Visti I Risultati, Il Silenzio Poteva Anche Continuare! Thad Cockrell – In Case You Feel The Same

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Thad Cockrell – In Case You Feel The Same – ATO CD

Non so quanti di voi si ricordino di Thad Cockrell, singer-songwriter di genere country-rock/Americana attivo all’inizio del nuovo millennio, autore di tre apprezzati album (due dei quali pubblicati dalla Yep Roc e prodotti dal noto Chris Stamey, leader dei dB’s) tra il 2001 ed il 2009, più un disco di duetti nel 2005 con Caitlin Cary, ex cantante e violinista dei Whiskeytown. Cockrell era in silenzio come solista appunto dal 2009, anche se nella decade appena trascorsa ha realizzato un paio di lavori come membro dei Leagues, una band di rock alternativo che ha avuto un buon successo a livello indipendente con il primo album e molto meno con il secondo. A undici anni da To Be Loved Cockrell torna quindi a fare il solista pubblicando In Case You Feel The Same, una collezione di dieci nuove canzoni uscita per la ATO Records (la stessa che si occupa della serie live di Jerry Garcia) e che vede alla produzione Tony Berg il quale suona anche gran parte degli strumenti, mentre come ospiti speciali abbiamo Blake Mills (abituale parner artistico di Fiona Apple e presente anche sull’ultimo Dylan) e soprattutto la cantante e leader degli Alabama Shakes, Brittany Howard, alla seconda voce in Higher.

Purtroppo però non bastano un paio di ospiti di vaglia ed un buon produttore per fare un bel disco: il problema di In Case You Feel The Same è che ci mostra un autore forse un po’ arrugginito dalla lunga inattività (e, va detto, Cockrell non ha mai fatto parte di quel gruppo di musicisti da acquistare a scatola chiusa), con l’aggravante della ricerca ossessiva di un suono moderno ma parecchio spersonalizzato e molto poco “roots”, con abbondante uso di synth e ritmi programmati che non sono certo ciò che serve a migliorare una serie di canzoni che già in partenza sono caratterizzate da una vena compositiva piuttosto flebile. Se siete tra quelli che avevate gradito i precedenti album di Cockrell potreste quindi avere qualche sorpresa negativa da questa sua nuova proposta, dato che qui c’è ben poco sia di rock che di radici. Il disco non parte neanche male, dal momento che la title track è una ballata intensa per solo voce, piano, basso e batteria dallo sviluppo sofferto e toccante, un brano che sembra mettere il CD sui binari giusti fin da subito; la già citata Higher ha un suono inizialmente trattenuto, poi entra la sezione ritmica con una frustata ed il nostro divide il microfono con la Howard sia nelle strofe quasi in modalita “low-fi” che nel refrain potente: in ogni caso non siamo certo di fronte ad una grande canzone.

Swingin’ è anche peggio, ed il suono è eccessivamente moderno al limite del fastidioso, una pop song insulsa che di Americana non ha nulla, meno male che Susie From The West Coast risolleva un po’ le cose: non siamo in presenza di un capolavoro, ma comunque di un pezzo dalla struttura melodica sensata e lineare ed un accompagnamento più adeguato pur rimandendo nel solco della modernità. L’inizio di Slow And Steady promette bene, con il suo bel riff chitarristico alla Sweet Jane, ed anche la canzone in sé non è male, una rock song potente e diretta nonostante la presenza di un synth che però non fa danni: alla fine risulterà il brano migliore. Love Moves In è pop sofisticato e raffinato, formalmente ineccepibile ma privo di mordente (sembra il Bryan Ferry degli anni ottanta), in Fill My Cup rispunta la chitarra elettrica e c’è anche un ritornello corale piacevole, ma All I Want è puro techno-pop, il livello è quello degli Orchestral Manoeuvres In The Dark (e non è un complimento). Il CD termina con Next Thing You Know, una ballata melliflua che sa di poco e che presenta altre sonorità abbastanza orripilanti, e con una ripresa maggiormente strumentata della title track, che si conferma uno dei pochi momenti positivi di un album che definire deludente è il minimo.

Marco Verdi

Purtroppo Non E’ Un Pesce D’Aprile! The Decemberists – I’ll Be Your Girl

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The Decemberists – I’ll Be Your Girl – Rough Trade/Capitol CD

