Un Altro Ottimo Album Disponibile Per Ora Solo Per il Download, In CD dal 15 Gennaio (E In Europa Dal 12 Febbraio). Jeff Tweedy – Love Is The King

jeff tweedy love is the king

Jeff Tweedy – Love Is The King – dBpm Records – Digital Download/Streaming – CD Vinyl 15-01-2021 USA/12-02-2021 Europe

Jeff Tweedy in questi ultimi anni si sta dedicando con continuità alla sua carriera solista, un disco ogni anno e nel 2019 ha trovato anche il tempo per pubblicare un nuovo disco dei Wilco Ode To Joy, al quale sarebbe dovuto seguire un tour nel 2020, cancellato per le note vicende della pandemia. E quindi il nostro amico ha pensato bene di registrare questo Love Is The King, suo quarto album solo: d’altronde se uno ha uno studio personale come il The Loft in quel di Chicago, Illinois, spesso usato anche da altri musicisti, per “passare il tempo” è sembrata quasi una cosa normale farlo, nel mese di aprile, in pieno lockdown, se per caso hai pure un figlio batterista e un altro che canta, e al resto ci pensi tu, i giochi sono fatti. Poi, come ormai sta diventando una usanza consolidata nell’ultimo anno, il disco viene pubblicato prima in digitale al 23 ottobre, mentre il formato fisico in CD e vinile sarà disponibile dal 15 gennaio 2021 (e in Europa un ulteriore probabile rinvio al 12 febbraio).

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Come vogliamo chiamarlo, il disco, ha già avuto ottime recensioni, come nel caso degli ultimi album di Tweedy ha bisogno di un po’ di ascolti, ma alla distanza cresce: undici canzoni, una scritta con George Saunders (non conoscevo, uno scrittore e giornalista texano), abbastanza tranquille e placide quasi tutte, cantate con la sua voce magari non bella ma subito riconoscibile. Love Is The King parte con una chitarra acustica arpeggiata, poi entra un basso marcato, la batteria scandita, un po’, volendo fare dei paragoni, il sound secco di Plastic Ono Band il primo disco solista dell’amato John Lennon, non c’è la chitarra elettrica esuberante di Nels Cline (che ha da poco pubblicato un disco solista), ma quella di Jeff ci regala un assolo di grande bellezza, in un crescendo affascinante che attira subito l’attenzione dell’ascoltatore https://www.youtube.com/watch?v=YHklzxUtLh4 . Opaline segna un ritorno alle sonorità “country” degli Uncle Tupelo o dei primi Wilco, una bellissima melodia sempre con la chitarra in evidenza e un’aura pigra ma non indolente, luminosa e brillante, quasi ottimista e consolatoria, uno splendore https://www.youtube.com/watch?v=bOHGWo02yxg , Tweedy potrà avere ammorbidito il suo approccio ma è sempre un fior di musicista, sentite anche il delizioso omaggio alla vecchia musica country di Buck Owens in Natural Disaster con tanto di assolo in chicken-pickin’ di Jeff https://www.youtube.com/watch?v=jmaq3mUplrQ , o il folk minimale e fischiettato della intimista Save It For Me, solo chitarra acustica, basso e batteria, e le armonie vocali del figlio Sammy.

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Guess Again è di nuovo lennoniana, il John casalingo, amoroso ed ottimista degli ultimi anni prima della tragedia, visto ovviamente attraverso l’ottica di un ispirato Tweedy alle chitarre, con il figlio Spencer che si conferma brillante ed eclettico batterista https://www.youtube.com/watch?v=X46rveNq9GE , tornando indietro troviamo il soffice alternative country di A Robin Or A Wren che tratta l’argomento della morte in modo sofisticato e complesso, quasi fatalista “the end of the end / Of this beautiful dream we’re in”, sempre con le belle armonie vocali del figlio Sammy https://www.youtube.com/watch?v=jGC3BB-YA0o . Ma non manca neppure un rock più marcato in Gwendolyn, quando Jeff lascia andare le chitarre, senza esagerare ma con la sua proverbiale classe https://www.youtube.com/watch?v=0aqwuQuhP5U , per poi tornare ad un approccio più delicato in Bad Day Lately che però non manca di improvvise aperture dove il suono si fa più incisivo, sempre con la diversa timbrica delle chitarre a caratterizzarne il suono https://www.youtube.com/watch?v=8cObf6rZwGE .

