“Gregari Di Lusso” O Qualcosa di Più? Scrapomatic – I’m A Stranger And I Love The Night

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Scrapomatic –  I’m A Stranger And I Love The Night – Landslide Rec. 

Quando Derek Trucks e Susan Tedeschi hanno deciso di unire le forze sciogliendo le rispettive band, si sono lasciati alle spalle alcuni “cadaveri”, in senso metaforico naturalmente. Mike Mattison era il vocalist della Derek Trucks Band, mentre nella Tedeschi Trucks Band svolge il ruolo di background vocalist, occasionale percussionista ed autore, un ruolo che oggettivamente gli va stretto. I due chitarristi degli Scrapomatic, Paul Olsen, che è anche il secondo vocalist e co-autore con Mattison del materiale del gruppo, e Dave Yoke, l’ultimo arrivato, in passato hanno suonato nella band della Tedeschi, come occasionalmente hanno fatto anche i due componenti della sezione ritmica, Ted Pecchio, il bassista e Tyler Greenwell, il batterista. Quindi è una sorta di famiglia allargata, se aggiungiamo che gli Scrapomatic (come duo o trio) spesso aprono i concerti della band dei due coniugi. Ovviamente la band ha anche una vita propria, indipendente, nata nel lontano 1994 dall’incontro di Mattison e Olsen nelle Twin Cities e poi sviluppata in lunghi anni di concerti, fino ad approdare all’esordio discografico indipendente nel 2002 con un disco omonimo che comprendeva sia un CD che un DVD nella confezione. Poi nel 2006 sono approdati alla Alligator per Alligator Love Cry e nel 2008 alla Landslide per l’ottimo Sidewalk Caesars e ora, con calma, arriva questo I’m A Stranger And I Love The Night che, curiosamente, si apre con un brano Alligator Love Cry che non era presente nel disco dallo stesso titolo.

Mattison, forse non lo abbiamo detto, è un nero, un vocalist in possesso di una voce allo stesso tempo vellutata e rasposa come la carta vetrata, una sorta di Taj Mahal dei giorni nostri, blues, soul e rock, convivono nei suoi geni e Olsen e Yoke sono i suoi Jesse Ed Davis e Ry Cooder, sintomatico di quanto detto è quella Alligator Love Cry più volte citata, che ha un doppio riff chitarristico bluesato, alla Rising Sons o Allman, su cui Mattison appone il suo tipico vocione da bluesman vissuto. Ma il nostro buon Mike è in grado di spaziare pure in territori più rootsy, per esempio nella bellissima ballata country got soul I’m A Stranger… dove sono in evidenza anche le morbide armonie vocali di Olsen e una bella slide insinuante. O nel bar room rock di Rat Trap che ricorda la frenesia live anche del primo Springsteen alle prese con le riprese dei classici anni ’60, il tutto con le solite chitarre “cattive” in evidenza e una ritmica assolutamente in palla con il basso quasi dominante. Night Train, Distant Whistles, con la voce di Mattison che mi ricorda il primo John Popper, e i ritmi funky che si rifanno ancora ad Allmans e famiglia Trucks, ma anche all’ottimo combo JJ Grey & Mofro, altro gruppo di musicisti che sa come trattare l’argomento. Don’t Fall Apart On Me è una gentile ballata dal sapore quasi country e acustico mentre I Surrender sempre ballata è, ma di chiaro stampo sudista, ricca di deep soul e con un bell’intervento della solista di Yoke (o Olsen) che sono chitarristi di sostanza ma anche di finezza, belle le tipiche armonie vocali di sottofondo.

The Mother Of My Wolf, dal testo surreale, viceversa, è un assatanato garage rock bluesato, con la ritmica in overdrive e la voce di Mattison rauca e urlata al punto giusto e le chitarre “sporche” come si conviene. Crime Fighter è uno slow blues “lavorato” e intenso dove Mattison sfodera un falsetto fantastico mentre Malibu (That’s Where It Starts) è un’altra morbida ballata dall’apertura quasi Westcoastiana che si incattivisce strada facendo sulle ali di un’altra ottima interpretazione vocale del leader e con un inconsueto solo di sax nella parte finale. How Unfortunate For Me è uno strano brano dalla costruzione old fashioned, quasi jazzy, con una cornetta e un’aria stralunata di fondo che, come direbbe Di Pietro poco c’azzecca con il resto. The party’s over è un altro brano dalle sonorità morbide, cantato in coppia con Olsen e con le due soliste in evidenza, bello ma forse un po’ scontato e che fa calare ulteriormente la tensione del disco. Anche Gentrification Blues si muove su territori più acustici, un country blues tipo gli Stones di Beggars Banquet, ma senza quel quid in più. Tutto bello, ma dal gruppo mi sarei aspettato qualcosa in più, comunque è solo pignoleria da appassionato, perché loro sono veramente bravi e il disco merita!

