Tutti Sulla Macchina Del Tempo! Otis Grand – Blues ’65

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Otis Grand – Blues ’65 – Maingate Records

Il titolo è di per sé già abbastanza esplicativo, se aggiungiamo il sottotitolo …For Listening Swingin’ & Dancing, e il motto riportato nel libretto del CD “Good Blues Feel Good”, la filosofia che sta alle radici di questo album è piuttosto chiara: musica, anche scritta oggi, ma con lo spirito di quegli anni, dal 1965 a ritroso, quindi niente rock-blues, che non era stato ancora inventato ma blues puro, meglio se nella migliore tradizione dei dischi che B.B. King incideva in quel periodo per la ABC-Paramount, rockabilly e rock’n’roll, country&western mascherato (ci sono un paio di brani firmati da Charlie Rich), ma anche pura musica da ballo, Rumba Conga Twist è uno strumentale firmato da Grand ma avrebbe potuto essere uno dei successi che eruttavano dai jukebox  in quel fatidico anno. Come molti sanno (in caso contrario ve lo sto dicendo) Otis Grand, come lascia intuire la carnagione, è un bluesman di scuola americana, ma nato a Beirut in Libano e residente a Croydon in Inghilterra, chitarrista sopraffino della vecchia scuola (accentuata in questo disco dall’utilizzo della Gibson Es-335 per evidenziare ulteriormente questo viaggio nel tempo, già peraltro effettuato nel suo precedente album, Hipster Blues, che celebrava la musica Mod & R&B sempre degli anni ’60).

Anni che evidentemente sono quelli della sua formazione musicale (è nato nel 1950, quindi non è più uno sbarbatello), quando il pop, il rock, il soul, il R&B, il country, il R&R e perfino il Blues convivevano nelle classifiche senza problemi, e c’è una bella paginetta nel libretto del CD che ci racconta cosa succedeva nel 1965. Per fare tutto ciò Otis si è recato in quel di Limoges in Francia, con qualche capatina nel Vermont, a conferma dello spirito internazionale del progetto, e con l’aiuto di un cospicuo manipolo di musicisti di nome (ma non di grande fama se non per gli appassionati) ha realizzato questo divertente dischetto: per citarne alcuni, il cantante ed armonicista è lo spesso sottovalutato Sugar Ray Norcia, vocalist dalla voce vellutata (sentite l’eccellente lavoro che fa nel brano d’apertura, la scatenata Pretend, che era cantata in origine da Nat King Cole e dove i fiati, oltre alla voce, sono i grandi protagonisti), al basso e contrabbasso Michael “Mudcat” Ward, Greg Piccolo con il suo sax tenore guida la numerosa pattuglia della sezione fiati, ossia Carl Querfurth, John Peter LoBello, Paul Malfi, Doug “Mr Low” James (già i nomi ti ispirano), Anthony Geraci al piano e organo e l’ex bambino prodigio Monster Mike Welch solista aggiunto in un paio di brani.

Ogni cosa funziona alla grande, Who Will The Next Fool Be, una delle canzoni scritte da Rich, potrebbe provenire da uno dei dischi di B.B. King di quell’annata, chitarra pimpante, una voce che ti mette allegria (e non rimpiangere quella di Bobby Blue Bland che la cantava ai tempi), piano saltellante e atmosfera vintage, ma che classe ragazzi. Proseguendo nell’ascolto di Live At The Regal (ah non è quello, mi sembrava di non avere sbagliato a infilare il dischetto nel lettore), parte uno strepitoso blues con fiati come Bad News Blues On TV, a firma dello stesso Grand che rilascia anche un assolo strepitoso con la sua Gibson d’annata, che se fossi BB King gli farei una telefonata per complimentarmi, ma purtroppo non lo sono. Già detto della coinvolgente Rumba Conga Twist dove la ficcante solista di Grand è di nuovo protagonista, ma tutto il gruppo si diverte, citerei anche un super slow come Do You Remember (When) addirittura pennellato e la divertente e nuovamente scatenata I Washed My Hands In Muddy Water, un successo appunto del 1965 di Stonewall Jackson ma che tutti ricordano (tutti?) nella versione di Elvis Presley del ’71, questa di Grand è decisamente più swingata e blues con Sugar Ray Norcia che soffia alla grande nella sua armonica.

