Un Disco Per La Vita! Walter Trout – The Blues Came Callin’

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Walter Trout – The Blues Came Callin’ – Provogue CD CD/DVD 03-06-2014

Ho sempre considerato Walter Trout uno dei migliori chitarristi di rock-blues attualmente in circolazione, uno degli ultimi grandi prodotti dalla scena americana, negli anni ’70 molta gavetta, poi nei Canned Heat nel 1981 e da lì il passaggio all’ultima grande formazione dei Bluesbreakers di John Mayall, quella che negli anni ’80 lo ha visto a fianco di Coco Montoya, una coppia per una ultima volta in grado di rinverdire i fasti del passato. Nel 1990 ha pubblicato il primo album a nome proprio e quindi si avvicinava a grandi passi il 25° Anniversario della sua carriera da festeggiare nella giusta maniera. Purtroppo, come forse avrete letto, Trout è molto malato, le varie cure che ha tentato nell’ultimo anno per combattere la malattia al fegato che lo ha colpito non hanno dato i frutti sperati, ha perso tra i 50 e i 60 chili di peso, diventando l’ombra di sé stesso, l’unica soluzione per risolvere la situazione, che è sempre più disperata, è quella di un trapianto, ma si tratta di operazioni molto costose, tra annessi e connessi, si parla di 250.000 dollari. Mentre pubblico queste righe siamo circa alla metà di Maggio e la sottoscrizione avviata dalla moglie di Danny Bryant (suo pupillo e protetto) ha comunque raccolto oltre duecentoventimila dollari, e dovrebbe essere chiusa, se volete verificare questo è il link al sito  http://www.youcaring.com/medical-fundraiser/walter-trout-needs-a-new-liver-you-can-help-/151911, sperando di arrivare in tempo.

Ho deciso di anticipare la recensione di questo nuovo CD, The Blues Came Callin’, che uscirà il 3 giugno, anche per permettervi di conoscere la situazione, di esorcizzarla se possibile, come ha fatto Walter  in questo ultimo anno, dopo l’uscita dell’ottimo Luther’s Blues di cui vi avevo parlato giusto un anno fa http://discoclub.myblog.it/2013/06/16/tra-bluesmen-ci-si-intende-walter-trout-his-band-luther-s-bl/ . Nel frattempo la malattia è progredita ma Trout ha continuato a fare concerti e ad incidere questo nuovo album, fino a che le condizioni di salute glielo hanno concesso, ora entra ed esce dall’unità di cura intensiva tra un ospedale del Nebraska e l’UCLA in California. I testi delle canzoni, sono molto influenzati, ovviamente, dalla sua attuale situazione, ma il disco è sorprendentemente vivo e vitale, uno dei suoi migliori in assoluto e dove non arriva la sua voce, a tratti affaticata, ci pensa una chitarra ancora tagliente e vibrante come nelle sue migliori prove. Nello stesso periodo, per raccogliere altri fondi, sono previste anche la pubblicazione della sua biografia Rescued From Reality – The Life And Times of Walter Trout e un documentario, attualmente in produzione, che verrà allegato alla edizione Deluxe del CD.

https://www.youtube.com/watch?v=btiS6ijncMk

Torniamo alla musica: vi assicuro che non si tratta di piaggeria, il disco è veramente bello, il musicista nativo del New Jersey, ma californiano di adozione, ha scritto per l’occasione dieci brani nuovi, due sono le cover, una dell’amato JB Lenoir, conosciuto tramite il suo mentore John Mayall, proprio presente come ospite nell’album e autore dell’altro pezzo non a firma Trout, una Mayall’s Piano Boogie, che come dice il titolo è un boogie creato all’impronta al piano da John, con i vari musicisti che improvvisano una sorta di jam spontanea e divertente. Per il resto tanto blues(rock) in tutte le sue forme: la tirata e grintosa Wastin’ Away, che nel suo incedere ricorda i migliori Ten Years After, nell’interplay tra la chitarra sempre tagliente di Trout e l’organo dell’immancabile Sammy Avila, con il testo che ricorda che anche se il corpo “se ne sta andando”, lui non molla. Il riff roccioso di The World Is Goin’ Crazy con la chitarra imperiosa di Walter, The Bottom Of The River, altro brano che affronta la sua attuale condizione su uno sfondo musicale elettroacustico di notevole spessore con una bella armonica aggiunta al sound d’insieme.

