Recuperi Estivi. Un Gruppetto Di Voci Femminili 2: Lori McKenna – The Bird & The Rifle

lori mckenna the bird ann the rifle

Lori McKenna – The Bird And The Rifle – CN Records/Thirty Tigers

Nel caso di questo disco ammetto di avere un poco ciurlato nel manico, perché in effetti non si tratta di un recupero, l’album è appena uscito il 29 luglio e non mi sembra che in Italia lo abbia già recensito qualcuno, ma anche se fosse, visto che non è una gara di velocità su chi arriva primo, vale assolutamente la pena di parlarne, in quanto si tratta di uno dei migliori dischi di una cantautrice che mi sia capitato di ascoltare da qualche tempo a questa parte. Lori McKenna non è una novellina, questo è già il suo decimo album, in una carriera iniziata nel lontano 2000 con Paper And Halo, proseguita con l’ottimo Pieces Of Me l’anno successivo, e che ha avuto delle punte qualitative (ma tutti i dischi sono piuttosto belli) con Bittertown del 2004, Unglamorous del 2007, l’unico ad entrare nelle classifiche di vendita, non ai primi posti, più o meno appena dopo il 100° posto, Lorraine del 2011 (quello con la tazzina da caffè in copertina) e ancora Massachusetts del 2013, dedicato al suo stato di origine, dove vive ancora, nei pressi di Boston, a Stoughton, una piccola cittadina, con il marito e cinque figli. Ma la McKenna è anche una delle più fortunate autrici di canzoni country per altri artisti, recente vincitrice del Grammy 2016 per la migliore canzone con Girl Crush, scritta insieme ai Little Big Town, e in passato le sue canzoni sono state cantate da Tim McGraw, per esempio Humble & Kind, numero uno nelle classifiche e qui presente nella sua versione, ma anche Faith Hill, Mandy Moore e altri artisti che magari non mi fanno impazzire.

Ma niente paura, se vi sembra una storia già sentita, al maschile, non avete le traveggole, è proprio la stessa trafila che ha fatto Chris Stapleton, prima di arrivare al grande successo. E vi pare che una così potesse sfuggire a Dave Cobb? Certo che no, e infatti il produttore è lui, con il suo classico sound naturale, privo di inutili orpelli, solo poche chitarre, una tastiera qui e là, l’immancabile mellotron che fa le veci di una sezione di archi, per un suono caldo, avvolgente, che evidenzia la voce, non straordinaria ma molto gradevole della McKenna, un leggero contralto quasi conversazionale, molto partecipe verso i protagonisti delle sue storie, spesso autobiografiche, piccole storie della provincia americana, con i suoi controversi aspetti, come evidenzia anche il disegno di copertina, con un uccellino posato sulla canna di un fucile, uomini e donne, spesso genitori ma anche sognatori all’inizio della loro vita (e molti sin dal suo apparire sulle scene hanno visto dei parallelismi con le canzoni del miglior Springsteen, quello della fase centrale di carriera, ma anche con Mary Gauthier, che l’ha incoraggiata ad inizio carriera), piccoli quadretti dove i protagonisti sono ben delineati da piccoli particolari; la coppia di We Were Cool, che sono la McKenna e il marito giovani (o forse no, un altro amore giovanile), con un  versetto degno del miglior Bruce “Duran Duran on the radio, those wild boys would never know we had a baby on the way the year our friends started school.” o ancora la donna sposata da tanti anni nella splendida iniziale Wreck You, “I get dressed in the dark each day/You used to think that was so sweet.”, tra rimpianti e la vita che prosegue. Ma anche più divertita e maliziosa come nella citata Girl Crush, “I want to taste her lips, because they taste like you”.

Ma quello che ci interessa è la musica, un country-folk-pop, in mancanza di un termine migliore, ho dimenticato rock, acustico magari, che scivola via con semplicità nella delicata ballata d’apertura Wreck You, dove gli arpeggi delle acustiche di Cobb, di Luke Laird e della stessa McKenna, si innesta sul tappeto sonoro provvisto dal mellotron dello stesso Cobb e di Mike Webb, sul gentile rollare della sezione ritmica affidata ai fedelissimi del produttore di Nashville, Brian Allen al basso e Chris Powell alla batteria. Sembra di ascoltare il suono dello Springteen meno bombastico di Born In The Usa, o di quello malinconico di Tunnel Of Love. Non so se l’album avrà lo stesso successo del disco di Stapleton (non credo, anche se glielo auguro) ma canzoni come la title track The Bird And The Rifle, giocata sempre sulla voce della McKenna e sull’impianto sonoro delizioso creato da Cobb, una sorta di asciutto blue collar folk-rock (se mi passate il termine), semplice e disadorno, ma efficace, lo meriterebbero. Sempre continuando il parallelo con il Boss, in questo caso nei testi, Giving Up On Your Hometown potrebbe essere una risposta indiretta ad uno dei pezzi più celebri di Bruce, anche su musicalmente siamo dalle parti di una splendida ballata country-roots, con la voce di Lori sempre partecipe e brillante, attorniata dalle chitarre tintinnanti confezionate da Cobb & Co. O le delusioni d’amore di una tenue e malinconica Halfway Home, delicato quadretto acustico folk con tocchi di chitarra d’acustica che rimandano quasi a Simon & Garfunkel. O ancora la hit Humble & Kind che racconta le raccomandazioni di una mamma al figlio (sii sempre umile e gentile), a tempo di leggero valzer e con una intro di nuovo springsteeniana che poi si apre su una bella melodia che fa capire perché la canzone sia stata un grande successo commerciale, ma in questa versione perde tutto il glamour del lato commerciale di Nashville a favore di quello che più ci piace, grazie alla produzione di Cobb, sempre attenta ai dettagli.

La già citata We Were Cool non perde il bandolo sonoro della matassa, con un sound che mi ricorda quello della prima Shawn Colvin o al limite anche di Mary Chapin Carpenter, Patty Loveless, la ricordata Mary Gauthier, tutte fautrici di un country non country, con elementi cantautorali e folk, ma anche una facilità di scrittura quasi disarmante per questa signora che ha iniziato la sua carriera quando aveva già 27 anni e tre figli. E tornando alla produzione, Dave Cobb non ha certo inventato l’acqua calda, perché in passato la McKenna aveva avuto ottimi produttori, come Lorne Entress in Bittertown, uno che ha lavorato con la brava e sottovalutata Catie Curtis e con Mark Erelli, per cui ha adattato il suo lavoro sonoro alle attitudini di Lori, ogni tanto magari eccedendo nell’uso del mellotron-sezione archi, come nella “lavorata” Old Men Young Women che si riprende però grazie ad una melodia cristallina ed accattivante ed alla bella voce dell’autrice. All These Things nell’attacco ci riporta al sound da Springsteen in gonnella, un pezzo heartland rock al femminile, una sorta di Badlands tra la provincia di Boston e le lusinghe della Music City per eccellenza, Nashville. Splendida Always Want You, un valzer di nuovo tenue e smorzato, degno delle canzoni più belle di Emmylou Harris Nancy Griffith, o, come controparte maschile, di John Prine. Per poi lasciarci con la metafora neppure troppo velata di If Whiskey Were A Woman, altro quadretto di tipica vita americana, che assume musicalmente una struttura country-blues quasi austera, ma sempre di grande pathos grazie all’interpretazione accorata di Lori McKenna, che conferma anche in questo brano la sua statura di autrice di vaglia.

Cosa aggiungere? Un bel disco, una piacevole sorpresa per chi già non lo conosceva, una conferma per tutti gli altri.

Bruno Conti

.