Un Altro Ottimo Album Disponibile Per Ora Solo Per il Download, In CD dal 15 Gennaio (E In Europa Dal 12 Febbraio). Jeff Tweedy – Love Is The King

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Jeff Tweedy – Love Is The King – dBpm Records – Digital Download/Streaming – CD Vinyl 15-01-2021 USA/12-02-2021 Europe

Jeff Tweedy in questi ultimi anni si sta dedicando con continuità alla sua carriera solista, un disco ogni anno e nel 2019 ha trovato anche il tempo per pubblicare un nuovo disco dei Wilco Ode To Joy, al quale sarebbe dovuto seguire un tour nel 2020, cancellato per le note vicende della pandemia. E quindi il nostro amico ha pensato bene di registrare questo Love Is The King, suo quarto album solo: d’altronde se uno ha uno studio personale come il The Loft in quel di Chicago, Illinois, spesso usato anche da altri musicisti, per “passare il tempo” è sembrata quasi una cosa normale farlo, nel mese di aprile, in pieno lockdown, se per caso hai pure un figlio batterista e un altro che canta, e al resto ci pensi tu, i giochi sono fatti. Poi, come ormai sta diventando una usanza consolidata nell’ultimo anno, il disco viene pubblicato prima in digitale al 23 ottobre, mentre il formato fisico in CD e vinile sarà disponibile dal 15 gennaio 2021 (e in Europa un ulteriore probabile rinvio al 12 febbraio).

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Come vogliamo chiamarlo, il disco, ha già avuto ottime recensioni, come nel caso degli ultimi album di Tweedy ha bisogno di un po’ di ascolti, ma alla distanza cresce: undici canzoni, una scritta con George Saunders (non conoscevo, uno scrittore e giornalista texano), abbastanza tranquille e placide quasi tutte, cantate con la sua voce magari non bella ma subito riconoscibile. Love Is The King parte con una chitarra acustica arpeggiata, poi entra un basso marcato, la batteria scandita, un po’, volendo fare dei paragoni, il sound secco di Plastic Ono Band il primo disco solista dell’amato John Lennon, non c’è la chitarra elettrica esuberante di Nels Cline (che ha da poco pubblicato un disco solista), ma quella di Jeff ci regala un assolo di grande bellezza, in un crescendo affascinante che attira subito l’attenzione dell’ascoltatore https://www.youtube.com/watch?v=YHklzxUtLh4 . Opaline segna un ritorno alle sonorità “country” degli Uncle Tupelo o dei primi Wilco, una bellissima melodia sempre con la chitarra in evidenza e un’aura pigra ma non indolente, luminosa e brillante, quasi ottimista e consolatoria, uno splendore https://www.youtube.com/watch?v=bOHGWo02yxg , Tweedy potrà avere ammorbidito il suo approccio ma è sempre un fior di musicista, sentite anche il delizioso omaggio alla vecchia musica country di Buck Owens in Natural Disaster con tanto di assolo in chicken-pickin’ di Jeff https://www.youtube.com/watch?v=jmaq3mUplrQ , o il folk minimale e fischiettato della intimista Save It For Me, solo chitarra acustica, basso e batteria, e le armonie vocali del figlio Sammy.

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Guess Again è di nuovo lennoniana, il John casalingo, amoroso ed ottimista degli ultimi anni prima della tragedia, visto ovviamente attraverso l’ottica di un ispirato Tweedy alle chitarre, con il figlio Spencer che si conferma brillante ed eclettico batterista https://www.youtube.com/watch?v=X46rveNq9GE , tornando indietro troviamo il soffice alternative country di A Robin Or A Wren che tratta l’argomento della morte in modo sofisticato e complesso, quasi fatalista “the end of the end / Of this beautiful dream we’re in”, sempre con le belle armonie vocali del figlio Sammy https://www.youtube.com/watch?v=jGC3BB-YA0o . Ma non manca neppure un rock più marcato in Gwendolyn, quando Jeff lascia andare le chitarre, senza esagerare ma con la sua proverbiale classe https://www.youtube.com/watch?v=0aqwuQuhP5U , per poi tornare ad un approccio più delicato in Bad Day Lately che però non manca di improvvise aperture dove il suono si fa più incisivo, sempre con la diversa timbrica delle chitarre a caratterizzarne il suono https://www.youtube.com/watch?v=8cObf6rZwGE .