Take A Little Time è un brano più R&R vecchio stile, una sorta di omaggio al Chuck Berry del periodo Chess, con tanto di pianino suonato da Avila, The Whale è la cover di JB Lenoir, con Mayall punto di riferimento nel blues classico. Willie è una canzone dedicata da Trout alle infinite fregature prese negli anni dall’industria discografica, nella persona di un ipotetico “maneggione”, a tempo di boogie-blues, solido e con un bel alternarsi di chitarra ed armonica, poderoso. Detto della boogie jam con Mayall, c’è spazio anche per uno slow blues torrido come Born In The City, vero marchio di fabbrica di Walter, uno strumentale alla Freddie King, Tight Shoes, che illustra la grande tecnica del nostro, un altro sapido blues elettrico, The Blues Came Callin’, con un eccellente Mayall all’organo e la risposta puntuale della solista in grande spolvero di Trout a dispetto della salute, altro brano che vuole esorcizzare i fantasmi che lo tormentano ultimamente. Se il Blues è una musica che illumina i sentimenti “tristi” della vita, Hard Time è una variazione a tempo di funky-blues di questo tema mentre Nobody Moves Me Like You Do è un sentito omaggio alla moglie Marie, compagna e amore di una vita, madre dei suoi ancora giovani figli, una “hard” ballad che conclude in gloria questo ottimo album, ripeto uno dei suoi migliori di sempre. Forza Walter speriamo che tutto vada bene!

Bruno Conti

Tra Bluesmen Ci Si Intende! Walter Trout & His Band – Luther’s Blues A Tribute To Luther Allison

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Walter Trout And His Band – Luther’s Blues – Mascot/Provogue

Il “Walterone” da Ocean City, New Jersey, ma residente in California da illo tempore (da non confondere con quello della Littizzetto e dal nostro Walter “ma anche ” e mi chiedo se più di un californiano perplesso si starà chiedendo di cosa cacchio sto parlando), quel Walter Trout colpisce ancora.

Il nuovo album si chiama Luther’s Blues e come il titolo lascia intendere si tratta di un omaggio a Luther Allison, uno degli ultimi grandi chitarristi prodotti dal blues elettrico della seconda e terza generazione, forse appena sotto i tre King, Buddy Guy  e anche Otis Rush, ma con Jimmy Dawkins, Albert Collins, Magic Sam (forse nella prima fascia) e pochi altri di cui al momento non mi sovvengo, tra coloro che più hanno segnato l’ascesa della chitarra solista nel blues classico. Allison è stato uno dei chitarristi più “taglienti” e vigorosi della scena di Chicago, ma deve la sua fama soprattutto alle lunghe tournée europee e ai suoi concerti che rivaleggiavano con quelli di Springsteen per durata, spesso tra le tre e le quattro ore, vere e proprie maratone in cui regalava al pubblico un torrente di Blues come pochi altri performers hanno saputo fare. Ma Luther era anche un notevole autore di brani, spesso in coppia con il suo organista James Solberg e questo CD riprende alcuni dei migliori brani del suo repertorio nella rilettura di Walter Trout. Altro musicista, e chitarrista soprattutto, che ha fatto della potenza e della energia, unite ad una tecnica invidiabile, una delle armi più “letali” dell’attuale scena blues. Il sottoscritto si è occupato parecchie volte del nostro amico un-grande-chitarrista-in-tutti-i-sensi-walter-trout-common-g.html, che peraltro non delude mai, i suoi lavori sono una delle poche certezze per gli appassionati del rock-blues più ruspante e genuino, il capolavoro forse non è nelle sue corde ma i suoi dischi sono sempre solidi e ricchi di soddisfazione per chi ama il genere.

Anche questo Luther’s Blues non tradisce la fama dell’ex Bluesbreakers e Canned Heat (sicuramente non le migliori versioni di entrambe le band) e attraverso undici cover e un brano scritto appositamente da Trout per l’occasione è un genuino omaggio all’arte di un personaggio che forse, al di fuori dei canali specializzati, non ha goduto della fama e dell’apprezzamento che avrebbe meritato. E così scorrono brani come I’m Back, tirata allo spasimo, slow blues di grandissima intensità come la potente Cherry Red Wine, carrettate di note come la poderosa Move From The Hood, di nuovo lenti torrenziali come la lirica Bad Love. E ancora tirate versioni della hendrixiana, almeno nella versione di Trout, Big City, con l’organo di Sammy Avila in bella evidenza (ma in tutto l’organo le tastiere svolgono un ottimo lavoro di supporto).

