From Los Angeles California, The Dawes II: Una Buona Conferma Del Loro Ritorno Sulla Retta Via. Dawes – Good Luck With Whatever

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Dawes – Good Luck With Whatever – Rounder Records

Ascoltate questi ragazzi, sono davvero forti!” Questa frase, rivolta a me e ai miei quattro amici nel backstage del Jazzaldia Festival di San Sebastian, nell’ormai lontano 24 luglio 2011, veniva non certo da uno qualunque ma dall’illustre protagonista di quella fredda e piovosa serata, Jackson Browne, e si riferiva ai quattro giovani musicisti che avrebbero suonato con lui e prima di lui, i californiani Dawes, supportati per quel breve tour europeo anche dal loro produttore, l’ottimo Jonathan Wilson. E in effetti se la cavarono egregiamente, sia presentando i pezzi del loro secondo album Nothing Is Wrong nel set di apertura, sia suonando in modo impeccabile i classici del loro illustre mentore, For Everyman, The Pretender, Running On Empty e parecchi altri, chiudendo la serata con un inatteso quanto brillante omaggio al grande e sempre compianto Warren Zevon.

I due fratelli Griffin e Taylor Goldsmith, rispettivamente il batterista e il chitarrista, nonché lead vocalist e compositore, insieme al bassista Wylie Gelber e al tastierista Tay Strathairn (dopo breve tempo rimpiazzato da Alex Casnoff) avevano esordito nel 2009 con il promettente North Hills, facendo subito intendere le loro potenzialità nel riproporre un sound molto influenzato dal folk rock westcoastiano degli anni settanta. Seguirono, con un notevole crescendo qualitativo, altri tre lavori, il già citato Nothing Is Wrong (2011), Stories Don’t End (2013) e quello che tuttora considero il migliore della loro discografia, All Your Favorite Bands, pubblicato nel 2015 https://discoclub.myblog.it/2015/06/03/from-los-angeles-california-the-dawes-all-your-favourite-bands/ . L’anno seguente giunse, del tutto inatteso, il vero passo falso della loro ancor breve carriera. We’re All Gonna Die (già dal titolo non esattamente beneaugurante) esibiva una serie di canzoni modeste, soffocate da una valanga di overdubs, suoni sintetizzati e pattern elettronici. Dall’ imbarazzante singolo When The Tequila Runs Out e relativo video si ricavava la spiacevole impressione che i nostri quattro si fossero presi una colossale sbronza in campo creativo. Per fortuna, almeno sul palco, aggiustarono il tiro come dimostra il discreto live album, venduto solo sul loro sito, We’re All Gonna Live.

Senza dubbio una delle cause del loro rinsavimento va attribuita al ritorno in cabina di regia di Jonathan Wilson che ha determinato il ritorno a suoni e arrangiamenti adeguati alle loro caratteristiche nel positivo Passwords, uscito un paio d’anni fa https://discoclub.myblog.it/2018/08/04/al-solito-buon-rock-californiano-ma-possono-fare-meglio-dawes-passwords/ .

Per produrre il nuovo Good Luck With Whatever, i Dawes si sono affidati nientemeno che a Dave Cobb, un nome una garanzia, come dimostrano le innumerevoli brillanti pubblicazioni discografiche da lui curate negli ultimi anni, e il risultato si vede, e sente, eccome! I suoni e le armonie vocali tornano a risplendere, Lee Pardini, ultimo tastierista aggregatosi al gruppo quattro anni fa, lascia perdere sintetizzatori e amenità del genere per dedicarsi con ottimi esiti soltanto al pianoforte e all’hammond e, non ultimo, la qualità dei brani torna ad essere degna del loro passato. Si parte subito col piede giusto nell’iniziale Still Feel Like A Kid, il singolo più recente pubblicato a fine agosto, un robusto e accattivante inno all’eterna giovinezza che deriva dal suonare in una band, con tanto di coretti che citano i Beach Boys, in omaggio all’età dell’oro del sound californiano. Piano e chitarra elettrica aprono la title-track, un bel mid tempo che ci rituffa negli anni settanta come solo i Jayhawks e pochi altri hanno saputo fare oltre a loro.