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Even I Can See, solo voce e chitarra, sembra quasi un madrigale, con una chiusura strumentale da british folk anni ‘70, avete presente gli Amazing Blondel? Troubled e Half-Sleep poste in chiusura confermano la ritrovata vena del frontman dei Wilco, sempre in questa sua “nuova” versione più intima e rilassata, ma con soluzioni sonore e melodie di grande fascino, la seconda sulle ali di una chitarra acida che si insinua nell’apparente sonnolento dipanarsi della canzone. In un periodo di poche uscite discografiche un album, quello di Jeff Tweedy, da sentire con attenzione, ma che alla fine riserva le sue soddisfazioni all’ascoltatore più attento.

Bruno Conti

E Questi Da Dove Spuntano? Però Molto Bravi! Loose Koozies – Feel A Bit Free

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Loose Koozies – Feel A Bit Free – Outer Limits Lounge LP/Download

Da anni il mercato discografico indipendente americano è diventato una giungla quasi infinita, con decine e decine di uscite mensili di vario genere e livello: è ovvio che non è umanamente possibile stare dietro ad ogni nuovo solista o band che si affaccia sul panorama musicale, ma a volte capita di imbattersi in dischi che rispondono pienamente ai nostri gusti, e che magari sono pure belli. Un valido esempio è certamente questo Feel A Bit Free, album d’esordio dei Loose Koozies (avevano pubblicato solo un singolo nel 2018) quintetto proveniente da Detroit ma con un suono che non ha nulla a che vedere con la Motor City. Infatti i nostri non fanno rock urbano né hard né alternativo, ma suonano un’accattivante miscela di rock’n’roll e country di stampo quasi rurale e con un innato senso del ritmo e della melodia. Pura American Music quindi: i cinque non seguono le orme né di Bob Seger né di Alice Cooper (per citare due icone rock della capitale del Michigan), ma il loro sound ricorda da vicino i primi Uncle Tupelo ed i Son Volt, anche per il timbro di voce del leader E.M. Allen molto simile a quello di Jay Farrar (completano il gruppo il lead guitarist Andrew Moran, Pete Ballard alla steel, Erin Davis al basso e Nick German alla batteria).

Feel A Bit Free è prodotto da Warren Defever (leader della band alternativa His Name Is Alive), il quale si occupa anche di suonare piano ed organo, ed è quindi un ottimo dischetto che farà la felicità di quanti amano il country-rock alternativo a quello di Nashville: rispetto alle due band citate poc’anzi (Tupelos e Son Volt), qui la componente country è leggermente maggiore se non altro per il notevole peso specifico della steel nel sound generale, ma i ragazzi non si tirano certo indietro quando si tratta di arrotare le chitarre; last but not least, le canzoni sono ben scritte e sono tutte dirette e piacevoli, e quindi nei quaranta minuti di durata del disco non c’è un solo momento di stanca. Il dischetto inizia in maniera splendida con Easy When You Know How, un country-rock limpido e solare dotato di una melodia scintillante ed un bel suono elettroacustico molto roots, il tutto completato da ottime parti di chitarra: un avvio brillante. Nella cadenzata Forget To Think spunta la steel guitar anche se il brano è molto più rock che country, anzi l’approccio mi ricorda quello di gruppi come Jason & The Scorchers o Old 97’s, un pezzo coinvolgente e suonato alla grande; Marita è più morbida e countreggiante, una ballata in cui però la parte rock non è affatto sopita, un po’ come quando i Rolling Stones fanno (facevano) un pezzo country (ed il refrain è vincente), mentre con la saltellante Rollin’ Heavy torniamo in territori più propriamente country, pur con il suono elettrico tipico dei nostri con chitarre e steel a creare una miscela perfetta, unita ad un motivo delizioso.