Non mancano le atmosfere funky e cadenzate dell’ottima Chicago ma è nei brani lenti che il disco regala i momenti migliori, come nella malinconica Just As I Am, con Trout che si conferma ancora una volta anche buon vocalist. Forse lo spirito di Luther Allison rivive di più in brani come Low Down And Dirty dove il figlio Bernard regala al genitore una bella performance alla seconda voce e alla slide per un duetto che rinverdisce i tempi d’oro del babbo. Il sottoscritto comunque predilige quei lentoni blues in punta di chitarra dove la tecnica di Walter Trout ha modo di esplicarsi al meglio, come nella bellissima Pain In The Streets, ma anche in quelli più torrenziali come la rocciosa All The King’s Horses. Notevoli anche la lunga Freedom che ha delle derive quasi psichedeliche e il manifesto di una carriera, l’unico brano firmato dallo stesso Trout, When Luther Played The Blues, in sette minuti la storia di una vita per la musica, un ulteriore grande slow blues. Semplice e diretto, un bel disco, tra i migliori nel suo genere.

Bruno Conti

Li Ho Già Visti Da Qualche Parte?!? Tributi a Lynyrd Snynyrd e ZZ Top

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Pride of The South – All-Star Tribute To Lynyrd Skynyrd

Four Flat Tires On A Muddy Road – All-Star Tribute To ZZ Top

Rokkarola Records/Music Avenue

Una Premessa: sono quasi più lunghi i titoli, delle recensioni di questi tributi. Perché? Va bene la moda del tributo, ad un artista o a un disco, ma obiettivamente mi pareva strano che fossero usciti due ennesimi dischetti dedicati alla musica di Lynyrd Skynyrd e ZZ Top. La materia trattata è ampia ma, soprattutto la band di Jacksonville, ha avuto moltissimi album dedicati alla propria musica nel corso degli anni. Uno degli ultimi, uscito in origine nel 2008, se togliete il Pride Of The South dal titolo, cambiate la copertina e l’ordine dei pezzi, è esattamente lo stesso disco uscito per la Cleopatra Records alcuni anni fa. Invece l’altro pure. Quindi uomo avvisato, se li avete già presi, non è il caso di ripetersi. Se viceversa mancano all’appello, un pensierino lo potete anche fare per i Lynyrd Skynyrd, evitare quello agli ZZ Top.

Una volta tanto i nomi impegnati in questa operazione sono congrui (per il primo dischetto) con i soggetti trattati e se nessuno può migliorare gli originali in alcuni casi ci vanno vicino, essendo fatti decisamente bene. Superato il disappunto della riproposizione “mascherata” alcune versioni sono veramente gagliarde: dall’iniziale Sweet Home Alabama ripresa dagli Outlaws con una resa vocale e strumentale quasi pari all’originale, con il basso che pompa, le chitarre tirate al punto giusto, il piano perfetto e una notevole interpretazione vocale; bene anche Double Trouble nella versione di Artimus Pyle e Ed King, due che conoscono l’argomento alla perfezione. La versione bluesata di That Smell dei Canned Heat ricorda il boogie del passato e anche gli Atlanta Rhythm Section rendono onore a Call Me The Breeze. Rick Derringer, Pat Travers e Great White vanno giù duretti ma le loro versioni non sono male. La Gimme Three Steps di Walter Trout è decisamente buona. Addirittura ottima The Seasons che compariva in First…And Last, scritta e cantata ai tempi (‘71/’72) da Rickey Medlocke, ora ripresa dai “suoi” Blackfoot. Black Oak Arkansas, Jason McMaster e Sky Saxon (l’ex Seeds è scomparso nel 2009, ed era una dei motivi per cui non mi “tornava” questo tributo del 2013!) non c’entrano moltissimo, mentre la versione di Free Bird di Molly Hatchet e Charlie Daniels, uniti per la causa sudista, ha un suo “vigoroso” perché.