Between The Zero And The One è una sontuosa ballatona che si colloca tra le cose migliori che Taylor Goldsmith sia stato capace di scrivere finora, mi riferisco a gioiellini come Fire Away, Most People o Things Happen dei precedenti dischi, con quell’incedere maestoso e classico che si fa immediatamente apprezzare, scandito dai limpidissimi tocchi del piano e dalla incalzante batteria del fratello Griffin. None Of My Business viaggia veloce al ritmo dei mitici Creedence e Taylor regala una performance vocale degna dell’icona John Fogerty (date un’occhiata su You Tube al duetto tra discepolo e maestro in Someday Never Comes, al David Letterman Show, e avrete la conferma di tali affinità).

Quasi a fare da spartiacque tra le due parti vitali ed energiche dell’album, troviamo la tonificante oasi acustica di St. Augustine At Night, per voce, chitarra acustica e delicati contrappunti di basso e pianoforte. Poi i Dawes riaccendono i motori col primo singolo uscito alla fine di luglio Who Do You Think You’re Talking To? a cui possiamo perdonare quella ritmica un po’ finta” a fronte di un riff indovinato e un ritornello accattivante che ti entra subito nella testa https://www.youtube.com/watch?v=4O7VVDxb_us . Didn’t Fix Me possiede invece il timbro intenso ed avvolgente che ritroviamo in tanti capolavori usciti dalla penna di brother Jackson Browne, con il piano e le chitarre che giocano a rincorrersi su una linea melodica seducente e malinconica. Free As We Wanna Be, altri tre minuti di pura piacevolezza sonora con il piano ancora splendido protagonista, potrebbe essere considerato l’accorato saluto dei Dawes ad un altro gigante mai abbastanza rimpianto, Tom Petty, mentre la conclusiva Me Especially è un lento spezzacuori che dimostra quanto Taylor e soci abbiano interiorizzato gli insegnamenti della premiatissima ditta Don Henley & Glenn Frey.

Ottimo lavoro Mr. Cobb! I Dawes sono tornati nel lotto delle my favorite bands.

Marco Frosi

Al “Solito” Buon Rock Californiano, Ma Possono Fare Meglio. Dawes – Passwords

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Dawes – Passwords – Hub Records           

Sesto album per i californiani Dawes, band guidata dai fratelli Goldsmith, Taylor, chitarra, voce solista e leader indiscusso del gruppo, visto che compone anche la quasi totalità delle canzoni, mentre Griffin si occupa della batteria.  Completano la formazione il bassista storico Wylie Gelber e l’ultimo arrivato, il tastierista Lee Pardini. Per questo album, dopo averne cambiati tre nei precedenti album (Blake Mills, David Rawlings e Jacquire King), torna in camera di regia Jonathan Wilson, che aveva prodotto i primi due dischi ed era stato anche loro compagno di jam sessions a Laurel Canyon, nonché di avventure musicali con Jackson Browne, da sempre un punto di riferimento, con Crosby, Stills, Nash, e Young, Joni Mitchell, gli Eagles, il sound West Coast in generale, quasi tutte influenze in comune con il loro produttore, che nell’ultimo anno ha condiviso studio di registrazione e palchi con Roger Waters. In effetti il primo brano, Living In The Future, più rock mainstream e tirato del solito, ha delle sonorità che potrebbero rimandare a Is This The Life We Really Want?, con chitarre e ritmica più grintose del solito, e la presenza più marcata delle tastiere, anche synth, affidati a Wilson, che però rimangono per ora nei limiti della decenza.

