Morbido Folk-Rock. Matthews’ Southern Comfort – Kind Of New

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Matthews’ Southern Comfort – Kind Of New – Continental Song City

O meglio ancora, per descrivere con un termine ancora più calzante ancorché desueto i Matthews’ Southern Comfort, Soft-Rock, magica parola con cui negli anni ’70 si era soliti indicare chi faceva quel genere a cavallo tra folk, country, musica cantautorale (era un po’ che non usavo il termine), in antitesi ai più specifici West-Coast sound, country-rock e a roots music che era ancora da inventare (per non parlare di Americana). Ma il filone è quello, musica morbida, soffice, prevalentemente acustica ma quasi sempre con una sezione ritmica e della tastiere aggiunte: mi sembra la fotografia di questo gruppo.

Ma prima due parole (anche tre) su Iain Matthews, doppia i mi raccomando. Questo signore è uno dei membri fondatori dei Fairport Convention, presente dai tempi del primo omonimo album (1967), quando Sandy Denny non era ancora entrata in formazione (c’era Judy Dyble). E con lei e Richard Thompson farà in tempo a registrare il seminale What We Did On Our Holidays, un disco che contiene Meet On The Ledge di Thompson e Fotheringay della Denny ma anche alcuni brani firmati e cantati da Matthews. Nel 1969, dopo la sua fuoriuscita dal gruppo, registra quello che sarà il suo primo album solista ma che darà anche il nome al gruppo Matthews’ Southern Comfort (con Richard Thompson, Simon Nicol, Ashley Hutchings, Gerry Conway, tutti Fairport e Poli Palmer dei Family, oltre alla steel guitar di Gordon Huntley che aggiungeva quel particolare sound “americano” al folk-rock del disco). In quegli anni si correva e nel 1969 uscì anche un secondo disco con la formazione definitiva del gruppo e nel 1970, il terzo ed ultimo Later That Same Year che era quello che conteneva Woodstock. Proprio quella! Già perché oggi tutti ricordano la versione elettrica, tirata di CSN&Y che era presente in Dèjà Vu o quella acustica di Joni Mitchell, ma la versione di maggior successo fu quella dei Matthews’ Southern Comfort che arrivò al primo posto della classifica inglese e nei Top di quelle di Billboard in America. Più lenta, meditata, soffice, morbida, intensa era una gran bella versione (e pensate a che brani c’erano in classifica allora) ma fu l’inizio della fine del gruppo che si sarebbe sciolto da lì a poco.

La carriera solista di Matthews prosegue con due album per la Vertigo nel 1970 di stampo inglese (If You Saw Thro My Eyes e Tigers Will Survive) e 2 dischi tra il 1973 e il ’74 registrati in America per la Elektra dove il “suono” americano prende il sopravvento, Valley Hi e Someday You Eat the Bear… In mezzo ha il tempo per fondare una sorta di supergruppo i Plainsong coi quali registra un concept album, In search of Amelia Earheart sulla storia della leggendaria aviatrice americana (esatto, per la serie corsi e ricorsi storici, proprio quella cantata in Amelia da Joni Mitchell). E il bello è che tutti questi dischi sono uno più bello dell’altro, percorsi dalla meravigliosa e malinconica voce di Iain Matthews, unica ed inconfondibile.

Per farla breve nella sua meno riuscita svolta rock, tra fine ’70 e primi ’80, ha fatto anche in tempo a fondare gli Hi-fi con David Surkamp (il cantante dei Pavlov’s Dog, quelli di Julia, che se vi chiedete dove Marco Mengoni ha preso, spero inconsciamente, il modo di cantare dovreste investigare, ma anche se non ve ne frega niente di Mengoni, fine della citazione tripla).

Ha fatto anche in tempo a rifondare i Plainsong, fare un disco “new-age”, ma cantato, per la Windham Hill, accoppiarsi, musicalmente con Elliott Murphy prima di approdare, ma non li dimostra, a 65 anni alla reunion dei Matthews’ Southern Comfort.

Ovviamente non c’è nessuno della formazione originale: il progetto, che ha avuto una lunga gestazione, partita nel 2005 e proseguita nel 2009 e 2010 tra mille perplessità di Matthews, è stato registrato in Olanda con musicisti in parte olandesi e inglesi, con l’aggiunta dell’ottima cantautrice americana Terri Binion che firma cinque dei 13 brani presenti e la cui voce si amalgama perfettamente con quella di Iain e che anche se fisicamente rotondetta (avete presente Mama Cass) è in possesso di una voce molto dolce, calda ed espressiva, come quella della citata Cass Elliott.

Ci sono un paio di cover, la ripresa della bellissima Blood Red Roses dal repertorio di Richard & Mimi Farina, due contemporanei nell’era folk di Dylan autori di tre stupendi album per la Vanguard e dalla storia tragica che qui non vi racconto, basti dire che lei era la sorella di Joan Baez e lui un poeta e autore in grado di competere con Dylan e Cohen. Erano secoli che non sentivo un dulcimer in un brano recente. L’altra cover è una ripresa immancabile della celeberrima Woodstock in una versione rallentata che rende piena giustizia all’originale e dove la voce di Matthews non ha perso un briciolo dell’originale intensità, bellissimo l’arrangiamento che ci riporta alle “magiche” atmosfere di 40 anni fa.

Ma anche i brani nuovi sono molto belli, magari non innovativi, ma molto affascinanti con una grande profusione di armonie vocali e le voci dei due protagonisti che si interscambiano con grande efficacia e il sound morbido, soft rock, citato all’inizio, delle chitarre acustiche (neanche una elettrica all’orizzonte) ci riporta ai primi America, a James Taylor ma anche a molti gruppi e solisti minori di quegli anni con la Terri Binion che ricorda le varie Ronstadt, Carly Simon, Karla Bonoff e in anni più recenti Mary Chapin Carpenter ma anche Phoebe Snow tanto per citarne qualcuna.

Iain Mathews d’altro canto non è cambiato di una virgola e le atmosfere autunnali, dolcemente crepuscolari dell’iniziale Letting The Mad Dog Lie con acustiche e pianoforte a sottolineare il cantato soffuso ci riportano al meglio della sua produzione precedente. Forse niente di nuovo all’orizzonte ma solo buona musica e belle canzoni come la vagamente jazzata These Days della Binion che ricordano anche Carole King e Laura Nyro ma anche gli Steely Dan più rilassati. O la ballata cadenzata e di gran classe The Road The Ronderlin con la voce di Matthews, ben sostenuta da quella della Binion, in grande evidenza. E ancora la dolce, ma ritmata Perfect Love con la voce calda e sensuale di Terri Binion in primo piano. The way things are ricorda quelle atmosfere sospese e ricercate del Matthews anni ’70 mentre Seven Hours è semplicemente un’altra bella canzone scritta e cantata dalla Binion. Senza ricordarle tutte (Ma sono tutte belle) vorrei citare ancora almeno la lunga e bellissima O’Donnel Street altra delicata e raffinata espressione del talento di questo misconosciuto cantante ed autore inglese uno dei tanti tesori secreti custoditi tra le pieghe della bella musica.

Soffice e morbido come una buona torta, niente di nuovo ma sempre un piacere da assaporare.

Bruno Conti