Four Flat Tires… è meno valida, per usare un eufemismo, come compilation, alcuni dei nomi sono gli stessi, ma qui l’argomento più che il southern è un boogie rock-blues che spesso sconfina nell’hard rock di maniera: si parte bene con Gimme All Your Lovin’ di Walter Trout e Sharp Dressed Man dei Molly Hatchet e anche Pat Travers rende giustizia a Waitin’ For The Bus e al bluesaccio di Jesus Just Left Chicago mentre tutta la parte centrale e finale con Mick Moody, Lea Hart (un uomo nonostante il nome), Steve Overland sfocia in un heavy AOR veramente scarso e anche la versione di La Grange, nonostante il vocione di Jim Dandy dei Black Oak Arkansas non è proprio memorabile e pure i National Dust picchiano a vuoto, un filo meglio Legs di Artimus Pyle ma tale Ray Calcutt riesce a peggiorare Planet Of Women che già non era bella in originale, il periodo “sintetico” anni ’80 e fino al finale, anche con un Fee Waybill dei Tubes che c’entra come i cavoli a merenda, si va sempre peggiorando, fino alla ripresa in medley dei primi due brani del tributo fatta dalla Atlanta Rhythm Section,  appena decente, e posta in coda al progetto. In definitiva, mi ripeto, nonostante trattasi di CD già usciti, il primo è un buon tributo, l’altro da evitare, bello il titolo ma il contenuto…

Bruno Conti

Novità Di Aprile Parte IV: Warren Haynes, Jack White, Gordon Lightfoot, Walter Trout, Marty Stuart, Peter Gabriel, Joe Satriani, Brendan Benson, Dandy Warhols

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Nuovo appuntamento con la rubrica degli appuntamenti discografici. Dalle statistiche del Blog vedo che è una delle più lette per cui la intensifico ancora e direi che possiamo passare rapidamente alle uscite di martedì 24 aprile.

Partiamo con 3 dischi dal vivo: il primo è il già annunciato triplo (2 CD + 1 DVD) della Warren Haynes Band, Live At The Moody Theater esce in America per la Stax ed in Europa per la Provogue/Edel. Si tratta del resoconto di una serata ad Austin durante il tour dello scorso anno, il 3 novembre. Registrato in HD e 5.1, durata circa due ore e mezza, la formazione è quella con la sezione fiati dei Line Horns e l’ospite MacLagan ex-Faces tastiere. Questo il repertorio completo eseguito nella serata:

SET ONE – 68:27
01. Man In Motion * 10:50.55
02. River’s Gonna Rise 9:07.61
03. Sick Of My Shadow 9:47.11
04. A Friend To You 5:55.45
05. On A Real Lonely Night 12:52.03
06. Power and The Glory 7:02.16
07. Invisible * 12:52.12


SET TWO Part 1 – 52:11
01. Take A Bullet #* 6:41.45
02. Hattiesburg Hustle # 8:10.14
03. Everyday Will Be Like A Holiday # 11:08.55
04. Frozen Fear > 6:15.60
05. Dreaming The Same Dream > 6:35.34
06. Pretzel Logic 13:19.58

SET TWO Part 2 – 56:18
07. Fire In The Kitchen * > 7:06.25
08. Change Is Gonna Come > 6:57.12
09. Spanish Castle Magic 7:05.00
10. Band Intros > Tear Me Down 11:47.38
11. Crowd/Encore Break 2:53.62
12. Your Wildest Dreams * > 11:29.05
13. Soulshine 9:00.03


Band—–
Warren Haynes – Guitar/Vocals
Alecia Chakour – Vocals/Tambourine
Nigel Hall – Keyboards/Vocals
Ron Holloway – Tenor Saxophone
Ron Johnson – Bass
Terrence Higgins – Drums
* Grooveline Horns
# Ian McLagan – Keyboards

Quello di Gordon Lightfoot All Alive, pubblicato dalla Warner/Rhino, raccoglie il meglio di una serie di concerti tenuti dal grande cantautore canadese alla Massey Hall di Toronto tra il 1998 e il 2001.

Peter Gabriel, purtroppo, ci sta rompendo un po’ i (ministri) Maroni, non nei contenuti ma nella forma: questo Doppio CD Live Blood edito dalla Eagle Rock/Edel è la versione espansa del singolo CD tratto dai concerti dello scorso anno e già contenuto nella versione Deluxe in cofanetto di New Blood Live In London. Ma sono esattamente gli stessi brani, nella esatta sequenza, che riportavano le versioni DVD e Blu-Ray. Va bene il completismo, ma a tutto c’è un limite. Uomo avvisato…comunque lo so, fan non salvato!

