Vero Rockin’ Country, Molto Rockin’ E Poco Country! Jesse Dayton – The Outsider

jesse dayton the outsider

Jesse Dayton – The Outsider – Blue Elan CD

Jesse Dayton, texano di Beaumont, ha scelto un titolo perfetto per il suo nuovo CD. Stiamo parlando infatti di un musicista che ha iniziato ad incidere album a suo nome ben più di vent’anni fa, nel 1995, senza mai riuscire a far parlare di sé. Anzi, essendo un ottimo chitarrista, si è guadagnato da vivere più come axeman che come musicista in proprio: il suo curriculum comprende una lunga serie di artisti country e non, tra i quali John Doe ed i suoi X, i Supersuckers, ma soprattutto tre quarti degli Highwaymen, cioè Johnny Cash, Waylon Jennings e Kris Kristofferson, con i quali è talvolta andato anche in tour. Il disco che lo ha riportato alle cronache è stato The Revealer, uno degli album di rockin’ country più interessanti usciti nel 2016, pubblicato dopo diversi anni di silenzio, e che ci ha fatto conoscere un countryman dal pelo decisamente duro, che a violini e banjo preferisce nettamente le chitarre elettriche e sezioni ritmiche che pestano secco https://discoclub.myblog.it/2016/11/05/divertimento-purocosa-volete-piu-jesse-dayton-the-revealer/ .

Ora abbiamo tra le mani il seguito di quel lavoro, The Outsider, che dimostra che Jesse non è il tipo che si siede sugli allori e ripropone lo stesso disco all’infinito: infatti ci troviamo di fronte ad una serie di brani ancora più rock che in The Revealer, con le chitarre che arrotano che è un piacere, ed il nostro che ci mette tutta la grinta che ha in corpo, centrando ancora una volta il bersaglio, grazie anche ad una solida band che non va tanto per il sottile. Certo, il country non manca di certo, ma anch’esso viene suonato con il piglio del vero rocker. L’album inizia in maniera potente con May Have To Do It, un rock-blues grintoso e chitarristico, dal ritmo acceso e con un paio di assoli che di country hanno molto poco. Decisamente “cattiva” anche Jailhouse Religion, ritmica pulsante ed un’atmosfera paludosa ed annerita, come se Tony Joe White si fosse fatto un giro in Texas, ed anche qui non manca un’ottima prova del nostro con la chitarra (slide); con Changin’ My Ways iniziamo a sentire un po’ di country, una ballatona solida e comunque elettrica e vibrante, quasi come se a suonarla ci fosse un gruppo southern.

Hurtin’ Behind è pressante, roccata, vigorosa, con altri assoli lancinanti buttati lì con nonchalance, We Lost It è uno slow sontuoso, figlio delle sonorità degli outlaws degli anni settanta (soprattutto Waylon, ed anche qualcosa di Merle Haggard, che era un fuorilegge onorario), mentre Tried To Quit (But I Just Quit Tryin’) è un trascinante pezzo ad alto tasso elettrico, a metà tra rock’n’roll e honky-tonk texano, davvero irresistibile. L’elettroacustica Charlottesville è invece puro country, ancora dal ritmo elevato ed un sapore quasi bluegrass, anche se suonato alla maniera di un rocker, ed ancora ottimi interventi solisti (qui acustici), Belly Of The Beast rimanda invece a Cash, con tanto di ritmica boom-chicka-boom, mentre Burnin’ concede un momento di relax, un gustoso folk-blues acustico che sa di Mississippi. Il CD si chiude con la limpida Killer On The Lamb, un brano country & western dall’incedere epico e con un motivo di sicuro impatto, uno dei migliori del lavoro.

Sembra che Jesse Dayton sia tornato stabilmente tra noi, e pare con discreti risultati di critica e pubblico, anche perché su quelli artistici non avevo molti dubbi: per gli amanti del country-rock più elettrico, quelli per cui Nashville è soltanto la capitale del Tennessee.