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte IV. Taj Mahal, Michael Burks, Kelly Joe Phelps, Six Organs Of Admittance, Plainsong, The Kennedys

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Tre uscite relative al Blues nelle sue diverse componenti.

Il grande Taj Mahal ha vissuto il suo momento migliore e più prolifico a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 quando incideva per la Columbia (ma anche il resto della produzione è spesso molto buona). Evidentemente era rimasto del materiale assai interessante negli archivi, come dimostra questo doppio CD The Hidden Treasures Of Taj Mahal 1969-1973 che raccoglie tutto materiale inedito registrato in quel periodo di grande creatività e la Sony Legacy lo pubblica il prossimo 21 agosto. Questo il contenuto:

  1. “Chainey Do”
  2. “Sweet Mama Janisse” (Feb, 1970, Criteria Recording Studios)
  3. “Yan Nah Mama Loo”
  4. “Tomorrow May Not Be Your Day”
  5. “I Pity The Poor Immigrant”
  6. “Jacob’s Ladder”
  7. “Ain t Gwine Whistle Dixie (Any Mo’)”
  8. “Sweet Mama Janisse” (Jan, 1971 Bearsville Recording Studios, Woodstock, NY)
  9. “You Ain t No Streetwalker, Honey But I Do Love The Way You Strut Your Stuff”
  10. “Good Morning Little School Girl”
  11. “Shady Grove”
  12. “Butter”
  1. “Runnin By The Riverside”
  2. “John, Ain’t It Hard”
  3. “Band Introduction”
  4. “Sweet Mama Janisse”
  5. “Big Fat”
  6. “Diving Duck Blues”
  7. “Checkin’ Up On My Baby”
  8. “Oh Susanna”
  9. “Bacon Fat”
  10. “Tomorrow May Not Be Your Day

Il secondo CD è un concerto completo registrato alla Royal Albert Hall di Londra il 18 aprile del 1970 in una serata in cui si esibiva come supporto dei Santana. Detti per inciso, anche Taj Mahal ha compiuto 70 anni il 17 maggio di quest’ anno!

Per uno strano destino, sempre a Maggio, ma il giorno 6, moriva a Atlanta, Georgia Michael Burks. Aveva solo 54 anni ed era considerato, giustamente, uno dei migliori rappresentanti del blues elettrico contemporaneo. Autore di quattro album in precedenza, di cui tre su etichetta Alligator, anche questo Show Of Strength, lo conferma, sia pure in maniera postuma, tra i migliori cantanti e chitarristi di questo genere. Purtroppo, mi scappa di dire, la scritta “iron man” aggiunta al nome sulla copertina del disco, pur trattandosi del suo soprannome, non gli ha portato bene. Visto che sicuramente ne parlerò in modo più esteso prossimamente, per il momento mi limito a consigliarvelom visto il periodo, “caldamente”, ottimo disco. Ufficialmente in uscita il 21 agosto per la Alligator, ma è già in circolazione per i tipi della Ird.

Kelly Joe Phelps è uno dei “maestri” (o meglio virtuosi) della slide acustica suonata in stile anche lap appoggiata in grembo. Questo nuovo Brother Sinner And The Whale, pubblicato dalla etichetta Black Hen, dovrebbe essere il suo nono disco, un paio di EP esclusi. Dopo il disco strumentale del 2009 Western Bell e l’EP del 2010, Magnetic Skyline con la cantante Corinna West, Phelps torna con questo disco acustico, solo voce e chitarra, affascinante e malinconico come sempre, anche se, parere personale, lo preferisco nel formato più elettrico.

