Tra Canada E California, Un Disco Niente Male. The Once – Time Enough

the once time enough

The Once – Time Enough – The Once/Factor CD

The Once sono un trio di musicisti canadesi, originari di Terranova, in circolazione più o meno da un decennio, e con quattro album ed un EP alle spalle. Sono stati paragonati ad una via di mezzo tra i Cowboy Junkies (per il fatto di avere una cantante femminile, Geraldine Hollett) ed i Blue Rodeo (per gli elementi californiani nel sound). Io sinceramente, dopo aver ascoltato il loro nuovo album Time Enough, ho trovato poche somiglianze con entrambi i gruppi, mentre invece diversi elementi del loro suono mi hanno fatto venire in mente i Fleetwood Mac nella formazione classica con Lindsay Buckingham e Steve Nicks, sia per le sonorità che comunque qualcosa di californiano hanno, sia per il fatto che anche gli altri due membri della band, i polistrumentisti Phil Churchill ed Andrew Dale, si alternano saltuariamente come voce solista alla Hollett, e tutti e tre insieme creano delle ottime armonie, che sono tra i punti di forza del loro suono.

La seconda parte del disco è più riflessiva, più cantautorale, in un certo senso più “canadese”, ma l’insieme del CD è molto piacevole e di buon impatto: nove canzoni tra pop, rock e folk che non hanno momenti di stanca o tentennamenti, anzi in alcuni casi vengono toccati punti abbastanza elevati di creatività, grazie anche ad una strumentazione ricca ma mai ridondante. A proposito di California, basta sentire l’opening track per trovarci già in zona Fleetwood Mac, un pop-rock raffinato ed orecchiabile in cui cori, melodia ed arrangiamento hanno molto da spartire con la band di Rumours. Anche meglio Before The Fall, una rock ballad elettrica dall’incedere insinuante, un ritornello corale di sicuro impatto ed un crescendo finale emozionante, in cui si respira ancora aria di Golden State. Ancora pop di classe, e di nuovo con i Mac in mente, con Any Other Way, un pezzo dallo sviluppo intrigante ed il solito gusto per le melodie dirette; Lead Me Lover è caratterizzata da una ritmica pulsante e da un motivo nuovamente a più voci, anzi in cui le voci sono protagoniste assolute e l’accompagnamento strumentale è quasi di raccordo: il risultato finale è affascinante.

La lenta Another Morning è più rarefatta, quasi eterea, e si ricollega alle tipiche atmosfere canadesi, pur mantenendo uno stile ben definito, You Don’t Love Me prosegue con lo stesso mood, anche se il brano è più acustico e dalle sonorità più dirette, con la voce espressiva di Geraldine ancora in primo piano ed una confezione raffinata, mentre Foreign Shore è quasi folk, delicata, con un motivo di alto profilo ed un arrangiamento semplice ma delizioso, tra le migliori del disco, grazie anche ad un suggestivo assolo chitarristico ed alla partecipazione di una piccola sezione fiati. Chiusura con la bucolica We Look Back, pochi strumenti ed il solito bell’uso delle armonie vocali, e con la toccante Some Lies, con una melodia di indubbio pathos, anch’essa tra le più riuscite di un album comunque bello, personale e, perché no, sorprendente.

Marco Verdi