Lotsa Roads è puro rock’n’roll, chitarre che riffano che è un piacere, gran ritmo e mood travolgente, in aperto contrasto con Sugar Notch, PA che è invece una turgida ballata elettroacustica dal sapore western-crepuscolare, con la chiara influenza di Gram Parsons, un’atmosfera evocativa ed un ispirato assolo da parte di Moran. Slow Down Time è il singolo di due anni fa, un rockin’ country diretto e gustoso ancora con le chitarre in evidenza ed uno squisito ritornello alla Tom Petty; una languida steel apre la strepitosa Hazel Park Race Track, altro pezzo trascinante che coniuga alla perfezione rock e country, in cui il canto “scazzato” di Allen si integra benissimo e ci porta alla bella Hills, una country ballad elettrica dal sapore quasi texano. Il disco termina con la lunga Something To Show, quasi sette minuti che si staccano decisamente dal resto del disco con i Koozies che ci propongono uno slow rarefatto ed etereo dai toni quasi psichedelici, per poi tornare subito coi piedi per terra con la conclusiva Last Year, puro country’n’roll a tutto ritmo, godibile ed avvincente.

Sentiremo ancora parlare dei Loose Koozies, sono pronto a metterci la firma.

Marco Verdi

*NDB Purtroppo non esiste la versione CD, solo LP o download digitale, come ultimamente, anche per la situazione globale, capita sempre più spesso.

Un Bel Disco, Ulteriormente Potenziato E Migliorato. Son Volt – Okemah And The Melody of Riot

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Son Volt – Okemah And The Melody Of Riot – 2 CD Transmit Sound/Thirty Tigers

Proseguono le ristampe potenziate del catalogo dei Son Volt: dopo quella di The Search uscita ad Aprile, che già rivalutava l’opera della band nella seconda parte di carriera, arriva ora Okemah And The Melody Of Riot, quarto album della loro discografia, e il primo ad uscire dopo la lunga pausa dal 1999 al 2004. All’origine il disco avrebbe dovuto essere registrato con la prima formazione della band, che si era già ritrovata per incidere un brano per il tributo ad Alejandro Escovedo, e viste le buone vibrazioni aveva deciso di continuare, ma poi qualcosa deve essere andato storto e Jay Farrar ha messo in piedi una formazione completamente diversa, con Andrew Duplantis al basso e alle armonie vocali, Dave Bryson alla batteria e l’ottimo Brad Rice alla chitarra (già nelle band di Ryan Adams e Peter Case, e con Backsliders e Whiskeytown). Il suono ottenuto era decisamente più (alternative) rock rispetto ai loro classici dischi degli anni ’90, ma per nulla disprezzabile, come invece alcuni critici, peraltro non tutti, avevano sentenziato all’epoca all’uscita del disco.

Album che già in origine uscì in diversi formati, tra cui una versione Dual Disc (qualcuno li ricorda? I dischetti a doppio strato con audio e video insieme), che conteneva delle bonus nella parte DVD della confezione. Questa nuova versione aggiunge ulteriore materiale, nel secondo CD ci sono due brani extra e sette pezzi dal vivo, mentre il CD originale, a differenza di The Search, dove era stata cambiata la sequenza dei brani, mantiene quella della prima edizione. Il disco non sarà forse un capolavoro, ma rispetto a molti dei dischi di rock contemporanei, ha parecchie frecce al suo arco: il suono è decisamente più elettrico e chitarristico, spesso vibrante, ma lasciando comunque spazio alle malinconiche ballate che sono sempre state nel DNA di Farrar sin dai tempi degli Uncle Tupelo. Il suono potrebbe ricordare quello dei R.E.M. della prima fase: prendiamo il primo brano, Bandages And Scars, con un testo che si richiama a Woody Guthrie per fare un parallelo con la situazione politica di quegli anni (in un album che è comunque tra i più “impegnati” in questo senso di Farrar), ma musicalmente le chitarre sono molto presenti  e tirate, con un suono lontano (ma non poi così tanto) dall’alt-country  e dal suono roots dei primi dischi, il cantato di Jay è quello tipicamente laconico e laidback, caratterizzato da quella voce immediatamente riconoscibile, anche se calata in una dimensione decisamente più R&R ,estremamente godibile e mossa. Potrebbe ricordare i lavori più elettrici di Neil Young, o un country-rock più energico  anni ’70; della stessa tempra sonora anche Afterglow 61, sempre potente e con le chitarre mulinanti, come pure la vivace 6 String Belief, che il lavoro delle chitarre lo magnifica fin dal titolo, e pure Jet Pilot a tutto riff, completa la trilogia rock di apertura.