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Ben Chasny oltre ad essere il leader dei Six Organs Of Admittance, per alcuni anni ha fatto parte con Ethan Miller dei Comets On Fire. Poi, dal 2006/8, ognuno ha deciso di dedicarsi a tempo pieno al proprio gruppo: Ethan Miller con gli ottimi Howlin Rain e Ben Chasny a questi Six Organs, gruppo super prolifico che dal 1998 a oggi, in vari formati, ha pubblicato quasi una trentina di dischi. Questo nuovo Ascent, pubblicato dalla Drag City, lo riporta allo stile neopsichedelico degli episodi migliori del gruppo (e con la partecipazione dei Comets On Fire), con la chitarra che spesso si lascia andare a lunghe improvvisazioni selvagge ma anche con episodi più gentili, quasi folk o weastcoastiani. Molto interessante, in quel filone che comprende anche Jonathan Wilson & Co., se amate il genere, ma anche l’acid rock, i “corrieri cosmici tedeschi” dei primi anni ’70 e certi chitarristi acustici “arcani”.

Quest’anno festeggiano i 40 anni di attività, e dopo questo disco si scioglieranno, anche i Plainsong di Iain Matthews e Andy Robers. Tutto iniziava nel 1972 con quel piccolo gioiello del folk-rock che rispondeva al nome di In Search Of Amelia Earheart e si conclude, dopo un tour commemorativo, con questo Fat Lady Singing, registrato dal vivo in Olanda nel 2003 e pubblicato solo oggi dalla Blue Rose. Sono 19 brani registrati dalla formazione che vede accanto al “vecchio cuore Fairport” Matthews, voce e chitarra e Roberts, dulcimer e bouzouki, anche Julian Dawson all’armonica e Mark Griffiths al basso fretless: un piccolo assaggio!

Per finire lo spazio dedicato a queste uscite del 21 agosto, nuovo disco anche per i Kennedys, che non sono quelli che venivano uccisi in Sympathy For The Devil (citazione colta), ma la coppia marito e moglie, Pete & Maura, che con questo Closer Than You Know, autodistribuito su Planned Effervescence, realizzano forse il miglior disco di una lunga carriera che li vede in pista dal lontano 1995. Il disco comprende tutto materiale originale scritto dalla coppia, a parte una cover di un brano poco conosciuto del 2009 degli U2, Wild Honey. Canta Maura che ha una di quelle belle voci a suo agio sia con brani di stampo vagamente celtico, con episodi più pop o anche canzoni roots, con belle armonie vocali e l’ottimo lavoro agli strumenti a corda di Pete Kennedy. Uno stile indefinito tra pop e rock ma proprio per questo degni di essere scoperti se già non li conoscete, non fondamentali ma molto piacevoli.

Anche per oggi è tutto.

Bruno Conti

Saluti Dalla Louisiana! Eric Bibb – Deeper In The Well

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Eric Bibb – Deeper In The Well – Dixiefrog/IRD

Eric Bibb è uno dei più rispettati musicisti della scena musicale acustica Blues americana, figlio di Leon Bibb e nipote di John Lewis del Modern Jazz Quartet, Eric è una sorta di cittadino del mondo visto che vive in Finlandia e una delle nazioni dove è più popolare, e dove si trova una delle sue tante case discografiche, è la Francia. Ma è anche prolifico, molto prolifico, questo Deeper In the well è il quarto album che esce in meno di anno: d’altronde gli “scappava” di fare un album con alcuni musicisti della Louisiana conosciuti in occasione della trasmissione della BBC Celtic Connections  e, detto fatto, è stato organizzato un viaggio per andare a registrare questo album in quel di Pont Breaux, Louisiana al Cypress House Studio di Dirk Powell con alcuni musicisti locali e qualche ospite di prestigio. Visto che in ogni caso, New Orleans e la Louisiana in generale sono comunque una delle culle dove è nato il Blues, il genere del disco è quello solito dei dischi di Bibb con alcuni brani dove le influenze cajun e zydeco sono più evidenti.

Come al solito il contenuto è un misto di cover, traditionals e brani originali di Bibb la cui provenienza è assolutamente indistinguibile: dall’iniziale Bayou Belle firmata dal nostro amico, un blues intriso di gospel con l’armonica di Grant Dermody, il contrabbasso di Dirk Powell (ma suona una infinità di strumenti, tra cui fisarmonica, banjo e violino), il violino di Cedric Watson e le percussioni di Danny De Villier, nonché il triangolo cajun di Christine Balfa ( proveniente da una delle famiglie più importanti della musica della Louisiana) a dare una mano alla acustica di Bibb e a supportare la sua voce ricca di mille sfumature si passa al puro cajun di Dig A Litte Deeper In the Well che Eric dice di avere conosciuto in una registrazione live della coppia Doc & Merle Watson ma qui ritrova lo spirito “regionale” del brano. C’è il super Deep Blues di No Further, solo armonica, contrabbasso e chitarra acustica a sostenere la voce molto espressiva di Bibb.