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Ma un bel doppio di Joe Satriani, Satchurated:Live In Montreal non ce lo vogliamo sparare? Sempre per la Sony è il quinto album dal vivo in meno di 20 anni. Ne ha fatti anche dodici in studio, tre EP e tre antologie, non si può dire che si risparmi.

Primo album da solista per un altro chitarrista (e cantante): Jack White arriva al suo “debutto” a nome proprio con questo Blunderbluss che ha avuto lusinghieri giudizi in giro per il mondo. La casa discografica è la XL Recordings (quella dei White Stripes) in Europa e la Third Man Records/Columbia negli Usa. Registrato in quel di Nashville è proprio il classico album “solo”: infatti White si è registrato tutti gli strumenti e le parti vocali, oltre ad avere composto tutti i brani, con l’eccezione di una cover di I’m Shakin’ di Little Willie John, cantante Blues e R&B anni ’50-’60, per intenderci quello di Need Your Love So Bad (di cui i Fleetwood Mac del mio benianimo Peter Green hanno fatto una versione sontuosa poi ripresa anche da Gary Moore).

Visto che siamo finiti in territori Blues, martedì esce per la Provogue il nuovo album di Walter Trout Blues For The Modern Daze. Mentore del recensito recentemente Danny Bryant e “cliente” di questo Blog un-grande-chitarrista-in-tutti-i-sensi-walter-trout-common-g.html, ancora una volta non delude le attese degli appassionati del buon Rock(blues)!

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Il veterano della country music, è in pista dagli anni ’70, Marty Stuart, dopo l’ottimo Ghost Train del 2010 ritorna con questo Nashville Volume 1:Tear The Woodpile Down, il secondo pubblicato per la Sugar Hill (che poi in effetti sarebbe il terzo, perchè ne aveva già inciso uno nel lontano 1982). Con la partecipazione di alcuni ospiti tra cui Hank III è un classico esempio di come si può fare del buon country.

Orfano di Jack White e dei suoi Raconteurs, casualmente in contemporanea(?), Brendan Benson ritorna alla carriera da solista pubblicando il quinto album a proprio nome, si intitola What Kind Of World esce a livello indipendente (Readymade in Usa, Lojinx in Europa). Registrato a Nashville, dove gli studi, a giudicare da queste uscite, erano affollatissimi, mescola il solito power-pop-rock di Benson con influenze 60’s e la partecipazione di musicisti del giro Big Star, Cardinals e Phantom Planet. Non male, mi ricorda il  Nick Lowe dei vecchi tempi.

Per concludere il giro odierno, ma domani ne ho altri in serbo, ci sono moltissime uscite interessanti in barba alla crisi, poi l’importante sarebbe anche venderli, ma cominciamo a parlarne: dicevo, per concludere il giro odierno, nuovo album, l’ottavo, per gli americani Dandy Warhols, si chiama This Machine ed esce per la loro etichetta The End, la Naive in Europa. Più alternative rock e meno power pop dei precedenti sembra interessante e si direbbe, tradotto in parole povere, con più chitarre e meno tastiere, ma sempre abbastanza commerciale anche nella “strana” cover di 16 Tons.

A domani.

Bruno Conti

Questo Sì Che E’ Un Chitarrista Coi Fiocchi! Danny Bryant – Night Life Live In Holland

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Danny Bryant’s Redeyeband – Night Life Live In Holland CD o DVD Jazzhaus rec. 

Secondo Live in carriera per Danny Bryant e la sua Redeyeband dopo quello del 2007. Mi ero già occupato di lui per il Busca e non posso che confermare quanto di buono avevo detto per questo chitarrista e cantante Blues inglese. Insieme a Matt Schofield, Aynsley Lister, Oli Brown ed altri fa parte della terza ondata del British Blues: dopo la prima, quella dei Mayall, Clapton, i Fleetwood Mac di Peter Green, i Savoy Brown e moltissime altre bands di fine anni ’60, c’è stata la seconda ondata, più contenuta, nella seconda metà degli anni ’70 con Dr.Feelgood, Nine Below Zero e Blues Band e ora, nei noughties, questa terza rinascita che è più incentrata sui solisti.