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Even I Can See, solo voce e chitarra, sembra quasi un madrigale, con una chiusura strumentale da british folk anni ‘70, avete presente gli Amazing Blondel? Troubled e Half-Sleep poste in chiusura confermano la ritrovata vena del frontman dei Wilco, sempre in questa sua “nuova” versione più intima e rilassata, ma con soluzioni sonore e melodie di grande fascino, la seconda sulle ali di una chitarra acida che si insinua nell’apparente sonnolento dipanarsi della canzone. In un periodo di poche uscite discografiche un album, quello di Jeff Tweedy, da sentire con attenzione, ma che alla fine riserva le sue soddisfazioni all’ascoltatore più attento.

Bruno Conti

Già Le Canzoni Sono “Belline”, Ma Lei E’ Bravissima! Emma Swift – Blonde On The Tracks

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Emma Swift – Blonde On The Tracks – Tiny Ghost CD

Se non avete mai sentito nominare Emma Swift non dovete preoccuparvi, in quanto stiamo parlando di una singer-songwriter australiana (ma che da anni vive a Nashville) che è discograficamente ferma all’EP d’esordio omonimo del 2014, al quale hanno fatto seguito solo un paio di singoli incisi con la collaborazione del noto musicista britannico Robyn Hitchcock, che tra parentesi è legato ad Emma anche dal lato sentimentale, visto che vivono insieme a Nashville (e bravo Robyn: oltre al fatto che è molto più giovane, la Swift è pure carina). Dopo ben sei anni Emma si fa dunque viva con il suo primo vero album, e come il titolo Blonde On The Tracks può far intuire si tratta di un disco composto interamente da canzoni di Bob Dylan, grande passione sia di Emma che di Robyn (il quale aveva dedicato al Vate un intero live uscito nel 2002, Robyn Sings), un lavoro al quale la bionda cantautrice aveva iniziato a pensare nel 2017 ma che si è decisa a mettere a punto solo qualche mese fa “approfittando” del lockdown.

Io sono uno che appena sento odore di Dylan rizzo le antenne, ma una volta ultimato l’ascolto di questo album non posso che esprimere la mia positiva sorpresa: Blonde On The Tracks è infatti un disco davvero molto bello, con otto canzoni una più bella dell’altra (e fin qui niente di nuovo), ma quello che più mi stupisce è la bravura di Emma (che, ripeto, non conoscevo) nell’interpretarle, grazie ad una bella voce limpida, espressiva ma anche seducente e ad un background strumentale molto classico basato sulle chitarre (lo stesso Hitchcock e Pat Sansone, membro dei Wilco e produttore dell’album), steel guitar (Thayer Serrano), piano ed organo (ancora Sansone) e la sezione ritmica di Jon Estes al basso e Jon Radford alla batteria. La bravura di Emma è stata anche quella di non aver stravolto le canzoni proposte, ma nello stesso tempo aver dato un tocco personale pur rispettando le melodie originali, con il risultato finale di aver realizzato un disco che mi sento di consigliare senza remore ad ogni fan del grande Bob (copertina a parte, che sembra realizzata da un bambino dell’asilo alle prese con un programma di Photoshop taroccato).

L’inizio del CD con Queen Jane Approximately (molti dei brani scelti sono rivolti al sesso femminile, ma Emma non si fa molti problemi e le ripropone con il testo identico) è splendido, ed anche in maniera decisa: l’arrangiamento è byrdsiano al 100%, con quel suono di chitarra 12 corde che sembra appartenere proprio a Roger McGuinn, e la Swift mostra di avere una voce davvero bellissima. La canzone è già grande di suo, ma questa interpretazione è pressoché perfetta. Emma con questo album vince anche un immaginario premio per essere stata la prima a proporre un pezzo tratto dall’ultimo capolavoro dylaniano Rough And Rowdy Ways: I Contain Multitudes è il brano che apre quel disco straordinario, ed Emma ne rispetta l’atmosfera intima performandolo per sola voce e chitarra acustica, con gli altri strumenti che entrano con discrezione solo nei due bridge. Eppure la canzone emerge alla grande, e buona parte del merito va alla prestazione vocale da brividi.

