Musica Sopraffina Dal Profondo Sud! Damon Fowler – Alafia Moon

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Damon Fowler – Alafia Moon – Landslide Records

Se, come me, vi siete chiesti cosa cacchio sia questo Alafia, in effetti si tratta di un fiume, che scorre vicino alla città natia di Damon Fowler, nella contea di Hillsborough, Florida. Lo avevamo lasciato un paio di anni abbondanti fa, a fine 2018, all’uscita di The Whiskey Bayou Session, pubblicato dalla omonima etichetta di proprietà del collega Tab Benoit, che aveva anche prodotto il disco, che come al solito esplorava quei territori sonori a cavallo tra blues, rock, musica della Louisiana. swamp e sudista in genere, oltre ad uno stile da cantautore, in quanto Damon è anche un ottimo autore, oltre che sopraffino chitarrista, soprattutto in modalità slide, e anche un eccellente cantante, tanto che avevo inserito quell’album tra i miei preferiti dell’anno (ma tutta la sua produzione è eccellente). A un certo punto Fowler era stato contattato per entrare a fare la parte della band di Dickey Betts, ma poi i problemi di salute del musicista di West Palm Beach avevano fermato la sua attività concertistica: finita anche la sua collaborazione con Butch Trucks, dopo la morte, e in stand-by quella con i Southern Hospitality, la band che condivide con Victor Wainwright e JP Soars, il nostro amico ha firmato un contratto con la Landslide Records e si è messo al lavoro per un nuovo CD.

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Accompagnato dai fedeli compagni Chuck Riley, bassista dei Southern Hospitality e dal batterista della sua band Justin Headley, con un piccolo aiuto da T.C. Carr all’armonica, Mike Kach alle tastiere e Betty Fox alle armonie vocali, Fowler ha confezionato un ennesimo gioiellino. Undici brani, dieci firmati da Damon, uno in collaborazione con Jim Suhler, e la splendida cover di The Guitar di Guy Clark, resa in modo molto fedele: quindi gagliarda musica rock-blues, ma anche momenti più intimi e raccolti, altri divertenti e le divagazioni chitarristiche mai fini a sé stesse, rilasciate con una tecnica prodigiosa ma mai troppo “esagerate”, con uso di Fender, Slide e Lap Steel ed echi di Winter, Thorogood, Duane Allman, Ry Cooder e Lowell George. Prendiamo la iniziale potente Leave It Alone, suono scandito, chitarra ed armonica di Carr che si rispondono dai canali dello stereo, mentre la Fox supporta la voce rauca, espressiva e vissuta di Damon, e lui inizia a lavorare di bottleneck, creando questo insieme “paludoso” e southern https://www.youtube.com/watch?v=XKGLPEr32a8 ; I’ve Been Low accelera i tempi, la musica si fa più minacciosa, la slide e la solista imperversano e la ritmica attizza il nostro verso un rock-blues di grande energia https://www.youtube.com/watch?v=BFPtrya52rI , mentre nella title-track, una ballata mid-tempo fluida e scorrevole, l’organo Hammond B3 di Mike Kach (già nella band di Butch Trucks) aggiunge elementi deep soul e Fowler canta con voce calda e partecipe, prima di far “parlare” la sua chitarra ricca di feeling https://www.youtube.com/watch?v=ADne0Nn0zR4 . Nella delicata The Guitar, il brano di Clark e Verlon Thompson, Damon si rivela anche fine picker alla acustica e declama da consumato interprete di talkin’ country blues i versi di questo racconto incentrato intorno ad un banco di pegni per chitarre https://www.youtube.com/watch?v=YTAGnDiqGGo .

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Make The Best Of Your Time vira verso il funky, un suono che ricorda il Cooder più sanguigno o il Duane Allman più rilassato quando faceva il sidemen per i cantanti soul, impersonato per l’occasione da Fowler, spalleggiato dalla solita Fox, mentre la lap steel lavora di fino sullo sfondo con guizzi continui, forse il riff è anche troppo ripetuto, ma fossero questi i difetti datecene altri così https://www.youtube.com/watch?v=4WtZZAr2mYI. Hip To Your Trip è il pezzo firmato con Suhler, un brano di chiara impronta southern, lato Allman, ma anche grazie al timbro vocale usato per l’occasione da Damon qualche reminiscenza di Dr. John e del New Orleans sound https://www.youtube.com/watch?v=fGJw_bMBZV8 , con la successiva accelerata di Some Things Change che rocca e rolla alla grande, tra Little Feat, sbuffi di armonica, passate di organo, e sanguigni riti sudisti, con finale chitarristico devastante https://www.youtube.com/watch?v=6Rfx04bd4JU . Taxman ovviamente non è il pezzo di Harrison per i Beatles, ma è un bluesazzo di quelli duri e puri, con lap steel incazzosa come sapeva fare Lowell George con i Feat più ispirati (per citarli è un “Political Blues”), con il nostro che si sdoppia anche alla solista https://www.youtube.com/watch?v=27raprdtSTk , mentre in Wanda Fowler e Kach si dividono gli spazi in un ulteriore interscambio raffinato tra chitarra e organo, con Damon che si inventa un timbro grasso e corposo per la sua solista, quasi claptoniano https://www.youtube.com/watch?v=eDe1TJhDivs . The Umbrella fa parte di quei lunghi brani parlati inseriti nei suoi concerti nel segmento gig stories, quando il nostro amico intrattiene il pubblico (il brano non è dal vivo, i rumori di fondo sono fasulli, aggiunti in studio), aneddoto divertente, ma scusate la franchezza, a lungo andare rompe le balle, otto minuti che si potevano impiegare meglio https://www.youtube.com/watch?v=VlEcCQszrWQ , come nella breve, divertente e travolgente Kicked His Ass Out, boogie. swing e rock and roll a tutta velocità https://www.youtube.com/watch?v=ORPWcl1YbCE . Quindi alla fine, sia pure con questo piccolo intoppo, un disco “solo” quasi perfetto.

