Ancora Southern Rock, E Di Quello Ottimo! Holman Autry Band – Electric Church

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Holman Autry Band  – Electric Church – Holman Autry Band Self Released

Una domanda che era un po’ di tempo che non mi/vi ponevo: ma chi sono costoro? Biografia ufficiale della band: la Holman Autry Band viene dall’area della Georgia intorno a Athens, Danielsville per la precisione, sono un quartetto e venendo da “laggiù” era quasi inevitabile che facessero, a grandi linee, del southern rock. Sono al quarto album, questo Electric Church, e volete sapere una cosa? Sono veramente bravi, siamo proprio nell’ambito delle musica sudista Doc, di prima scelta. Con riferimenti al sound classico, quello di Lynryrd Skynyrd, Allman Brothers, loro aggiungono anche Gov’t Mule, un pizzico di Hank, e quindi country, ma anche i Metallica, qui in effetti è appena un “pizzichino”, probabilmente nel primo brano, una dura e tirata Friday Night Rundown, dove in effetti le chitarre ruggiscono, la batteria pesta duro, il cantato è maschio e potente, ma se dovessi indicare qualcuno come riferimento, penserei più ai primi Lynyrd Skynyrd, o al southern hard di gruppi come Blackfoot, Molly Hatchet e Point Blank. 

La formula della doppia chitarra solista funziona alla grande, la voce è poderosa e di notevole impatto, anche se non ho ancora inquadrato chi sia effettivamente la voce solista, visto che cantano in tre su quattro, Brodye Brooks, il chitarrista solista, Josh Walker, quello ritmico, ma anche solista se serve e il bassista Casey King. A completare la formazione il batterista Myers, o così riporta il libretto, però sul loro sito ha anche un nome di battesimo, Brandon. Pure la successiva Pennies And Patience ha un sound duro e vibrante, con le elettriche spesso in modalità wah-wah e la ritmica rocciosa, ma senza eccessi, con un suono limpido, curato dal produttore esecutivo John Keane, quello per intenderci che a inizio carriera era l’ingegnere del suono dei R.E.M., poi ha lavorato moltissimo con i Widespread Panic, ma anche Cracker, Bottle Rockets, Jimmy Herring, le Indigo Girls e una miriade di altri artisti di quelli “giusti”, insomma un ottimo CV. Se serve si mette anche in azione alla steel guitar, come nella notevole The Fall, una hard ballad elettroacustica a cavallo tra country e southern di eccellente fattura, belle armonie vocali. Ottima anche Things I’d Miss, costruita intorno ad un giro di basso, che poi sfocia nel groove in crescendo di un southern boogie dove si respirano profumi anni ’70, tra Charlie Daniels e Marshall Tucker Band, con le chitarre che si rincorrono gioiosamente secondo i migliori stilemi del genere, e con Brooks che è effettivamente un notevole solista; effetto ancora più accentuato nella splendida title-track, dove Natalie McClure aggiunge l’organo e una slide incisiva si erge a protagonista dell’arrangiamento avvolgente del brano, di nuovo senza nulla da invidiare alle migliori band dell’epoca d’oro del rock sudista, come evidenziato in una brillante coda strumentale dove sembra di ascoltare Derek Trucks o Warren Haynes, se non Duane Allman o Toy Caldwell.

Molto bella anche una Home To You a tutto riff e ritmo, con elementi anche dei Doobie Brothers più gioiosi (insomma da tutto questo profluvio di nomi avrete capito che sono veramente bravi), con le due chitarre che si rincorrono con libidine dai canali dello stereo. Non manca anche un bel brano come Good Woman, Good God, dove emergono elementi funky/R&B sempre inseriti in un tessuto rock-blues. Ma pure nella seconda parte quando si passa ad un suono in parte più intimo e raccolto, con maggiori tocchi country, sempre fluido e raffinato, come in Last Rites che sembra pescata da un brano del miglior songbook della Marshall Tucker Band, splendido il lavoro delle chitarre, o la dolce Sunset On The Water, che senza essere zuccherosa rimanda a gruppi come i Reckless Kelly o gli Avett Brothers, nei loro momenti più romantici. Scusate i continui rimandi ma ci si capisce meglio, poi non vuole essere inteso in senso letterale ed assoluto, e non è neppure mera imitazione, diciamo più la continuazione di una tradizione che si “rinnova” con nuove forze. Eccellente anche The Grass Can Wait, ancora più marcatamente country, ma sempre con un finissimo lavoro della solista che raccorda un suono d’insieme veramente di gran classe. Infine ancora più “morbida” October Flame, dove si riscontrano persino elementi quasi pop, una melodia semplice ed orecchiabile, ma coniugata con gusto e misura, il tutto proposto in modo sempre vario e diversificato in tutto l’album, più rude e maschio nella prima parte, più raccolto e raffinato nella seconda. Comunque confermo, veramente bravi!

Bruno Conti

Devo Averle Già Sentite Da Qualche Parte Queste Canzoni! Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

VV.AA. – Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia – Rounder 2CD – 2CD/DVD

Da dopo la morte di Jerry Garcia avvenuta nel 1995, il mercato è stato letteralmente invaso di prodotti che avevano in qualche modo a che fare con i Grateful Dead, ma nessun periodo è minimamente comparabile all’ultimo anno. Da Ottobre 2015 sono infatti usciti, nell’ordine: il megabox di 80 CD 30 Trips Around The Sun (e la sua versione ridotta in quattro CD), i vari formati dei concerti di addio Fare Thee Well, il sontuoso tributo quintuplo Day Of The Dead curato dai National, il triplo della Rhino Red Rocks 1978 (ed il superbox con tutti i concerti del periodo), due volumi ravvicinatissimi della serie Garcia Live ed il nuovo album solista di Bob Weir, Blue Mountain http://discoclub.myblog.it/2016/10/07/finalmente-arrivato-anche-il-momento-che-disco-bob-weir-blue-mountain/ . E non ho citato i nuovi episodi dei Dave’s Picks. Ma i nostri, che la paura di inflazionare il mercato direi che non l’hanno mai avuta, si saranno detti: “Ci siamo dimenticati un bel concerto tributo!”. Detto fatto, ecco qui questo doppio CD (esiste anche con DVD allegato) intitolato Dear Jerry, che documenta l’esito di una serata organizzata da Bob Weir il 14 Maggio dello scorso anno (al Merriweather Post Pavilion di Columbia, Maryland), durante la quale i quattro Dead superstiti (oltre a Weir, Phil Lesh, Bill Kreutzmann e Mickey Hart) si sono alternati sul palco con una bella serie di ospiti. Come però suggerisce il titolo, non è un tributo ai Dead, ma in particolare alle canzoni di Garcia, incluse alcune da lui incise come solista e qualche cover di brani che Jerry usava suonare dal vivo nelle varie configurazioni della Jerry Garcia Band (che è sorprendentemente assente, dato che ancora esiste e si esibisce come JGB, avrebbe potuto partecipare suonando per esempio un brano di Bob Dylan, autore più volte ripreso da Jerry e dai Dead). Certo, un altro lavoro dove si prendono in esame canzoni che nell’ultimo anno sono state strasentite potrebbe far alzare più di un sopracciglio, ma sarebbe un errore ignorarlo, in quanto siamo di fronte ad una performance splendida, con una serie di gruppi e solisti in grande forma, una house band stellare (che comprende gente del calibro di Don Was, che è anche direttore musicale e produttore, Sam Bush, Matt Rollings, Buddy Miller, Audley Freed, ex chitarrista dei Black Crowes, e le McCrary Sisters ai cori), una resa sonora strepitosa e, ma era scontato, una serie di grandi canzoni.  In poche parole, uno dei migliori prodotti Dead-related usciti nell’ultimo periodo, superiore per esempio, e di gran lunga, ai concerti di addio Fare Thee Well, sia come suono che come qualità della performance.

