Willie Sinatra Colpisce Ancora…E Pure Meglio Della Prima Volta! Willie Nelson – That’s Life

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Willie Nelson – That’s Life – Legacy/Sony CD

Ormai omaggiare Frank Sinatra sta quasi diventando una moda, ma se i tre album pubblicati la scorsa decade da Bob Dylan, che crooner non è, hanno suscitato reazioni contrastanti (ottime per Shadows In The Night, meno entusiastiche per Fallen Angels ed un tantino annoiate per Triplicate), My Way, disco del 2018 di Willie Nelson, ha avuto recensioni unanimemente positive, cosa comprensibilissima dal momento che Willie rispetto a Bob è decisamente più portato per un certo tipo di sonorità, essendo uno di quelli che, con la classe e la voce che si ritrova, potrebbe davvero cantare qualsiasi cosa. Non è un caso che My Way fosse solo l’ultima incursione in ordine di tempo del texano all’interno del “Great American Songbook”: il bellissimo Stardust del 1978 è il caso più famoso (nonché uno dei suoi lavori più di successo), ma nel corso della carriera Willie ci ha regalato molti altri album in cui reinterpretava da par suo gli standard della musica statunitense, come Somewhere Over The Rainbow, What A Wonderful World, Moonlight Becomes You, American Classic ed il recente omaggio alle canzoni dei fratelli Gershwin Summertime.

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Nelson nonostante l’età (ad aprile saranno 88 primavere) pubblica ancora almeno un disco nuovo all’anno, e nel 2021 l’onore è toccato a That’s Life, che altro non è che il secondo volume delle sue interpretazioni del repertorio di The Voice, come si intuisce dal titolo ma soprattutto dalla stupenda copertina che si ispira a quella di In The Wee Small Hours, album del 1955 che è anche uno dei più famosi del grande Frank. E, se possibile, That’s Life è ancora più bello di My Way https://discoclub.myblog.it/2018/09/29/i-figli-illegittimi-di-frank-proliferano-dopo-bob-ecco-willie-sinatra-willie-nelson-my-way/ , ed allunga l’incredibile striscia positiva di eccellenti lavori di questo intramontabile artista: ho già scritto in altre occasioni che Willie dal vivo non è più quello di un tempo, fa fatica ed a volte la sua voce si trasforma in un rantolo, ma in studio, visto che può centellinare le performance ed avvicinarsi al microfono quando è veramente pronto, è ancora in grado di dire la sua in maniera formidabile se pensiamo che ha quasi 90 anni. That’s Life presenta undici interpretazioni da brividi lungo la schiena di altrettanti brani che hanno in comune il fatto di essere stati tutti incisi da Sinatra, anche se non necessariamente la versione di Frank è la più famosa.

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Se per esempio la title track, In The Wee Small Hours Of The Morning, Learnin’ The Blues e I’ve Got You Under My Skin sono tutte signature songs del cantante di origine italiana, altre hanno avuto riletture anche più famose da parte di gente del calibro di Fred Astaire, Billie Holiday, Dean Martin, Tommy Dorsey, Ella Fitzgerald, Tony Bennett e Bing Crosby. Il disco è stato registrato ai mitici Capitol Studios di Los Angeles, gli stessi di Sinatra (con una puntatina in Texas ai Pedernales Studios di proprietà di Nelson), prodotto in tandem dall’abituale partner di Willie Buddy Cannon e dal bravissimo pianista Matt Rollings e presenta una lista di musicisti da leccarsi i baffi: oltre allo stesso Rollings al piano, organo e vibrafono e Willie che ci fa sentire la sua mitica chitarra Trigger, troviamo l’inseparabile Mickey Raphael all’armonica, il grande Paul Franklin alla steel, l’ottimo Dean Parks alla chitarra elettrica, la sezione ritmica di David Piltch (basso) e Jay Bellerose (batteria), oltre ad una sezione fiati di sei elementi ed una spruzzata d’archi qua e là.

Willie Nelson performs at the Producers & Engineers Wing 12th Annual GRAMMY Week Celebration at the Village Studio on Wednesday, Feb. 6, 2019, in Los Angeles. (Photo by Richard Shotwell/Invision/AP)

Willie Nelson performs at the Producers & Engineers Wing 12th Annual GRAMMY Week Celebration at the Village Studio on Wednesday, Feb. 6, 2019, in Los Angeles. (Photo by Richard Shotwell/Invision/AP)

Nice Work If You Can Get It, dei Gershwin Brothers, è un delizioso jazz pianistico ricco di swing, con un gran lavoro di Rollings, la steel accarezzata sullo sfondo, ritmo acceso e Willie che si prende la canzone con verve ed una buona dose di classe. Splendidamente raffinata anche Just In Time, dalla ritmica soffusa (la batteria è spazzolata) ma sostenuta al tempo stesso, un grandissimo pianoforte (tra i protagonisti assoluti del CD) ed il leader che avvolge il tutto con la sua voce calda e vissuta; A Cottage For Sale, introdotta dagli archi, è notevolmente più lenta e rimanda alle sonorità di settanta anni fa, quando certe canzoni erano usate nelle commedie a sfondo musicale, un elemento in cui Willie si cala alla perfezione. I’ve Got You Under My Skin è uno dei pezzi più celebri di Sinatra (l’autore è il grande Cole Porter): il ritmo è spezzettato e l’accompagnamento degno di un locale fumoso con la band che a notte fonda intrattiene i pochi avventori rimasti che cercano conforto nel quarto bicchiere di whiskey, con un breve ma incisivo assolo da parte di Parks (ma tutto il gruppo suona che è una meraviglia) https://www.youtube.com/watch?v=8cPuigClurE . I fiati colorano l’elegante You Make Me Feel So Young, con il nostro che canta con padronanza assoluta interagendo in maniera perfetta con la band e facendoci sentire la sua Trigger anche se per un breve istante, mentre la coinvolgente I Won’t Dance lo vede duettare con la brava Diana Krall, ed il gruppo swinga alla grande neanche fosse la Count Basie Orchestra: classe sopraffina https://www.youtube.com/watch?v=0RMYCzzCztA .