Si torna nei sixties con One Of Us Must Know (da Blonde On Blonde, del quale, molti non lo sanno, era il primo singolo), che inizia ancora con la voce circondata dal minimo indispensabile, con una steel che miagola sullo sfondo ed un pianoforte che segue con sicurezza la melodia, fino allo splendido ritornello full band. Visto il titolo del CD non poteva mancare almeno un brano da Blood On The Tracks (in realtà ce ne sono due), e Simple Twist Of Fate è uno dei tanti capolavori di quel disco: Emma la rilegge in maniera classica, voce, due chitarre e poco altro, con la bellezza della canzone che fa il resto. Dicevo dei brani rivolti alle donne: Sad Eyed Lady Of The Lowlands è uno dei casi più leggendari in tal senso in quanto Dylan l’aveva dedicata alla moglie Sara, e la versione della Swift rispetta la durata fiume di quasi dodici minuti dell’originale ma non annoia, grazie al suo arrangiamento da sontuosa ballata folk-rock cantata al solito in maniera sopraffina.

Un’altra canzone “al maschile” è The Man In Me, un pezzo quasi pop per gli standard di Dylan (era su New Morning), e la rilettura è decisamente piacevole ed orecchiabile, merito anche di una veste sonora molto anni settanta con chitarre, piano ed organo sugli scudi. Chiudono l’album Going Going Gone, altra versione splendida e toccante di un pezzo non molto noto di Bob, ma che in questa rilettura fluida brilla particolarmente rivelandosi come una delle più riuscite, e lo stesso vale per You’re A Big Girl Now, per la verità abbastanza simile all’originale nell’arrangiamento (e quindi molto valida anche questa). Blonde On The Tracks non è quindi “solo” un album di cover dylaniane, ma un disco bellissimo in cui finalmente scopriamo il talento di Emma Swift come cantante ed interprete, nella speranza di poter finalmente apprezzare al più presto anche il suo lato cantautorale.

Marco Verdi

Per Rimanere In Argomento: Canzoni Di Protesta In Chiave “Gospel-Soul”. Mavis Staples – If All I Was Was Black

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Mavis Staples – If All I Was Was Black – Anti Records

Dopo gli splendidi You Are Not Alone (10) http://discoclub.myblog.it/2010/09/17/musica-dell-anima-mavis-staples-you-are-not-alone/  e One True Vine (13) http://discoclub.myblog.it/2013/12/12/recuperi-fine-anno-parte-3-mavis-staples-one-true-vine/ , continua la collaborazione tra il concittadino Jeff Tweedy dei Wilco, e una delle più grandi voci del gospel.soul americano Mavis Staples, con questo terzo capitolo (per ora) If All I Was Was Black, che contrariamente ai precedenti è composto interamente di brani inediti firmati da Tweedy (con la Mavis che ha scritto il testo di tre canzoni), e che lo vede, come al solito, anche nelle vesti di produttore. Precisando che questo è probabilmente l’album più politico della carriera di Mavis Staples e Jeff Tweedy, (incentrato soprattutto contro l’attuale presidenza Americana), i due “lobbysti” portano negli studi The Loft di Chicago(la casa dei Wilco), dei  valenti ed abituali musicisti di area quali Stephen Hodges alla batteria e percussioni, Jeff Turmes al basso, Rick Holmstrom alle chitarre, presenti anche nel disco dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/02/24/le-ultime-voci-originali-della-soul-music-mavis-staples-livin-on-high-note/ , il polistrumentista Scott Ligon al clarinetto, piano e organo, e naturalmente lo stesso Jeff al basso e chitarre , aiutato dal figlio Spencer alla batteria e percussioni, senza dimenticare le belle e gentili armonie vocali di Kelly Hogan, Vicki Randle, e Akenya Seymour.