Che non si scherza lo fa subito capire Phil Lesh, che si esibisce con la sua nuova band, i Communion nel medley The Wheel/Uncle John’s Band, suono Dead al 100%, piano liquidissimo (Marco Benevento) e subito due grandi canzoni (anzi, la seconda è forse la mia preferita in assoluto del Morto Riconoscente), per quasi 17 minuti di musica sublime: tra le qualità di Lesh non c’è mai stata la voce, ma questa sera Phil canta stranamente bene, anche se è aiutato, e molto, dalle voci di sostegno del resto del gruppo. Allen Toussaint, qui in una delle sue ultime apparizioni, ci propone l’errebi di sua composizione Get Out Of My Life Woman, un pezzo che Jerry amava molto, con un bel botta e risposta vocale tra Allen e le sorelle McCrary: anche Toussaint non era mai stato un grande vocalist, ma quando appoggiava le dita sulla tastiera riusciva a zittire tutti. David Grisman è un vecchio compagno di viaggio di Jerry, ha inciso con lui diversi bellissimi dischi acustici (oltre a militarci insieme nel supergruppo Old And In The Way), e nell’occasione ci delizia con una splendida versione del traditional Shady Grove, tra folk, bluegrass ed old time music, con ottimi interventi di fisarmonica e violino, altri quattro minuti e mezzo di puro godimento A prima vista Peter Frampton in una serata come questa potrebbe starci come i cavoli a merenda, ma il nostro, alle prese con il classico di Junior Walker (I’m A) Roadrunner, se la cava alla grande: la voce e la chitarra ci sono, e la versione, decisamente potente e roccata, è godibilissima. Buddy Miller non lo scopriamo certo oggi e, alle prese con Deal, una grande canzone, fa faville, dandoci una delle prestazioni più convincenti della serata (bellissimo l’assolo di slide, ma pure Rollings fa i numeri al piano); Jorma Kaukonen va a nozze con brani come Sugaree, e nel concerto ci dà pure un saggio della sua classe con la chitarra, mentre il bravissimo Jimmy Cliff, e ve lo dice uno che non ama il reggae, ci diverte con la sua The Harder They Come insieme a Kreutzmann e Hart, un brano tra i più suonati dalla JGB e, raggiunto anche da Weir, bissa con una discreta Fire On The Mountain. Il primo CD si chiude con il nuovo gruppo di Kreutzmann, Billy And The Kids, che rileggono lo splendido medley che apriva Blues For Allah (Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower) in maniera rigorosa, ma con un’energia straordinaria e poi, con i Disco Biscuits, un altro medley stellare con Scarlet Begonias/I Know You Rider, davvero da applausi e con un formidabile assolo chitarristico di Tom Hamilton.

Il secondo dischetto inizia con la rock ballad Loser proposta dai Moe, molto bravi e rispettosi al limite del didascalico, ma il brano è talmente bello che ne esce benissimo ugualmente; eccellenti gli Oar con St. Stephen, alla quale tolgono gli elementi psichedelici e la trasformano in una pura e sontuosa rock song, potente e grintosa; i Los Lobos avevano già suonato Bertha sul tributo Deadicated del 1991 e, insieme a Weir, la replicano in maniera mirabile, grande canzone e grandissima band, mentre i Trampled By Turtles si esibiscono nell’abituale veste acustica con una fulgida Brown-Eyed Women, tra le mie preferite in assoluto dei Dead.

Shakedown Street non mi è mai piaciuta molto, e gli Yonder Mountain String Band, pur mettendocela tutta in una versione stripped-down, non riescono a farmi cambiare idea. Ma subito dopo torna Bob Weir che, in compagnia della bella Grace Potter, rilegge in maniera vibrante Friend Of The Devil, ottima versione, toccante a dir poco, pianistica e molto soulful. Eric Church a mio parere è un sopravvalutato, ma la sua Tennessee Jed, tra country, rock e southern, è ben fatta, anche se meglio, molto meglio fanno i Widespread Panic con una Morning Dew davvero intensa e fluida, impreziosita da un assolo di chitarra incredibile da parte di Jimmy Herring. Gran finale con tre dei quattro Dead (manca Lesh), per una stupenda e corale Touch Of Grey, perfetta in questa posizione visto il testo ottimistico, e tutti insieme per una commovente Ripple, splendida sotto ogni punto di vista, il modo migliore per chiudere una serata da ricordare.

In un anno in cui non sono certo mancati i dischi dal vivo di grande valore, questo Dear Jerry è sicuramente uno dei più belli.

Marco Verdi

Tra I Capostipiti Delle Jam Band, Ancora In Gran Forma! Widespread Panic – Street Dogs

widespread panic street dogs

Widespread Panic – Street Dogs – Vanguard/Concord

Come ricordavo in una recensione per un vecchio Live della band http://discoclub.myblog.it/2013/07/20/dagli-archivi-della-memoria-widespread-panic-oak-mountain-20/ , i Widespread Panic sono uno dei gruppi storici del filone jam band, tra i capostipiti del genere, in azione da oltre 25 anni, con “solo” dodici album di studio all’attivo, compreso questo Street Dogs, ma con decine, forse centinaia, di pubblicazioni, in vari formati, di materiale dal vivo, le ultime, sia in CD che DVD, vertevano sul tour per Wood. E, non casualmente, per questo nuovo album, che esce a cinque anni di distanza dall’ottimo Dirty Side Down, il gruppo ha voluto applicare per la prima volta la formula del “live in studio”, ovvero tutti i musicisti insieme in sala di registrazione agli Echo Mountain Studios di Asheville, NC, sotto la guida del produttore storico John Keane, per cercare di catturare la magia di una esibizione in concerto, mantenendo il loro approccio libero e ricco di improvvisazione anche nel caso di materiale nuovo (poi, se andiamo ad esaminare attentamente, possiamo vedere che alcuni di questi brani facevano già parte del repertorio concertistico da qualche tempo): e direi che ci sono riusciti pienamente. La formazione è quella classica, con Jimmy Herring che ormai da alcuni anni affianca John Bell come chitarra solista, John Hermann, tastierista e secondo vocalist in alcuni brani, Domingo S. Ortiz con le sue scatenate percussioni che conferiscono quel elemento latineggiante, molto alla Santana, al suono, Dave Schools, il bassista, impegnato anche con gli Hard Working Americans, si porta da quel gruppo Duane Trucks, il batterista che sostituisce momentaneamente Todd Nance, assente per problemi familiari.