Il disco ha avuto critiche discordanti: Mojo e Allmusic gli hanno dato addirittura 4 stellette, mentre qualche sito musicale americano è stato molto meno tenero. Diciamo che siamo ancora lontani dalle svolte oltremodo “moderniste” e poco amate, almeno dal sottoscritto, degli ultimi Decemberists, Kings Of Leon, Mumford And Sons, Arcade Fire e altre band che hanno pompato negli anni il loro sound, ma la china potrebbe diventare quella, a scapito del suono, magari citazionista e old style dei primi album https://discoclub.myblog.it/2015/06/03/from-los-angeles-california-the-dawes-all-your-favourite-bands/ , comunque eseguito con brio e passione, per certi versi lontano da stereotipi solo fini a sé stessi, con belle aperture sonore e interessanti intrecci vocali. Che per esempio ritornano nel suono targato seventies Eagles della morbida Stay Down, non esaltante magari, ma estremamente piacevole, o nella ballata pianistica e introspettiva Crack The Case, che ricorda moltissimo il loro nume tutelare Jackson Browne, anche se pare mancare loro un po’ di nerbo, ma l’amore per le belle melodie è pur sempre presente, con fin troppo rigogliose tastiere e la slide insinuante di Trevor Menear che cerca di ricreare un effetto Lindley ; Feed The Fire vira nuovamente verso il lato più orecchiabile del country-rock, quello degli America del secondo periodo o di Dan Fogelberg, con Taylor Goldsmith al sitar/guitar e Wilson alla seconda chitarra, per un brano sinuoso, per quanto sempre leggerino.

In My Greatest Invention, la presenza di una sezione archi, già utilizzata nel precedente brano, conferisce un effetto fin troppo zuccheroso alla canzone, che, unito all’impiego di un falsetto molto marcato, non depone a favore di una canzone esageratamente soporifera, anche se la parte strumentale centrale non è male, con chitarre e tastiere ben miscelate; Telescope, più incalzante, grazie ad un giro di basso vorticoso, e con un suono che potrebbe ricordare i Fleetwood Mac più avventurosi a guida Buckingham del periodo di Tusk, è più complessa e dalle sonorità inconsuete, assolo di Thumb Jam (qualsiasi cosa sia) di Wilson e baritone guitar di Taylor Goldsmith inclusi https://www.youtube.com/watch?v=wqq6WjN0wh4 . Diciamo che un certo edonismo sonoro è spesso presente, ma ci sono comunque brani piacevoli, come la romantica I Can’t Love, che potrebbe avvicinarsi al Don Henley anni ’80, forse non il migliore, ma c’era in giro di peggio, e il piano di Lee Pardini è il protagonista principale della canzone, ma  in Mistakes We Should Have Made si sfiora e si supera il limite con la canzonetta radiofonica, mentre la love song Never Gonna Say Goodbye sembra una novella Romeo And Juliet dei Dire Straits, meno bella e Time Flies Either Way ritorna nuovamente a citare, con ottimi risultati (piacevole l’uso del sax alto di Josh Johnson),  le belle ballate di mastro Jackson Browne https://www.youtube.com/watch?v=qfsCOk3gwrs  e il suono dei primi album dei Dawes. Diciamo promossi con ma con riserva.

Bruno Conti  

Il Primo Disco Era Bello, Questo Forse E’ Anche Meglio! Sam Outlaw – Tenderheart

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Sam Outlaw – Tenderheart –  Six Shooter Records/Thirty Tigers CD

