Saranno Anche Fuori Di Testa, Ma Quando Suonano Sono Serissimi! The Texas Gentlemen – Floor It!!!!

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The Texas Gentlemen – Floor It!!!! – New West CD

Tornano a distanza di tre anni dal loro debutto TX Jelly i Texas Gentlemen https://discoclub.myblog.it/2017/11/27/un-bellesempio-di-follia-musicale-con-metodo-the-texas-gentlemen-tx-jelly/ , un quintetto di pazzi scatenati proveniente, mi sembra ovvio, dal Lone Star State, e composto dai due leader, il cantante e chitarrista Nik Lee ed il cantante e pianista Daniel Creamer, dall’altro chitarrista Ryan Ake e dalla sezione ritmica formata da Scott Edgar Lee Jr. al basso e Paul Grass alla batteria. Nonostante abbia parlato di esordio i cinque non sono certo di primo pelo, dal momento che stiamo parlando di un gruppo di sessionmen che si sono messi insieme quasi per gioco (hanno suonato anche con una leggenda vivente come Kris Kristofferson), ma da quando hanno iniziato ad incidere per conto proprio hanno dimostrato di fare sul serio. TX Jelly era un disco completamente fuori dagli schemi, in cui i nostri affrontavano qualsiasi genere musicale venisse loro in mente, dal rock al country al pop al blues al funky al folk e chi più ne ha più ne metta, il tutto proposto con un’attitudine scanzonata e divertita ed indubbiamente coinvolgente.

Musica creativa e non scontata quindi, e questo loro secondo album Floor It!!!! prosegue nello stesso modo, con una serie di canzoni in cui affiorano diversi stili anche all’interno dello stesso brano, e dove si nota rispetto al lavoro precedente una maggiore inclinazione verso la pop song di qualità, con uso anche di archi e fiati seppur senza esagerare. A volte essere troppo eclettici può essere considerato un difetto, ma quando come nel caso appunto dei Texas Gentlemen ci sono la bravura nello scrivere e nel suonare, la creatività e l’abbondanza di idee è certamente un vantaggio. I TG si divertono, e riversano questo loro divertimento sull’ascoltatore. Floor It!!!! dura più di un’ora e presenta una serie di brani medio-lunghi, ma grazie proprio al fatto che uno non sa mai cosa aspettarsi dalla canzone seguente il disco riesce a non annoiare. La breve Veal Cutlass, poco più di un minuto, è puro dixieland anni trenta, un pezzo un po’ spiazzante che confluisce nel vibrante strumentale Bare Maximum, un misto di rock’n’roll e funky che si pone nel mezzo tra Little Feat e Frank Zappa, con i fiati a rinforzare un suono già bello tosto; Ain’t Nothin’ New è una ballata ariosa e sognante, guidata dal piano e con un motivo lineare e godibile (e qui il paragone è coi Phish), bella e creativa.

Anche Train To Avesta è un’ottima slow song pianistica tra roots e pop, come se i Jayhawks si fossero fatti produrre da Jeff Lynne; l’intro pianistico di Easy St. rimanda all’Elton John d’annata, ma il resto è puro pop alla McCartney con un leggero sapore vaudeville, fresco e decisamente gradevole: finora di Texas c’è davvero poco, ma non è che mi lamenti. Sir Paul resta a livello di influenza anche in Hard Rd., altro riuscito pezzo di puro pop guidato dal piano e con una orchestrazione alle spalle, a differenza dello strumentale Dark At The End Of The Tunnel, che nonostante si lasci ascoltare senza grandi problemi sembra più una backing track alla quale i nostri si sono dimenticati di aggiungere le parole che una canzone fatta e finita, anche se non mancano cambi di ritmo e di tema musicale. Meglio la cadenzata ballad Sing Me To Sleep, sempre col piano in evidenza ed un gradevole refrain, anche se sembra mixata in maniera un po’ rozza.