Il risultato è eccellente, i brani sono quasi tutti lunghi, ma non lunghissimi, c’è ampio spazio per le loro jam immancabili, ma tutte le canzoni hanno una struttura ben definita, con la consueta miscela di rock classico, anche southern, in fondo vengono da Athens, Georgia, non mancano spunti blues e derive santaniane, evidentissime per esempio in un brano come Cease Fire, e qui entriamo nel vivo, un pezzo che sembra una loro versione, riveduta e corretta, di Song Of The Wind, il bellissimo strumentale di Caravanserai, con le sue chitarre soliste sinuose e libere di improvvisare, soprattutto Herring, l’organo di Hermann e le percussioni di Ortiz a rendere ancora più avvolgente il suono e tanti piccoli particolari che rendono particolarmente affascinante la canzone. Ma il disco parte subito bene, con una scoppiettante cover di Sell Sell, brano già nel loro repertorio live, si trovava nella bellissima colonna sonora di O Lucky Man di Alan Price (tratta dall’altrettanto bello e omonimo film dei primi anni ’70 di Lindsay Anderson, con Malcolm McDowell, da vedere e sentire, nei rispettivi formati, fine della digressione): un brano ricco di groove funky, con la chitarra wah-wah di Jimmy Herring, ben sostenuta ancora una volta dall’organo di Hermann e con la sezione ritmica di Schools, Trucks e Ortiz presente in modo massiccio, soprattutto Schools, fantastico al basso https://www.youtube.com/watch?v=fZCJTiAGV5s . Notevole anche Steven’s Cat che gioca sul titolo per citare fuggevolmente frammenti di brani di Cat Stevens, mentre le due chitarre, spesso al proscenio con soli ficcanti e variegati, sostenute dalle  tastiere, girano su un mood sudista ben evidenziato anche dalla voce di Bell, che è cantante più che adeguato.

Il pezzo, come gli altri originali del disco, è scritto collettivamente dalla band, spesso creato all’impronta in studio, come nella lunga, pigra e sognante Jamais Vu (The World Has Changed), quasi jazzata nelle variazioni del piano, mentre Angels Don’t Sing The Blues, è un’altra tipica jam song della band, con continui cambi di tempo, soli a profusione delle chitarre e Bell che tenta anche un leggero falsetto https://www.youtube.com/watch?v=OqHuu9n2Www . Honky Red è una cover del canadese Murray McLachlan (che per oscuri motivi sul libretto è riportato come McLaughlin), una bella ballata che diventa un potente blues- rock chitarristico quasi alla Gov’t Mule, anche nei loro concerti, come pure Tail Dragger, il vecchio brano di Willie Dixon, con Herring anche alla slide e che sembra quasi un pezzo dei vecchi Cream, duro e cattivo quanta basta. The Poorhouse Of Positive Thinking, più laid-back, ricorda i passaggi più country del vecchio southern à la Marshall Tucker ed è cantata da Hermann, che ci regala tocchi geniali di piano https://www.youtube.com/watch?v=_Xod0sOeJR4 , con Welcome To My World, dove il produttore Keane aggiunge chitarra e voce, per un boogie sudista innervato dalla slide di Herring e dal piano che ci portano verso territori cari ai Lynyrd Skynyrd, grande brano. E anche la conclusiva Streetdogs For Breakfast https://www.youtube.com/watch?v=6uqm851dBNY , rimane in modalità boogie sudista, meno southern-rock e più bluesata, con Herring ancora una volta sugli scudi.

Bruno Conti

Jam Band Per Eccellenza! Ekoostik Hookah – Brij

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Ekoostik Hookah – Brij – Hookahville Records 2013

Negli ultimi vent’anni sono apparse nel panorama musicale molte “jam bands”, ma gli Ekoostik Hookah, originari di Columbus, Ohio (patria di un’altra band di “culto” i Two Cow Garage, di cui abbiamo scritto su queste pagine una-piccola-grande-rock-n-roll-band-two-cow-garage-5666082.html), sono sempre stati tra i miei preferiti. Sin da quando hanno iniziato nel ‘91 con l’album Under Full Sail , si sono proposti come una delle più nuove ed eccitanti band indipendenti americane. Il gruppo negli anni ha subito una serie di cambiamenti, ma ha sempre mantenuto la propria visione musicale e anche se sono sempre rimasti indipendenti, hanno saputo ritagliarsi “un posto al sole”, sfornando dischi eccellenti come Dubbabuddah (94), Where The Fields Grow Green (97), Seahorse (2001), Ohio Grown (2002) e un progetto molto particolare Under Full Sail: All Comes Together (2007), rilavorazione del loro esordio, rifatto sia in studio che dal vivo. Da menzionare inoltre il Double Live (96), Sharp In The Flats (’99) un DVD di difficile reperibilità Live At The Newport (2007), di cui il sottoscritto è (fortunatamente) in possesso.

L’attuale “line-up” della band, oltre ai due membri fondatori rimasti, Dave Katz piano e voce (oltre che principale autore del gruppo) e Steve Sweney chitarra solista, è composta da Eric Lanese alla batteria, Phil Risko al basso e Eric Sargent alla chitarra elettrica ed acustica, per un “sound” forte, potente e variegato. Dieci canzoni, gran parte delle quali tra i sette e i dieci minuti, a partire dalle iniziali classiche “jam songs” You’ll Never Find, Breathe, Black Mamba (una delle migliori) e Anne Marie, proseguendo con la lunga ballata “southern rock” Sail Away ( gli ultimi Lynyrd Skynyrd avrebbero fatto carte false per scriverla), il country Y’ain’t seen nothin’ (blue eyed girl), il brano strumentale Thumper (perfetto per le esibizioni dal vivo), le fluide Way Of The World e Whiskey Woman e una ballata pianistica di spessore One Sad Song, a chiudere (per chi scrive) uno dei dischi rock d’improvvisazione più belli dell’anno.

Gli Ekoostik Hookah in ogni disco hanno dimostrato una crescita ed una maturazione costante (prerogative che non mutano pur cambiando i musicisti), in quanto anche se sono una classica jam band a cui piace improvvisare ed ampliare durante gli spettacoli dal vivo, conoscono molto bene l’arte della composizione, e questo li mette (sempre per chi scrive) un gradino più in alto rispetto ad altre band del settore.

