Nel Periodo Dell’Isolamento Hanno Fatto Questo Breve E Piacevole Dischetto. Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020

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Sammy Hagar & The Circle – Lockdown 2020 – F.W.O. Inc/Mailboat Records

Si moltiplicano i dischi registrati dai musicisti che se lo sono potuti permettere durante il periodo di isolamento: l’ultimo della lista, per ora, è Sammy Hagar, che insieme ai componenti della sua ultima band The Circle, ha realizzato questo nuovo album, significativamente intitolato Lockdown 2020, con ognuno che ha registrato la sua parte da remoto nella propria abitazione, poi grazie alla tecnica digitale il tutto è stato assemblato per creare un disco fatto e finito. Il gruppo, che nel 2019 aveva pubblicato l’album di debutto Space Between, arrivato fino al 4° delle classifiche, ed è comunque in attività dal 2014, è formato oltre che da Hagar dal bassista dei Van Halen Michael Anthony, dal batterista Jason Bonham, figlio di… e dal chitarrista Vic Johnson, già collaboratore di Sammy nei Waboritas. Ovviamente stiamo parlando di un album di hard’n’heavy, costituito però tutto da cover, meno un brano nuovo Funky Feng Shui, che è quello che ha dato il “la” al progetto (un po’ come aveva fatto nel 1985 il predecessore di Hagar nei Van Halen, David Lee Roth con il mini album Crazy From The Heat).

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Il nostro amico Sammy aveva esordito nel lontano 1973 nei Montrose, una delle band migliori di classic rock americano, autori di quattro dischi negli anni ‘70, guidati appunto da Ronnie Montrose, che in precedenza aveva suonato anche con il Van Morrison californiano nel 1971/’72, quindi non il primo pirla che passava per strada. E rock molto robusto troviamo anche nel nuovo CD (curiosamente distribuito dalla Mailboat, l’etichetta di Jimmy Buffett): lasciando perdere il dibattito se sia meglio lui o David Lee Roth (secondo me nessuno dei due, ma è un parere personale), Hagar, conosciuto come The Red Rocker, non ha più l’ugola di un tempo a 73 anni suonati, ma se la cava ancora, e il contenuto del disco, a chi piace il genere, è in ogni caso godibile e ben suonato. Funky Feng Shui come da titolo è un breve divertissement a tempo di funky https://www.youtube.com/watch?v=gzflDi1NH4Y , poi partono le cover, Won’t Get Fooled Again degli Who è solo un breve intramuscolo di due minuti (non il pezzo completo), come peraltro tutti i brani che faticano a superare i 3 minuti, assai simile all’originale, ma finisce quasi prima di iniziare, anche se il classico riff non manca https://www.youtube.com/watch?v=OyMAJ8JGxkU , Good Enough era su 5150, il primo disco dei Van Halen con Hagar, niente assoli devastanti ma un po’ di tapping di Johnson tipo quello che faceva Eddie.

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A seguire un tuffo nel repertorio di Bob Marley con Three Little Birds, un pezzo che era su Exodus, reggae music, ma sempre piuttosto robusta, nello stile dei Circle, seguita da uno dei classici assoluti dell’hard e degli AC/DC Whole Lotta Rosie, un vero festival del riff, con un Sammy Hagar che in tutte le sessions si dimostra in ottima forma vocale. In effetti per il disco sono stati realizzati una serie di video su YouTube, uno per ogni canzone. Si scava ancora di più nel passato per la classica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield  con citazione di Walk On The Wild Side https://www.youtube.com/watch?v=QdY460-XBpY , e ancora più indietro per una scatenata Keep A-Knockin’ di Little Richard, dove nell’incipit Jason Bonham ruba al babbo una drum intro di quelle tipiche degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=vnRqIkwK_2w ; a seguire troviamo un altro terzetto di brani dei Van Halen, Right Now che era su For Unlawful Carnal Knowledge, ovvero F.U.C.K, uno dei rari brani dal testo social-politico del gruppo, seguito da Don’t Tell Me What Love Can Do da Balance del 1995, più duro e tirato, e infine Sympathy For The Human riportata come nel repertorio dei Van Halen, ma che era nell’album dei Waboritas del 1999. In chiusura troviamo una versione tirata e gagliarda di Heroes (dedicata agli eroi della pandemia) di David Bowie, con la band che ci dà dentro di gusto https://www.youtube.com/watch?v=CBAvI9IVF8Q ,come peraltro in tutto l’album, per una mezz’oretta piacevole e disimpegnata.

Bruno Conti

Ma Lassù Avevano Bisogno Di Un Chitarrista? A 65 Anni Ci Ha Lasciato Eddie Van Halen.

