Un Altro “Piccolo” Grande Tributo, Made In Italy! Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set

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Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set – Route 61 Music

L’arte della cover (praticata soprattutto in alcuni EP) e quella del “tributo” non sono sicuramente sconosciute a Edward Abbiati, il leader dei Lowlands, che già nel 2012, in occasione del Record Store Day di quell’anno, aveva realizzato un album Better World Coming che voleva commemorare il 100° Anniversario della nascita di Woody Guthrie, pubblicato come “Lowlands and Friends” e che riuniva appunto molti amici dell’area di Pavia e dintorni http://discoclub.myblog.it/2012/06/24/proseguono-i-festeggiamenti-better-world-coming-lowlands-fri/ . Questa volta, dopo l’album solista pubblicato da Ed con Chris Cacavas, un paio di collaborazioni con Lucky Strikes e Plastic Pals, la lista dei musicisti impegnati nel nuovo album si è ampliata a raccogliere amici da tutto il mondo: alcuni dall’Italia, ma anche dall’Inghilterra, dalla Svezia, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Il disco è stato registrato, con zero budget (come ricorda lo stesso Ed nelle note esaustive del libretto), in salotti, cucine, studi di registrazione e sale prova, con l’apporto gratuito degli “amici” impiegati nell’anno circa che ci è voluto per completare questo progetto.

E il risultato è veramente eccellente: l’idea di base del disco in questo caso non era quello di scegliere le migliori o le più belle canzoni di Townes Van Zandt, ma riproporre la scaletta completa dell’ultimo concerto dell’artista texano, tenuto al Borderline di Londra il 3 dicembre del 1996, poco più di un mese prima della sua morte, avvenuta il 1° gennaio del 1997, lo stesso giorno in cui scompariva, tanti anni prima, anche Hank Williams. A fare da trait d’union e “presentatore” delle singole canzoni la voce narrante di Barry Marshall-Everitt, il tour manager di Van Zandt, nonché all’epoca anche del locale, DJ radiofonico veterano a The House Of Mercy Radio e tra i primi supporters dei Lowlands in terra d’Albione. Detto per inciso, nella stessa data, venti anni dopo, una pattuglia più ristretta, ma agguerrita, di Lowlands & Friends, ha portato anche il progetto sul palco dello Spazio Teatro 89 di Milano (un bellissimo posto per sentire concerti, un po’ di pubblicità gratuita). Ma torniamo all’album e vediamo i vari brani e gli ospiti che si susseguono; trattandosi della riproposizione di un concerto ci sono anche alcuni brani che non portano la firma di Van Zandt: e l’apertura è proprio affidata a una cover di una canzone di Lightning Hopkins, un blues, e considerando che Edward non si ritiene un esperto in materia, ha chiamato per eseguire My Starter Won’t Start Maurizio “Gnola” Glielmo e la sua band, in più anche Kevin Russell dei Gourds (la band da un cui brano prende il nome la band i Pavia).

L’esecuzione è tosta e tirata, Russell canta la sua parte con una voce alla Muddy Waters, lo Gnola lavora con la chitarra di fino e il risultato finale è un solido blues elettrico, dove si apprezza anche l’armonica di Richard Hunter. Che rimane, insieme a Gnola, anche per la successiva Loretta, apparsa in origine pure nel mitico Live At The Old Quarter, e che grazie alla presenza di Stiv Cantarelli e della sua slide, si trasforma in un febbrile country-blues, tra battiti di mani e piedi e tanta energia profusa dai musicisti. Pancho And Lefty è il brano più noto di Townes (Emmylou Harris e Willie Nelson tra i tanti che l’hanno cantata) e forse anche il più bello, qui in una versione solare e corale, con Ed, Matthew Boulter dei Lucky Strikes e Sid Griffin dei Coal Porters (ma un tempo anche dei Long Riders) che si dividono le parti vocali e Michele Gazich che aggiunge il suo magico violino alle operazioni, versione splendida. A conferma che nel disco, ove possibile, si è privilegiato un approccio energico nella interpretazione delle canzoni, chi meglio degli italiani Cheap Wine poteva donare una patina rock alla versione di Dollar Bill Blues, dove le chitarre di Michele Diamantini e Roberto Diana sono veramente sferraglianti, e Ed Abbiati e Marco Diamantini si dividono la linea vocale. Anche Buckskin Stallion mantiene questa verve elettrica, con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori alla solista e Winston Watson e Joe Barreca, la sezione ritmica. Katie Bell Blues è più intima e raccolta, Richard Lindgren alla voce e upright piano e Francesco Bonfiglio alla fisarmonica.