Se Matt Schofield è sicuramente quello con la migliore tecnica, Danny Bryant, che è un’autodidatta, supplisce con un feeling e una passione che soprattutto nei suoi concerti dal vivo raggiungono l’apice: ho avuto l’occasione di vederlo di persona nel passaggio del tour in Tributo a Hendrix a Milano di un paio di anni fa, e se l’headliner era sicuramente un Popa Chubby leggermente sottotono per l’occasione (ma poi si è ripreso), Bryant mi aveva impressionato per la grande grinta e fluidità del suo stile. Se Jimi Hendrix è una delle sue passioni principali, il buon Danny la divide con quella per Dylan, oltre al rispetto che nutre verso Walter Trout che è stato il suo scopritore e mentore da quando aveva 15 anni. Ora ne ha 31 e questo è già il suo ottavo album, due dal vivo si diceva, e potrebbe essere quello della sua consacrazione, sempre in un ambito di “culto”, ovviamente, non si fanno i grandi numeri con questo genere. A vedere questo concerto del 17 settembre del 2011 c’erano 500 persone, a Rosmalen nel sud dell’Olanda, ma Danny Bryant li ha ripagati con quella che lui stesso considera una delle migliori esibizioni della sua vita.

Ad aprire e chiudere il disco ci sono i due brani migliori (ma anche il resto non scherza): l’iniziale Tell Me che per la grinta e il torrente di note che emette la chitarra del nostro amico mi ha ricordato il miglior Rory Gallagher (e naturalmente Hendrix nella lunga parte di wah-wah) e in conclusione un lunghissimo slow blues, tirato e spasmodico, Always With Me, durante il quale Bryant estrae dal suo strumento ogni singola stilla di passione, rilanciando di continuo in un assolo chilometrico che è tra le cose migliori sentite nel genere in questi anni. Come avrà occasione di vedere chi acquisterà questo Night Life nella versione in DVD Danny Bryant sta diventando vieppiù un “grosso” chitarrista anche come dimensioni fisiche, non è mai stato smilzo ma le birre e la vita on the road evidentemente stanno mostrando i loro effetti. Nemmeno la presenza del padre Ken, che è il bassista del gruppo (e per inciso pure bravo) riesce a porre un limite a questa crescita che però è anche dal lato tecnico, come dimostra Just As I Am,  un altro slow blues a cavallo tra gli ZZTop di Blue Jean Blues e il Jeff Healey più intricato. Heartbreaker è un bluesone rock elettrico cadenzato degno del maestro Walter Trout con il riff di chitarra che taglia l’aria del piccolo locale olandese mentre Love Of Angels è una ballata lenta e sognante che si ispira al riff immortale e alle atmosfere di Litlte Wing di Hendrix.

Poi c’è questa passione (in)sana di Bryant per i cantautori, esplicitata in una eccellente ripresa di Master Of Disaster di John Hiatt, dove Danny non può competere nella parte vocale con l’autore, ma nella parte chitarristica è una bella lotta con Luther Dickinson che era il solista nella versione originale. E in tutti i brani la chitarra è in continua ricerca di tonalità e stili sempre diversi, anche con un bell’uso del vibrato. Nella versione DVD c’è un intermezzo acustico blues e una cover di Girl From The North Country di Dylan che è uno dei suoi cavalli di battaglia già nei dischi precedenti. E per concludere l’omaggio a Dylan c’è anche una bella versione di Knockin’ On Heaven’s Door, una delle più belle canzoni della storia del rock che si presta molto per queste versioni epiche e chitarristiche, chi scrive ne ricorda una molto bella che si trovava nel live Swingshift degli australiani Cold Chisel, quelli di Jimmy Barnes, che, detto per inciso, proprio in questo periodo si sono rimessi insieme e hanno pubblicato un album dopo 30 anni di separazione. Anche la versione di Bryant con il pubblico che intona il ritornello di sua sponte, si avvale poi di un notevole solo dell’eroe della serata. Grande concerto e grande chitarrista, come sempre dico per chi ama il genere, ma per chi vuole avventurarsi per una volta nelle lande del blues-rock questo potrebbe essere uno dei dischi più indicati e consigliati!