A differenza dei due lavori precedenti, la musica è meno radicata nel gospel e soul, e più orientata verso un folk con venature funky anni ’70, e l’iniziale Little Bit ne è la perfetta fusione con tanto di chitarre distorte su un ritmo “snervante”, mentre la title track If All I Was Was Black è a suo modo una canzone d’amore, resa al meglio dalla voce di Mavis e dai coretti soul in stile Stax, a cui fanno seguito un altro brano “groove-oriented” e dai toni scuri come Who Told You That, e il rilassato folk-gospel di Ain’t No Doubt About It, cantato in duetto con Tweedy (non per niente è il brano più simile ai Wilco). Con Peaceful Dream torna protagonista il gospel, per poi prontamente ritornare al funky-groove frenetico di No Time For Crying, passare ad una rock song con tanto di chitarra psichedelica e voci in falsetto di una funzionale Build A Bridge, e a quello che alla Staples riesce meglio, il soul di una ballata cantata con voce vellutata come We Go High. Si chiude sul ritmo leggermente blues di una sincopata Try Harder, e con  le brevi note acustiche di una “innocua” All Over Again.

Questo ultimo lavoro del “trittico” con Jeff Tweedy è il sedicesimo album in studio di questa signora, e se devo assegnargli un ipotetico podio di merito, certamente la sua posizione occuperebbe il gradino più basso (anche se il disco è sempre di buon livello), in quanto fra cimentarsi con brani firmati da Randy Newma, John Fogerty, Gary Davis, Allen Toussaint, Pops Staples, Little Milton e Nick Lowe (come nei dischi precedenti) e affidarsi al “songwriting” dell’ex Wilco, credetemi, passa tutta la differenza del mondo. In ogni caso, c’è qualcosa di speciale nella collaborazione fra Jeff Tweedy e Mavis Staples, che va oltre l’aspetto musicale, dimostrato in questa occasione nel condividere i temi politici, con testi aspri e rabbiosi, che affrontano i temi delle discriminazioni razziali, in una America (vista dalla parte dei “lobbysti), sempre ancora più divisa, ma la cosa più importante per chi scrive è certificare che la seconda (o terza) carriera artistica della grande Mavis Staples continua, come ha dimostrato lo splendido concerto tributo a lei dedicato http://discoclub.myblog.it/2017/07/04/un-altro-concertotributo-spettacolare-mavis-staples-ill-take-you-there-an-all-star-concert-celebration-live/ !

Tino Montanari

E Sempre Il 1° Dicembre Escono Anche Due Ristampe Potenziate Dei Wilco: A.M. E Being There.

wilco a.m. wilco being there

Wilco – A.M. – CD Deluxe – Reprise/Rhino 

Wilco – Being There – 5 CD Deluxe Edition Reprise/Rhino 

Vengono ristampati in edizioni potenziate anche i primi due dischi dei Wilco, A.M. del 1995 e Being There del 1996, quelli più country-rock e alternative rock, ma anche Beatlesiani, registrati da Jeff Tweedy e soci subito dopo lo scioglimento degli Uncle Tupelo. Soprattutto nel secondo album cui viene aggiunto un CD bonus di studio, oltre a due CD dal vivo. Comunque ecco le nuove tracklist complete di entrambe le ristampe.

A.M. Deluxe Edition

1. I Must Be High (Remastered)
2. Casino Queen (Remastered)
3. Box Full Of Letters (Remastered)
4. Shouldn’t Be Ashamed (Remastered)
5. Pick Up The Change (Remastered)
6. I Thought I Held You (Remastered)
7. That’s Not The Issue (Remastered)
8. It’s Just That Simple (Remastered)
9. Should’ve Been In Love (Remastered)
10. Passenger Side (Remastered)
11. Dash 7 (Remastered)
12. Blue Eyed Soul (Remastered)
13. Too Far Apart (Remastered)
Bonus Tracks:
14. When You Find Trouble – Uncle Tupelo
15. Those I’ll Provide
16. Lost Love (Take 1 Vocal 2)
17. Myrna Lee
18. She Don’t Have To See You
19. Outtasite (Outta Mind) [Early Version] [Take 6]
20. Piss It Away
21. Hesitation Rocks