Un gradito ritorno è quello di Will T Massey che duetta con Ed in una raccolta versione di Marie. E ottimo anche l’approccio full band per la splendida Waiting Around To Die (la preferita di Abbiati), con Chris Cacavas, seconda voce, piano e chitarra, di nuovo Gazich, anche i fiati, Villani e Paganin, ancora Gnola, Watson e Lowlands assortiti, compreso “Rigo” Righetti; A Song For con l’australiano Tim Rogers degli YOU AM I, privilegia un approccio più acustico, come pure la successiva Short Haired Woman Blues, l’altro blues di Lightning Hopkins, cantata in duetto con il gallese Ragsy, mentre la cover di Presley (?!) di Ballad Of The Three Shrimps, vede di nuovo lo Gnola, Mike “Slo Mo” Brenner alla lap steel e le voci femminili delle No Good Sisters. Brenner passa allo slide bass per una rauca versione di Sanitarium Blues “recitata” da Ed, Will T Massey, Tim Rogers e Rod Picott, che rimane poi per una eccellente versione di Tecumseh Valley (un altro dei tanti capolavori di Van Zandt), registrata in cucina e che si trasforma lentamente in una dolente Dead Flowers degli Stones, con lap steel e fisarmonica. La chiusura del disco è affidata a Colorado Girl, un altro dei pezzi country di Townes, che qui, grazie all’apporto degli svedesi Plastic Pals, diventa una gioiosa rock song chitarristica con Chris Cacavas all’organo e Jonathan Segel dei Camper Van Beethoven al violino, di nuovo una bellissima versione, come quelle presenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=iWG-hXvgmso . Veramente un tributo con i fiocchi.

Bruno Conti

Una Grande Serata Tra Folk e Rock (Ma Non Solo) Con I Lowlands A Pavia!

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Lowlands – Piazza Della Vittoria – Pavia – 08/06/2013

Nello splendido scenario di Piazza Vittoria in quel di Pavia (con sullo sfondo il magnifico palazzo del Broletto), i Lowlands di Ed Abbiati hanno concluso la prima parte della loro campagna europea che li ha visti suonare da Dublino a Londra, passando per Roma e Firenze, con l’ultima recentissima tappa di Stoccolma, in un concerto che arriva a dieci anni esatti dal rientro in Italia di Ed, non occasionalmente nel giorno del suo compleanno e, particolare importante, anche di sua moglie. L’attuale line-up della band oltre ad Ed Abbiati chitarra e voce, è composta dallo storico chitarrista Roberto Diana, Francesco Bonfiglio alle tastiere e fisarmonica, Enrico Fossati al basso e Mattia Martini alla batteria.

La parte iniziale del concerto vede Ed e il suo gruppo eseguire brani tratti dal loro ultimo lavoro Beyond, a partire dal rock urbano di Lovers and Thieves, Walking Down The Street, Waltz in Time, Ashes e Hail Hail e poi una versione sempre accattivante di Gypsy Child. Si riparte da una struggente Fragile Man (scritta da Ed per un suo amico recentemente scomparso), proseguendo con un set che ripropone brani pescati dall’album d’esordio The Last Call, dove spicca per bellezza la tenue That’s Me On The Page, mentre In The End fa muovere il piedino e invita a ballare, non mancano Gotta Be (brano firmato con l’amico Tim Rogers) sana e robusta baraonda rock, per poi passare alla  dolce ninna nanna Lullaby (dedicata alle figlie). La parte finale del concerto, vede salire sul palco gli amici Alex Cambise al mandolino e Jimmy Ragazzon (leader dei Mandolin’ Brothers) per una torrida versione di Everybody Knows This Is Nowhere di Neil Young, un brano dei primi anni ’60 di Bruce Channel  in cui appariva Delbert McClinton che si narra abbia dato ai tempi alcune lezioni di armonica a John Lennon, Hey Baby, per fare ballare il pubblico presente, e una Left Of The Dial dei Replacements cantata con la rabbia degna di un Paul Westerberg. Chiudono un concerto splendido Keep On Flowing con piano e fisarmonica nel più classico blue collar rock e una acustica e dolcissima Homeward Bound.