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Anche se questo blog tratta solo saltuariamente di hard rock classico degli anni 70 (e spesso su indicazioni del sottoscritto), data l’importanza e la popolarità del personaggio Bruno mi ha invitato a scrivere un breve ricordo: è scomparso ieri a Santa Monica all’età di appena 65 anni Edward Lodewijk Van Halen, meglio conosciuto come Eddie Van Halen, dopo una purtroppo inutile battaglia contro un cancro alla gola. Di origini olandesi, Eddie emigrò con la famiglia a Pasadena, California, all’età di sette anni, ed iniziò presto ad appassionarsi alla musica rock insieme al fratello Alex dopo aver ascoltato fino alla noia Jimi Hendrix e Led Zeppelin; dotato di un talento innato, Eddie divenne presto un chitarrista prodigio e formò nel 1972 una band con Alex (che suonava la batteria) che solo due anni dopo ribattezzò Van Halen, riuscendo da subito a suonare in location leggendarie come il Whiskey A Go Go di Los Angeles, dove venne presto notato da emissari della Warner che fecero firmare al gruppo un contratto discografico.

La band (che era completata dal bassista Michael Anthony e soprattutto dal gigionesco cantante David Lee Roth, vero animale da palcoscenico) esordì quindi nel 1978 con l’omonimo Van Halen, un album di hard rock che coniugava tecnica, canzoni coinvolgenti ed appeal radiofonico un po’ come facevano nello stesso periodo in Inghilterra gli Whitesnake, ma soprattutto rivelava l’incredibile talento chitarristico di Eddie, un vero portento della sei corde che in pochi anni diventerà uno degli axemen più influenti della sua generazione (ed anche dei più copiati), e che univa una tecnica sopraffina ad una grande velocità di esecuzione: in particolare Eddie era un maestro nell’arte del “tapping”, che consisteva nel suonare le corde sul manico della chitarra con la mano destra (per lui che era destrorso), “pigiandole” come se fossero i tasti di un pianoforte, stile esemplificato nella celebre Eruption.

Il primo album entrò subito nella Top 20 ed un buon successo ebbe anche il primo singolo, una cover del classico dei Kinks You Really Got Me: una delle ragioni della loro popolarità risiedeva nel fatto che in quel periodo gran parte di un certo tipo di musica hard rock veniva dal Regno Unito, mentre in America oltre a Kiss e Aerosmith non c’era molto, ed i Van Halen diedero in un certo senso il la al cosiddetto movimento “hair metal” che spopolerà nella Los Angeles degli anni ottanta. I nostri ebbero quindi ancora più successo con gli album seguenti, Van Halen II, Women And Children First, Fair Warning e Diver Down, uno per anno dal 1979 al 1982, ma la popolarità mondiale arriverà due anni dopo con l’LP 1984 ed il singolo spacca-classifiche Jump, un brano che personalmente non ho mai amato in quanto infarcito di sintetizzatori e troppo “pop” per i miei gusti.

I nostri però erano ormai nell’olimpo delle band più famose, ed Eddie cominciava ad essere un chitarrista molto ambito (celebre la sua partecipazione a Thriller di Michael Jackson nel brano Beat It), ma con il successo cominciarono ad arrivare le prime frizioni che porteranno Roth ad abbandonare il gruppo e ad essere sostituito da Sammy Hagar (ex voce dei Montrose), che non aveva il carisma di David e risultava anche più sguaiato. Ma 5150 del 1986 sarà ancora più venduto di 1984, ed andranno più che bene anche i successivi tre lavori (fino a Balance del 1995), anche se il crescente movimento grunge, fatale a molte band anni 80, sposterà l’attenzione anche dai Van Halen. Un tentativo di reunion con Gary Cherone degli Extreme come cantante (Van Halen III, 1998) andrà benino ma non benissimo, ed i nostri rimarranno silenti fino al sorprendente ritorno con Roth al microfono nel 2012 con A Different Kind Of Truth, album in cui l’unico membro non facente parte della famiglia Van Halen era proprio David, dato che al basso Anthony aveva ceduto il posto al figlio di Eddie, Wolfgang https://www.youtube.com/watch?v=3WfQ-hV3WtA .

Proprio nel 2012 Eddie, che negli anni passati tra alcol e droghe non si era fatto mancare nulla, inizia ad avere problemi di diverticoli (ma aveva già debellato un cancro alla lingua nel 2000), e nel 2019 comincerà la sua battaglia purtroppo persa contro il tumore alla gola. Resta la testimonianza di un grandissimo della chitarra, fedele fino alla fine alla band da lui creata (non ha mai pubblicato nulla al di fuori dei Van Halen), e che ora allieterà le serate degli abitanti del Paradiso insieme a molti altri suoi colleghi.

Marco Verdi