano gli ultimi due strumentali, una Rawhide di una potenza devastante che rivaleggia con quella di uno dei maestri  riconosciuti di Robillard, quel Link Wray che non ha mai ricevuto i giusti riconoscimenti che meritava https://www.youtube.com/watch?v=DLi9ww0A3js . E infine You Belong To Me, altro squisito strumentale che sta all’intersezione tra Santo & Johnny, Roy Buchanan e il Santana più melodico e conclude degnamente uno degli album più belli della discografia di Duke Robillard, suonato con una classe al solito inimitabile. Esce oggi 17 maggio.

Bruno Conti

Beato Tra Le Donne! Duke Robillard – And His Dames Of Rhythm

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Duke Robillard – And His Dames Of Rhythm – M.C. Records/Ird

Il chitarrista del Rhode Island si è sempre più o meno equamente diviso, a livello discografico, tra le sue due grandi passioni musicali, il blues e il jazz e lo swing (preferibilmente “oscuro” e anni ’20 e ’30). Il sottoscritto ha sempre ammesso pubblicamente la sua preferenza per il Duke Robillard bluesman, ma altrettanto onestamente devo ammettere che i suoi album “jazz” sono sempre molto gradevoli all’ascolto e suonati in grande souplesse. Se di solito il blues batte il jazz di misura, almeno per me, diciamo un 1-0, questa volta in compagnia di una serie di voci femminili His Dames Of Rhythm, oltre alla sua band abituale e una sezione fiati completa che rimanda ai suoi giorni con i Roomful Of Blues, per l’occasione jazz e blues impattano sull’1-1 ed è solo l’ascoltatore a godere. Robillard ancora una volta evidenzia la sua conoscenza mostruosa del repertorio jazz e swing della prima parte del secolo scorso, ed ha saputo utilizzare in modo perfetto le sei voci femminili che si alternano a duettare con lui.

Il disco nasce dall’idea di ricreare in questo CD il sound delle vecchie canzoni del repertorio Tin Pan Alley degli anni ’20 e ’30, più che il jazz tout court: la voce pimpante e cristallina di Sunny Crownover, molto old style, apre le danze in una cover di un vecchio brano di Bing Crosby From Monday On, dove  i due, con aria divertita, ricreano quell’atmosfera senza tempo del primo swing, tra fiati “impazziti” e sezione ritmica in spolvero, mentre il clarinetto di Novick e la chitarra di Robillard cesellano piccoli interventi di gran gusto. La brava Sunny poi torna per un’altra divertente My Heart Belongs To Daddy, sexy e zuccherosa il giusto, con qualche tocco tra il latino e il tango, un vecchio pezzo di un musical di Cole Porter che molti ricordano in versioni successive di Ella Fitzgerald e anche di Marylin Monroe (mi sono documentato), con il piano di Bears e la chitarra acustica arch-top di Robillard impeccabili, mentre la Crownover canta divinamente;  la seconda voce ad appalesarsi è quella di Maria Muldaur, che questo repertorio lo frequenta da decenni, il timbro è più vissuto rispetto agli anni d’oro, ma la classe è sempre presente in questa Got The South In My Soul, altro brano degli anni ‘30 delle Boswell Sisters, con improvvisi cambi di tempo, ma anche la voce deliziosa della Muldaur a guidare i musicisti. Poi tocca a Kelley Hunt, voce più grintosa (già presente anche nell’ultimo disco di Robillard, Blues Full Circle dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/11/04/anche-potrebbe-il-disco-blues-del-mese-duke-robillard-and-his-all-star-combo-blues-full-circle/ ) e cantante di grande spessore, che il sottoscritto apprezza in modo particolare, la sua rilettura di Please Don’t Talk About Me (altro pezzo degli anni ’30, che vanta decine di versioni, da Billie Holiday e Sinatra, passando per Willie Nelson) ne evidenzia ancora una volta la voce espressiva e ricca di calore, ed è uno dei tanti highlights di questo bel disco, grazie anche all’intermezzo strumentale veramente superbo nella parte centrale del brano.

