Prosegue La Serie Di Ristampe…Proiettata Molto Nel Futuro! Grateful Dead – Aoxomoxoa 50th Anniversary

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Grateful Dead – Aoxomoxoa 50th Anniversary – Rhino/Warner Deluxe 2CD

Terzo episodio delle riedizioni per i cinquantennali degli album sia in studio che dal vivo dei Grateful Dead, un’iniziativa che come ho già avuto modo di dire ha ottenuto parecchie critiche, dato che quando sarà il turno dell’ultimo album pubblicato dalla storica band californiana durante il periodo di attività, il live Without A Net, sarà il 2040 e molti fans della prima ora (ed anche della seconda) non saranno più tra noi, per non parlare della possibile sparizione del CD come supporto prima di quella data. Ma per ora direi di non pensare al futuro, e quindi eccomi ad occuparmi dell’edizione deluxe del terzo album del Morto Riconoscente, che risponde al misterioso titolo palindromo di Aoxomoxoa (titolo mai spiegato, tra l’altro), disco che tra l’altro presenta quella che è la più bella copertina in assoluto dei nostri, ed una delle massime espressioni grafiche del grande Rick Griffin. Aoxomoxoa è un lavoro che ha sempre diviso la critica e i fans: chi lo considera il capolavoro del gruppo per quanto riguarda il periodo psichedelico, chi invece lo vede come un album di transizione. A mio parere hanno un po’ di ragione entrambe le fazioni, dato che da una parte c’è ancora molta psichedelia nelle canzoni contenute nel disco, che è quindi il naturale seguito di Anthem Of The Sun, ma in alcuni brani si cominciano ad intravedere i germogli del suono roots che poi si paleserà nei due lavori seguenti, Workingman’s Dead e American Beauty.

In Aoxomoxoa i Dead sono in sette, con la seconda ed ultima apparizione di Tom Constanten all’interno del gruppo, e c’è anche la partecipazione come ospiti di John Dawson e David Nelson, che un paio di anni dopo formeranno i New Riders Of The Purple Sage proprio con Jerry Garcia. Questo doppio CD presenta nel primo dischetto l’album originale in due missaggi diversi (quello originale del 1969 ed il remix del 1971, con i brani leggermente più corti), mentre come da consuetudine in queste ristampe il secondo supporto contiene una performance inedita dal vivo. Aoxomoxoa (che è anche l’unico episodio della discografia dei Dead con tutti i brani a firma Garcia-Hunter, con l’aggiunta di Phil Lesh in St. Stephen) contiene due classici assoluti del gruppo come appunto St. Stephen, che diventerà uno dei brani più apprezzati dal vivo con versioni anche chilometriche (mentre qui è più sintetica, quattro minuti e mezzo più rock e meno psichedelici) e la vibrante China Cat Sunflower, spesso usata come apertura dei concerti (video delizioso che vedete sopra). Altri pezzi conosciuti e proposti più volte on stage sono l’elettroacustica e diretta Dupree’s Diamond Blues, a metà tra rock e musica old-time, Doin’ That Rag, vivace rock song elettrica con gran lavoro di organo da parte di Ron “Pigpen” McKernan, ed il puro psychedelic pop di Mountains On The Moon. Meno noti sono la breve Rosemary, un pezzo acustico cantato con una strana voce filtrata e la lunga ed allucinata What’s Become Of The Baby, otto minuti di delirio psichedelico per voce ed effetti sonori di difficile digestione.

Finale con la countreggiante Cosmic Charile con Garcia alla steel, brano che in un certo senso anticiperà le atmosfere di Workingman’s Dead. Il secondo CD presenta nove brani selezionati da due serate del Gennaio 1969 all’Avalon Ballroom di San Francisco, due concerti ancora molto acidi e psichedelici: Aoxomoxoa è rappresentato da due ottime rese di Dupree’s Diamond Blues e Doin’ That Rag, abbastanza simili alle versioni di studio anche come durata (rispettivamente poco meno di cinque e sei minuti). Anthem Of The Sun è presente per tre quinti: una liquidissima New Potato Caboose di 14 minuti con Jerry subito in tiro (e cantata purtroppo da Lesh che è tutto tranne che un cantante), una potente Alligator di nove minuti, con annesso assolo della doppia batteria ed un grande Garcia, brano che si fonde con la spedita e tonica Caution (Do Not Stop On Tracks). Il finale è notevole (a parte la consueta traccia Feedback che come al solito “skippo” col telecomando): dopo il breve siparietto a cappella di And We Bid You Goonight troviamo una delle ultime versioni di Clementine, che dopo il 1969 non verrà mai più suonata, ed una favolosa versione di Death Don’t Have No Mercy (Rev. Gary Davis), dieci minuti di puro “acid blues” con Pigpen e Garcia protagonisti indiscussi.

A Novembre toccherà ai 50 anni di Live/Dead, uno dei dischi dal vivo più importanti di tutti i tempi: visto anche il periodo pre-natalizio non mi dispiacerebbe un bel cofanetto.