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That’s Life è un altro classico che conoscono quasi tutti, una grande canzone che Willie fa sua con la sicurezza di uno che nella vita ne ha viste tante https://www.youtube.com/watch?v=XEf8NXZEtzQ , con Raphael e Franklin che portano un po’ di spirito country in un brano che è puro jazz; la sinuosa Luck Be A Lady è una via di mezzo tra swing e bossa nova, un cocktail di grande eleganza con i fiati nuovamente protagonisti e la voce di Nelson che è uno strumento aggiunto. In The Wee Small Hours Of The Morning, ballatona pianistica dal pathos notevole (sentite la voce, da pelle d’oca) https://www.youtube.com/watch?v=gS54H5uNddY , precede le conclusive Learnin’ The Blues, raffinatissima e suonata in punta di dita (con un ottimo intervento di steel), e la cadenzata Lonesome Road, ancora con il pianoforte a caricarsi buona parte dell’accompagnamento sulle spalle, qui ben doppiato dall’organo. Ennesimo gran disco quindi per Willie Nelson, tra i migliori di questo ancor giovane 2021.

Marco Verdi

Due Splendidi Tributi Ad Altrettante Icone Del Country. Parte Seconda: Willie Nelson

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VV.AA. – Willie Nelson: American Outlaw – Blackbird 2CD – 2CD/DVD

Dopo aver parlato dello splendido concerto-tributo a Merle Haggard, oggi mi occupo dell’analoga operazione dedicata a Willie Nelson, uno show all-star svoltosi anche questo alla Bridgestone Arena di Nashville ma il 12 gennaio del 2019. Rispetto all’omaggio a Merle qui c’è una differenza “abbastanza” importante, e cioè che là si pagava il giusto tributo ad un grande artista scomparso esattamente un anno prima, mentre nel caso di Nelson il festeggiato è ancora vivo e vegeto, e soprattutto è presente sul palco per tutta la seconda metà del concerto. E, seppur di poco, questo doppio CD (volendo anche con DVD) è superiore anche a quello dedicato a Haggard, sia per la tracklist che comprende anche classici non scritti da Willie ma da lui interpretati in passato, sia per il cast che è ancora più di alto profilo che nel primo caso. La house band è come al solito guidata dal bassista Don Was, e comprende fra gli altri la bella e brava Amanda Shires al violino, Jamey Johnson e Audley Freed alle chitarre, il maestro della steel guitar Paul Franklin e lo storico partner di Nelson Mickey Raphael all’armonica.

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Un concerto quindi da godere dalla prima all’ultima canzone, con diverse prestazioni di altissimo livello. Come nei concerti di Willie si comincia con Whiskey River, canzone trasformata quasi in un southern rock dal vocione di Chris Stapleton e da un accompagnamento strumentale robusto https://www.youtube.com/watch?v=xJlw93PLCRY ; Lee Ann Womack fornisce una performance trascinante e piena di grinta con l’honky-tonk Three Days (e che voce), mentre la coppia Steve Earle-Margo Price ci delizia con un ottimo medley di puro country’n’roll tra Sister’s Coming Home e Down At The Corner Beer Joint https://www.youtube.com/watch?v=bUyVRoL0FT0 . Altro medley, stavolta fra I Thought About You Lord, Time Of The Preacher e Hands On The Wheel, con i due figli di Willie, Lukas e Micah Nelson, al centro del palco (e se la cavano splendidamente, con l’ugola di Lukas che sembra davvero una versione giovane di quella del padre); poi arriva Nathaniel Rateliff che si conferma un grande vocalist con una formidabile rilettura del classico di Leon Russell A Song For You https://www.youtube.com/watch?v=0V8MpRmsmFg . Il duo Lyle Lovett-Ray Benson rilegge Shotgun Willie mescolando in maniera goduriosa rock, blues e gospel https://www.youtube.com/watch?v=wUsviEoiKcc , Vince Gill va sul velluto con la sua voce morbida, e Blue Eyes Crying In The Rain sembra scritta apposta per lui, mentre il classico di Ray Charles (ma l’ha fatta anche Willie) Georgia On My Mind brilla di nuova luce nelle sapienti mani di Jamey Johnson, in una versione che è puro southern soul https://www.youtube.com/watch?v=C7XIHrP1o2w .

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Ed ecco proprio Willie, che insieme ai coniugi Susan Tedeschi e Derek Trucks ci regala una strepitosa City Of New Orleans di Steve Goodman (ma come canta Susan!) https://www.youtube.com/watch?v=JNS9-EHwS5k , e vengono seguiti dagli Avett Brothers in una travolgente ripresa bluegrass di Bloody Mary Morning suonata ai mille all’ora e dalla brava Norah Jones che insieme ai Little Willies si conferma artista raffinata con una swingata ed elegante I Gotta Get Drunk. Il primo CD si chiude con Jack Johnson che propone la sua Willie Got Me Stoned, niente di speciale, ed Eric Church che non è un fenomeno ma con Me And Paul se la cava abbastanza bene. Le undici canzoni del secondo dischetto vedono tutte quante il padrone di casa protagonista di una serie di duetti: la voce di Willie non è più quella di un tempo, a volte sembra quasi non arrivarci più, ma questo paradossalmente rende il tutto ancora più emozionante e vero. La languida Crazy viene riproposta insieme a Dave Matthews, la cui voce non ho mai potuto soffrire molto, mentre la gustosa honky-tonk song After The Fire Is Gone vede il nostro insieme a Sheryl Crow, ed il risultato è già migliore. La stupenda Pancho & Lefty è rifatta insieme alla meravigliosa Emmylou Harris  https://www.youtube.com/watch?v=FnFGYNPK5g4 (scusate gli aggettivi, ma sono innamorato di Emmylou da quando i miei ormoni hanno iniziato a fare il loro dovere), ed i due vengono raggiunti da Rodney Crowell che porta in dote la fulgida Till I Gain Control Again https://www.youtube.com/watch?v=UCSmqi2-uXk .