Con questo Brij gli Ejkoostik Hookah, insieme con i Moses Guest, Widespread Panic, gli String Cheese Incident e varie altre band, garantiscono la sopravvivenza musicale degli orfani del mai abbastanza compianto Jerry Garcia, basta trovare i loro album, e non sempre è facile!

Tino Montanari

Dagli Archivi Della Memoria. Widespread Panic – Oak Mountain 2001 Night 1

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Widespread Panic – Oak Mountain 2001 Night 1 – Widespread Records

All’incirca all’inizio degli anni ’90 (secolo scorso), scrivevo una serie di recensioni per il Busca concernenti un gruppo di band che poi negli anni a venire avremmo definito “Jam bands”, i primi dischi di gente come i Gov’t Mule, i Blues Traveler, i Widespread Panic, Col. Bruce Hampton ed altri che ora non ricordo, quando ancora non se li filava nessuno, c’erano anche i Phish e la Dave Matthews Band, che da lì a poco sarebbe stata la prima ad avere un successo commerciale clamoroso (e forse rimane l’unica a non essere di nicchia). Nicchia di dimensioni consistenti, perché già agli inizi questi gruppi muovevano nell’ambito di un movimento che si chiamava H.O.R.D.E e che se a noi italiani richiamava orde di fans, in effetti stava per “Horizons Of Rock Developing Everywhere” e riprendeva lo stile di band leggendarie come i Grateful Dead (ancora vivi e vegeti, fino alla morte di Jerry Garcia nel 1995) e gli Allman Brothers, rivitalizzati dall’ingresso in formazione di Warren Haynes, che avrebbe fondato la sua creatura, i Gov’t Mule, nel 1994.

Gruppi di “scalmanati” impegnati in dischi e concerti dove l’improvvisazione, la jam session, era uno dei requisiti essenziali. E devo dire che ancora oggi il sottoscritto preferisce un gruppo di “pirla” che si agita per dei quarti d’ora sui propri strumenti, e al limite alla fine rilancia ulteriormente, ad altri gruppetti di dementi, con cappellino e cavallo dei pantaloni all’altezza delle ginocchia, che “declamano” versi improbabili su ritmi improponibili o, nei migliori dei casi, scopiazzati, ma è un parere personale, penso condiviso dalla cosiddetta “confraternita” dei rockers che legge queste pagine. Bisogna altresì dire che anche in questo ambito ci sono delle esagerazioni: prendiamo questo triplo Oak Mountain 2001Night 1 (che come dice il titolo avrà un seguito nella Notte 2) dei Widespread Panic, quando, dopo i dieci minuti di una bella e assai dilatata versione di The Harder They Come di Jimmy Cliff, autore stimato dal gruppo, come dimostra la presenza di Many Rivers To Cross nell’ottimo Live Wood dello scorso anno, parte una Drums di oltre 25 minuti che francamente pare un tantinello eccessiva, forse, pure il fans più accanito rischia l’abbiocco!

Ma è un dettaglio, perché dischi come questo sono destinati ovviamente agli appassionati del genere e anche il giudizio critico assai favorevole è indirizzato soprattutto a chi ama questa musica e quindi la segue con passione. Difficile che band come i Widespread Panic pubblichino dei dischi, ancor più se tratti da concerti, brutti, al limite occorre, come nei buoni vini, guardare l’annata, e nel caso di questo Oak Mountain parliamo del 2001, quando il chitarrista originale della band Michael Houser era ancora nella formazione (non che il suo sostituto Jimmy Herring sia da meno) e lo stile della band, un misto del classico southern rock imparato nella natia Athens, Georgia e quello delle jam bands più classiche, era in pieno fulgore. Formazione classica sudista: due chitarre soliste, tastiere, basso, batteria ed un percussionista aggiunto, con John Bell, uno dei due chitarristi, anche voce solista dallo stile pigro e disincantato, caratteristico e unico, capace però anche di improvvise accelerazioni bluesate.

I brani si incastrano uno nell’altro quasi senza soluzione di continuità: l’iniziale Conrad, con le percussioni impazzite di Domingo Ortiz impegnate a stimolare l’ottima sezione ritmica di Dave Schools, bassista extraordinaire e Todd Nance, batterista solido e variegato, tutti e tre impegnati a costruire uno sfondo perfetto per le evoluzioni delle soliste di Houser e Bell e per le tastiere dell’ottimo “Jojo” Hermann, sorta di omologo del grande Chuck Leavell negli Allman, con continui cambi di ritmo, accelerazioni e rallentamenti tipiche del genere, il brano si tramuta magicamente nella breve One Arm Steve, cantata da Houser e si dilata di nuovo nella lunga Barstool And Dreamers, introdotta dal basso slappato di Schools e dalla slide di Houser per lasciare spazio ad una lunga improvvisazione pianistica di Hermann. Saltando di palo in frasca tra i vari brani del triplo, come non ricordare una This part of town, più quieta e malinconica o le evoluzione à la Traffic della lunga Greta, la divertente Christmas Katie o il frenetico R&R di Let It Rock di Edward Anderson (Charles Edward Anderson Berry, per gli amici Chuck), o la Santaneggiante Radio Child.  

E siamo solo al primo disco. Disco è uno dei loro classici instrumental, Blight, inserita all’interno della lunghissima e bellissima Driving Song, è una delle prime collaborazioni con lo sfortunato Vic Chessnut, Last Dance è un inconsueto ma riuscito “incontro” con il Neil Young di Times Fade Away. Nel terzo CD cover riuscitissime di Fixin’ To Die, Bukka White via Bruce Hampton, i War di Low Rider e JJ Cale di Ride me high, per concludere con una strepitosa Dream Song E’ stato un piacere parlare ancora una volta dei Widespread Panic, ogni tanto ci si incontra di nuovo. Lunga vita ai loro archivi!

Bruno Conti  

P.s Esisteva un DVD, più o meno con lo stesso titolo, pubblicato nel lontano 2001 dalla Sanctuary (etichetta non più in attività) e relativo ad un concerto del 2000, ma il repertorio è completamente diverso.

P.s II. La qualità sonora è ottima, nettamente superiore a quella dei filmati inseriti nel Post! 

Novità Di Ottobre Parte II. Beth Hart, Kaki King, Bellowhead, Hank Williams, Jake Bugg, Don Felder, Gov’t Mule, Widespread Panic, Bat For Lashes, Jamey Johnson, Deep Purple, Ben Harper

 

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Periodicamente controllo il materiale relativo alle ultime uscite discografiche, di cui ho accantonato dati ed informazioni, e magari una piccola recensione. Ad un ultimo controllo mi sono accorto che, a parte quelli già trattati con Post appositi in anticipo, o che lo saranno nei prossimi giorni (alcuni in ritardo, ma si fa quel che si può, magari privilegiando i titoli di cui non hanno già parlato le riviste musicali specializzate o altri siti), c’erano un bel 27 titoli che mi aspettavano. Per cui, diviso in 2 parti, ecco il resoconto degli album più interessanti in uscita questa settimana e qualche arretrato delle uscite del 9 ottobre.