E non si può non apprezzare anche la presenza di una adorabile Madeleine Peyroux, che per l’occasione sfodera un timbro un filo più “robusto” del solito, ma sempre molto sexy ed ammiccante, tra Bessie Smith e la Holiday, nel vecchio standard di Fats Waller Squeeze Me, dove Robillard con la sua chitarra sostituisce il piano di Waller, mentre Novick è sempre incisivo al clarinetto. Come conferma in Blues In My Heart, dove la voce solista è quella di Catherine Russell, cantante ed attrice nera, meno nota delle colleghe, ma sempre molto efficace, nella canzone si gode anche del lavoro dei fiati, con in evidenza il sax di Kellso. In Walking Stick di Irving Berlin, cantata dal solo Robillard, si apprezza anche un violino (Joe Lepage) che divide gli spazi solisti con Duke. In Lotus Blossom di Billy Strayhorn, ma pure nel repertorio di Duke Ellington, si apprezza di nuovo la voce vellutata della Hunt e la tromba con sordina, presumo di Doug Woolverton, presente anche altrove nel disco. What’s The Reason I’m Not Pleasin’ You, con le conclusive Ready For The River e Call Of The Freaks, sono gli altri brani dove Robillard fa da solo senza ospiti, mentre l’altra voce impiegata è quella dell’attrice di Downtown Abbey Elizabeth McGovern, alle prese con My Myself And I, altro pezzo del repertorio di Billie Holiday, prestazione onesta ma nulla più. Molto meglio Madeleine Peyroux nella dolcissima Easy Living, sempre di “Lady Soul”, e la Muldaur in un altro pezzo delle Boswell Sisters Was That The Human Thing To Do, con il solito clarinetto malandrino di Novick e il violino ad interagire con la solista di Robillard. Manca ancora un brano, cantato da Kelley Hunt, l’unica utilizzata in tre canzoni, sempre splendida nella struggente If I Could Be With You (One Hour Tonight), un altro standard degli anni ’20 di cui si ricorda una versione di Louis Armstrong, che avrebbe certo approvato la parte strumentale tra swing e dixieland. Ancora una volta quindi il “Duca” centra il colpo: “vecchio stile”, ma solita classe.

Bruno Conti

Tra Duchi E Conti Ci Si Intende! Duke Robillard – Calling All Blues

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The Duke Robillard Band – Calling All Blues – Dixiefrog/Stony Plain

Di Duke Robillard credo di avere detto, nel corso degli anni, anche sul Blog, in anni recenti http://discoclub.myblog.it/2013/04/17/piovono-chitarristi-2-the-duke-robillard-band-independently/http://discoclub.myblog.it/2010/11/16/blues-blues-e-ancora-blues-duke-robillard-passport-to-the-bl/, tutto quello che era umanamente possibile dire, ossia, sintetizzando, che si tratta di uno dei migliori bluesmen bianchi che abbia graziato la faccia di questo pianeta negli ultimi cinquanta anni circa: primo avvistamento del musicista di Woonsocket, Rhode Island con i Roomful Of Blues nel lontano 1967, quando aveva 19 anni. Ebbene, oggi che è un “arzillo” sessantaseienne, Robillard continua a fare quella musica  https://www.youtube.com/watch?v=hd7hZoFaUYA e per questa nuova prova discografica si presenta come The Duke Robillard Band e come il titolo, Calling All Blues, ampiamente prefigura, si tratta di un disco che ne vuole esaminare alcune delle mille sfaccettature, attraverso dieci brani perlopiù originali. Dal ricco Memphis Sound con fiati di Down On Mexico, dove si gustano con piacere anche l’organo di Bruce Bears e la voce di supporto di Sunny Crownover, ospite fissa in alcuni brani del disco, che si affiancano alle solide chitarre del Duke, Stratocaster per la ritmica e Esquire per la slide, come ricorda lui stesso nelle note. I’m Gonna Quit You Baby è un solido boogie, con Bears al piano, niente fiati e Sunny, ma una acustica per sostenere il ritmo e di nuovo l’elettrica in modalità slide, suonata con due dita legate fra loro a causa di una mano rotta, figurarsi se era sana, non manca il vocione di ordinanza e l’ottima ritmica di Brad Hallen al basso e Mark Teixeira alla batteria, precisi e puntuali come al solito.