In realtà questo disco è uscito lo scorso 16 Marzo, ma il fatto che ne parli oggi, che oltre che il giorno di  Pasqua è anche il primo di Aprile (giorno solitamente dedicato alle burle), ha sollecitato in me l’esigenza di specificare che non si tratta di uno scherzo, ma di una vera recensione di un album che, come vedremo tra poco, non ha davvero molte frecce al suo arco (*NDB Vedasi anche il titolo di ieri). The Decemberists sono (spero di non dover dire erano) una delle migliori band in circolazione, ed i loro due ultimi album, The King Is Dead e What A Terrible World, What A Beautiful World http://discoclub.myblog.it/2015/01/20/piu-che-terribile-bellissimo-il-disco-decemberists-what-terrible-world-what-beautiful-world/ , sono entrati in molte Top Ten dei dischi più belli delle rispettive annate, 2011 e 2015, incluso in quelle del sottoscritto (ed è decisamente riuscito anche l’esperimento folk-rock condotto insieme ad Olivia Chaney ed uscito l’anno scorso sotto il nome di Offa Rex http://discoclub.myblog.it/2017/07/22/strano-nome-a-parte-in-pratica-sono-i-decemberists-piu-olivia-chaney-che-reinventano-il-folk-rock-britannico-offa-rex-the-queen-of-hearts/ ). Per questo nuovo I’ll Be Your Girl il gruppo guidato da Colin Meloy (insieme ai fidi Chris Funk, Jenny Conlee, Nate Query e John Moen) ha però deciso di cambiare drasticamente registro, decidendo di non lavorare più con il loro abituale produttore Tucker Martine affidandosi ai servigi di John Congleton, uno che ha nel suo curriculum nomi non proprio invitanti per me come St. Vincent, Xiu Xiu e Swans.

Ma quello che più ha generato allarme tra i fans era l’annuncio che il quintetto di Portland avrebbe abbandonato le consuete atmosfere tra pop e Americana per ispirarsi al suono anni ottanta di gruppi come Depeche Mode e New Order. Ho letto diversi pareri su questo disco, dalla stroncatura più netta alla recensione positiva, e quindi ho voluto farmi un’idea mia dopo averlo ascoltato attentamente: ebbene, il risultato finale non è completamente tragico perché fortunatamente Meloy non ha perso la capacità di scrivere, e ci sono almeno tre brani che si salvano, ma il resto secondo me è da gettare alle ortiche, a causa principalmente di un suono finto, infarcito di sintetizzatori e drum machines, con arrangiamenti da mani nei capelli, che seppelliscono canzoni che con una veste sonora diversa avrebbero potuto uscire meglio. Ma ci sono anche alcuni pezzi poco riusciti, quasi come se i nostri, circondati da suoni fasulli e posticci, avessero perso il bandolo della matassa (ed ogni tanto il loro vecchio stile sembra voler emergere, ma fa molta fatica): spero che questo sia solo un (brutto) incidente di percorso, peraltro studiato a tavolino, e che non sia l’inizio di un cambio di rotta definitivo che porterà i Decemberists sulla stessa strada di Mumford & Sons, Arcade Fire e Low Anthem. Once In My Life si apre con la voce chiara di Meloy e due chitarre acustiche strimpellate con vigore, un avvio promettente che però viene in parte rovinato da una sorta di “big sound” un po’ artificioso, anche se nonostante tutto la canzone conserva una certa forza. Cutting Stone, che parte come una ballata acustica, assume quasi subito una ritmica dance anni settanta degna degli ABBA, che c’entra come i cavoli a merenda con il suono dei nostri, ed è un peccato perché il brano non era male (ma se voglio sentire gli ABBA non metto su un disco dei Decemberists).

Severed, il primo singolo, è anche peggio, un suono finto dominato da synth e drum machine, sembra di essere dalle parti di Giorgio Moroder o degli OMD: il pezzo poteva avere qualche aspetto positivo, ma il suono fa talmente schifo che non riesco a separare le due cose. Starwatcher non è nemmeno un granché come canzone, e poi il suono è davvero orripilante, mi chiedo cosa avesse in testa Meloy quando ha progettato questo album; Tripping Along avrebbe anche i suoni giusti, ma non è niente di speciale, mentre Your Ghost vorrebbe essere un brano pop solare ma riesce solo ad essere “strano” (e le chitarre dove sono?). Everything Is Awful sarebbe il titolo perfetto per questo CD (“Tutto E’ Terribile”): il suono è meno fasullo del solito, ma sempre decisamente sopra le righe. Con Sucker’s Prayer abbiamo finalmente un brano come si deve: suono giusto, melodia diretta e ritornello di presa immediata, con un delizioso sapore beatlesiano. Peccato che siamo già all’ottava canzone. We All Die Young è senza né capo né coda, brutta e persino fastidiosa https://www.youtube.com/watch?v=eR8JJdrUCaQ , ma fortunatamente con Rusalka, Rusalka/Wild Rushes abbiamo il pezzo migliore del CD: una ballata pianistica complessa e maestosa, quasi con tentazioni prog, sonorità “vere” e tracce dei Decemberists che più amiamo, con un bellissimo finale strumentale. Il dischetto si chiude con la title track, una ballata elettroacustica dallo squisito gusto melodico, una bella canzone che però mi fa ancora più arrabbiare per le puttanate elettroniche che l’hanno preceduta.  I’ll Be Your Girl è un disco da dimenticare, e pure in fretta.

Marco Verdi

P.S: colgo l’occasione per fare i migliori auguri di Buona Pasqua a blogger, collaboratori e lettori.