Sinner Man è un brano tradizionale che consente ancora una volta di apprezzare questa musica “senza tempo”, sospesa tra il passato delle radici e le tecnologie moderne che ci permettono di godere ogni più piccola evoluzione di armonica, chitarra acustica, violino e contrabbasso e la voce, profonda e risonante. Boll Weewil arrangiata dal duo Powell e Dermody è un altro traditional austero e scarno che proviene dalle radici del blues mentre In My Time con il dobro dell’ospite Jerry Douglas in grande evidenza svolta per un country blues rigoroso ma allo stesso tempo piacevole all’ascolto. Tutto quello che abbiamo ascoltato finora profuma di Taj Mahal e infatti la successiva Every Wind In The River porta la firma e le coordinate musicali del grande colored americano, uno dei più grandi musicisti in circolazione come dimostra la sua partecipazione al recente Chimes Of Freedom e la sua versione di Dylan è una delle più brillanti del lotto. Eric Bibb con l’aiuto degli ospiti Michael Jerome Browne al fretless banio e mandolino e Michel Pepin alle chitarre elettriche “baritone e ambient” (giuro!), si candida autorevolmente alla successione di Mahal, in un lontano futuro. Sittin’ In A Hotel Room è una di quelle meravigliose ballate acustiche che il nostro amico ogni tanto ci regala, solo una chitarra sullo sfondo, la armonica e il violino del duo Dermody e Watson e il triangolo della Balfa a incorniciare la sua splendida voce. Senza stare a tediarvi ulteriormente con altri titoli ( ma è importante anche questo) vi segnalo almeno ancora l’ottima Money In Your Pocket più ricca negli arrangiamenti e una particolare versione dolcissima di The Times They Are a Changin’ con un banjo insinuante in evidenza e tutto il gruppo di musicisti al servizio della voce di Eric Bibb che in questo brano raggiunge vette interpretative di grandissimo spessore e intensità (questa era da mettere nel tributo a Dylan)!

Che dire, ne farà pure troppi di dischi, ma è proprio bravo. Approvato.

Bruno Conti

Forse Non Imprescindibile Ma Sicuramente Moolto Bello! Ollabelle – Neon Blue Bird

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Ollabelle – Neon Blue Bird – Olabelle Music/Thirty Tigers

Nel breve spazio dedicato a questo album nella rubrica delle Anticipazioni mi ero spinto fino ad inserirlo, già fin d’ora, nella lista dei migliori dischi dell’anno, sulla scorta di un solo ascolto. Poi l’album, che è molto bello e confermo, l’ho sentito molte volte e come dico nel titolo del Post non è forse “imprescindibile” ma è buona musica e con i tempi che corrono non è poco. Ollabelle (ho deciso di optare per il neutro, né gli né le) è un quintetto di New York che prende il nome dalla cantante Appalachiana Ola Belle Reed e quindi il folk è molto presente nel loro suono, ma nella band milita Amy Helm (degna figlia di tanto padre) e quindi il country e il rock scorrono fluidi; nel gruppo sono presenti altri due cantanti, Fiona McBain e Tony Leone (ma cantano anche gli altri due) e quindi gospel, spiritual e soul vengono rivisti con ottimi risultati. Di solito la somma di queste musiche viene definita Americana e la Band di Levon Helm e Robbie Robertson è stata una delle iniziatrici di questo filone che congloba la musica delle “radici” e il rock.

Poi però bisogna essere bravi a farlo e sicuramente Ollabelle nei tre album che hanno preceduto questo Neon Blue Bird si sono costruiti una reputazione come una delle migliori “band” in circolazione: hanno girato tutte le “parrocchie”, sono partiti con un album omonimo pubblicato dalla DMZ/Columbia, sono passati alla Verve Forecast/Universal per l’ottimo Riverside BattLe Songs del 2006 e nell’interregno durante il quale la Universal li ha scaricati hanno pubblicato un bel disco dal vivo Before This Time per la Yep Rock. In questo periodo i tre cantanti sono diventati tutti e tre genitori quindi la registrazione del nuovo album ha richiesto i suoi tempi non ultimo quello di reperire tramite un finanziamento i fondi per fare questo CD. Quindi cinque anni e molte sessions dopo uno potrebbe aspettarsi un album discontinuo, frammentario e poco “centrato” e invece…