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E’ il momento di un incontro di leggende (texane), in quanto sale sul palco Kris Kristofferson che intona la sua Me And Bobby McGee con Willie che fa da backing vocalist: puro carisma (c’è anche Church, ma c’entra come i cavoli a merenda); Jimmy Buffett porta nella serata un po’ di Caraibi con una versione solare dell’evergreen di Jimmy Cliff The Harder They Come, mentre Always On My Mind (successo di Elvis ma anche di Willie) vede Nelson fare un po’ di fatica con la voce, ma ci pensa Stapleton ad aiutarlo, con Trucks che ricama sullo sfondo per una rilettura decisamente toccante. Arriva George Strait che prima duetta con il nostro sulle note della sua recente hit Sing One With Willie https://www.youtube.com/watch?v=nBilEaAM5Go , e poi fa le veci di Waylon in una solida e vigorosa Good Hearted Woman https://www.youtube.com/watch?v=S4k4TZAQdyg . Finale altamente coinvolgente con tutti quanti on stage per la sempre splendida On The Road Again https://www.youtube.com/watch?v=UpEAQEz-EN8  ed una pimpante Roll Me Up And Smoke Me When I Die, titolo perfetto per chiudere una serata dedicata ad uno degli ultimi fuorilegge rimasti.

Marco Verdi

Due Splendidi Tributi Ad Altrettante Icone Del Country. Prima Parte: Merle Haggard Sing Me Back Home

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VV.AA. – Sing Me Back Home: The Music Of Merle Haggard – Blackbird 2CD – 2CD/DVD

La Blackbird Records, erichetta responsabile in passato di bellissimi album tributo registrati dal vivo (dedicati a Jerry Garcia, Kris Kristofferson, Mavis Staples, Gregg Allman, Waylon Jennings, Charlie Daniels, Dr. John, Emmylou Harris, Levon Helm e John Lennon), ha deciso quest’anno di regalarci ben due operazioni analoghe, dedicate e altrettante autentiche leggende della country music: Merle Haggard e Willie Nelson. Oggi mi occupo del primo dei due omaggi Sing Me Back Home: The Music Of Merle Haggard, un concerto registrato alla Bridgestone Arena di Nashville (e pubblicato sia in doppio CD che con DVD allegato) in una data che non poteva che essere il 6 aprile, che è il giorno sia di nascita che di morte del countryman californiano: per l’esattezza siamo nel 2017, un anno dopo la scomparsa di Merle e giorno del suo ottantesimo compleanno. La house band è un mix tra gli Strangers, gruppo che era solito accompagnare Merle dal vivo, e musicisti come Don Was, Sam Bush ed il figlio del festeggiato, Ben Haggard, e durante lo show vediamo scorrere una serie impressionante di grandi nomi e possiamo ascoltare diverse performance d’eccezione.

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La serata si apre proprio con Haggard Jr., che con una bella voce profonda ci regala una languida What Am I Gonna Do (With The Rest Of My Life) https://www.youtube.com/watch?v=xz1__9ITpGA  e, insieme ad Aaron Lewis, Heaven Was A Drink Of Wine; la stagionata Tanya Tucker ha ancora grinta da vendere e lo dimostra con una bella ripresa dell’honky-tonk The Farmer’s Daughter, e ancora più avanti con gli anni sono il mitico Bobby Bare, alle prese con un’ottima I’m A Lonesome Fugitive https://www.youtube.com/watch?v=yJEJQCDZOMU , e Connie Smith, che con voce giovanile propone una limpida rilettura di That’s The Way Love Goes. John Anderson è un grande, e la sua Big City, gustosa e ritmata honky-tonk song, è tra le più riuscite di questa prima parte https://www.youtube.com/watch?v=Vt1P-5tOLXM , mentre Toby Keith un grande non è ma ha quantomeno esperienza e con il repertorio giusto, nella fattispecie il medley Carolyn/Daddy Frank, se la cava bene; Buddy Miller è bravissimo sia come singer/songwriter che come chitarrista, e lo fa vedere con una splendida Don’t Give Up On Me in pura veste country-gospel, il duo Jake Owen/Chris Janson propone la lenta Footlights, discreta, e Lucinda Williams che poteva apparire un po’ fuori contesto fornisce invece una prestazione egregia con una scintillante Going Where The Lonely Go https://www.youtube.com/watch?v=brj50wVvmCc .

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003x) Bobby Bare performs at the concert "Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard" at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard - Show, Nashville, USA - 6 Apr 2017

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Bobby Bare performs at the concert “Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard” at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn
Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard – Show, Nashville, USA – 6 Apr 2017

Il primo CD si chiude in netto crescendo con l’ottimo Jamey Johnson, grande voce e solida imterpretazione dell’intensa Kern River, gli Alabama che non mi sono mai piaciuti molto ma qui centrano il bersaglio con una toccante Silver Wings acustica e corale, Hank Williams Jr. che affronta I Think I’ll Just Stay Here And Drink come se fosse una sua canzone (quindi roccando in maniera coinvolgente), la meravigliosa Loretta Lynn che va per i 90 ma dà ancora dei punti a tutti con una vispa Today I Started Loving You Again, ed i Lynyrd Skynyrd al completo che non possono che suonare la travolgente Honky Tonk Night Time Man, brano di Haggard che dagli anni 70 eseguono sui palchi di tutto il mondo https://www.youtube.com/watch?v=JIqPW5w54UE .