Partiamo con alcuni box o dischi doppi:

Il primo è un cofanetto di 6 CD dei Gov’t Mule The Georgia Bootleg Box, pubblicato dalla Evil Teen il 16 ottobre negli States e a fine mese dalla Provogue/Edel in Europa ad un prezzo più basso, si tratta di 3 concerti completi registrati nel 1996 quando il gruppo aveva registrato solo un album e nella formazione originale c’era ancora Allen Woody al basso. Queste sono le date e il contenuto (notare che in alcuni brani ci sono ospiti Tinsley Ellis e Derek Trucks che si aggiungono al trio originale con Warren Haynes e Matt Abts):

 

4/11/96
Georgia Theatre
Athens, GA

 

  • Disc 1:
  • 1.Blind Man in the Dark 9:30
  • 2. Mother Earth 8:00
  • 3. John the Revelator 1:40
  • 4. Temporary Saint 6:11
  • 5. Game Face 6:22
  • 6. No Need to Suffer 8:09
  • 7. Trane > 7:14
  • 8. Eternity’s Breath Jam > 2:00
  • 9. Thelonius Beck > 4:08
  • 10. Trane > 1:19
  • 11. St. Stephen Jam > 4:30
  • 12. Trane 2:48
  • 13. Don’t Step on the Grass, Sam 8:02

     

  • Disc 2:
  • 1. Presence of the Lord 6:41
  • 2. Birth of the Mule 6:00
  • 3. Left Coast Groovies 6:23
  • 4. Drums > 6:44
  • 5. Mule > 4:54
  • 6. Who Do You Love > 1:35
  • 7. Mule 3:11

     

  • Encores:
  • 8. Goin’ Out West 7:11
  • 9. Spanish Moon* 11:47
  • 10. Gonna Send You Back to Georgia* 7:29

     

  • * With Derek Trucks on guitar

    4/12/96
    The Roxy
    Atlanta, GA

     

  • Disc 1:
  • 1. Blind Man in the Dark 11:00
  • 2. Mother Earth 7:05
  • 3. Mule 5:54
  • 4. Temporary Saint 6:15
  • 5. Game Face 6:27
  • 6. No Need to Suffer 8:19
  • 7. Trane > 6:51
  • 8. Eternity’s Breath Jam > 2:02
  • 9. Thelonius Beck > 3:56
  • 10. Trane > 1:41
  • 11. St. Stephen Jam > 4:37
  • 12. Trane 1:35
  • 13. Painted Silver Light 7:19

     

  • Disc 2:
  • 1. Don’t Step on the Grass, Sam 7:59
  • 2. Birth of the Mule 5:31
  • 3. Just Got Paid 7:32

     

  • Encores:
  • 4. Goin’ Out West 6:16
  • 5. The Same Thing 10:17
  • 6. Gonna Send You Back to Georgia* 8:33
  • 7. Young Man Blues* > 2:35
  • 8. Good Morning Little Schoolgirl* > 7:23
  • 9. Young Man Blues* 1:59

     

  • *With Derek Trucks on guitar

    4/13/96
    Elizabeth Reed Music Hall
    Macon, GA

     

  • Disc 1:
  • 1. Blind Man in the Dark 9:53
  • 2. Mother Earth 9:09
  • 3. John the Revelator 1:42
  • 4. Temporary Saint 5:49
  • 5. Rocking Horse 4:36
  • 6. Game Face 6:47
  • 7. No Need to Suffer 8:41
  • 8. Trane > 8:55
  • 9. Eternity’s Breath Jam > 1:58
  • 10. Thelonius Beck > 4:01
  • 11. Trane > 1:41
  • 12. St. Stephen Jam 5:46

     

  • Disc 2:
  • 1. Presence of the Lord 6:44
  • 2. Birth of the Mule 6:41
  • 3. Monkey Hill > 4:36
  • 4. She’s So Heavy Jam 1:28
  • 5. Mule 7:07

     

  • Encores:
  • 6. Goin’ Out West 7:55
  • 7. She’s 19 Years Old* 10:20
  • 8. Gonna Send You Back to Georgia* 8:20

     

  • * With Tinsley Ellis on guitar

“Solo” un doppio invece Wood dei Widespread Panic, già pubblicato in una versione ridotta in vinile  l’aprile scorso per il Record Store Day. Si tratta di brani registrati nel corso del breve tour acustico di inizio anno. Anche in questo caso,  titoli dei brani, date e ospiti (ospite, uno, Col. Bruce Hampton, in un brano). E’ interessante, perché ci sono molte cover inconsuete:

CD I
The Ballad John and Yoko
(1/25/12 Washington, DC)
Mercy
(1/25/12 Washington, DC)
Imitation Leather Shoes
(1/25/12 Washington, DC)
Clinic Cynic
(1/24/22 Washington, DC)
Tall Boy
(2/11/20 Denver, CO)
Many Rivers to Cross
(2/12/20 Denver, CO)
Good Morning Little School Girl
(2/10/12 Denver, CO)
Pickin’ Up The Pieces
(2/10/12 Denver, CO)
Ain’t Life Grand
(2/12/12 Denver, CO)

CD II
St. Louis
(2/18/12 Aspen, CO)
Time Waits
(2/19/12 Aspen, CO)
Sell Sell
(2/19/12 Aspen, CO)
Tail Dragger
(2/19/12 Aspen, CO)
Tickle The Truth
(1/25/12 Washington, DC)
*Fixin’ to Die
(1/27/12 Atlanta, GA)
Climb to Safety
(1/25/12 Washington, DC)
Counting Train Cars
(1/29/12 Atlanta, GA)
C Brown
(1/29/12 Atlanta, GA)
Blight
(1/29/12 Atlanta, GA)
End of the Show
(1/29/12 Atlanta, GA)

* With Col. Bruce Hampton on vocals

Il quesito relativo al box da 5 dischetti per il 40° Anniversario dall’uscita di Machine Head dei Deep Purple, è, ne vale la pena? Uhm! Giudicate voi:

* CD1: “Machine Head” original album 2012 remaster
* CD2: 1997 remix by Deep Purple bassist Roger Glover
* CD3: Original album Quad SQ stereo (2012 remaster)
* CD4: “In Concert ’72” – 2012 Mix (recorded live at Paris Theatre, London on March 9, 1972)
* DVD: 2012 high-resolution remaster and surround mix

Che tradotto vorrebbe dire: 3  differenti rimasterizzazioni o remix dell’album originale più quella in 5.1 del DVD audio e il 4 cd con il concerto dal vivo a Londra del 1972, che però è il famoso In Concert. Per 50 euro, più o meno, mi sembra indirizzato soprattutto a fans sfegatati dei Deep Purple o dell’alta fedeltà!