Mentre la gente a fine concerto sfollava contenta e soddisfatta della serata musicale, pensavo che noi pavesi dovremo essere grati a gruppi come i Lowlands,  i Mandolin’ Brothers e artisti minori locali, ma altrettanto bravi (come per esempio Sergio “Tamboo” Tamburelli) che portano in giro per l’Italia e in Europa, una musica fatta di sudore, cuore e di grande qualità.

Tino Montanari     

Ulteriori Dispacci Dalle BasseTerre. Lowlands – Gypsy Child

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Lowlands – Gypsy Child – Gypsy Child Records/Ird

Quando si dice la precisione! L’ultima volta che avevo parlato dei Lowlands in questo Blog ci eravamo lasciati dicendo che il nuovo album, questo Gyspy Child, sarebbe uscito all’inizio dell’autunno e zac, precisi come dei lombardi, il 23 settembre sarà in tutti i negozi (si spera!).

Per cominciare, una precisazione: visto che sia lui che famiglia ed amici tutti si sono preoccupati, ma esisterà ancora, si chiedevano? In effetti nella recensione apparsa in anteprima sul Buscadero (impossibile ma vero), nella lista dei partecipanti al disco vengono citati tutti, ospiti stranieri, componenti della band, inservienti e quant’altro ma, per un refuso o dimenticanza, non appare il nome di Roberto Diana, impegnato come al solito con una miriade di chitarre e co-produttore del disco, che dunque c’è e la sua presenza si sente!

Quindi viene citato prima di Edward Abbiati per riparare al piccolo torto: il co-produttore e cantante e autore anglopavese con i suoi soci affronta, come dicono le riviste inglesi che parlano bene,  “That Difficult Second Album”. Anche se devo dire che  i nostri amici hanno un po’ barato, mescolando le carte e pubblicando una nutrita serie di EP, CD e DVD a tiratura limitata hanno aggirato l’ostacolo e arrivano a questo nuovo album belli freschi e piene di idee.

La prima impressione, al primo ascolto, fatto camminando per strada e sentendolo su un lettore Cd portatile è stata la seguente: “Già finito?”. La seconda pure e via così all’infinito. No, scherzi a parte, i successivi ascolti, più attenti, rivelano ulteriori particolari e dettagli e la bellezza dei brani contenuti, ma la prima impressione, più che positiva è che si tratta di un album che non stanca anzi ne vorresti di più, non ti basta quello che trovi. E cosa trovi nel disco?

Sono undici brani, dicansi undici, senza tracce nascoste, special o Deluxe Editions (un sollievo), solo della sana musica rock, genuina e piena di passione fatta da un manipolo di prodi appassionati che sciorinano le loro influenze vere o presunte con orgoglio e determinazione aiutati da alcuni amici giunti da tutte le contrade del mondo.

Le influenze si diceva: c’è un po’ tutto lo scibile della musica rock che conta (da Brooce a Mike Scott, Dylan, i Green On Red, Steve Wynn per citarne alcuni) e poi come si usa dire loro le “influenze le indossano” anzi di più, le invitano e così abbiamo Chris Cacavas a “rappresentare” i Green On Red e Steve Wynn, Mike Brenner i Marah e i Magnolia Electric Co., Joey Huffman i Soul Asylum, Tim Rogers gli You Am I e Amanda Shires se stessa e Rod Picott. Ovviamente alcuni di questi musicisti non sono delle influenze ma degli amici che condividono le stesse passioni musicali. Poi parlando dei vari brani magari approfondiamo.

Si parte con Gypsy Child che mescola Inghilterra e Stati Uniti con la voce di Edward Abbiati subito protagonista con quel suo timbro sabbioso e ruvido ma capace di grande dolcezza e partecipazione, gli altri si danno un gran daffare, con il violino di Chiara Giacobbe subito protagonista ma anche le chitarre, tante come al solito, acustiche ed elettriche, un pianino insinuante, la batteria che lavora di fino. E poi è un brano che più lo ascolti e più si insinua. Infatti se entrate nel loro sito home.html è lì in agguato che vi attende e a furia di ripetizioni non può non piacervi.