Atmosphere è una bella ballata mid-tempo cadenzata, dall’ambientazione solenne e malinconica, con improvvise accelerazioni e cambi di tempo. Ipecac ci riporta al sound acustico e meditato dei primi album, ed è un ottimo brano, dove si apprezza lo spirito più gentile della band, mentre Who mi ha ricordato il suono dei sopracitati R.E.M., con un bel jingle jangle delle chitarre, con Endless War che vira addirittura verso atmosfere leggermente psichedeliche alla Gene Clark, poi ribadite in Medication,in un ambito più folk e ricercato, con piccoli tocchi orientaleggianti che rimandano a Bert Jansch o ai Pentangle, anche grazie alla slide e al dulcimer di Mark Spencer. Con le chitarre elettriche che ritornano a farsi sentire nella Younghiana Gramophone, dove fa capolino anche una armonica o nella atmosferica Chaos Streams, prima di regalarci la deliziosa, sognante e pianistica Wolrd Waits For You, con tanto di ripresa e coda chitarristica con la pedal steel di Eric Heywood e la slide di John Horton in bella evidenza. Exurbia e la pianistica Anacostia, i due inediti di studio aggiunti, appartengono al lato più intimista di Farrar, mentre tra i brani dal vivo spiccano une deliziosa Joe Citizen Blues con un ottimo Rice alla solista e Afterglow 61,anche questa ripresa dal vivo a Philadelphia nel maggio del 2005. La sequenza di altri cinque brani Live tratti dall’album conferma l’impressione che i Son Volt dell’epoca erano una eccellente band. Una ottima ristampa da avere, e non solo per mero “completismo”,

Bruno Conti

E Sempre Il 1° Dicembre Escono Anche Due Ristampe Potenziate Dei Wilco: A.M. E Being There.

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Wilco – A.M. – CD Deluxe – Reprise/Rhino 

Wilco – Being There – 5 CD Deluxe Edition Reprise/Rhino 

Vengono ristampati in edizioni potenziate anche i primi due dischi dei Wilco, A.M. del 1995 e Being There del 1996, quelli più country-rock e alternative rock, ma anche Beatlesiani, registrati da Jeff Tweedy e soci subito dopo lo scioglimento degli Uncle Tupelo. Soprattutto nel secondo album cui viene aggiunto un CD bonus di studio, oltre a due CD dal vivo. Comunque ecco le nuove tracklist complete di entrambe le ristampe.

A.M. Deluxe Edition

1. I Must Be High (Remastered)
2. Casino Queen (Remastered)
3. Box Full Of Letters (Remastered)
4. Shouldn’t Be Ashamed (Remastered)
5. Pick Up The Change (Remastered)
6. I Thought I Held You (Remastered)
7. That’s Not The Issue (Remastered)
8. It’s Just That Simple (Remastered)
9. Should’ve Been In Love (Remastered)
10. Passenger Side (Remastered)
11. Dash 7 (Remastered)
12. Blue Eyed Soul (Remastered)
13. Too Far Apart (Remastered)
Bonus Tracks:
14. When You Find Trouble – Uncle Tupelo
15. Those I’ll Provide
16. Lost Love (Take 1 Vocal 2)
17. Myrna Lee
18. She Don’t Have To See You
19. Outtasite (Outta Mind) [Early Version] [Take 6]
20. Piss It Away
21. Hesitation Rocks