Angeleno, l’album di debutto di Sam Outlaw (nato Sam Morgan, ma Outlaw non è un soprannome, è il cognome della madre) era stata una delle migliori sorprese in ambito country del 2015, un disco di musica ispirata al suono della California degli anni settanta, con due-tre grandi canzoni (tra cui la title track) e diverse di alto livello, un tocco messicano e, come ciliegina, la produzione di sua maestà Ry Cooder (Sam è molto amico del figlio di Ry, Joachim, che pure suonava nel disco). A distanza di due anni Sam decide di dare un seguito a quel disco, e Tenderheart  è un lavoro che, pur continuando il discorso intrapreso con Angeleno, se ne discosta in parte. Outlaw mantiene tutti e due i piedi ben saldi nella California del Sud, anche se il CD è inciso nella San Fernando Valley (appena fuori Los Angeles), il Messico c’è ancora anche se in misura minore, i musicisti sono in gran parte gli stessi del primo disco (tra cui Taylor Goldsmith dei Dawes ed il gruppo Mariachi Teocuitatlan, mentre mancano Cooder padre e figlio, e la produzione è nelle mani di Sam stesso), ma in Tenderheart c’è una maggior predisposizione alla ballata, ai brani interiori, quasi intimisti, pur sempre con una strumentazione decisa e vigorosa, con chitarre e piano in evidenza e sonorità aperte e limpide. Un disco quindi in parte diverso dal suo predecessore, ma direi ugualmente interessante, anche perché Sam è uno che sa scrivere ed arrangiare nel modo giusto le sue canzoni, ed è assolutamente creativo, pur nel rispetto delle sonorità classiche della musica californiana.

L’album parte con la bellissima Everyone’s Looking For Home, una ballata lenta, profonda, toccante, che si apre a poco a poco rivelando una melodia di scintillante bellezza (splendido poi l’intermezzo con i fiati mariachi ed una chitarra twang). Bottomless Mimosas è più strumentata, ma è ancora caratterizzata da un’atmosfera eterea e di indubbio fascino: già da questi due brani si percepiscono le differenze con Angeleno, qui forse le canzoni sono meno dirette ma più personali; Bougainvillea, I Think è ancora lenta, elettroacustica, quasi folk, sulla falsariga di un certo cantautorato classico che aveva in James Taylor il suo interprete di punta, un pezzo decisamente riuscito, raffinato, suonato alla grande. Tenderheart è ancora una ballata, ma più vigorosa nel suono, non proprio rock ma poco ci manca, di nuovo contraddistinta da un motivo decisamente piacevole: Sam è quasi un altro artista rispetto al primo disco, forse qualcuno potrà anche rimanere spiazzato, ma a me questo suo nuovo look sonoro comunque piace assai. Come a smentirmi, Trouble è una pimpante country-rock song, la più elettrica e ritmata del CD, dal tiro potente e dotata di un bel riff e di un refrain che si canticchia al primo ascolto, la prova che comunque il nostro è ancora legato a certe sonorità.

She’s Playing Hard To Get (Rid Of) è di nuovo uno slow, ed è il pezzo più country finora, con una bella voce femminile sullo sfondo ed una languida steel, un brano dalla strumentazione classica, anch’esso di ottimo livello. La tonica Two Broken Hearts sta giusto a metà tra country e rock (e Sam ha davvero una bella voce), Diamond Ring è una deliziosa country ballad dal sapore antico, stile Flying Burrito Brothers, mentre Say It To Me è un altro country-rock splendido, uno dei migliori del CD, con una strumentazione forte, un suono vigoroso ed un motivo di prim’ordine. Bellissima anche All My Life, un country vivace, solare, quasi irresistibile, e che dire di Dry In The Sun, un’altra melodia semplice ma di grande presa, mentre Now She Tells Me profuma di Baja California, con quel leggero sapore di confine. Il CD termina con Look At You Now, ancora tenue e bucolica, perfetta per chiudere un lavoro decisamente riuscito sotto il profilo della scrittura, ricco dal punto di vista melodico e, perché no, in grado di regalare emozioni.

Marco Verdi

From Los Angeles, California, The Dawes – All Your Favourite Bands

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Dawes – All Your Favourite Bands – Hub Records