Marco Verdi

Uno Dei Dischi Cardine Della Psichedelia Californiana Degli Anni Sessanta. Grateful Dead – Anthem Of The Sun 50th Anniversary

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Grateful Dead – Anthem Of The Sun 50th Anniversary – Rhino/Warner 2CD

Prosegue la ristampa della discografia ufficiale dei Grateful Dead in occasione dei cinquantenari dall’uscita degli album originali: dopo la ripubblicazione deluxe del loro esordio omonimo avvenuta lo scorso anno https://discoclub.myblog.it/2017/01/29/ci-mancavano-solo-le-ristampe-dei-cinquantesimi-grateful-dead-50th-anniversary-deluxe-edition/ , un’operazione che ha attirato diverse critiche in quanto dovrebbe terminare nel 2039 con la riedizione di Built To Last (il loro ultimo disco in studio), con il rischio concreto che molti fans della prima ora non possano completare l’opera per motivi anagrafici (ammesso e non concesso che tra 21 anni esisteranno ancora i CD). Anthem Of The Sun, uscito appunto nel 1968, è considerato da molti il primo vero album in cui i Dead introducono il loro suono, in quanto nel debutto di The Grateful Dead, pur essendo presenti diversi futuri classici delle loro esibizioni dal vivo, il gruppo di San Francisco aveva deciso di includere canzoni piuttosto brevi (con l’eccezione di Viola Lee Blues) e con arrangiamenti rock che non avevano ancora del tutto le caratteristiche del suono che li renderà famosi.

Per contro, Anthem Of The Sun è esattamente l’opposto, in quanto presenta soltanto cinque brani, di cui uno solo di breve durata: non solo, ma di tutta la discografia dei Dead è quello in assoluto che si avvicina di più al suono dei loro concerti, grazie soprattutto all’idea, decisamente innovativa per l’epoca, di mischiare incisioni in studio con spezzoni di vari live show, creando una sorta di ibrido. In seguito diventerà la prassi per molti artisti “aggiustare” i dischi dal vivo con incisioni in studio (e quasi mai dichiarandolo), ma il caso di Anthem Of The Sun, cioè un disco in studio viceversa aggiustato con frammenti live, è tuttora abbastanza unico. I cinque brani presenti in questo disco diventeranno tutti dei veri classici del gruppo, e sono ancora oggi considerati uno dei punti più alti della musica psichedelica dell’epoca, con una band in stato di grazia, guidata da un Jerry Garcia ai vertici della sua creatività: in questo album i Dead sono tra l’altro in una formazione a sette elementi che non durerà a lungo, con Tom Constanten che si aggiunge allo zoccolo duro formato da Garcia, Bob Weir, Ron “Pigpen” McKernan (il sui organo è un altro elemento indispensabile nell’economia del suono), Phil Lesh e la doppia batteria di Mickey Hart e Bill Kreutzmann. Questa ristampa deluxe, che esce con la copertina a cui è stato donato uno splendido effetto lenticolare in 3D, presenta nel primo CD l’album originale in due diversi missaggi, quello del 1968 ed il remix del 1971: le differenze sono minime, anche se il secondo sembra meno confuso ed “impastato”, oltre a prolungare la durata di alcuni brani.

I cinque pezzi del disco sono, come ho già detto, tutti molto noti tra i fans dei Dead, a partire dalla straordinaria That’s It For The Other One, una mini-suite in quattro movimenti che lascia ampio spazio alle scorribande dei nostri, con Garcia e Weir che si alternano alle parti vocali soliste: pura psichedelia, con tanto di finale rumoristico ad opera di Constanten. La lenta e sinuosa New Potato Caboose (di Lesh), che vede addirittura spuntare un clavicembalo, ha soluzioni melodiche e strumentali che la avvicinano al pop, anche se la parte centrale dà spazio ad una grande performance di Jerry, mentre Born Cross-Eyed mantiene le atmosfere lisergiche nonostante duri poco più di due minuti. Il disco termina con la rockeggiante Alligator, ancora di Lesh, che è un fluido brano tutto giocato su cambi di ritmo ed improvvisazioni varie, e con Caution (Do Not Stop On Tracks), un rock-blues allucinato che è anche il momento in cui Pigpen si prende il centro della scena (ma Garcia si fa largo a suon di assoli).

Il secondo CD propone un concerto, ovviamente inedito, registrato al Winterland di San Francisco nell’autunno del 1967 (anche la ristampa dello scorso anno prendeva in esame uno show dell’anno precedente). Un concerto bello, potente e lisergico quanto basta, con Garcia ovviamente sugli scudi ma anche il resto della band (ancora senza Constanten) che lo segue con sicurezza, con McKernan in testa. La serata inizia con una vibrante versione dell’apocalittica Morning Dew, molto bella, e prosegue tra momenti di pura psichedelia (New Potato Caboose, con Jerry strepitoso), cover di classici del blues (It Hurts Me Too di Elmore James) e brani dove emergono sia il lato roots della band (Cold Rain And Snow) che quello rock’n’roll (Beat It On Down The Line). Le due canzoni restanti sono anche gli highlights del concerto: una scintillante rilettura di Turn On Your Lovelight di Bobby “Blue” Bland, che diventerà un must dei loro show, ed una spettacolare That’s It For The Other One di 15 minuti, che chiude la serata in deciso crescendo.

Quindi all’anno prossimo, con la ristampa di uno dei lavori dei Dead che preferisco (Aoxomoxoa) e, se la campagna di riedizioni prevede anche i dischi dal vivo, di Live/Dead, uno degli album registrati on stage più importanti di sempre.

Marco Verdi