Ma le cose si fanno serie con la successiva Only Rain (il tempo di Pavia?): questo è un brano rock di grande potenza e coinvolgimento, con i fiocchi, i controfiocchi e il pappafico, lungo quei sei minuti che ci vogliono per goderselo appieno, se quello Springsteen evocato prima lo avesse sentito penso che una partecipazione “a gratis” avrebbe potuto pure farla ma anche quell’organo Dylaniano sempre di Huffman dà quel tocco di classe al tutto, poi c’è la chitarra di Roberto Diana che con le sue svisate (si dice così in italiano) ti esalta fino all’assolo liberatorio nel finale. Le continue accelerazioni e il tempo incalzante ti tengono inchiodato alla poltrona ma dal vivo devono essere da pugnetto alzato. Tra l’altro questo brano come il precedente si segnalano per la grande varietà degli arrangiamenti e per il “calore” del sound merito del mixaggio di Cacavas che evidenzia i vari strumenti e la voce di Edward come nei vecchi vinili d’epoca.

In Street Queen torna protagonista il violino di Chiara Giacobbe e la voce di Abbiati si sdoppia tra le tonalità di Mike Scott e quelle di uno Steve Wynn addolcito dalla maturità, solito grande lavoro di Diana alle chitarre e altro brano nettamente sopra la media.

L’aria paesana e folky di Between Shades And Light si divide equamente tra Pogues e Waterboys, con quella fisarmonica avvolgente e il ritmo saltellante della batteria e il violino zingaresco della Giacobbe che aggiunge un tocco mitteleuropeo al brano.

I nomi che generosamente vi elargisco sono solo dei segnali delle sensazioni che i vari brani evocano ma la musica è poi tutta farina del sacco dei Lowlands.

Il piano e l’armonica di Life’s Beautiful Lies ci introducono di nuovo alle grandi pianure del suono americano che vengono poi sorvolate con grande lirismo dalla chitarra di Roberto Diana (grande musicista) e dal violino con un crescendo strumentale che ti lascia quasi senza fiato per la sua bellezza. Veramente grande musica.

Cheap Little Paintings mi ha ricordato (vagamente) atmosfere vicine a De André o agli chansonniers francesi con quella sua andatura maestosa sottolineata da piano e armonica e nobilitata da mandolino (o è un bouzouki?) e slide oltre che da un contrabbasso profondo, affascinante e inconsueta, anche se in un’intervista ho letto che Edward Abbiati ha detto di avere imparato inglese e francese prima dell’italiano, quindi potrebbe…

Without A Sigh ci riporta a quelle atmosfere polverose del rock americano più genuino (chissà se anche il passato australiano di Abbiati c’entra qualcosa? Anche lì in fatto di grandi spazi non scherzano!), con il violino, la chitarra e le tastiere a sostenere con vigore la voce evocativa del leader che ci guida attraverso un altro brano di grande spessore sonoro (il solo di chitarra è breve ma ti dà quel giusto brividino lungo la schiena!).

He Left è un breve monologo acustico, solo la voce di Abbiati e una chitarra acustica, per le serate invernali o per i concerti unplugged, per ampliare il repertorio o per un (lontano) futuro da cantautore.

Altro grande brano, There’s A World, Con una lap steel in grande evidenza (o è una pedal steel? strumento giustamente e nuovamente sdoganato, nei dischi recenti di Dylan Leblanc e Caitlin Rose come vi dicevo recentemente ma anche nel nuovo Lloyd Cole come vi riferirò prossimamente, fine della digressione): ma non è solo la chitarra, anche le tastiere di Huffman nuovamente in grande spolvero e la voce appassionata che evidenzia le belle armonie e un ritornello ricorrente, potremmo dire per parafrasare il sound del disco “Arrangiamento ricco mi ci ficco”.

Gotta Be ospita il lavoro di armonica di un altro ospite “fisso” del gruppo, l’ottimo James Hunter, bluesata e tirata, con un minaccioso wah-wah in sottofondo ( o è una slide distorta?) potrebbe essere l’ideale conclusione di un concerto se il disco fosse da vivo visto l’energia che trasmette.

Invece la conclusione è affidata alla dolce e malinconica Blow, Blue Wind Blow una ballata acustica a pastello, con la seconda voce e il Violino (è lei o non è lei?) di Amanda Shires in prestito dal compagno di avventure musicali Rod Picott.

Come vi dicevo peccato finisca così presto (ma dura i suoi bei 42 minuti!), non vi rimane che rischiacciare il tasto play e ripartire per l’avventura. Come ho già detto in relazione all’ultimo Tom Petty (quindi ottima compagnia) con una efficace allocuzione lombarda “Insci Aveghen!) – Averne Così per gli abitanti sotto la linea gotica.

Bruno Conti