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Svengali, con un florilegio di chitarre utilizzate per dargli un suono ricco ma anche vicino alle radici del blues classico, suona  un poco cooderiana nel suo incedere quasi rudimentale e primitivo, viceversa Blues Beyond The Call Of Duty è il classico slow blues di quelli dove organo e, soprattutto la chitarra di nuovo in modalità slide di Robillard, si divertono a sottolineare il cantato cristallino della brava Sunny Crownover, qui meno leggera e leziosa del solito, molto blues e grande intensità https://www.youtube.com/watch?v=9K2V6q7WJPU  . Emphasis On Memphis, scritto dalla strana accoppiata Gary Nicholson/Ron Sexsmith, è nuovamente un divertente R&B con fiati e voci di supporto a sottolineare il suono sudista della canzone, mentre Confusion Blues è la consueta escursione del nostro amico nello swing jazz raffinato, per l’occasione lasciando alla voce e al piano di Bruce Bears, qui molto alla Mose Allison, la guida del brano, riservandosi un assolo in punta di dita.

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Motor Trouble ha il suono del classico Chicago blues elettrico, con la voce di Duke raddoppiata e la solista in spolvero che conferisce alla canzone una grinta degna dei vecchi tempi, cosa che ogni tanto manca negli ultimi dischi, ma non è questo il caso. Nasty Guitar è un altro duetto tra Robillard e la Crownover e ha di nuovo quella grinta ed energia del precedente brano, fin nella “chitarra cattiva” del titolo che viene finalmente lasciata in libertà, per un altro assolo di quelli che dal vivo dovrebbero fare un figurone, Temptation, il brano più lungo con i suoi quasi sei minuti, ha una andatura sinuosa, punteggiata dalla tromba di Doug Woolwerton e dal piano elettrico di Bears, che unite alla chitarra “minacciosa” di Duke conferiscono alla canzone una ambientazione tra le paludi della Lousiana, dalle parti di New Orleans, eccellente assolo della solista incluso https://www.youtube.com/watch?v=MgEHGdoMXW4 . L’altra cover è un brano anni ’60 di una band minore (ma molto minore), tali Carter Brothers, probabilmente noti solo al nostro amico grazie alla sua enciclopedica conoscenza della musica, She’s So Fine, ancora con i fiati pronti alla bisogna per questo ulteriore tuffo nel vecchio soul, e che conclude degnamente questa nuova fatica del buon Duke. File under blues, non solo per “conoscitori e fanatici”!

Bruno Conti

Torna “The Beast From Brazil”! Nuno Mindelis (Featuring The Duke Robillard Band) Angels & Clowns

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Nuno Mindelis (Featuring The Duke Robillard Band) Angels & Clowns – Blue Duchess

Avevo perso un po’ per strada le tracce di Nuno Mindelis, chitarrista brasiliano ma di origine angolana, noto anche come “The Beast From Brazil”. Negli anni ’90, quando parte la sua carriera discografica (un po’ tardivamente essendo Nuno del 1957, ma nel Blues quasi un giovinetto), dopo un paio di album interlocutori, di cui uno con la partecipazione di Larry McCray, inizia la sua collaborazione con la sezione ritmica dei Double Trouble, con i quali registrerà un paio di dischi, uno nel 1995, Texas Bound, che avrà un certo successo in Europa e in particolare in Belgio, dove entra addirittura in classifica, e l’altro nel 1999, Blues On The Outside. E’ in questo periodo d’oro che mi è capitato di recensirlo per il Busca, poi, come dicevo all’inizio, non ho più seguito la sua carriera, anche se il nostro amico ha continuato a fare dischi, di cui uno anche in brasiliano, nel 2006. Perché forse avevo dimenticato di dirlo ma, ovviamente, Mindelis canta in inglese.