Being There Super Deluxe 5 CD Edition

CD1]
1. Misunderstood (Remastered)
2. Far, Far Away (Remastered)
3. Monday (Remastered)
4. Outtasite (Outta Mind) [Remastered]
5. Forget The Flowers (Remastered)
6. Red-Eyed And Blue (Remastered)
7. I Got You (At The End Of The Century) [Remastered]
8. What’s The World Got In Store (Remastered)
9. Hotel Arizona (Remastered)
10. Say You Miss Me (Remastered)

[CD2]
1. Sunken Treasure (Remastered)
2. Someday Soon (Remastered)
3. Outta Mind (Outta Sight) [Remastered]
4. Someone Else’s Song (Remastered)
5. Kingpin (Remastered)
6. (Was I) In Your Dreams [Remastered]
7. Why Would You Wanna Live (Remastered)
8. The Lonely 1 (Remastered)
9. Dreamer In My Dreams (Remastered)

[CD3]
1. Late Blooming Son
2. I Got You (Dobro Mix Warzone)
3. Out Of Sight, Out Of Mind (Alternate)
4. Far Far Away (Dark Side Of The Room)
5. Dynamite My Soul
6. Losing Interest
7. Why Would You Wanna Live (Alternate)
8. Sun’s A Star
9. Capitol City
10. Better When I’m Gone
11. Dreamer In My Dreams (Alternate Rough Take)
12. Say You Miss Me (Alternate)
13. I Got You (Alternate)
14. Monday (Party Horn Version)
15. I Can’t Keep From Talking

[CD4]
1. Sunken Treasure (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
2. Red-Eyed And Blue (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
3. I Got You (At The End Of The Century) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
4. Someone Else’s Song (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
5. Someday Soon (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
6. Forget The Flowers (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
7. New Madrid (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
8. I Must Be High (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
9. Passenger Side (Punk Version) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
10. Passenger Side (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
11. Hotel Arizona (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
12. Monday (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
13. Say You Miss Me (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]

[CD5]
1. Outtasite (Outta Mind) [Live At The Troubadour 11/16/96] [Remastered]
2. The Long Cut (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
3. Kingpin (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
4. Misunderstood (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
5. Far, Far Away (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
6. Give Back The Key To My Heart (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
7. Gun (Live At The Troubadour 11/16/96) [Remastered]
8. Sunken Treasure (Live On KCRW 11/13/96)
9. Red-Eyed And Blue (Live On KCRW 11/13/96)
10. Far, Far Away (Live On KCRW 11/13/96)
11. Will You Love Me Tomorrow (Live KCRW 11/13/96)

Non ho avuto tempo di controllare con attenzione ma mi pare che qualcosa era già uscito nel cofanetto quadruplo di inediti e rarità del 2014 Alpha Mike Foxtrot: Rare Tracks 1994 – 2014. Solo poca roba comunque, rimane molto materiale di cui gioire per i fans della band, e anche per chi ama la buona musica rock in generale. Escono entrambi il 1° Dicembre.

Bruno Conti

Dopo Le Celebrazioni Poteva Mancare Un Bel Tributo Ai Grateful Dead? Various Artists. – Day Of The Dead. Giorno 2

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VV. AA. – Day Of The Dead – 4AD/Beggars 5CD Box Set 

Seconda parte, segue da ieri http://discoclub.myblog.it/2016/05/24/le-celebrazioni-poteva-mancare-bel-tributo-ai-grateful-dead-various-artists-day-of-the-dead-giorno-1/