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Tre voci femminili (e non solo), in uscita in questi giorni:

Dopo la collaborazione dello scorso anno con Joe Bonamassa, Beth Hart pubblica un nuovo album sempre per la Provogue, Bang Bang Boom Boom. Da quello che ho potuto ascoltare il disco mi sembra molto bello, come al solito tra blues e soul, il rock è sempre presente ma senza gli eccessi del passato. Uno dei suoi migliori dischi in assoluto, insieme al Live e a quello con Bonamassa, le canzoni sono tutte firmate da Beth Hart, da sola o con altri. Suona con lei in pratica tutta la band di Bonamassa, che nel frattempo era impegnato con il disco nuovo dei Black Country Communion (in uscita il 30 ottobre, ma di cui leggerete la recensione nei prossimi giorni): quindi ci sono Anton Fig alla batteria, Michael Rhodes al basso, Arlan Schierbaum alle tastiere e tale Randy Flowers, che non conosco, alla chitarra. Joe Bonamassa appare in una bella blues ballad, There In Your Heart con un assolo dei suoi. Se volete ascoltare una delle più belle voci del rock attuale non dovere andare troppo lontano.

Kaki King pubblica per Velour Records il suo sesto album da solista intitolato Glow. La King è un virtuoso della chitarra, sia elettrica che acustica (molte delle evoluzioni chitarristiche nello score della colonna sonora di Into The Wild, sono sue e di Michael Brook, mentre le canzoni come è noto sono di Eddie Vedder). Negli ultimi album ha inserito anche brani cantati e un maggiore uso di una elettronica molto discreta e di altri strumenti, tra cui una sezione archi.

Terzo album in uscita anche per i Bat For Lashes, ovvero il gruppo inglese di Natasha Khan, che suona anche quasi tutti gli strumenti. Il titolo è Haunted Man, etichetta Parlophone, in uscita in Europa a macchia di leopardo in questi giorni e la settimana prossima negli Stati Uniti. Tra gli ospiti Beck e David Sitek dei TV on The Radio.

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Un terzetto ben assortito di novità.

I Bellowhead sono uno dei miei gruppi preferiti tra quelli del nuovo filone del folk inglese. Con una formazione di undici elementi, tra cui una sezione di fiati di quattro, ma tra tutti suonano più di 35 strumenti, sotto la guida di Joe Boden, propongono un folk trascinante che potrebbe essere considerato una variazione sul tema di quello dei vecchi Pogues (occhio che il 20 novembre tornano anche loro con un bel disco multiplo, CD+DVD, registrato all’Olympia nel mese di settembre). Dopo Hedonism e Hedonism Live dello scorso anno, questo nuovo si chiama Broadside ed è in uscita il 16 ottobre per la Navigator Records. Se amate il genere fatevi un appunto perché sono veramente bravi.

Un altro nuovo nome che sta già facendo gridare al miracolo la stampa britannica: “il nuovo Donovan” “Bob Dylan incrociato con i Beatles”, gli Oasis se non avessero fatto musica rock, eccetera eccetera. Lui, da quello che ho sentito è bravino, più che altro esteriormente (e anche un po’ musicalmente) sembra Paul Weller da giovane. O un Billy Bragg per i giorni nostri, un cantautore classico, ma con una maggiore attenzione per la grande tradizione del pop e del rock britannico (qualche eco dei nomi citati in effetti c’è). Sentirò meglio ma…Il disco di esordio omonimo, Jake Bugg, esce il 16 ottobre per la Mercury/Universal. Non è male, non vorrei dare l’impressione di essere scettico, ma con la montagna di c….te che vengono presentate come oro dall’Inghilterra.

Dopo dieci album di studio, quattro Live, varie collaborazioni anche per Ben Harper è venuto il momento di un disco retrospettivo. Non un greatest hits convenzionale ma una raccolta di materiale scelto tra le sue ballate. C’è una versione in studio di Not Fire Not Ice e una nuova canzone Crazy Amazing. Etichetta Virgin/EMI, in uscita il 16 ottobre. Sarà l’ultimo per la vecchia casa, che come forse saprete sta per essere assorbita dalla Universal. A fine gennaio, per la Stax/Concord è già annunciato il nuovo disco di studio, Get Up, una collaborazione con Charlie Musselwhite. E lì lo vedo bene, meglio che con Jovanotti! Il video non c’entra niente, ma la canzone mi piaceva un casino.

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Un terzetto dall’America:

Il disco nuovo di Jamey Johnson, molto bello, è in effetti una collaborazione con molti altri musicisti (meno un brano) e al tempo stesso un tributo ad uno dei grandi autori della musica country americana. Living For A Song: A Tribute To Hank Cochran, etichetta Mercury/Universal, in uscita il 16 ottobre, se la batte con quello di Dwight Yoakam come miglior disco country del periodo. Ammetto che avevo il promo da tempo ma non ho trovato il tempo per fare la recensione ma sicuramente ci tornerò, insieme ad altri dischi importanti che non hanno avuto lo spazio che meritano nel Blog. Nel frattempo tracklisting e musicisti coinvolti nel processo:

  1. “Make the World Go Away” – Jamey Johnson and Alison Krauss
  2. “I Fall to Pieces” – Jamey Johnson and Merle Haggard
  3. “A Way to Survive” – Jamey Johnson, Vince Gill and Leon Russell
  4. “Don’t Touch Me” – Jamey Johnson and Emmylou Harris
  5. “You Wouldn’t Know Love” – Jamey Johnson and Ray Price
  6. “I Don’t Do Windows” – Jamey Johnson and Asleep at the Wheel
  7. “She’ll Be Back” – Jamey Johnson and Elvis Costello
  8. “Would These Arms Be in Your Way” – Jamey Johnson
  9. “The Eagle” – Jamey Johnson and George Strait
  10. “A-11” – Jamey Johnson and Ronnie Dunn
  11. “I’d Fight the World” – Jamey Johnson and Bobby Bare
  12. “Don’t You Ever Get Tired of Hurting Me” – Jamey Johnson and Willie Nelson
  13. “This Ain’t My First Rodeo” – Jamey Johnson and Lee Ann Womack
  14. “Love Makes a Fool of Us All” – Jamey Johnson and Kris Kristofferson
  15. “Everything But You” – Jamey Johnson, Vince Gill, Willie Nelson and Leon Russell
  16. “Livin’ for a Song” – Jamey Johnson, Hank Cochran, Merle Haggard, Kris Kristofferson and Willie Nelson

Viceversa, quello che è stato sicuramente il più grande musicista della storia della musica country, Hank Williams, a quasi 50 anni dalla morte (avvenuta il 1° gennaio del 1953), continua ad essere oggetto di una serie di pubblicazioni inedite. L’ultima della serie si intitola The Lost Concerts, è uscita la scorsa settimana negli States per la Time Life Entertainment e raccoglie due concerti del 1952, il 4 maggio e il 13 luglio, andati in onda alla radio allora e poi scomparsi nella notte dei tempi (se non in qualche bootleg). Se avete letto che la qualità è sorprendentemente buona, attenzione, perché è vero a metà. Il primo concerto, quello a Niagara Falls ha veramente una qualità sonora eccellente per una registrazione di 50 anni fa, l’altro, registrato a Sunset Park, quella di un discreto bootleg. Certo l’importanza storica di sentire Hank Williams dal vivo, con tanto di presentazioni, non è un fattore trascurabile, ma è sempre meglio avvisare.