Mandatory Credit: Photo by Invision/AP/Shutterstock (9242003ad) Rodney Crowell performs at the concert "Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard" at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard - Show, Nashville, USA - 6 Apr 2017

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Rodney Crowell performs at the concert “Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard” at the Bridgestone Arena, in Nashville, Tenn
Sing me Back Home: The Music of Merle Haggard – Show, Nashville, USA – 6 Apr 2017

(NDM: sulla confezione del doppio CD è indicato anche Rodney Crowell con You Don’t Have Very Far To Go, ma non c’è…. ma è nel DVD) Il secondo dischetto si apre subito alla grande con gli Avett Brothers che rileggono in modo superbo la classica Mama Tried, tra gli highlights della serata https://www.youtube.com/watch?v=uCoPrCoMmis , e prosegue sulla stessa lunghezza d’onda con John Mellencamp ed una fantastica White Line Fever, puro folk-rock elettrificato https://www.youtube.com/watch?v=GUlhKT0KMKY ; Kacey Musgraves si cimenta con grazia ma anche grinta con Rainbow Stew, mentre il povero Ronnie Dunn che già non è un genio vede la sua It’s All In The Movies letteralmente spazzata via da un ciclone chiamato Billy Gibbons, prima nell’insolita veste di honky-tonk man con una tonica The Bottle Let Me Down e poi in coppia con Warren Haynes, un altro carrarmato, in una potente e bluesata Workin’ Man Blues, solo due voci e due chitarre elettriche fino al formidabile finale accelerato e full band https://www.youtube.com/watch?v=ZUqnt_JGNLc .

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Dierks Bentley se la cava abbastanza bene con l’ariosa If We Make It Through December, puro country, e precede le due donzelle Sheryl Crow (Natural High) e Miranda Lambert (Misery And Gin), brave entrambe https://www.youtube.com/watch?v=scy80IjpqII , ed il grandissimo Willie Nelson che duetta con Kenny Chesney nel capolavoro di Townes Van Zandt Pancho And Lefty (che fu un successo negli anni 80 proprio per Willie e Merle): versione davvero commovente https://www.youtube.com/watch?v=Lhs62F6YmkU . Di leggenda in leggenda, ecco Keith Richards che ci delizia con il superclassico Sing Me Back Home nel suo tipico stile sgangherato ma pieno di feeling https://www.youtube.com/watch?v=LwqzhbjrcnA ; “Keef” viene raggiunto ancora da Willie per una tersa Reasons To Quit e poi cede il posto a Toby Keith che al cospetto di Nelson è un nano ma riesce a non sfigurare nell’elettrica e spumeggiante Ramblin’ Fever. Gran finale con tutti sul palco per Okie From Muskogee, inno anti-hippies criticatissimo all’epoca ma canzone strepitosa.

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Un tributo splendido quindi, giusto e dovuto omaggio ad una vera leggenda della nostra musica. Una sola domanda però: dove cippalippa era Dwight Yoakam?

Marco Verdi

Non E’ Un Bel Momento Per I Musicisti Texani: Dopo Jerry Jeff Walker Se Ne E’ Andato Anche Billy Joe Shaver.

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Per la serie “se fossi Willie Nelson o Kris Kristofferson inizierei a fare gli scongiuri”, a soli cinque giorni dalla scomparsa di Jerry Jeff Walker https://discoclub.myblog.it/2020/10/25/purtroppo-e-arrivato-quel-tempo-da-venerdi-scorso-il-texas-e-un-po-piu-povero-a-78-anni-se-ne-e-andato-mr-bojangles-jerry-jeff-walker/ , tra i più validi esponenti del country texano d’autore pur essendo newyorkese d’origine, se ne è andato a causa di un ictus anche il grande Billy Joe Shaver, lui sì texano purosangue essendo nato a Corsicana 81 anni fa. Associato spesso al movimento Outlaw Country, Shaver è stato tra gli esponenti più autorevoli ed influenti della musica texana degli anni settanta, autore di grandissime canzoni che sono diventate veri e propri evergreen del genere, titoli come You Asked Me To, Honky Tonk Heroes, I’m Just An Old Chunk Of Coal, Black Rose (strepitosa, tra le più belle country songs di sempre), Old Five And Dimers Like Me, Willy The Wandering Gypsy And Me, I Been To Georgia On A Fast Train, Ride Me Down Easy, fino alla più recente Live Forever.

Allevato dalla madre in quanto il padre se ne andrà di casa prima della sua nascita, il giovane Billy svolge diversi lavori (tra i quali il mugnaio, occupazione che gli causa la perdita di due dita a causa di un incidente ma non gli impedirà di imparare a suonare la chitarra) prima di trovare la sua vena artistica in campo musicale: viaggiando in autostop per gli Stati Uniti arriva fino a Nashville, dove all’inizio degli anni 70 trova lavoro come songwriter a 50 dollari a settimana. La svolta arriva quando viene notato da un già famoso Waylon Jennings che, rimasto colpito dalla qualità delle sue canzoni, ne incide otto scrivendone una nona con lui (la già citata You Asked Me To) e pubblicandole tutte sul suo album del 1973 Honky Tonk Heroes, una cosa mai vista prima che inizia a far circolare il nome di Billy Joe all’interno dell’ambiente facendogli guadagnare anche un contratto discografico con la Monument per il suo esordio Old Five And Dimers Like Me. In poco tempo Shaver diventa uno dei nomi principali del cantautorato country di quegli anni, grazie sia alle sue esibizioni dal vivo, sia per il fatto che molti suoi brani vengono registrati da colleghi del calibro di Nelson, Kristofferson, David Allan Coe, George Jones ed addirittura Elvis Presley (ancora You Aksed Me To), mentre Johnny Cash una volta arriverà a definirlo il suo cantautore preferito.

Negli anni seguenti al suo esordio non inciderà moltissimo, mantenendo però una qualità media molto alta: due soli album per la Capricorn nei seventies, entrambi ottimi (When I Get My Wings e Gypsy Boy), e tre per la Columbia negli anni 80, gli splendidi I’m Just An Old Chunk Of Coal e Salt Of The Earth ed il discreto Billy Joe Shaver. Poi dagli anni novanta il nostro ritrova la vena e comincia ad incidere con buona cadenza e con risultati eccellenti, mischiando il suo solito country texano ad abbondanti dosi di rock, grazie anche all’apporto del talentuoso figlio Eddy Shaver alla chitarra elettrica: Tramp On Your Street del 1993 e Highway Of Life del 1996 sono tra i suoi dischi più belli, ma non sono di molto inferiori neppure i seguenti Victory e Electric Shaver; in mezzo, un live album formidabile (Unshaven: Live At Smith’s Olde Bar, 1995), in cui il country è quasi messo da parte a favore di un rock’n’roll decisamente elettrico e trascinante. Ma le tragedie familiari sono dietro l’angolo: nel 1999 scompaiono per cancro sia la madre di Billy Joe che la moglie Brenda (che il nostro aveva sposato per ben tre volte!), ed il 31 dicembre del 2000 se ne va per overdose di eroina a soli 38 anni anche Eddy.