CD3: ecco ancora i National alle prese con un’emozionante rilettura di Peggy-O, un traditional ripreso di sovente da Garcia e soci: la bravura del gruppo sta nell’approcciare la canzone nel loro tipico stile senza modificarne la struttura, bravi; Bryce Dessner si presenta da solo con il bizzarro strumentale Garcia Counterpoint, seguito dalla suite Terrapin Station, ripresa in maniera perfetta da Daniel Rossen e Christopher Bear dei Grizzly Bear (con i National come backing band), uno dei momenti top del cofanetto. Clementine Jam è uno strumentale da parte dell’Orchestra Baobab, tra jazz e samba, gradevole ma superfluo, mentre la lunga jam China Cat Sunflower/I Know You Rider (Stephen Malkmus & The Jicks) è perfettamente calata nello spirito dell’operazione, chiudete gli occhi e quasi vi sembrerà di sentire i Dead. Splendida anche Jack-A-Roe, ad opera di Kate Stables alias This Is The Kit, con la sua suggestive atmosfera western anche se forse sarebbe più adatta ad una voce maschile. Bill Callahan si impegna molto per rovinare Easy Wind e direi che ci riesce, mentre Wharf Rat, ad opera di Ira Kaplan degli Yo La Tengo, è lunga, fluida, psichedelica ed indubbiamente azzeccata; ecco arrivare anche Lucinda Williams alle prese con il classico Going Down The Road Feelin’ Bad: Lucinda come al solito rallenta il ritmo (proprio non riesce a farne a meno, riuscirebbe a rallentare anche gli Iron Maiden), personalizzandola totalmente e condendo il tutto con la sua tipica voce sgraziata (so che sulla bionda rockeuse della Louisiana sono una voce fuori dal coro, ma proprio non ce la faccio…). Chiusura ottima con And We Bid You Goodnight, rifatta dal folksinger Sam Amidon con voce e poco altro.

CD 4: il dischetto più “difficile”, che però parte bene con una fluida Ripple eseguita da The Walkmen, indie band di New York che affronta la splendida canzone con lo spirito giusto, mentre purtroppo Truckin’ è letteralmente distrutta dai Marijuana Deathsquad, una versione rumoristica senza capo né coda, inascoltabile; anche la Dark Star dei Flaming Lips non mi piace per niente, rilettura modernista e finto-psichedelica, cantata in maniera imbarazzante. Stella Blue non mi faceva impazzire neppure nella versione dei Dead, figuriamoci sentirla così stravolta e destrutturata da parte dei Local Natives, ed il CD non si risolleva neppure con la caotica Shakedown Street degli Unknown Mortal Orchestra (ma chi sono?), ma stavolta anche per la pochezza della canzone. Finalmente un po’ di buona musica, ancora con l’Orchestra Baobab che dona un bel sapore caraibico a Franklin’s Tower, rendendola irriconoscibile ma intrigante; Tal National, da non confondere con i padroni di casa (sono un gruppo del Niger, ma dove li hanno trovati?), rilegge in maniera solare Eyes Of The World, e funziona, mentre il famoso banjoista Bela Fleck propone Help On The Way in una interessante versione tra roots e tribale. Estimated Prophet nelle mani dei Rileys diventa quasi un canto propiziatorio indiano (nel senso di pellerossa), fin troppo strana per i miei gusti, mentre What’s Become Of The Baby nelle mani degli Stargaze si trasforma in uno strumentale cerebrale e poco immediato (in poche parole, due palle). L’americano di origine indiana (dell’India stavolta) Vijay Iyer sarà anche un grande pianista classico, ma la sua King Solomon’s Marbles per piano solo mi annoia assai, mentre Bonnie “Prince” Billy, sempre solo col pianoforte ma anche con la voce, riesce ad emozionare con If I Had The World To Give.