Marco Verdi

Divertimento Puro…Cosa Volete Di Più? Jesse Dayton – The Revealer

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Jesse Dayton – The Revealer – Blue Elan CD

Lasciando da parte il discorso dell’intrattenimento, i cantanti o le band pubblicano dischi per un insieme di ragioni differenti: c’è chi lo fa perché ha qualcosa da comunicare, chi per far riflettere su determinati argomenti, chi per protestare, chi per commuovere, chi per far ballare, altri semplicemente con l’unico intento di vendere tanto, o talvolta solo per adempiere ad un obbligo contrattuale. C’è poi una categoria di album che nascono con il preciso intento di far divertire (just for fun dicono in America), e questo The Revealer, nuovo CD ad opera del texano Jesse Dayton, è un fulgido esempio in tal senso. Dayton non è un novellino, è in giro da più di vent’anni e ha già alle spalle una mezza dozzina di album a suo nome, ma è forse più noto, se non al grande pubblico almeno nell’ambiente, per essere un chitarrista molto richiesto in ambito country-rock: nel suo curriculum infatti troviamo partecipazioni nei dischi di tutti e quattro gli Highwaymen, cioè Willie Nelson, Johnny Cash, Waylon Jennings e Kris Kristofferson (non però nei loro tre lavori insieme), oltre ad aver suonato per la cowpunk band Supersuckers ed essere andato in tour con John Doe ed i suoi X. Devo essere sincero, non conosco i precedenti album di Jesse, lo avevo sentito nominare, avevo letto il suo nome da qualche parte (probabilmente all’interno dei lavori dei signori citati poc’anzi), ma quando ho messo nel lettore The Revealer confesso di essere sobbalzato più di una volta sul divano, in quanto mi sono trovato ad ascoltare quello che semplicemente (e non esagero) è uno migliori, più ritmati, roccati, coinvolgenti e divertenti dischi di country-rock del 2016.

Jesse, che è in possesso anche di un’ottima voce, è una forza della natura, sa scrivere canzoni di prima qualità, è perfettamente in grado di differenziare il suo stile senza risultare dispersivo, ha ritmo e feeling da vendere e riesce ad entusiasmare in diversi momenti. Mi rendo conto che sto usando termini altisonanti, ma provate a darmi fiducia (se vi piace il genere, è ovvio), date un ascolto ai brani di The Revealer e non ve ne pentirete. Aiutato da un manipolo di gente con le contropalle (tra cui Mike Stinson alla batteria, Riley Osbourne al piano e Beth Chrisman al violino), Dayton mette a punto dodici brani di cui farete fatica a fare a meno, a partire dall’iniziale Daddy Was A Badass, gustosissima e saltellante country song dal suono maschio, in perfetto Waylon-style, il modo migliore per aprire il CD, seguita a ruota dalla scatenata Holy Ghost Rock’n’Roller, un irresistibile, appunto, rock’n’roll, con un pianoforte suonato alla Jerry Lee Lewis, dal ritmo frenetico, impossibile stare fermi (*NDB O i Blasters!). Bellissima anche The Way We Are, anch’essa figlia di Jennings Sr. (voce compresa), ritmo al solito sostenuto, chitarre ruspanti e melodia immediata; Eatin’ Crow And Drinkin’ Sand è tosta ed elettrica, con elementi southern appena stemperati da un limpido violino, un country-rock scintillante: Jesse sta dimostrando, canzone dopo canzone, di essere uno che fa sul serio.

Possum Ran Over My Grave è dedicata a George Jones, uno dei suoi eroi di gioventù, ed il brano, un vibrante slow di stampo classico (ma sempre elettrico) è il miglior omaggio possibile al grande countryman scomparso; di bene in meglio con la strepitosa Take Out The Trash, un rockin’ country dal refrain irresistibile, ritmo alto e chitarre in gran spolvero, mentre Mrs. Victoria (Beautiful Thing) è un’oasi acustica, ma il nostro dimostra di saper tenere la guardia alta, ed il pezzo ha un delizioso sapore folk-blues, simile alle incisioni recenti di Tom Jones, con ottimi intrecci di chitarre. Pecker Goat, scritta con Hayes Carll, è un travolgente cajun elettrico, altro brano a cui è difficile resistere, Match Made In Heaven è invece il più classico degli honky-tonk, pulito, terso, cristallino, con la doppia voce di Brennan Leigh a rinfrescare la tradizione dei duetti country tra uomo e donna, mentre I’m At Home Gettin’ Hammered (While She’s Out Gettin’ Nailed), divertente già dal titolo, porta il nostro in territori bluegrass, solito ritmo ultra-sostenuto, assoli a raffica e godimento assicurato. Il CD si chiude con Never Started Livin’, una classica ballata elettroacustica, fluida e distesa, e con Big State Motel, altro folk tune polveroso, sudista e sfiorato dal blues, finale in solitario e momento di relax per un disco che è una bomba innescata.

In tre parole: da non perdere.

Marco Verdi