Last Call è pop-rock con orchestra, un genere molto poco texano ma proposto con un elevato gusto per la melodia ed un buon ritornello corale, mentre She Won’t è un delicato brano elettroacustico che mescola folk e pop in modo disinvolto. Il CD si chiude con i due pezzi più lunghi (inframezzati da Skyway Streetcar, solare ballata dal sapore californiano guidata ottimamente da piano e chitarre), ovvero i sette minuti di Charlie’s House, delicato slow al quale gli strumenti elettrici, i fiati e gli archi conferiscono potenza (e con un bel finale in crescendo), e gli otto della title track, che parte in maniera coinvolgente in stile rock-boogie sudista (ma con somiglianze anche con Marc Bolan & T-Rex) e poi aggiunge di tutto dal pop al gospel con una parte finale tra i Beatles ed una leggera psichedelia. Già TX Jelly era un album pieno di idee e di soluzioni accattivanti, ma con Floor It!!!! i Texas Gentlemen sono riusciti a proporre qualcosa di completamente diverso, e con la massima nonchalance.

Marco Verdi

Una Nuova Country Rocker Di Pregio Dalla Voce Intrigante: Parliamone Invece. Ruby Boots – Don’t Talk About It

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Ruby Boots – Don’t Talk About It – Bloodshot Records/ir

Avevo letto anticipazioni molto interessanti di questo album, il secondo di Ruby Boots (nom de plum di  Bex Chilcott, cantante australiana trapiantata a Nashville) https://www.youtube.com/watch?v=wD5o40BPS6Y : Rolling Stone l’aveva inserita nella sua lista dei dischi più attesi del 2018, ma visti gli attuali livelli di attendibilità della rivista americana non sempre questo endorsement è sinonimo di certezza, anzi. Però anche il sito American Songwriter (più sulla nostra lunghezza d’onda) e altri ne parlavano bene, per cui ero interessato ad ascoltare, sempre con la formula San Tommaso, ovvero verifica e fatti un parere! La cantante australiana, che peraltro a 36 anni non è più giovanissima, era rimasta ferma alcuni anni per problemi di noduli vocali, ma ora ritorna con questo disco registrato in quel di Nashville, con la produzione di Beau Bedford, alla console con Paul Cauthen, ma soprattutto i Texas Gentlemen (di cui è anche il tastierista del gruppo), di passaggio nella capitale del Tennessee, backing band per Ruby in tutto l’album, e a loro volta autori di un interessante album per la New West, uscito pochi mesi fa http://discoclub.myblog.it/2017/11/27/un-bellesempio-di-follia-musicale-con-metodo-the-texas-gentlemen-tx-jelly/ .

La nostra amica fa parte di quel filone che, a grandi linee, annovera anche Nikki Lane http://discoclub.myblog.it/2017/03/15/oltre-ad-aver-grinta-da-vendere-e-pure-brava-nikki-lane-highway-queen/ , Margo Price, Jaime Wyatt http://discoclub.myblog.it/2017/06/06/una-nuova-tosta-country-girl-jaime-wyatt-felony-blues/ , quello stile che sta (vagamente) tra una sorta di outlaw country rivisitato, Americana “alternativa” e cantautrice rock classica, insomma un po’ trasgressiva ma non troppo. Giustamente vi chiederete perché sto ciurlando nel manico, quindi la domanda è, ma è bello questo Don’t Talk About It? Bella domanda: non lo so, o meglio non sono sicuro, esprimo ovviamente, come sempre, un parere personale, e il verdetto lo leggete nel finale. Ad un primo ascolto ero rimasto un po’ perplesso, country, ma dove? Il primo pezzo It’s So Cruel, dove qualcuno ha visto degli elementi stonesiani (?!?) è una canzone decisamente rock, i Texas Gentlemen suonano con vigore e spavalderia, le chitarre sono vibranti e distorte, ma la voce leggermente “filtrata” e non particolarmente potente della Chilcott forse fatica ad emergere, anche se la grinta c’è. Il sound è un po’ quello tipico della Bloodshot, etichetta anticonformista per antonomasia, “moderno” e alternativo al rock classico, ma con molti legami con il passato: come dicono gli americani lei è “sass & savvy”, insolente e sfrontata vogliamo tradurre? Believe In Heaven ha un sapore sixties grazie anche alle sue armonie vocali retrò e qualche reminiscenza di Maria McKee e altre chanteuses similari, ma il “riffaggio” chitarristico è da boogie-rock. Don’t Talk About è un delizioso mid-tempo pop-rock, scritto con Nikki Lane, anche seconda voce nel brano https://www.youtube.com/watch?v=55_jC3bkwBw ,  che potrebbe ricordare le cose più orecchiabili dei primi 10.000 Maniacs di Natalie Merchant, con un chitarrone twangy in evidenza e organetto vintage, Easy Way Out, molto bella, sembra un pezzo di Tom Petty, o i vecchi brani rock di Carlene Carter quando era accompagnata dai Rockpile, con i Texas Gentlemen che si confermano gruppo molto eclettico.