Ma non erano i Doors? Ovviamente anche loro, from Los Angeles, California. Ma visto che pure i Dawes vengono da lì, consentite il giochetto di parole del titolo. Quella che conta è la musica, e i fratelli Goldsmith, Taylor, voce e chitarra, leader indiscusso e Griffin, batteria, con l’aiuto di Wylie Gelber, al basso eTay Strathairn, tastiere, confermano che la musica californiana, rivitalizzata dalla crescita di un talento come Jonathan Wilson e dalla “rinascita” di un personaggio come Jackson Browne (tutti musicisti fondamentali nella storia dei Dawes), gode di ottima salute. Ci sono molti altri solisti e gruppi che gravitano in questa area musicale (penso ai Blue Rodeo e Doug Paisley in Canada, un paio di decadi fa i Jayhwaks, di cui i Dawes potrebbero essere gli eredi, se non fossero già i “figli illeggitimi” di una notte di amore tra Jackson Browne e gli Eagles migliori del primo periodo), ma il quartetto di L.A, con questo All Your Favorite Bands, conferma tutto quanto di buono aveva fatto nei primi tre album (ne avevano pure fatti un paio quando si chiamavano Simon Dawes e in formazione c’era ancoral ‘ottimo Blake Mills), anzi, sotto la guida di David Rawlings, che regala una produzione sontuosa e ricca di dettagli, ma registrata in presa diretta e quindi immediata, come dovrebbe sempre essere per questo tipo di dischi, per evitare di infilarsi nel loro metaforico buco del…, mi fermo ma avete capito, e ultimamente succede ad alcuni, abbastanza spesso.

Il disco si apre con questa Things Happen qui sopra, perfetto singolo rock, come non se ne fanno quasi più, bella melodia, armonie musicali fantastiche, incrocio di chitarre e tastiere, tutto molto semplice, ma lascia già intuire dove andrà a parare tutto il resto del disco. Che comprende almeno tre piccoli “capolavori” (troppo? diciamo gioiellini), le tre canzoni più lunghe, ricche ed elaborate: Somewhere Along The Way è una sontuosa ballata mid-tempo alla Jackson Browne, circa 1974/1976, con le deliziose armonie vocali del gruppo arricchite dal delicato lavoro del piano di Strathairn e dai tocchi delle chitarre acustiche, probabilmente di Rawlings e Richard Bennett e da un ricamo della elettrica di Taylor Goldsmith, di nuovo pressoché perfetta, l’epitome del sound californiano, un piccolo appunto, peccato che sfumi dopo “soli” 5 minuti e 40 secondi. Altra canzone bellissima è I Can’t Think About It Now, un brano degno delle migliori composizioni degli Eagles più ispirati, con il tocco di genio delle armonie vocali delle McCrary Sisters e di Gillian Welch che rendono quasi epico un brano giocato sui chiaroscuri di chitarre elettriche fantastiche, organo e sezione ritmica raffinatissima nel leggero crescendo della parte centrale strumentale, un vera delizia per i padiglioni auditivi dell’ascoltatore https://www.youtube.com/watch?v=FVqIJjkMEwY . A completare questo trittico da sogno i quasi dieci minuti di Now That It’s Too Late, Maria, un’altra ballata che ai temi sonori già ricordati aggiunge spunti degni della Band, con l’organo che quasi fluttua sullo sfondo, mentre la chitarra di Taylor Goldsmith tratteggia un lavoro ritmico-solista di rara bellezza e la voce è ispirata e avvolgente, per lasciare spazio ad una coda strumentale finale dove la solista e il piano si completano a vicenda https://www.youtube.com/watch?v=g2Vc9c6p2qs .