Being There Super Deluxe 5 CD Edition

CD1]
1. Misunderstood (Remastered)
2. Far, Far Away (Remastered)
3. Monday (Remastered)
4. Outtasite (Outta Mind) [Remastered]
5. Forget The Flowers (Remastered)
6. Red-Eyed And Blue (Remastered)
7. I Got You (At The End Of The Century) [Remastered]
8. What’s The World Got In Store (Remastered)
9. Hotel Arizona (Remastered)
10. Say You Miss Me (Remastered)

[CD2]
1. Sunken Treasure (Remastered)
2. Someday Soon (Remastered)
3. Outta Mind (Outta Sight) [Remastered]
4. Someone Else’s Song (Remastered)
5. Kingpin (Remastered)
6. (Was I) In Your Dreams [Remastered]
7. Why Would You Wanna Live (Remastered)
8. The Lonely 1 (Remastered)
9. Dreamer In My Dreams (Remastered)

[CD3]
1. Late Blooming Son
2. I Got You (Dobro Mix Warzone)
3. Out Of Sight, Out Of Mind (Alternate)
4. Far Far Away (Dark Side Of The Room)
5. Dynamite My Soul
6. Losing Interest
7. Why Would You Wanna Live (Alternate)
8. Sun’s A Star
9. Capitol City
10. Better When I’m Gone
11. Dreamer In My Dreams (Alternate Rough Take)
12. Say You Miss Me (Alternate)
13. I Got You (Alternate)
14. Monday (Party Horn Version)
15. I Can’t Keep From Talking

[CD4]
1. Sunken Treasure (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
2. Red-Eyed And Blue (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
3. I Got You (At The End Of The Century) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
4. Someone Else’s Song (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
5. Someday Soon (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
6. Forget The Flowers (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
7. New Madrid (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
8. I Must Be High (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
9. Passenger Side (Punk Version) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
10. Passenger Side (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
11. Hotel Arizona (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
12. Monday (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
13. Say You Miss Me (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]

[CD5]
1. Outtasite (Outta Mind) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
2. The Long Cut (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
3. Kingpin (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
4. Misunderstood (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
5. Far, Far Away (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
6. Give Back The Key To My Heart (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
7. Gun (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
8. Sunken Treasure (Live On KCRW 11/13/96)
9. Red-Eyed And Blue (Live On KCRW 11/13/96)
10. Far, Far Away (Live On KCRW 11/13/96)
11. Will You Love Me Tomorrow (Live KCRW 11/13/96)

Non ho avuto tempo di controllare con attenzione ma mi pare che qualcosa era già uscito nel cofanetto quadruplo di inediti e rarità del 2014 Alpha Mike Foxtrot: Rare Tracks 1994 – 2014. Solo poca roba comunque, rimane molto materiale di cui gioire per i fans della band, e anche per chi ama la buona musica rock in generale. Escono entrambi il 1° Dicembre.

Bruno Conti

Un’Altra Nuova Band Dal Grande Futuro (Si Spera). The Show Ponies – How It All Goes Down

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The Show Ponies – How It All Goes Down – Freeman CD

Non solo, almeno a parere del sottoscritto, gli Old Crow Medicine Show sono la miglior band americana del nuovo millennio (superiori di poco anche ad Avett Brothers e più nettamente anche ai Mumford And Sons), ma negli ultimi anni si può dire che i ragazzi della Virginia abbiano creato un vero e proprio suono e sono stati presi come riferimento da una lunga serie di gruppi nati dopo di loro. Il rielaborare la tradizione folk e country aggiungendo robuste dosi di rock lo si faceva già negli anni novanta (basti pensare ad Uncle Tupelo ed ai primi Jaykawks), ma gli OCMS hanno avuto il grande merito di rivitalizzare un genere, quello roots-rock-Americana, che forse cominciava a mostrare un po’ la corda, tra l’altro con l’ausilio quasi totalmente di strumenti acustici, ma suonati con la forza di una vera rock band. Nei gruppi che seguono questo filone farei senz’altro ricadere gli Show Ponies, un quintetto di Los Angeles con già un disco al proprio attivo ((We’re Not Lost, 2013), e il cui nuovo lavoro How It All Goes Down mi è piaciuto a tal punto che non ho difficoltà ad inserirli tra i migliori nuovi gruppi degli ultimi tempi. I cinque si sono conosciuti circa otto anni fa al college, e quindi di membri originari della Città degli Angeli non c’è nessuno: i due leader sono Clayton Chaney (dall’Arkansas, voce solista e basso) ed Andi Carder (texana di Houston, voce solista e banjo), i quali hanno formato il primo nucleo assieme a Jason Harris (chitarra e piano, anch’egli di Houston), per poi completare il quintetto in un secondo momento con Kevin Brown (batteria) e Philip Glenn (violino). I cinque hanno presto scoperto di avere gli stessi interessi musicali e hanno cominciato a scrivere e suonare insieme: non conosco il loro debut album, ma vi assicuro che questo secondo lavoro è davvero notevole.