Billy rimane comprensibilmente devastato (subisce anche un’operazione al cuore nel 2001 per un infarto occorsogli on stage che quasi lo uccide), ma essendo un texano dal pelo duro non si dà per vinto e continua a fare musica di alto livello, pubblicando ottimi album come Freedom’s Child, Try And Try Again, Billy And The Kid (in cui recupera incisioni inedite fatte con Eddy) ed il gospel-oriented Everybody’s Brother del 2007, anno in cui il nostro ha anche problemi con la giustizia per uno scontro a fuoco avvenuto in un bar di Lorena, Texas, durante il quale Billy spara in faccia ad un tizio (che ne uscirà miracolosamente ferito non gravemente) invocando poi la legittima difesa, che gli verrà riconosciuta al processo avvenuto nel 2010 (anche se la frase che Billy viene udito pronunciare prima di sparare, “Dove vuoi che ti colpisca?”, lascia qualche dubbio in merito). I continui problemi di salute che affliggeranno Shaver negli anni a venire gli consentiranno di pubblicare solo più un album, il peraltro bellissimo Long In The Tooth del 2014: ed è proprio con la prima canzone di quel disco, un duetto con Willie Nelson dal titolo emblematico di Hard To Be An Outlaw, che vorrei ricordarlo.

Riposa in pace, vecchio Honky Tonk Hero.

Marco Verdi

Il “Pronipote” Torna A Breve Distanza Dal Disco Precedente, Con Un Lavoro Ancora Migliore. Charley Crockett – Welcome To Hard Times

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Charley Crockett – Welcome To Hard Times – Son Of Davy/Thirty Tigers CD

A distanza di meno di un anno dall’ottimo The Valley torna con un disco nuovo di zecca Charley Crockett, countryman texano e diretto discendente di Davy Crockett https://discoclub.myblog.it/2019/10/12/un-countryman-di-talento-con-nobili-discendenze-charley-crockett-the-valley/ . E dire che dopo l’operazione a cuore aperto che gli aveva salvato la vita nel gennaio 2019 Charley aveva deciso di prendere le cose con più calma, ma evidentemente questo per lui è un periodo di grande ispirazione ed i risultati lo confermano. Crockett fa musica country dura e pura come si usava fare cinquanta/sessanta anni fa, un genere che prende spunto direttamente da Hank Williams e da altri pionieri del genere per spingersi al massimo ai primi album per la Columbia di Johnny Cash ed a George Jones per quanto riguarda le ballate in stile honky-tonk. Ma Charley non si limita a ripetere pedissequamente certe sonorità: intanto è dotato di una penna eccellente, e poi riesce ad infondere in ogni canzone una particolare attitudine fiera e quasi sfrontata, come se sotto sotto covasse un’anima irrequieta da rocker.

Welcome To Hard Times, titolo più che mai attuale, è il lavoro di un artista in costante crescita in quanto è ancora meglio del già notevole The Valley (che contava anche parecchie cover, mentre qui i brani autografi sono quasi la totalità), più convinto e con una miscela ancora più intrigante di country, musica western e honky-tonk songs: l’album è prodotto da Mark Neill e vede contributi in fase di scrittura di alcune canzoni da parte di Dan Auerbach e Pat McLaughlin oltre alla presenza di sessionmen tanto validi quanto sconosciuti che rispondono ai nomi di Kullen Fox, Colin Colby, Alexis Sanchez, Nathan Fleming, Mario Valdez e Billy Horton. Che il disco sia di quelli giusti lo si capisce fin dalla title track posta in apertura, un delizioso honky-tonk con gran lavoro di pianoforte ed un’atmosfera western che si sposa benissimo con la melodia d’altri tempi (e la voce è perfetta). Run Horse Run è una polverosa country & western song dal ritmo alla Cash ed un ottimo assolo di steel: non la vedrei male in un film di Quentin Tarantino.

Don’t Cry è limpida, tersa e decisamente orecchiabile, con richiami agli anni sessanta ed uno script solido, ed è ancora meglio Tennessee Special, altra honky-tonk song splendida e cantata con piglio da consumato countryman, con la solita steel a ricamare sullo sfondo, mentre Fool Somebody Else è una sorta di brano dalla scrittura pop ma dal suono country, un contrasto piacevole e riuscito. La cadenzata Lilly My Dear, guidata dal banjo, è una grande canzone western che sembra uscita dal songbook di Johnny Horton o Merle Travis, sentire per credere; Wreck Me è un lento romantico sempre dal sapore sixties con un coro femminile ed uno stile che piacerebbe ai Mavericks, in contrasto (ma non troppo) con Heads You Win che è una country song pura e semplice, un genere che oggi fanno in pochi. Rainin’ In My Heart (non è quella di Buddy Holly) è più moderna, un coinvolgente pezzo di stampo rock con la steel a stemperare appena, ritmo sostenuto e bell’assolo di chitarra elettrica, Paint It Blue è di nuovo perfetta per uno spaghetti western e precede la splendida Blackjack County Chain, ottima cover di un brano scritto nel 1967 da Red Lane ma portata al successo da Willie Nelson (che la incise sia da solo che con Waylon), una western ballad coi fiocchi eseguita dal nostro con grande rispetto per l’originale.

Il CD si chiude con The Man That Time Forgot, ennesimo scintillante honky-tonk che più classico non si può, e con la fulgida cowboy song The Poplar Tree; c’è però spazio anche per due ghost tracks: la vivace e trascinante Oh Jeremiah, tra folk e bluegrass (molto bella), e la lenta e languida When Will My Troubles End. Charley Crockett si conferma un vero talento e valido esponente della country music più pura, e Welcome To Hard Times è la prova tangibile della sua crescita esponenziale.