Sin dalle prime note di You’re Gonna Miss Me, una bella cover di un brano di Paul Kelly, quando le voci di Amy e Fiona cominciano a intrecciarsi su un tappeto di percussioni, banjo, tastiere, chitarre elettriche, ritmi funky che ricordano il gruppo di famiglia (sia Amy che il Bassista Byron Isaacs e saltuariamente anche il batterista Tony Leone suonano nella Levon Helm Band nelle loro mitiche serate “ramble”), a fronte di tutto ciò si capisce che siamo a bordo per una bella gita musicale. Che tocca il country delizioso e raffinato (con le solite armonie vocali meravigliose) di One More Time cantata dal tastierista Glenn Patscha per passare al country gospel blues trascinante del traditional Be Your Woman ancora con arrangiamenti vocali e strumentali di qualità incredibile, tra slide, armoniche, tastiere che si muovono con precisione millimetrica tra le pieghe della sezione ritmica.

Quando la qualità cresce ulteriormente e ti trovi ad ascoltare un ballata “spaziale” in tutti i sensi, ti “arrendi” e ti godi la musica: la voce di Fiona McBain che è l’autrice del brano, imposta l’atmosfera e canta in modo dolce e naturale, il controcanto di Amy Helm presto arriva nell’altro canale dello stereo, entra un organo celestiale, cori meravigliosi, piano, fisarmonica e chitarre e si realizza la cosiddetta “ballata perfetta”! Ovvero Wait For The Sun.

Brotherly Love è un Chicago funky Blues leggermente “acido”, dalla penna del bassista Isaacs con il gruppo che lo segue a menadito mentre Record Needle è una stupenda ballata dalla penna di Amy Helm che risponde qualitativamente a quella della McBain in una “lotta” di bravura per la gioia dell’ascoltatore, vogliamo dire “country gospel”? Ma diciamolo.

Lovin’ In My Baby’s Eyes è una cover di un soul-folk-blues del grande Taj Mahal (che tra poco sentiremo come ospite nel Live di Clapton/Marsalis) e Butcher Boy è un’altra delizia “Tradizionale” folk rivisitata dalla band con la consueta grande perizia e in questo caso, dolcezza mista a grinta. Rimane il tempo per una sentita versione di un brano del compianto Chris Whitley, con le “corde”, banjo, mandolino e chitarra in evidenza, Dirt Floor rinasce a nuova vita con un arrangiamento che si avvale anche delle loro grandi doti vocali e di un crescendo emozionante nella costruzione sonora. 

When I Remember To Forget scritta e cantata ancora da Fiona McBain con le immancabili celestiali armonie vocali della Helm conferma anche le loro capacità di inserirsi nel filone della canzone americana “pop” raffinata come ribadisce la cover finale del “classico” Swanee River sempre perfetta negli incredibili intrecci delle voci e degli strumenti di questo gruppo che si conferma una delle realtà (s)conosciute della musica americana e quindi da conoscere. Devo dire altro? Recatevi presso il vostro negozio preferito, fisico o virtuale e che l’ascolto abbia inizio. Non ve ne pentirete (se conoscete già, una gradita conferma)! Imprescindibile? Mah, forse.

Bruno Conti

Questa Volta E’ Eric Clapton Con Wynton Marsalis – Play The Blues Live From Jazz At Lincoln Center

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Wynton Marsalis & Eric Clapton – Play The Blues Live From Lincoln Center – Rhino/Warner CD+DVD

Evidentemente Wynton Marsalis ci ha preso gusto. Dopo l’esibizione al Lincoln Center con Willie Nelson, ospite Norah Jones, che era uscita prima in DVD e quest’anno anche in CD, ora viene pubblicato, il 13 settembre, in un’unica confezione, CD+DVD (Rhino santa subito) il concerto con Eric Clapton tenutosi lo scorso aprile a New York con la partecipazione di Taj Mahal negli ultimi 3 brani.