Rispetto agli OCMS (che, va detto,  comunque restano nettamente superiori) gli Show Ponies sono decisamente più rock, le chitarre elettriche sono spesso presenti all’interno delle canzoni, ma la base di partenza è sempre folk, ed in più i cinque suonano con grande forza e feeling: tra ballate, pezzi più rock o canzoni di stampo puramente folk, i nostri mostrano di essere decisamente creativi e di avere un grande senso del ritmo e della melodia, consegnandoci con How It All Goes Down (uscito il 20 gennaio) una delle sorprese più piacevoli di questo 2017, con almeno tre-quattro canzoni di caratura superiore. Folk, country, rock e bluegrass fusi insieme in un cocktail molto stimolante ed in grado anche di entusiasmare a tratti, come nel brano che apre il disco, The Time It Takes, stupendo folk-rock dalla melodia cristallina, incroci chitarristici di prim’ordine ed uno splendido pianoforte: l’alternanza tra le due voci soliste, maschile e femminile, è poi uno dei punti di forza del gruppo. Un inizio perfetto, una delle più belle canzoni che ho ascoltato ultimamente. This World Is Not My Home ha un approccio più tradizionale, banjo e violino sono gli strumenti principali (e Glenn è un fiddler coi controfiocchi), anche se né la chitarra elettrica né la sezione ritmica fanno mancare il loro apporto: dopo la prima strofa il ritmo cresce vorticosamente e, complice anche un refrain di presa immediata, il brano diventa irresistibile; la voce gentile della Carder introduce Kalamazoo, un folk tune elettrificato ma di stampo rurale, con grande uso di violino e tempo sempre mosso anche se più leggero, mentre con Someone To Stay si torna prepotentemente in ambito rock, anzi qui la componente folk sarebbe quasi assente se non fosse per il violino, ed il pezzo è uno scintillante ed orecchiabile esempio della bravura dei nostri nel confezionare canzoni fresche, dirette e creative al tempo stesso.

Should Showed Him è una filastrocca un po’ sghemba e dall’arrangiamento ancora più rock (anche il violino viene suonato come fosse una chitarra elettrica), per un brano forse meno immediato ma comunque grintoso e stimolante; Folks Back Home è invece puro folk, limpido, cristallino, solare e delizioso, mentre Only Lie è più introversa, spezzettata e decisamente meno immediata, non tra le migliori. Something Good e Sweetly sono due tenui slow ballads, tra folk d’altri tempi e cantautorato puro (leggermente meglio la seconda, cantata da Andi) ed anche If You Could Break That Chain prolunga il momento intimista del CD, con un altro lento di stampo acustico, dal bel ritornello corale e con una chitarra elettrica che si affaccia sullo sfondo. Il disco si chiude in crescendo con la pimpante Don’t Call On Me, un country-rock gustoso e suonato con la solita forza, l’intensa (e breve) Bravery Be Written, folk purissimo con un chiaro accento irlandese, e con la title track, melodia di stampo tradizionale su base elettrica, altro fulgido esempio di come si possano scrivere ottime canzoni giusto a metà tra folk e rock, da parte di un gruppo che, ne sono certo, ha cominciato solo adesso a far parlare di sé.