Break My Heart Twice è una delle rare ballate romantiche, bella melodia con un’aura country conferitale dal chitarrone twangy che torna a farsi sentire, la voce squillante in primo piano e il solito organo, ma anche il piano, a conferire profondità al suono. I’ll Make It Through, chitarra super riverberata, andatura  ondeggiante pop-rock, è un altro piccolo gioiellino dove le armonie vocali della collega Nikki Lane sono un ulteriore sostegno alla struttura decisa del brano, mentre gli arrangiamenti sono super raffinati; con Somebody Else si torna ad un rock più deciso e vibrante, con chitarre fuzzate e ritmi scanditi con decisione, con la chitarra di Ryan Eke che inchioda un assolo da urlo. I Am A Woman, un’altra ballata intimista, quasi solo la voce a cappella con eco di Ruby e piccoli tocchi di tastiera sullo sfondo, ha quell’allure country-pop raffinata di certe canzoni dei primi anni ’70, con Infatuation che rialza i ritmi, grazie ad una melodia vincente e alla carica vocale della cantante australiana, ancora quella sorta di power pop raffinato e chitarristico per gli anni 2000 con i Texas Gentlemen assai indaffarati dal lato strumentale. Chiude l’eccellente Don’t Give A Damn, quasi un country got soul come usavano fare nei vecchi Muscle Shoas Studios gli antenati dei Texas Gentlemen, piano, chitarre e sezione ritmica sugli scudi per una canzone che conferma la bravura di Ruby Boots, che la canta a voce spiegata, e soci.

Verdetto finale: promossa con lode!

Bruno Conti

Un Bell’Esempio Di Follia (Musicale) Con Metodo. The Texas Gentlemen – TX Jelly

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The Texas Gentlemen – TX Jelly – New West CD

Storia particolare quella dei Texas Gentlemen. Gruppo composto da texani doc, formato qualche anno fa da Beau Bedford, che ha chiamato intorno a sé giovani ma bravi musicisti di sua conoscenza (Nik Lee, Daniel Creamer, Matt McDonald e Ryan Ake) con l’intento di formare una backing band per artisti più famosi di loro, come per esempio Leon Bridges e Nikki Lane. La svolta è avvenuta lo scorso anno, quando il grande Kris Kristofferson (uno che il talento lo sa riconoscere) li ha voluti come gruppo di accompagnamento per il suo ritorno al Festival di Newport 45 anni dopo la sua ultima apparizione. La cosa ha funzionato talmente bene che Kris ha chiesto loro di seguirlo per altre date, cosa che ha certamente donato ai ragazzi un’esposizione che prima non si sognavano neppure; il passo successivo è stato incidere il loro primo disco, e per farlo hanno varcato i confini texani, andando nei leggendari FAME Studios di Muscle Shoals, in Alabama, dove hanno fatto tutto in soli quattro giorni. Ed il risultato, TX Jelly, è un disco stimolante, creativo, inatteso: i cinque non sono il solito gruppo country-rock del Lone Star State, ma sono influenzati dalle mitiche backing bands della storia americana, come la Wrecking Crew di Los Angeles, o gli stessi Muscle Shoals Swampers, o ancora Booker T. & The MG’s.