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Ora con questo Angels & Clowns approda per la prima volta sul mercato statunitense http://www.youtube.com/watch?v=EAHUpyZ9Hrc , con un disco che, come riporta il titolo, lo vede suonare con la Duke Robillard Band, sulla sua nuova etichetta, Blue Duchess, e con lo stesso Duke che si occupa della produzione dell’album. Nel passato, di volta in volta, descritto come un novello Jimmy Page (da Guitar Player), adepto di Jimi Hendrix e quindi, per proprietà transitiva, anche di Stevie Ray Vaughan (e l’uso della stessa sezione ritmica non è casuale http://www.youtube.com/watch?v=okDV87NBG_U ), vicino a Clapton, ma anche ai grandi del blues come B.B. King, Robert Cray e Buddy Guy, con cui ha condiviso i palcoscenici in giro per il mondo, Mindelis, se fosse anche un grande cantante, oltre che un chitarrista dalla tecnica notevole, sarebbe una specie di iradiddio, ma comunque si difende, con una voce che ricorda proprio il suo attuale datore di lavoro, il buon Robillard o, vagamente, anche JJ Cale.

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Che per l’occasione gli presta, oltre al gruppo, anche la sua protetta Sunny Crownover, con cui Nuno mette in piedi un duetto travolgente, It’s All About Love, quasi sette minuti di grande musica, un blues(rock) poderoso http://www.youtube.com/watch?v=pyBds_ThNtE , che apre alla grande questo Angels & Clowns: se tutto il disco fosse a questi livelli sarebbe da prendere a prescindere, ma in questo brano, molto Claptoniano, la chitarra di Mindelis scorre molto fluida e mai sopra le righe, a conferma di un notevole talento all’opera. Anche It’s only a dream mantiene questo approccio vicino al rock più mainstream, con un sound che può ricordare tanto i Dire Straits quanto JJ Cale, oltre al più volte citato Manolenta, comunque bello. Il brano che dà il titolo all’album è un tributo all’Hendrix autore di grande ballate, pensate a Little Wing o Angel, beh calate un po’, non esageriamo, però siamo da quelle parti, la voce, molto gentile, ricorda vagamente quella di Donovan, ma è comunque adeguata e la chitarra, come dire, viaggia, specie quando viene innestato il wah-wah, peccato finisca presto.

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Miss Louise è un altro di quei rock-blues scorrevoli, con l’organo di Bruce Bears, che oltre ad accompagnare con discrezione, come nei brani precedenti, sale anche al proscenio per l’occasione, per duettare con la chitarra. Duke Robillard che si era limitato al ruolo di accompagnatore (di lusso) nei primi due brani, si ritaglia il suo spazio come seconda chitarra solista in una funky Hellhound (uno dei tre brani che non porta la firma di Mindelis), ricca di grinta e con tutta la band che gira a pieno regime, i due solisti si scambiano riffs con grande gusto prima di rilasciare i loro assolo sui due canali dello stereo, sembra quasi un pezzo, di quelli belli, di Robben Ford. 27th Day ha una costruzione sonora inconsueta, inizio basato solo su un lavoro di fino alla chitarra e poi il resto della band che entra per un bel crescendo fino all’assolo liberatorio, brano ricco anche di melodia.

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Perfect Blues è il brano che più ricorda il Texas Blues di SRV, con quei riff inconfondibili. Tom Plaisir è una traccia strumentale che ci permette di gustare ancora la notevole tecnica chitarristica di Mindelis, con qualche rimando al Duke e all’Earl (Ronnie),  mentre (How) To Make Love Stay ha di nuovo quell’approccio laidback, gentile, quasi pop di alcuni dei brani precedenti e Blues In My Cabin è un bluesaccio di quelli tosti, le dodici battute rivisitate in uno stile che ancora una volta rimanda al miglior Clapton. Lucky Boy, con un sound molto Delaney & Bonnie, avrebbe un altro effetto se ci fosse anche una bella voce a cantarla e Happy Guy sterza momentaneamente anche in territori R&B con il pianino di Bears a dare il giusto supporto. Per concludere una breve jam strumentale Jazz Breakfast at Lakewest, tanto per fare capire che “sappiamo” suonare anche il jazz. Ottimo chitarrista e discreto cantante http://www.youtube.com/watch?v=lW2kvd_PpVo , però nell’insieme un bel disco, uscito l’estate scorsa ma non di facile reperibilità, per chi ama un blues variegato.    

Bruno Conti