 
Per concludere le uscite odierne, il ritorno di un altro musicista, Don Felder, di cui, francamente, almeno il sottoscritto, non sentiva la mancanza. Il suo primo disco Airborne, era uscito nel 1983, e come si diceva dell’ex ministro La Russa, era veramente brutto. Questo nuovo Road To Forever, uscito lo scorso 9 ottobre per la Rocket Science non è che sia molto meglio (appena un po’, contariamente a quello che leggerete dai fans dei vecchi Eagles, è una mezza palla, canzoni bolse e melense, ballate e brani rock che fanno rimpiangere i dischi solisti di Timothy B. Schmit. Non per niente nel gruppo era semplicemente la seconda chitarra solista e quando non se ne occupava Joe Walsh. Coinvolto nella prima reunion degli Eagles, quella di Hell Freezes Over, poi gli è stato dato il benservito ad inizio anni 2000, senza motivo sostiene lui, che ha iniziato varie cause legali poi risolte extragiudizialmente. Probabilmente gli hanno dato un pacco di soldi, con cui ha registrato questo album. Gli assoli di chitarra del disco, soprattutto le parti di slide sono molto buone ma per il resto…se conoscete Airborne sapete cosa aspettarvi. Dell’ottimo “Bland Rock”.
 
Il 16 ottobre escono anche i nuovi album di Donald Fagen e Martha Wainwright (recensioni imminenti per entrambi) e molti altri titoli di cui si parlerà nel Post di domani.
 
Alla prossima.
 
Bruno Conti
 
 

Solo Virtuale, Purtroppo! Jupiter Coyote – Sage With Toad

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Jupiter Coyote – Sage With Toad – MBM Records – Digital Download

Quando, qualche tempo fa, ho fatto i primi avvistamenti in rete di un nuovo album dei Jupiter Coyote Sage With Toad mi sono detto “Toh, ci sono ancora”! Poi ho iniziato a cercare il CD e non si trovava da nessuna parte. Ad un ulteriore approfondimento anche nel loro sito (peraltro non aggiornato da molto tempo) non risultava nulla. Per farla breve il disco “fisico” non è mai uscito e si trova solo sulle piattaforme per il download digitale: ma ne vale le pena. Anche se io stesso frequento poco l’articolo e quelle rare volte che scarico qualcosa poi mi faccio lo stesso un dischetto mi sono “sacrificato” per la scienza. Già direte voi, ma chi sono costoro? Sono un quintetto, o almeno lo erano visto che le notizie si fermano all’ultimo disco The Hillary Step, pubblicato nel 2004 (una parola grossa, vista la scarsa reperibilità, ma in carriera, in modo del tutto indipendente hanno venduto oltre 250.000 copie dei loro dischi). Poi sono seguiti 2 doppi DVD dal vivo (e prima esisteva anche una Vhs) e un doppio Live del 2000 in CD, inutile dire che sono tutti bellissimi.

A questo punto immagino che un’altra domanda sorga spontanea, ma che genere fanno? Bella domanda! Southern rock, jam band style, country rock, progressive bluegrass (questo non è male), comunque rock in generale con due chitarre soliste fantastiche nelle mani dei due leader e fondatori del gruppo, Matthew Mayes e John Felty che sono anche i vocalists del gruppo sin dai tempi dell’esordio nel lontano 1993 con il bellissimo Cemeteries and Junkyards. Mi sembra ovvio che quello che trovate, trovate, prendete senza problema, sono tutti dischi molto buoni, Wade, Lucky Day, il citato Live, quello più recente o Waxing Moon del 2001, non potete sbagliarvi, sempre grande musica che, partendo dal suono classico di band come gli Allman Brothers (agli inizi erano prodotti da Johnny Sandlin) o la Marshall Tucker Band ha “attualizzato” il sound fondendolo con quello delle prime jam bands (per esempio i Widespread Panic) in uno stile che loro definiscono “Mountain Music”.

Vi assicuro che ascoltandoli si gode vivacemente con della buona musica, suonata bene, arrangiata anche meglio, con delle lunghe improvvisazioni strumentali di grande perizia tecnica dove i due leaders, Mayes che oltre alla chitarra suona anche il guijo (please? Sarebbe una Stratocaster con il “collo” di un banjo) e Felty che si cimenta molto anche alla slide, non lesinano assoli sempre diversi e vari.

Se la tecnologia non vi spaventa (e se siete in un Blog in internet, direi di no) anche questo Sage With Toad ha i suoi pregi. Diciamo che ha un difetto se vogliamo, e sveliamolo, purtroppo è una raccolta. Ma per i neofiti e per chi non ha nulla (o non ha tutto) è sempre un bell’ascoltare.

Dall’iniziale Find con i suoi arpeggi di chitarra acustica cui subito si aggiunge una lirica chitarra solista dal suono limpido e cristallino fino alla conclusiva Better è tutto un susseguirsi di brani dove ad una parte iniziale cantata con grande gusto e perizia dal duo Mayes/Felty segue sempre una serie di improvvisazioni delle due twin guitars con l’atout del valore aggiunto del gujo che dà quel sapore country alla musica del gruppo che non manca mai di grinta rock comunque e le tastiere, il piano nel brano iniziale disegnano dei florilegi alla Chuck Leavell dei vecchi Allman. Si resta stupiti come tanta bravura sia ignota ai più (ma purtroppo non si può conoscere tutto, e questa rubrica “carbonari” mi sembra adatta a colmare qualche lacuna).

Everytime rincara la dose con l’aggiunta di piacevoli armonie vocali che aumentano lo spirito country e quando il tempo accelera ci si ritrova in quel Bluegrass progressivo che citavo prima, melodie arcane e sonorità elettriche e moderne fuse perfettamente con il virtuosismo mai fine a sè stesso dei due solisti (vengono dal North Carolina ma si sono trasferiti a Macon, Georgia e poi in Florida, questo per la cronaca).