CD 5: ancora Phosphorescent con il suo consueto stile crepuscolare/etereo alle prese con la bella Standing On The Moon, ed il gruppo di Matthew Houck si dimostra una scelta vincente; i Tallest Man On Earth, band svedese, rilegge invece Ship Of Fools con pieno rispetto dell’originale ma con un tocco personale, e la canzone ne esce alla grande. Di nuovo Bonnie “Prince” Billy con Bird Song, altra bella rilettura, molto classica e con la melodia in primo piano. Brown-Eyed Women è una delle preferite in assoluto dal sottoscritto, e sono lieto che gli Hiss Golden Messenger la rispettino al 100%, versione ottima di un brano grandioso, tra le migliori del lavoro. Here Comes Sunshine è poco conosciuta, ed i Real Estate né danno una lettura molto seria e solida, armonizzando molto bene con le voci, mentre sulla confusa Cumberland Blues di Charles Bradley stenderei un velo, e così anche su Drums/Space (Man Forever, So Percussion e Oneida), intermezzo batteristico/lisergico che era già una palla colossale nei concerti dei Dead. Cream Puff War viene dal primo periodo del gruppo di Garcia, ma l’interpretazione tra rock e noise dei Fucked Up (bel nome…) mi lascia molti dubbi, anche per la voce molto trash metal del leader. Non mi ricordavo di Rosemary, ma Mina Tindle è fin troppo leggerina ed eterea per farmela apprezzare a fondo, mentre High Time trova nuova luce nell’interpretazione ancora del duo Rossen-Bear dei Grizzly Bear, partenza acustica e finale full band. Till The Morning Comes del duo australiano Luluc è soave e molto raffinata, ma mi piace, mentre Winston Marshall dei Mumford & Sons (assieme a Kodiak Blue e Shura) mostra di risentire del momento no della sua band, rilasciando una versione assolutamente piatta ed insipida dell’altrimenti bellissima Althea. Il monumentale box si chiude con Attics Of My Life, rivista da Angel Olsen quasi fosse un coro ecclesiastico, strana ma non da buttare, e con Bob Weir (sì, proprio lui), che prima coi Wilco (St. Stephen) e poi coi National (I Know You Rider), entrambe dal vivo, sigilla alla grande il cofanetto con due riletture potenti e intrise fino al collo dello spirito deaddiano.

In definitiva, a parte qualche incertezza fisiologica per un box quintuplo (e comunque in gran parte concentrate nel quarto CD), c’è una sola parola con la quale definire quest’opera: imperdibile. Anche perché, per una volta, il costo è decisamente contenuto.

Marco Verdi

E Ora A Quando Il Prossimo ? Emitt Rhodes – Rainbow Ends

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Emitt Rhodes – Rainbow Ends – Omninvore Recordings/Warner

Quando usciva l’ultimo album di questo signore, Farewell Paradise, era il 1973, il presidente degli Stati Uniti d’America era ancora Richard Nixon, “Tricky Dicky” per chi non lo amava, e Emitt Rhodes aveva 23 anni, di cui 7 già passati nell’ambito musicale, prima con i Merry-Go-Round e poi come solista, forse, anticipando i tempi, volle evitare, a breve, di entrare anche a lui a far parte di quel club dei 27 che in quegli anni stava mietendo molte vittime? Chi può dirlo, lui forse? Comunque se volete leggere in breve la storia della sua discografia, la trovate in questo Post pubblicato nel lontano 2009, ai primi tempi del Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/03/one-man-beatles-emitt-rhodes/The One Man Beatles era anche il titolo di un documentario uscito nel 2010, a cura di un regista italiano, Cosimo Messeri, che raccontava la storia di questo enigmatico personaggio.