Marco Verdi

E, Come Al Solito, Il Vecchio Willie Non Sbaglia Un Colpo! Willie Nelson – First Rose Of Spring

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Willie Nelson – First Rose Of Spring – Sony CD

A quasi un anno esatto da Ride Me Back Home https://discoclub.myblog.it/2019/07/07/forse-lunico-modo-per-fermarlo-e-sparargli-willie-nelson-ride-me-  torna il grande Willie Nelson, che nonostante l’età avanzata (ormai le primavere sono 87) non ha nessuna intenzione di ritirarsi e, anzi, continua a pubblicare dischi di qualità altissima: First Rose Of Spring è l’album di studio numero 70 per il musicista texano (senza contare i lavori in collaborazione con altri, i live e le colonne sonore: in tutto si arriva a 94), ed è manco a dirlo un disco splendido, superiore anche a Ride Me Back Home e di poco inferiore a Last Man Standing del 2018, che però era uno dei suoi migliori in assoluto. E’ vero che Willie fa parte di quegli artisti che non hanno mai veramente deluso, nemmeno negli anni ottanta quando la sua ispirazione era un po’ offuscata, o quando ha pubblicato album a sfondo reggae (Countryman) o strumentale (Night And Day, bello ma con una voce così come gli è venuto in mente di fare un disco non cantato?): da quando poi ha iniziato a collaborare col produttore Buddy Cannon lo standard qualitativo si è sempre mantenuto a livelli di assoluta eccellenza.

First Rose Of Spring è un disco tipico del nostro, con una serie di ballate di grande bellezza, suonate alla grande e cantate con la solita voce inimitabile nonostante gli anni: Cannon ha come di consueto messo a disposizione di Willie il solito manipolo di fuoriclasse (Bobby Terry alle chitarre, Kevin Grantt e Larry Paxton al basso, Mike Johnson alla steel, Chad Cromwell e Lonnie Wilson alla batteria e Catherine Marx alle tastiere, oltre naturalmente all’immancabile Mickey Raphael all’armonica), ma il resto è farina del sacco di Nelson, che ha interpretato alla sua maniera la solita serie di canzoni scelte con cura, scrivendone anche due nuove di zecca insieme allo stesso Cannon. L’album si apre con la title track, una languida country ballad scritta da Randy Houser e contraddistinta dalla grandissima voce di Willie in primo piano con dietro solo un paio di chitarre, l’armonica, una steel ed un organo appena accennati: la canzone è già bella di suo, ma il timbro vocale del leader e la sua interpretazione la rendono da pelle d’oca. Blue Star è il primo dei due pezzi nuovi, ed è un altro lento splendido dallo sviluppo rilassato e disteso, con un motivo di prim’ordine ed un suono caldo e coinvolgente, mentre I’ll Break Out Again Tonight (di Whitey Shafer ma resa popolare da Merle Haggard) è uno scintillante honky-tonk classico, un genere di canzone che Willie canta anche quando dorme ma riesce a farlo emozionando ogni volta.

Don’t Let The Old Man In è la dimostrazione che i grandi interpreti riescono a migliorare anche brani di autori non proprio di prima fascia, nello specifico Toby Keith: altro limpido slow di matrice western con leggera orchestrazione alle spalle ed un tocco di Messico come sempre quando Willie imbraccia la sua Trigger; Just Bummin’ Around è una saltellante e swingata country song d’altri tempi (ed infatti è stato un successo negli anni cinquanta per Jimmy Dean), eseguita con la solita classe sopraffina, ed è seguita dalla tenue e bellissima Our Song di Chris Stapleton, altro pezzo country dal pathos notevole con una parte vocale di brividi, e dalla formidabile We Are The Cowboys di Billy Joe Shaver, una western song sferzata dal vento che è tra le ballate più belle uscite negli ultimi mesi, e che si candida come uno dei brani centrali del CD. La toccante Stealing Home (ma che voce!), scritta dalla figlia di Cannon, Marla, e la mossa e trascinante I’m The Only Hell My Mama Ever Raised, brano uscito dalla penna di Wayne Kemp (songwriter che scrisse tra le altre la famosa One Piece At A Time per Johnny Cash), precedono le conclusive Love Just Laughed, altra notevole ballatona e seconda canzone originale del disco, e Yesterday When I Was Young, vecchio successo di Roy Clark (ma l’autore è Charles Aznavour) che mette la parola fine in maniera struggente ad un album magnifico.

Marco Verdi

Quando Gli “Scarti” Sono Meglio Dei Brani Originali! Lukas Nelson & Promise Of The Real – Naked Garden

lukas nelson naked garden

Lukas Nelson & Promise Of The Real – Naked Garden – Fantasy/Concord CD

Non credo sia un caso che il miglior disco della carriera di Lukas Nelson e dei suoi Promise Of The Real (Tato Melgar, Anthony LoGerfo, Corey McCormick e Logan Metz) sia il loro album omonimo uscito nel 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/19/con-babbo-fratello-zia-e-cugine-acquisite-al-seguito-non-male-lukas-nelson-and-promise-of-the-real/ , quarto in totale e primo per la Fantasy, e cioè il lavoro uscito al termine della loro esperienza sia live che in studio come backing band di Neil Young: Lukas ha indubbiamente imparato moltissimo dalla collaborazione con il Bisonte, e la sua maturazione era palese in quel disco che, pur non essendo un capolavoro, era un ottimo esempio di rock americano al 100%, con diverse canzoni di livello egregio. E non dimentichiamo che essere figlio di Willie Nelson se hai un minimo di talento e sai assorbire gli insegnamenti nel modo giusto può essere un enorme vantaggio, anche se è successo più volte che avere come padre una leggenda è stato come il “bacio della morte” per decine di giovani musicisti.