Non mancano brani rock più vivaci, come la funky Rose Hill dove il suono ricorda molto quello dei primi Doobie Brothers, i migliori, quelli più rock di China Grove e Long Train Running, con percussioni frenetiche, organo e una voce femminile, ma il cuore della musica è sempre centrato intorno alle voci e alle chitarre quasi telepatiche di Matthew Mayes e John Felty. I Know Nothing è un altro esempio della loro bravura: inizia come una ballata acustica, dolcissima, in duetto con la voce femminile di cui sopra e poi si trasforma in una grande jam chitarristica nella seconda parte con un repentino ed improvviso cambio di tempo all’incirca a metà brano, geniale e imprevisto! 

Ma tutti i brani sono di grande qualità, dal country-southern in souplesse di Seven Canadas Geese alla lunga (oltre gli 8 minuti e mezzo, ma nei dischi della loro discografia canzoni di dodici, quindici, venti minuti sono la regola e non l’eccezione) e ricca di squarci strumentali, Words, che mi ricorda i Widespread Panic più ispirati, con le armonie vocali in trio e le derive jam del brano che si fondono alla grande. Quindi, ribadisco, se trovate questo Sage With Toad va benissimo ma qualsiasi album della loro discografia è più che adeguato, per usare un eufemismo: gran bella musica!

Qualcuno, di loro ha detto: “La più grande Band di cui nessuno ha mai sentito parlare”! Sottoscrivo. E la ricerca di altri “Beautiful Losers” prosegue, alla prossima.

Bruno Conti

In Deciso Anticipo Ma…David Bromberg – Use Me – Uscita Ufficiale 12 Luglio

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David Bromberg – Use Me – Appleseed Recordings/Ird

Ma…quale sarebbe il vantaggio di avere un Blog indipendente con Post giornalieri se non ne approfitti? E quindi anche se manca più di un mese alla uscita ufficiale del nuovo album di David Bromberg Use Me visto che per vari motivi ne posso parlare, parliamone!

Intanto il disco “aleggiava” nell’aria (e nel sito di Bromberg) già da tempo, insomma era atteso dagli addetti ai lavori.

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Esattamente 40 anni fa, nel 1971, usciva il primo disco omonimo del nostro amico (Columbia C 31104, proprio questo sopra) e poi in rapida successione altri tre grandissimi album sempre per la Cbs americana, Demon In Disguise nel 1972, Wanted Dead Or Alive nel 1974 e Midnight On The Water nel 1975. Album che sono stati tra i primi caposaldi di quella che allora non si chiamava ancora “Americana” o Roots Music ma in fondo lo era. Una fusione di rock, blues, folk, country (ma anche bluegrass e jazz) e musica da cantautore che seguiva l’esempio della Band, dei Little Feat, dei Grateful Dead meno lisergici e anticipava altri artisti che negli anni ’70 avrebbero frequentato questi percorsi.

Grande chitarrista elettrico ed acustico, ma anche violinista e ottimo al dobro, alla pedal steel e al mandolino. Sessionman con Dylan, George Harrison (che firmerà con Bromberg The Holdup presente nel disco di esordio), con Jerry Garcia, con Jerry Jeff Walker di cui riprenderà Mr. Bojangles in una delle più belle versioni in assoluto. Ma anche ottimo cantante, con quella sua voce particolare, sorniona, in grado di spaziare in tutti i generi rimanendo sempre sé stesso. Nella seconda metà degli anni ’70 passa alla Fantasy con cui esordirà con l’ottimo doppio How Late’ll Ya Play ‘Til?, metà in studio e metà dal vivo e poi ancora con Reckless Abandon, Bandit in Bathing Suit, My Own House, meno belli ma sempre di notevole spessore. Poi un paio di album a fine anni ’80, inizio ’90, Long Way From Here e Sideman Serenade e infine un lungo silenzio che faceva pensare ad un suo ritiro, interrotto da qualche antologia e disco d’archivio.

Nel 2007 esce per la Appleseed un nuovo album, Try One More Time, completamente acustico e tradizionale che ottiene anche una nomination ai 50esimi Grammy nella categoria Best Traditional Folk Album. E finalmente oggi (evidentemente ci ha ripreso gusto) esce questo Use Me che lo riporta ai fasti dei primi album. Undici brani con la partecipazione di alcuni musicisti straordinari che magari non vendono ma sono tra i migliori in circolazione.

Si parte con Tongue (l’unico brano firmato da Bromberg), la prima di due collaborazioni con Levon Helm (alla batteria per l’occasione), si prosegue alla grande con Ride On Out A Ways scritta appositamente per l’occasione da John Hiatt, uno di quei suoi tipici brani che Bromberg interpreta alla perfezione nello spirito dell’autore. Bring It With You When You Come è l’altro brano con Levon Helm e sembra uscito da un vecchio disco della Band, con Larry Campbell che produce. La caratteristica del disco è che il buon David si è recato nei vari studi degli ospiti sparsi per gli States e ha colto lo spirito della musica dei vari partecipanti.

E quindi il bluegrass di Tim O’Brien in Blue Is Fallen, il New Orleans Fonk nella “indiavolata” You Don’t Wanna Make Me Mad scritta per l’occasione da Dr.John che si esibisce anche, ovviamente, al piano e Bromberg che rispolvera per l’occasione la slide d’ordinanza. Ma anche dell’ottimo Blues nell’accoppiata con Keb Mo’ in Diggin’ In The Deep Blue Sea che è una rivisitazione scritta ai giorni nostri, in coppia con Gary Nicholson, del classico Texas Flood di Larry Davis.

Anche il duetto con i Los Lobos nel valzerone messicano The Long Goodbye è particolarmente ispirato. Cosi’ come il duello a colpi di solista con i Widespread Panic di Jimmy Herring nella jam chitarristica di Old Neighborood e Bromberg è ancora un grande al suo strumento. Ottimo anche il rendez-vous con una “vecchia amica” come Linda Ronstadt per la cover della soul ballad di Brook Benton It’s Just A Matter Of Time.

Poteva mancare il country primo amore? Se ti si presenta un certo Vince Gill con una nuova canzone scritta per l’occasione insieme a Guy Clark, Lookout Mountain Girl certo che no! Anzi gli lasci pure l’assolo di chitarra. Per concludere, un brano con i Butcher Brothers, una coppia di fratelli produttori di Philadelphia, Phil & Joe Nicolo, che spaziano da Bob Dylan ai Cypress Hill, per una cover morbida e melliflua del classico di Bill Withers, Use Me che dà il titolo all’album.

E voi (noi) dovrete aspettare più di un mese per ascoltare tutte queste meraviglie? Sono crudele ma non fino a questo punto, un uccellino mi ha sussurrato che il CD dovrebbe approdare nelle nostre lande, in netto anticipo sull’uscita ufficiale, nei prossimi giorni. Nell’attesa vi potete ascoltare questi brani dal suo sito useme02.html.

Bruno Conti