Midnight Blues, l’altro pezzo di Charlie Rich ha un suo perché come l’eccellente escursione nel New Orleans soul rappresentata da Please Don’t Leave, cantata con passione da Brother Roy Oakley, che era il vecchio cantante della band di Grand, ora ritirato dalle scene ma sempre tosto. In molti brani, anche quelli già citati, sembra di ascoltare la vecchia Butterfield Blues Band che nasceva proprio in quel periodo, il suono di Grand è molto Bloomfield, per esempio in In Your Backyard o in Shag Shuffle dove si scambia “fendenti” con Monster Mike Welch, come facevano appunto Bloomfield e Bishop. Warning Blues è un bel duetto tra Norcia e Grand, un blues intenso e gagliardo, come si conviene e la conclusiva Baby Please (Don’t Tease) è un boogie swingato con i due chitarristi e i fiati ancora sugli scudi. Questo è un “passato” che ci piace, divertente e coinvolgente come usava in quel fatidico 1965!

Bruno Conti    

“Vecchio” Blues Ma… Doug Deming & The Jewel Tones – What’s It Gonna Take

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Doug Deming & The Jewel Tones feat. Dennis Gruenling – What’s It Gonna Take – Vizztone

Ogni mese escono decine di nuovi dischi, solo nell’ambito Blues, e il vostro fedelissimo recensore cerca di tenere dietro a tutte le uscite, ma non di tutto si riesce a parlare, ascolto anche dischi che per motivi vari non riesco a recensire ma lo meriterebbero, mentre altri passano nel mio lettore e ne escono senza lasciare traccia. Quindi, onestamente, devo ammettere di non avere mai sentito parlare fino ad una decina di giorni or sono di questo Doug Deming, anche se non escludo di avere ascoltato dischi dove il nostro era presente, almeno leggendo la sua biografia e partecipazioni varie: ha suonato con Kim Wilson, Gary Primich, Lazy Lester e molti altri. Però, se devo essere sincero, comunque non mi era rimasto impresso. Nel suo gruppo, i Jewel Tones, hanno suonato spesso delle special guests, soprattutto armonicisti, in questo What’s It Gonna Take in particolare l’ottimo Dennis Gruenling.

Non ho avuto “frequentazioni” passate con questi musicisti, ma le orecchie per ascoltare, allenate da qualche lustro di lavoro nel campo, ce le ho e quindi mi sbilancio nel dire che questo album non mi ha particolarmente impressionato: se devo scegliere tra i due, direi che la stella del disco è Gruenling, che soffia con gusto, potenza e classe nella sua armonica, risultando una piacevole sorpresa per il sottoscritto. Deming appartiene a quella scuola di Bluesmen, molto legati alla tradizione, Texas swing, sonorità West Coast Blues con retrotoni di R&R, un po’ alla Blasters o alla Fabulous Thunderbirds, ma senza la classe e il tiro dei gruppi citati. La pettinatura con ciuffo è una ulteriore indicazione delle tendenze di stile e musica, come la vecchia Gibson dal suono volutamente retrò. Con questo voglio dire che sono scarsi o che il disco è brutto? Direi di no, sicuramente una nicchia di appassionati per questo tipo di blues c’è, semplicemente gente come Jimmie Vaughan, per fare un nome, lo fa molto meglio. Negli undici brani che compongono questo CD c’è molto materiale firmato dallo stesso Deming, due o tre cover e un brano firmato da Gruenling.

Prendiamo le cover: Poison Ivy, che non è quella scritta da Leiber e Stoller e suonata anche dagli Stones, ma il brano di Mel London,  portato alla fama se non al successo da Willie Mabon, è cantato con deferenza quasi filologica da Deming, che peraltro non ha una voce memorabile,  non decolla verso la stratosfera del Blues, ma si salva per l’ottima performance di Gruenling (che, più o meno in contemporanea, pubblica un disco a nome suo, ancora per la Vizztone, Rockin’ All Day, accompagnato sempre dai Jewel Tones). O I Want You To Be My Baby, una vecchia canzone dal repertorio di Louis Jordan che dovrebbe avere swing e divertimento in pari misura nelle sue corde, ma ha solo il primo, con la chitarra che ricorda vagamente il primissimo Alvin Lee dei Ten Years After quando non aveva ancora deciso di diventare un guitar hero e suonava il repertorio di Woody Herman. Non è tutto così turgido, ci sono momenti di Blues più sentito, come nella grintosa No Big Thrill o nelle atmosfere sospese alla John Lee Hooker della minacciosa An Eye For An Eye ma è sempre Dennis Gruenling che ci regala le migliori sensazioni, come nel frenetico strumentale Bella’s Boogie dove anche Deming è in evidenza con la sua chitarra e tutta le band si lascia andare come probabilmente sono in grado di fare dal vivo. Le dodici battute regnano anche in Think Hard e in Lucky Charm dove il suono è più coinvolgente senza essere memorabile che potrebbe essere il giudizio per tutto il disco. Indicato, se siete completisti e volete ascoltare di tutto un po’, in ambito Blues, non indispensabile ma onesto.

Bruno Conti