Lo scorso anno Lukas e i POTR hanno pubblicato Turn Off The News (Build A Garden), un lavoro che avrebbe dovuto confermare quanto di buono fatto nel disco del 2017, ma che in realtà si è rivelato una parziale delusione, in quanto sembrava di avere a che fare con un album di pop-rock californiano, che non sarebbe di per sé un difetto, ma l’approccio alle canzoni era troppo rilassato e piuttosto molle, e la sensazione era che i brani stessi non fossero di prima scelta. Ho avuto la fortuna di vedere i POTR dal vivo con Young, e mi sono reso conto di avere di fronte una rock band con le contropalle, perfetta tra l’altro per accompagnare il vecchio Neil (sono una specie di Crazy Horse meno rozzi e più tecnici), ma nel disco di un anno fa non ho ritrovato lo stesso gruppo bensì una band qualunque, senza grinta e mordente. Immaginatevi quindi il mio entusiasmo quando ho appreso che, a distanza di meno di un anno, i nostri sarebbero usciti con un nuovo lavoro che già dal titolo, Naked Garden, si riallacciava all’album del 2019, e nel quale avrebbero inserito outtakes di quelle sessions e versioni alternate di pezzi di Turn Off The News, il tutto con un suono meno lavorato e più crudo.

Temevo quindi il peggio, dato che già il CD di un anno fa non mi aveva entusiasmato e non avevo grandi aspettative per una collezione di brani scartati da quelle registrazioni, ma con mia grande sorpresa devo ammettere che Naked Garden si è rivelato fin dal primo ascolto come un signor disco, un lavoro diretto e piacevole che ci ha restituito il gruppo che aveva fatto ben sperare negli anni precedenti. Sarà il suono più grezzo e rock, con le chitarre di nuovo in primo piano, sarà l’approccio differente verso le versioni alternate dei brani già noti, ma questo disco è un piacere dalla prima all’ultima nota, ed una volta terminato l’ascolto mi viene anche il dubbio che l’anno scorso Lukas non sia stato proprio lungimirante nello scegliere i brani da inserire in Turn Off The News. Quindici pezzi in tutto, di cui sette già conosciuti (Speak The Truth i nostri la suonano dal vivo già da qualche anno, anche se in studio non era ancora stata pubblicata) e otto inediti: le canzoni nuove iniziano con Entirely Different Stars, avvio deciso e potente per un brano dal sapore sudista ed un giro chitarristico di stampo blues, con i primi due minuti acustici seguiti da un’entrata vigorosa della band che dona al pezzo tonalità addirittura psichedeliche. La saltellante Back When I Cared è quasi country e presenta un motivo decisamente orecchiabile ed un arrangiamento “rurale”; Movie In My Mind è una rock ballad tersa, rilassata e molto piacevole, con la strumentazione usata in maniera fluida, mentre Focus On The Music è una country ballad pianistica suonata in modo elegante che risente dell’influenza di papà Willie.

My Own Wave è un brano particolare, una ballata con elementi sia rock che funky che country, il tutto molto godibile e con un refrain immediato, Fade To Black mi ricorda invece certi midtempo cadenzati di Tom Petty, con in più un retrogusto blue-eyed soul. I brani inediti terminano con la solida Couldn’t Break Your Heart, bella rock’n’roll song dai toni crepuscolari, e con la sorprendente The Way You Say Goodbye, un valzerone d’altri tempi in cui Lukas sembra quasi Roy Orbison (voce a parte). E veniamo ai pezzi già noti: detto della già citata Speak The Truth (un gradevole brano funkeggiante ed annerito), ci sono due versioni alternate di Civilized Hell, una elettrica molto più diretta di quella dell’anno scorso, con un drumming possente ed una slide appiccicosa, ed una intensa e rallentata rilettura acustica (anche se il mio orecchio percepisce anche qui una chitarra elettrica). La solare Out In L.A. era già tra le più piacevoli di Turn Off The News, e questa versione extended non mi fa cambiare idea, così come la splendida rilettura alternata della bella Bad Case, decisamente trascinante e tra i migliori momenti del CD. Chiudono Naked Garden due missaggi differenti e più spontanei di Stars Made Of You e Where Does Love Go, quest’ultima bellissima, coinvolgente e con agganci alle produzioni di Jeff Lynne per Tom Petty e Traveling Wilburys.

Una bella sorpresa dunque questo Naked Garden, ed ennesima dimostrazione che a volte quello che viene lasciato fuori dai dischi è meglio di ciò che viene pubblicato.

Marco Verdi

Moderni “Fuorilegge”…In Crociera! VV.AA. – A Tribute To Outlaw Country

a tribute to outlaw country

VV.AA. – A Tribute To Outlaw Country – StarVista Live CD

Lo scorso anno avevo recensito un divertente album dal vivo di musica country intitolato A Tribute To The Bakersfield Sound Live, nel quale un manipolo di artisti più o meno noti omaggiava le canzoni di Buck Owens e Merle Haggard: la particolarità era che il concerto si era svolto a bordo della Country Music Cruise, una vera e propria crociera durante la quale si svolgevano diverse esibizioni ed iniziative a tema appunto country https://discoclub.myblog.it/2019/07/30/finche-la-barca-country-va-lascialasuonare-vv-aa-a-tribute-to-the-bakersfield-sound-live/ . A distanza di pochi mesi da quel dischetto ecco un’altra proposta tratta sempre da quelle serate (ma molti show si svolgevano anche al mattino), che come suggerisce il titolo A Tribute To Outlaw Country prende in esame alcune tra le canzoni più note del movimento Outlaw, un sottogenere che esplose negli anni settanta in contrapposizione con il country commerciale di Nashville, che aveva come elementi di punta Willie Nelson e Waylon Jennings e come dischi di riferimento l’album Waylon & Willie ma soprattutto la compilation Wanted! The Outlaws, nella quale i due texani condividevano lo spazio con Jessi Colter (moglie di Waylon) ed il meno conosciuto Tompall Glaser.