Bruno Conti

Un “Grande Chitarrista”. In Tutti I Sensi! Walter Trout – Common Ground

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Walter Trout – Common Ground – Provogue/Edel

Ogni giorno, settimana, mese, escono decine, centinaia di dischi di blues e rock-blues, quelli veramente interessanti alla resa dei conti non sono poi moltissimi (più di quello che si crede): poi c’è una ristretta cerchia di musicisti che opera ai margini di questo filone: gente come gli Allman Brothers, i Gov’t Mule, i North Mississippi Allstars o i Black Crowes, tanto per citare qualche nome, non sono sicuramente Blues anche se sono blues oriented.

Ultimamente anche Walter Trout (l’ultimo grande chitarrista a uscire dai Bluesbreakers di John Mayall) ha spostato l’asse della sua musica dal blues-rock assatanato dei primi dischi verso un genere più roots-oriented o rock classico.

Questo è avvenuto in coincidenza con la nascita della nuova versione della sua band che non è più la Walter Trout Band o Walter Trout and the Radicals ma semplicemente Walter Trout: l’occasione è avvenuta con la pubblicazione di The Outsider l’album del 2008, sarà la presenza del produttore  John Porter, uno dei migliori in circolazione, sarà la consistenza dei musicisti che formano la nuova sezione ritmica, con il fantastico Kenny “Pestaduro” Aronoff e con il travolgente James “Hutch” Hutchinson al basso, l’unico punto debole poteva essere il tastierista Sam Avila, detto fatto in questo Common Ground sul sedile del tastierista è salito il grandissimo Jon Cleary.
Praticamente con due musicisti della vecchia band di Bonnie Raitt più il batterista di Mellencamp era lecito attendersi un ulteriore salto di qualità rispetto al già ottimo The Outsider e in effetti questo CD rivaleggia con i nomi citati in quanto a consistenza della musica.

Walter Trout ci mette molto di suo, con una voce forte e vibrante e una chitarra in grado di spaziare in tutto lo spettro del rock, da momenti acustici a violentissimi assalti chitarristici quasi hendrixiani, passando per raffinati passaggi alla Little Feat o alla Band e incursioni sonore in quel di New Orleans, con il pianino impazzito di Cleary.

Volete ascoltare una band in grado di rivaleggiare con gli Experience di Hendrix con organo di Winwood al seguito (sempre con le dovute prospettive temporali)? Andatevi a sentire la travolgente No regrets con la chitarra di Trout in overdrive, la batteria di Aronoff allo stato puro e gli altri due che impazzano in libertà come se gli anni ’60 non fossero finiti mai. Volete risentire gli Allman degli anni d’oro (lo so che ci sono ancora, si fa per discutere), Danger Zone potrebbe fare al caso vostro, Trout ispiratissimo a voce e chitarra, Aronoff devastante (d’altronde deve fare la parte di due batteristi).

La Band era il vostro gruppo preferito ma anche i Little Feat non erano male? Pronta per voi una ottima Hudson Had Help. Ma anche Loaded Gun dove il quartetto prende un drive fenomenale con il piano di Cleary a fiancheggiare i devastanti interventi della solista di Trout che canta anche alla grandissima.
Se i nomi dei brani (a parte i riferimenti sonori) non vi dicono nulla è perché trattasi di materiale originale tutto farina del sacco di Walter Trout che si conferma anche ottimo compositore, sarà anche musica derivativa ma scusate l’interiezione lombarda, minchia se suonano!

Ci sono anche fior di ballate, ballate rock ma pur sempre ballate, come l’ottima Her Other Man con le chitarre acustiche ed elettriche del leader a disegnare traiettorie rock di gran classe con il supporto dell’organo di Jon Cleary (è proprio quel gran musicista di New Orleans che ogni tanto si cimenta anche in proprio) e la musica che continua a rilanciare verso nuove vette sonore come nel migliore rock classico di derivazione vagamente southern. La title-track Common Gound è una ulteriore variazione sul tema della ballata rock, grande impatto d’insieme del gruppo e assolo molto lirico della solista di Trout.

Non manca il devastante slow blues classico nel repertorio di Trout e Excess Baggage svolge perfettamente il suo compito, ma non manca neppure il classico rock-blues che ti aspetti sempre in un disco del nostro amico, in questo caso Wrapped Up In The Blues.
Ma tutti i dodici brani soddisferanno le brame degli amanti del buon rock: caldamente consigliato.
Bruno Conti