Bruno Conti

Meno Peggio Del Previsto, Anzi! Eric Church – Desperate Man

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Eric Church – Desperate Man – EMI Nashville CD

Eric Church non è di certo il mio countryman preferito, anzi non si avvicina neppure alle zone di medio-alta classifica, ma devo riconoscere che nel variegato panorama musicale americano ha saputo, fin dal suo debutto Sinners Like Me del 2006, ritagliarsi una fetta piuttosto grossa di popolarità, il tutto senza ricorrere a sonorità becere come fanno ad esempio Keith Urban e Jason Aldean. Certo, la sua musica non arriverà forse mai a livelli per i quali noi del Blog ci strapperemmo i capelli (almeno chi li ha ancora), ma se non altro i suoi CD si lasciano ascoltare senza far venire voglia di spegnere il lettore dopo tre canzoni https://discoclub.myblog.it/2017/07/21/lui-non-mi-fa-impazzire-ma-stavolta-non-e-malaccio-eric-church-mr-misunderstood-on-the-rocks/ . Desperate Man, il suo nuovo lavoro (il sesto in assoluto), conferma la tendenza di Eric di fare musica abbastanza gradevole, pur mantenendo un’aura di commercialità che lo allontana non poco dagli appassionati di vero country: d’altronde il suo produttore è Jay Joyce, molto noto a Nashville, uno che sa anche produrre artisti di qualità (Emmylou Harris, The Wallflowers, Brandy Clark, Patty Griffin), ma spesso ha la mano pesante e non va tanto per il sottile.

Comunque Church è un uomo del Sud (e nato infatti in North Carolina) nonché un amante del movimento Outlaw degli anni settanta, e quindi la sua musica ha una decisa componente rock, poco presente peraltro in Desperate Man: infatti questa ultima fatica di Eric si rivela essere un disco composto prevalentemente da ballate, anche se lo zucchero stratificato tipico di Nashville è fortunatamente tenuto a bada, e la durata limitata dell’album, 36 minuti, evita che la noia possa affiorare. Il CD in realtà si apre con Tha Snake, un brano di pura swamp music: un lungo arpeggio di chitarra acustica introduce la canzone, poi dopo un minuto il ritmo sale e ci troviamo immersi in un’atmosfera tesa ed inquietante, con un suono paludoso, cupo e profondamente annerito, chiaramente ispirato da uno come Tony Joe White. Un pezzo niente male. Hangin’ Around è molto meno scura, ma è anche la meno riuscita del disco: ritmica scattante e nervosa, una chitarrina funkeggiante ed uno stile un po’ confuso (ma non esattamente country), ed Eric che canta con una strana voce stridula, un deciso downgrade rispetto al brano iniziale; Heart Like A Wheel è una ballata elettrica dal sapore southern soul, abbastanza riuscita sia per il refrain che per l’uso delle voci femminili, anche se la sezione ritmica sembra faticare non poco a “trovare” la canzone.

Anche Some Of It è uno slow, più nello stile country-pop del nostro, ma è suonato con gli strumenti giusti e non sfigura, così come la tenue e gentile Monsters, che non è originalissima ma se non altro ha una buona melodia di fondo e si lascia ascoltare con piacere, mentre con Hippie Radio restiamo in tema di ballate, per un brano elettroacustico prodotto in maniera intelligente, ben suonato e con Church che canta con misura. Higher Wire ha ancora il passo lento ma è più rock, anche se Eric le costruisce intorno un arrangiamento discutibile, meglio la title track (scritta con Ray Wylie Hubbard), che sembra ispirata dai Rolling Stones, con le dovute proporzioni ovviamente, e ha un tiro discreto (peccato per il coretto idiota); Solid, che invece è composta insieme ad Anders Osborne, è uno slow disteso e con un bell’intro di chitarra quasi pinkfloydiano (!), ma poi il brano cambia registro quasi subito per diventare un country-rock ancora con diversi debiti verso il sound della Louisiana. Il CD si chiude con Jukebox And A Bar, gradevole country ballad (forse la più country del disco), e con Drowning Man, solido pezzo elettrico di nuovo con agganci al suono del Sud.

Un album di livello più che accettabile questo di Eric Church, non scevro da imperfezioni ed al quale un po’ più di brio avrebbe sicuramente giovato, ma di certo non quella ciofeca che sarebbe stato legittimo paventare.

Marco Verdi