Infatti nelle loro canzoni trovano spazio una miriade di generi, che vanno dal rock al country, dal funky al blues, dal southern al soul e perfino lounge music, il tutto mescolato in maniera molto creativa e per nulla confusionaria. TX Jelly è quindi un lavoro decisamente piacevole ed originale, dato che non sai mai cosa aspettarti nella canzone seguente, ed i ragazzi suonano con ottima tecnica ma anche con quel pizzico di lucida follia che non guasta (basta guardare alcuni dei loro video che si trovano in rete per notare che sono un po’ fuori di testa). Il CD inizia in modo insolito, cioè con lo strumentale Habbie Doobie, una canzone che in realtà è una jam chitarristica tra rock e funk, con un riff ripetuto e brevi ma ficcanti assoli della solista di Ake, brano forse ripetitivo ma intrigante. Pain sembra un country rock di matrice southern degli anni settanta, un boogie orecchiabile e trascinante, con gran lavoro di piano e chitarra, che quando viene chiamata in causa sa come dire la sua: ci sono anche tracce pop del migliore Elton John, quello di Tumbleweed Connection; Bondurant Women è ancora puro rock di matrice seventies, decisamente evocativo, con una melodia diretta e suono classico, basato su organo e chitarra. Dream Along è una country song languida, strascicata, quasi sonnolenta, come se Willie Nelson si fosse appena svegliato dopo una notte di bagordi, bizzarra ma non priva di fascino.

Gone (scritta insieme a Paul Cauthen così come la seguente, e Paul è anche presente come voce aggiunta) è al contrario un pimpante e ritmato country-rock alla Waylon, ma con le chitarre che suonano come quelle di un gruppo sudista, mentre My Way inizia proprio come un country fatto alla maniera di Elvis, con coro alle spalle che ricorda i Jordanaires, poi diventa all’improvviso un rock’n’roll scatenato, per poi tornare all’atmosfera languida iniziale: creatività e follia a braccetto. Con Superstition si cambia completamente registro, in quanto ci troviamo di fronte ad un pop-jazz afterhours di quelli raffinati modello lounge, da mettere per una serata galante e con tanto di sax “da struscio”, mentre TX Jelly è un altro strumentale che sa più di improvvisazione in studio, quasi una backing track per batteria e poco altro, unico episodio direi un po’ fine a sé stesso. Pretty Flowers è di nuovo un country d’altri tempi, un honky-tonk che sembra uscito da un album di fine anni sessanta di George Jones, che precede la lunga (otto minuti) Shakin’ All Over, vecchio brano di Johnny Kidd & The Pirates (ma ala facevano anche gli Who, soprattutto dal vivo), che qui viene suonata in perfetto stile surf e con un cantato in giusta sintonia, sembra una cover di qualche oscuro gruppo beat, altro che Texas: la chitarra si produce in un lungo e strepitoso assolo dai toni addirittura psichedelici https://www.youtube.com/watch?v=fYMMk6jvUt8 , creatività davvero a mille, immagino cosa possano diventare dal vivo. Il finale è tranquillo con Trading Paint, con la quale si rimane sempre negli anni cinquanta-sessanta, ma il pezzo è un folk acustico con un coro che fa tanto Monti Appalachi.

I Texas Gentlemen sono un gruppo da tenere d’occhio, hanno tecnica ma anche inventiva: d’altronde se uno come Kris Kristofferson li ha voluti con lui qualcosa vorrà pur dire.

Marco Verdi