Questa è la lista completa dei brani:

1. Ice Cream
2. Forty – Four
3. Joe Turner’s Blues
4. The Last Time
5. Careless Love
6. Kidman Blues
7. Layla
8. Joliet Bound
9. Just A Closer Walk With Thee (featuring Taj Mahal)
10. Corrine, Corrina (featuring Taj Mahal)
11. Stagger Lee (featuring Taj Mahal) (DVD only)
       
Non si sono sprecati molto come numero di brani ma promette bene, la versione di Layla inserita tra una serie di classici del Blues dicono che sia irriconoscibile! Verifichiamo…
In effetti all’inizio sembra quasi un pezzo di Gershwin, sempre un gran brano comunque.
Bruno Conti

Una Festa Per gli “Amici” Della Chitarra. Lee Ritenour – 6 String Theory

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Lee Ritenour – 6 String Theory – Concord/Universal

Devo dire che quando l’ho ricevuto per recensirlo per il Buscadero il mio primo pensiero è stato “ma quanti anni sono che non ascolto un disco di Lee Ritenour?“. Risposta, almeno due o tre…decadi: ai tempi mi piaceva e parecchio, dischi come Captain Fingers, Rio, Rit rimangono nell’immaginario collettivo degli amanti della chitarra, quello stile che si era soliti definire fusion, credo ancora oggi. Ha suonato anche nei Fourplay e in milioni di dischi come sessionman, ma non era più nelle mie traiettorie di ascolto. Già leggendo le note del disco ho cominciato a ricredermi, poi ascoltandolo mi ha convinto definitivamente. La premessa è quella che vi deve piacere il suono della chitarra elettrica ma non solo jazz e fusion in quanto in questo CD convivono mille generi e mille personaggi.

Si passa dal feroce duello iniziale tra le chitarre di John Scofield (in grande spolvero) e Lee Ritenour in Lay It Down, con un Harvey Mason devastante alla batteria al blues canonico e di grande qualità di Am I Wrong con Keb’ Mo’ e Taj Mahal alle chitarre, voce e armonica.L.P. (For Les Paul) è un bel tributo strumentale ad uno dei grandi innovatori della chitarra con Pat Martino alla seconda chitarra e Joey De Francesco all’organo, jazz di gran classe. Non manca il rock-blues devastante di Give Me One Reason, una cover di Tracy Chapman, con Joe Bonamassa e Robert Cray, voci e chitarre a duettare con Ritenour, la sezione ritmica, per gradire, è formata da Vinnie Colaiuta e la giovane prodigiosa bassista di Jeff Beck, Tal Wilkenfeld.

68 e In Your Dreams sono due fantastici brani strumentali, dove ad affiancare Colaiuta e la Wilkenfeld, c’è un quartetto di chitarre soliste da sballo, Neal Schon, Steve Lukather e Slash più Ritenour nel primo, senza Slash nel secondo e qui ci sarà anche un po’ di autocompiacimento, guarda come sono bravo, no sono meglio io, ma le chitarre viaggiano comunque. My One and Only Love è un breve duetto con George Benson, non particolarmente memorabile, mentre la cover di Moon River sempre con Benson è un divertente omaggio all’era di Wes Montgomery e Jimmy Smith con Joey De Francesco nella parte dell’organista.Why I Sing The Blues più che una canzone è la storia della vita di B.B.King che ancora una volta ce la regala con l’appoggio di un dream team formato da Vince Gill, Keb’ Mo’ e Johnny Lang che si alternano con King alla voce e alla chitarra solista, Lee Ritenour gode con loro. Daddy Longlicks è un breve strumentale con Joe Robinson (non conosco, leggo che è un giovane fenomeno della chitarra australiano vincitore di Australia’s Got Talent nel 2008, una volta c’era la Corrida, vincevano la puntata, tu dicevi “Va che bravo!”,  poi salvo rari casi, non ti rompevano più le balle).

La cover di Shape of my heart di Sting è l’occasione per ascoltare un trio inconsueto, con Ritenour e Lukather affiancati da Andy McKee che è un virtuoso della chitarra acustica con le corde d’acciaio (in inglese suona meglio steel string acoustic guitar) e si ripete nella sua ottima composizione Drifting. Freeway Jam è proprio il vecchio brano di Jeff Beck scritto da Max Middleton, con il batterista originale di Beck Simon Phillips e un trio di chitarristi assatanati, lo stesso Ritenour, un ottimo Mike Stern e il giapponese Tomoyasu Hotei che non conoscevo ma ragazzi se suona! Per la serie ma Ritenour invece li conosce proprio tutti (i chitarristi) c’è anche spazio per Guthrie Govan, il chitarrista degli ultimi Asia, che imbastisce un duetto con la Tal Wilkenfeld, Fives che conferma tutto quanto di buono si è detto su di lei, il futuro del basso elettrico. Il finale con un Capriccio classico di Luigi Legnani in duetto con Shoun Boublil c’entra come i cavoli a merenda, ma bisogna capirli “Son chitarristi”.

Un appetizer!

Bruno Conti