Marco Verdi

Non E’ Nuovo, Ma E’ Come Se Lo Fosse! American Aquarium – The Bible & The Bottle

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American Aquarium – The Bible & The Bottle – American Aquarium CD

Gli American Aquarium sono una delle band più prolifiche in ambito alternative country, in quanto hanno pubblicato ben otto album (incluso un live) in dieci anni di carriera. Formatisi nel 2006 a Raleigh, North Carolina (città con una bella scena musicale, si pensi ai grandi Whiskeytown di Ryan Adams, ma anche ai Backsliders ed ai Connells, e pure gli Avett Brothers non distano molto dalla capitale dello stato) su iniziativa del cantante e chitarrista BJ Barham: The Bible & The Bottle non è però il loro nuovo disco, bensì la ristampa del secondo CD, uscito nel 2008 e da tempo introvabile, ma devo dire che suona fresco e piacevole come se fosse stato registrato pochi mesi fa. All’epoca di queste incisioni gli Aquarium erano diversi da come sono oggi, infatti oltre a Barham l’unico membro ancora presente è il bassista Bill Corbin: nella formazione del 2008 c’erano poi Chris Hibbard alla batteria, Jeremy Haycock alla chitarra solista, ed i bravissimi Sarah Mann e Jay Shirley, rispettivamente al violino e pianoforte, e con la ciliegina di Caitlin Cary (parlando di Whiskeytown) ospite ai cori.

The Bible & The Bottle presenta un gruppo ancora alle prime armi, ma con già una sua identità ed un suo suono: diciamo che non si sono ancora palesate alcune tendenze future, che hanno visto i nostri aggiungere elementi southern ed anche funk, ma abbiamo comunque undici canzoni (tutte di Barham) di pura Americana, con dentro tanto country unito a massicce dosi di rock, con il folk a fare da tramite tra i due generi; se si può fare un paragone, il suono non è troppo distante da quello dei primi Uncle Tupelo, ma anche del già citato ex gruppo di Ryan AdamsDown Under è una country song limpida e tersa, con grande uso di steel e piano, un brano davvero godibile: country vero, non come quello prodotto a Nashville, ma molto vicino all ex band di Jeff Tweedy e Jay Farrar. California è più rock che country, il violino stempera un po’ l’atmosfera, ma la sezione ritmica picchia sodo, anche se il tutto è molto equilibrato, con echi dello Steve Earle degli esordi; Road To Nowhere è un lento di chiaro stampo cantautorale, che riesce ad emozionare solo con l’uso della voce, una steel sullo sfondo ed il notevole piano di Shirley, un brano toccante che dimostra che il gruppo c’era già, eccome.

Tellin’ A Lie è un folk rock suonato e cantato con vigore quasi punk, con un uso dell’organo come negli anni sessanta, e l’influenza dei Rolling Stones  neanche troppo nascosta, anche se il violino dona al pezzo un sapore rurale; Bible Black October è una deliziosa ballata bucolica, con BJ che canta con voce leggermente filtrata, piano e violino guidano la melodia, che ricorda ancora il gruppo di Jagger e Richards quando si cimenta con il country. Manhattan è uno slow dall’arrangiamento classico, molto anni settanta, con Gram Parsons in mente ed un motivo fresco e piacevole, mentre la mossa e saltellante Come Around This Town è quasi uno swing un po’ obliquo, tra country e rock; niente male anche Monsters, altra ballad dallo script lucido e dal mood crepuscolare, dotata di un bel crescendo ed uno sviluppo molto creativo. La folkeggiante Stars And Scars assume toni quasi Irish, complice l’uso in tal senso del violino e la struttura melodica che la fa sembrare quasi un traditional, Lover Too Late è un’altra fulgida ballata, degna di gruppi molto più maturi di quanto non fossero i nostri all’epoca, mentre Clark Ave., che chiude il CD, è un rock’n’roll sciolto e trascinante, un finale in cui i ragazzi si lasciano andare e suonano con il preciso intento di divertirsi.

Non fate caso al fatto che The Bible & The Bottle sia un disco di otto ani fa: ancora oggi è molto meglio dell’80% delle nuove uscite di artisti cosiddetti cool.

Marco Verdi