E non è che le altre canzoni siano brutte, anzi: Don’t Send Me Away con la macchina che si trasforma in un contenitore di rimpianti mai dimenticati  “I’m getting on the freeway/Your jacket’s in my car/Your ashes in my ashtray/And I’m there with you, wherever you are.”, ha uno strano tempo di non facile attribuzione, ma è comunque un altro bel pezzo rock, con un tagliente assolo di chitarra che spezza la struttura morbida del brano. All You Favourite Bands, la title-track, è un’altra bellissima ballata di stampo pianistico che poi si apre nella seconda parte e diventa un’altra perla di puro West-Coast sound, degna dei citati Jayhawks (che perlatro californiani non erano). Anche To Be Completely Honest ha le stimmate di quelle ballate dolenti, ma ricche di elettricità, che sono il segno distintivo del miglior Jackson Browne, “solite” armonie vocali da applausi, l’organo e la chitarra sempre in perfetta simbiosi sonora e un’altra canzone di grande spessore qualitativo https://www.youtube.com/watch?v=fYl_6H6wijo . Rimangono la romantica e spezzacuori Waiting For You Call, altra ballata valzerata (la forma preferita di questo album) che per certi versi mi ha ricordato certe incursioni nel genere da parte di Elvis Costello, quando Steve Nye prendeva il bastone di comando, qui coadiuvato dalla pedal steel di Paul Franklin che si “lamenta” sullo sfondo e, last but not least, Right On Time, un bel pezzo rock di quelli più vibranti ed arrembanti, con la batteria a dettare il ritmo, organo, piano e chitarre a delineare le sonorità, ed il cantato di Taylor Goldsmith e soci ancora una volta a costituire la classica ciliegina sulla torta https://www.youtube.com/watch?v=lbeW4mrsPXk.

California uber alles (non quella dei Dead Kenedys).

Bruno Conti

Bob Dylan Basement Tapes Complete E Lost In The River The New Basement Tapes, Costello Mumford T-Bone Burnett & Co. – Entrambi In Uscita A Novembre!

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Bob Dylan And The Band – The Basement Tapes Complete The Bootleg Series Vol. 11 – 6 CD Columbia Legacy 04/11/2014

Bob Dylan And The Band – The Basement Tapes Raw – 2 CD o 3 LP Columbia Legacy

E in principio furono questi…

bob dylan basement tapes

O meglio, in principio ci furono una serie di bootleg, uno in particolare, chiamato Great White Wonder, “uscito” nel 1969, che iniziò a svelare il contenuto di quella cornucopia di delizie che sarebbe stata nota come The Basement Tapes. Una serie di registrazioni, durate alcune mesi, avvenute nella cantina di una casa chiamata “Big Pink” a West Saugerties, sobborghi di Woodstock, New York, dove Bob Dylan, reduce dal suo misterioso incidente motociclistico, e Robbie Robertson, Rick Danko, Richard Manuel, Garth Hudson e, arrivato più tardi, Levon Helm, ovvero The Band, diedero alla luce (ma anche no) più di cento canzoni che avrebbero potuto cambiare ancora di più la storia della musica rock https://www.youtube.com/watch?v=1lD-64YsRg0 . Purtroppo, a parte qualche brano, che riuscì a scappare, i più noti I Shall Be Released, The Mighty Quinn, This Wheel’s On Fire e You Ain’t Going Nowhere, il resto delle canzoni rimase cocciutamente negli archivi di Dylan e della casa discografica, fino al 1975,  annoin cui venne pubblicato un doppio LP da parte della Columbia Records, con 16 brani di Dylan e 8 della Band, in rigoroso mono. Disco che fu un grande successo su entrambi i lati dell’oceano, entrando nei Top 10 sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito.

bob dylan basement

Ripubblicato in CD in varie occasioni, l’ultima quella che vedete effigiata più sopra, nel 2009, sempre con 24 brani. Quando negli anni ’90 inizio ad uscire la Bootleg Series si pensò che uno dei primi dischi a subire il trattamento Deluxe sarebbe stato questo e invece abbiamo dovuto aspettare fino al capitolo 11, ma alla fine ci siamo, il 4 novembre usciranno The Basement Tapes Complete, 138 brani registrati in quella “mitica” estate del 1967, The Summer Of Love,  raccolti in un cofanetto da 6 CD, che negli Stati Uniti è annunciato per la “modica” cifra di 150 dollari, oltre a due versioni, in 2 CD o 3 LP, definite Raw, che contengono 38 “highlights” estratti dal Box completo, con un libretto da 56 pagine ad illustrarne i brani contenuti. L’edizione Deluxe, con libro rilegato da 120 pagine, conterrà questi brani:

Disc: 1
1. Edge of the Ocean
2. My Bucket’s Got a Hole in It
3. Roll on Train
4. Mr. Blue
5. Belshazzar
6. I Forgot to Remember to Forget
7. You Win Again
8. Still in Town
9. Waltzing with Sin
10. Big River (Take 1)
11. Big River (Take 2)
12. Folsom Prison Blues
13. Bells of Rhymney
14. Spanish is the Loving Tongue
15. Under Control
16. Ol’ Roison the Beau
17. I’m Guilty of Loving You
18. Cool Water
19. The Auld Triangle
20. Po’ Lazarus
21. I’m a Fool for You (Take 1)
22. I’m a Fool for You (Take 2)

Disc: 2
1. Johnny Todd
2. Tupelo
3. Kickin’ My Dog Around
4. See You Later Allen Ginsberg (Take 1)
5. See You Later Allen Ginsberg (Take 2)
6. Tiny Montgomery
7. Big Dog
8. I’m Your Teenage Prayer
9. Four Strong Winds
10. The French Girl (Take 1)
11. The French Girl (Take 2)
12. Joshua Gone Barbados
13. I’m in the Mood
14. Baby Ain’t That Fine
15. Rock, Salt and Nails
16. A Fool Such As I
17. Song for Canada
18. People Get Ready
19. I Don’t Hurt Anymore
20. Be Careful of Stones That You Throw
21. One Man’s Loss
22. Lock Your Door
23. Baby, Won’t You be My Baby
24. Try Me Little Girl
25. I Can’t Make it Alone
26. Don’t You Try Me Now

Disc: 3
1. Young but Daily Growing
2. Bonnie Ship the Diamond
3. The Hills of Mexico
4. Down on Me
5. One for the Road
6. I’m Alright
7. Million Dollar Bash (Take 1)
8. Million Dollar Bash (Take 2)
9. Yea! Heavy and a Bottle of Bread (Take 1)
10. Yea! Heavy and a Bottle of Bread (Take 2)
11. I’m Not There
12. Please Mrs. Henry
13. Crash on the Levee (Take 1)
14. Crash on the Levee (Take 2)
15. Lo and Behold! (Take 1)
16. Lo and Behold! (Take 2)
17. You Ain’t Goin’ Nowhere (Take 1)
18. You Ain’t Goin’ Nowhere (Take 2)
19. I Shall be Released (Take 1)
20. I Shall be Released (Take 2)
21. This Wheel’s on Fire
22. Too Much of Nothing (Take 1)
23. Too Much of Nothing (Take 2)

Disc: 4
1. Tears of Rage (Take 1)
2. Tears of Rage (Take 2)
3. Tears of Rage (Take 3)
4. Quinn the Eskimo (Take 1)
5. Quinn the Eskimo (Take 2)
6. Open the Door Homer (Take 1)
7. Open the Door Homer (Take 2)
8. Open the Door Homer (Take 3)
9. Nothing Was Delivered (Take 1)
10. Nothing Was Delivered (Take 2)
11. Nothing Was Delivered (Take 3)
12. All American Boy
13. Sign on the Cross
14. Odds and Ends (Take 1)
15. Odds and Ends (Take 2)
16. Get Your Rocks Off
17. Clothes Line Saga
18. Apple Suckling Tree (Take 1)
19. Apple Suckling Tree (Take 2)
20. Don’t Ya Tell Henry
21. Bourbon Street

Disc: 5
1. Blowin’ in the Wind
2. One Too Many Mornings
3. A Satisfied Mind
4. It Ain’t Me, Babe
5. Ain’t No More Cane (Take 1)
6. Ain’t No More Cane (Take 2)
7. My Woman She’s A-Leavin’
8. Santa-Fe
9. Mary Lou, I Love You Too
10. Dress it up, Better Have it All
11. Minstrel Boy
12. Silent Weekend
13. What’s it Gonna be When it Comes Up
14. 900 Miles from My Home
15. Wildwood Flower
16. One Kind Favor
17. She’ll be Coming Round the Mountain
18. It’s the Flight of the Bumblebee
19. Wild Wolf
20. Goin’ to Acapulco
21. Gonna Get You Now
22. If I Were A Carpenter
23. Confidential
24. All You Have to do is Dream (Take 1)
25. All You Have to do is Dream (Take 2)