Da allora sono passati altri sei anni, ma alla fine il nostro ce l’ha fatta, autofinanziatosi con il crowdfunding di Pledge Music e questo Rainbow Ends è il suo nuovo album: i capelli e la barba sono diventati bianchi, non suona più tutti gli strumenti come un tempo, ma la classe, pur invecchiando, è rimasta quella. Dalla freschezza che traspare dai “solchi digitali” (se mi passate l’ardita metafora) di questo nuovo album non pare siano passati 43 anni dall’ultima volta, subito, fin dall’iniziale Dog On A Chain, il “singolo” che ha preceduto l’uscita del CD, non sembra assolutamente di sentire un signore di 66 anni che non pubblica dischi da una vita, il sound è sempre quello della Sunny California o della West Coast più gloriosa, se preferite, con un tocco (anche molto di più) del classico british pop sound dei tempi che furono, tutto molto bello, sin dal primo assolo di chitarra, suonata dal bravissimo Jon Brion, intervento breve ma incisivo, la voce non è più quella di un giovane McCartney, ma ha la freschezza di un James Taylor o di un singer-songwriter di quelli bravi. If I Knew Then dice il secondo titolo, che potrebbe riferirsi tanto a vecchi amori passati quanto a dolci rimpianti per un tempo che passa e scorre inesorabile, ma il tutto ha una invidiabile freschezza, una andatura più mossa, tra florilegi di chitarre elettriche, un pianino intrigante e un walking bass che guida il ritmo brillante e con tocchi beatlesiani di questo brano, un tempo c’era un termine per descrivere questa musica, soft rock, una parola ora desueta ma che non si può evitare di usare accostata a tutto questo Rainbow Ends. Isn’t It So sembra un pezzo del McCartney solista dei primi anni ’70, cantato da James Taylor e con i 10cc come band di supporto, archi e cori celestiali sullo sfondo. The Wall Between Us, introduce anche dei fiati accanto agli archi, ma il risultato è sempre questo pop-rock, morbido ma intrigante nelle sue strutture eleganti e ricche di particolari sonori, un organo qui, una chitarra là e ovunque questo armonie vocali fantastiche.

Chris Price, il produttore, ha catturato alla perfezione lo spirito di queste sessions, e dopo aver guidato il ritorno di Linda Perhacs un paio di anni fa, ora è al timone di comando anche per l’album di Emitt Rhodes, che come ho ricordato poc’anzi non suona tutti gli strumenti come un tempo, ma si affida a molti musicisti di pregio, oltre al citato Brion, anche l’altro chitarrista Jason Falkner, come pure l’attuale Wilco Nels Cline e quello passato Pat Sansone, nonché l’ottimo bassista Fernando Perdomo, spesso utilizzato nei dischi di Price, e anche le avvolgenti tastiere affidate a Roger Joseph Manning, altro musicista di grande esperienza. Se aggiungiamo le armonie vocali fantastiche fornite da Aimee Mann, Susanna Hoffs, Taylor Locke dei Rooney, anche alla chitarra e di alcuni componenti della band di Brian Wilson, tutto l’assieme rende, per esempio, un brano come Someone Else una mini sinfonia di perfetto pop-rock, in bilico tra West Coast e Beatles lato McCartney, ma anche influenze Beach Boys. Non mancano ballate pianistiche malinconiche come la struggente I Can’t Tell My Heart, dove la voce vissuta ma ancora giovanile di Emitt Rhodes ci guida nel suo “perfect pop” che non tramonta mai, anche questa ballad è comunque impreziosita da ricami chitarristici che sono la costante di tutto l’album.

Poi il nostro si incoraggia da solo con una vivace Put Some Rhythm To It, un’altra bella costruzione di pop McCartneyano, che rimane comunque un punto di riferimento anche se la voce è cambiata e non è più simile come un tempo, le “buone abitudini” non si perdono mai!. It’s All Behind Us Now è un altro titolo che guarda al passato. con la musica qui più bluesata e meno scanzonata, sempre deliziosamente retrò nei suoi arrangiamenti molto seventies che però non hanno perso il loro fascino intramontabile, la musica buona non passa mai di moda. What’s A Man To Do è un altro esempio di questo pop in excelsis deo, di nuovo con quel suono che fa tanto California anni ’70, il lato più solare e disimpegnato, ma sempre godibilissimo anche dalle nostre latitudini. E pure Friday’s Love con quel suo piano elettrico che scivola su un tessuto morbido che ricorda molto anche il blue eyed soul, secondo me piacerebbe molto al mio amico Max Meazza appassionato di quei cantautori californiani di quell’era gloriosa, tipo Ned Doheny, JD Souther, Stephen Bishop e molti altri, tutta quella generazione. La fine dell’arcobaleno, anche Rainbow Ends la canzone conclusiva, magari non ci riserva il magico calderone pieno di monete d’oro, ma solo un disco pieno di belle melodie, suonato in modo perfetto e cantato con gran classe, e non è poco. Speriamo di non aver aspettare altri 43 anni per il prossimo capitolo, perché dubito che saremo ancora qui, anche se lo auguro a tutti!

Bruno Conti