Disc: 6
1. 2 Dollars and 99 Cents
2. Jelly Bean
3. Any Time
4. Down by the Station
5. Hallelujah, I’ve Just Been Moved
6. That’s the Breaks
7. Pretty Mary
8. Will the Circle be Unbroken
9. King of France
10. She’s on My Mind Again
11. Goin’ Down the Road Feeling Bad
12. On a Rainy Afternoon
13. I Can’t Come in with a Broken Heart
14. Next Time on the Highway
15. Northern Claim
16. Love is Only Mine
17. Silhouettes
18. Bring it on Home
19. Come All Ye Fair and Tender Ladies
20. The Spanish Song (Take 1)
21. The Spanish Song (Take 2)

Non mi addentro ulteriormente nella disamina dei brani, in quanto so che, quando sarà il momento, nella vicinanza dell’uscita, l’amico Marco Verdi (ora impegnato in un trasloco, auguri o son cacchi tuoi, come preferisci!) saprà intrattenervi con dovizia di dettagli su questa importantissima uscita discografica.

lost on the river new basement tapes

Ma la storia non finisce qui. Infatti, lo stesso giorno, ma più probabilmente l’11 novembre, la Harvest/Universal pubblicherà questo Lost On The River – The New Basement Tapes che documenta, in due versioni, entrambe in singolo CD, ma una con 15 brani e l’altra Deluxe con 20 brani (MAH!?! Non capirò mai il perché), il risultato delle sessions tenute nel mese di marzo di quest’anno ai Capitol Studios di Hollywood da Elvis Costello, Rhiannon Giddens (Carolina Chocolate Drops), Taylor Goldsmith (Dawes), Jim James (My Morning Jacket) e Marcus Mumford (Mumford & Sons), sotto la produzione di T-Bone Burnett, al quale lo stesso Dylan aveva affidato i testi di due dozzine di brani “incompiuti”, che gli stessi artisti sopra citati hanno provveduto a completare ed incidere https://www.youtube.com/watch?v=Iq66_lWB7I4 . Si dice che ne siano stati registrati anche altri, per cui potremmo aspettarci ulteriori capitoli di questa operazione meritoria, ma per il momento quelli che verranno pubblicati sono i seguenti:

1. Down On The Bottom
2. Married To My Hack
3. Kansas City
4. Spanish Mary
5. Liberty Street
6. Nothing To It
7. Golden Tom Silver Judas*
8. When I Get My Hands On You
9. Duncan And Jimmy
10. Florida Key
11. Hidee Hidee Ho #11
12. Lost On The River #12
13. Stranger
14. Card Shark
15. Quick Like A Flash*
16. Hidee Hidee Ho #16*
17. Diamond Ring*
18. The Whistle Is Blowing*
19. Six Months In Kansas City (Liberty Street)
20. Lost On The River #20

*Deluxe Edition only

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C’è anche un sito http://store.universalmusic.com/thenewbasementtapes/ , dove per soli 120 dollari potete comprare la versione limitata in cofanetto per fan, quella che vedete qui sopra.

In un brano, Kansas City, Johnny Depp ha sostituito Costello che si era dovuto assentare per la durata di una session. Il tutto è stato ripreso dal regista Sam Jones, per un documentario Lost Songs: The Basement Tapes Continued, che verrà trasmesso sul canale Showtime negli Stati Uniti il 21 novembre e poi, chissà, magari uscirà in DVD e Blu-Ray. Non dovrebbero esserci altri musicisti coinvolti, i partecipanti, che hanno registrato tutto in presa diretta, come nell’album originale, hanno provveduto a registrare anche la parte strumentale, scambiandosi ai vari strumenti nel corso delle diverse takes delle canzoni.

Ovviamente anche di questo, come del Dylan, se ne parlerà ancora a tempo debito.

Bruno Conti