I promotori dell’iniziativa, così come nel caso del tributo al suono di Bakersfield, sono Wade Hayes e Chuck Mead (ex leader dei mai troppo celebrati BR5-49), i quali si alternano alle lead vocals nei vari brani e. soprattutto nel finale, vengono affiancati al microfono da una serie di ospiti non tra i più famosi ma perfettamente in parte (Darin e Brooke Aldridge, Mark Miller, Tim Atwood, Johnny Lee ed il veterano T.G. Sheppard, i quali si occupano anche delle parti strumentali durante lo show). Chiaramente la parte del leone la fanno i brani di Waylon e Willie, dall’iniziale Whiskey River alla conclusione “tutti on stage” di Good Hearted Woman, ma in mezzo troviamo anche pezzi di altri autori: il tutto è suonato e cantato in maniera diretta e con buona dose di grinta e ritmo, e pur non arrivando a superare le versioni originali il CD ci regala un’ora di pura country music divertente e piacevole, con Hayes e Mead che affrontano con piglio sicuro il ruolo di bandleaders. Non sto a fare una disamina brano per brano, anche perché titoli come Rainy Day Woman, Luckenbach, Texas, Me And Paul, I’m A Ramblin’ Man, My Heroes Have Always Been Cowboys, Are You Sure Hank Done It This Way, Angels Flying Too Close To The Ground, Honky Tonk Heroes (scritta da Billy Joe Shaver, altro fuorilegge doc) e Yesterday’s Wine non hanno bisogno di presentazioni e sono garanzia di qualità.

Ci sono anche, come dicevo prima, canzoni non riconducibili a Waylon e Willie, come l’intensa ballata Storms Never Last della Colter (che però la cantava insieme al marito), eseguita con buon feeling dai coniugi Aldridge, l’ironica You Never Even Called Me By My Name scritta da John Prine e Steve Goodman (ma portata al successo da David Allan Coe), ed un bell’omaggio da parte di Johnny Lee al grande Jerry Jeff Walker con London Homesick Blues. Vorrei segnalare solo due assenze non di poco conto: la prima è la splendida Mamas Don’t Let Your Baby Grow Up To Be Cowboys, una delle più belle Outlaw ballads di sempre che avrebbe dovuto assolutamente esserci, mentre la seconda, più veniale, è la classica Ladies Love Outlaws, che avrebbe tributato il giusto omaggio al suo autore Lee Clayton, oggi colpevolmente dimenticato. Ma in fondo non importa: come dicevo poc’anzi il disco è molto godibile e ben fatto, e sarà perfetto per l’ascolto in macchina quando finalmente potremo riprendere ad uscire in maniera accettabile.

Marco Verdi

Una “Voce Nera” Ancora Splendida, Benché Quasi Sconosciuta. Dorothy Moore – I’m Happy With The One I’ve Got Now

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Dorothy Moore – I’m Happy With The One I’ve Got Now – Farish Street Records Of Mississippi

Dorothy Moore è una delle tante piccole leggende di culto della musica nera: viene da Jackson, Mississippi e in quell’area opera ancora oggi. Ha fondato la propria etichetta indipendente, la Farish Street Records (Of Mississippi, aggiunge lei orgogliosamente) con la quale pubblica i propri CD dall’inizio degli anni 2000 . Comunque pure in questi difficili tempi di coronavirus ha pubblicato un album nuovo (anche se poi, viste le difficoltà attuali, non sarà facile reperirlo, quindi forse, in attesa di tempi migliori, toccherà ascoltarlo in streaming o download), questo I’m Happy With The One I’ve Got Now che fa seguito a Blues Heart del 2012: la nostra amica ha una carriera gloriosa alle spalle, costellata da nominations ai Blues Music Awards e ai Grammys, negli anni ‘70 ha avuto parecchi successi, tra i quali Misty Blue, I Believe You e la cover di Funny How Time Slips Away di Willie Nelson https://www.youtube.com/watch?v=h5FoHLD9-lM .

Poi ha proseguito negli anni con regolarità, soprattutto con album su Malaco e Epic, e ancora oggi, a 73 anni suonati, è in possesso di una voce calda, profonda, risonante, che non risente dello scorrere del tempo, se non donandole una patina di vissuto affascinante, e continua ad incantare con il suo stile che attinge dal blues, dal soul, dal gospel, affidandosi ad una pattuglia di autori, tra i quali spiccano la leggenda della Stax Eddie Floyd, la brava E.G. Kight (di cui anni fa avevo recensito un paio di album per il Buscadero), e altri meno conosciuti, anche Johnny Neel del giro Allman Brothers. Quindi tutto materiale originale, con la sola eccezione di una cover di Crazy dell’amato Willie Nelson, che la Moore esegue con l’aiuto di una nutrita pattuglia di musicisti locali: chitarra, basso, batteria e tastiere, una piccola sezione archi e una di fiati, per un suono corposo e anche “contemporaneo”, ma legato comunque alla tradizione, non faccio i nomi perché sono sconosciuti, ricordo solo il chitarrista Caleb Armstrong.

La title track, firmata dalla Kight, da Neel e da Joanna Cotton è un robusto blues fiatistico, dove la Moore incanta con la sua voce potente ed espressiva, e la band la appoggia con un suono di grande spessore e calore, mentre You Don’t Say No del grande Eddie Floyd è una soul ballad deliziosa, un filo ruffiana, ma ci sta, cantata con grande partecipazione dalla Moore, ben spalleggiata anche da un paio di voci femminili di supporto. There Comes A Time, scritta da Gregory Abbott (quello di Shake You Down per intenderci) è un’altra contemporary soul ballad, ben congegnata, anche se forse più scontata, per quanto Dorothy ci metta del suo, Everything About Your Lovin’ ha un andamento più funky, 70’s style, un po’ Earth, Wind & Fire, un po’ Rufus, con coretti e arrangiamenti di fiati tipici di quella decade https://www.youtube.com/watch?v=7CIJ5jNMd-o , con Sad Sad Sunday, dove brilla la chitarra di Armstrong, che è un blues lento di quelli duri e puri, carico di elettricità e grinta.

La cover di Crazy, con archi scivolanti, rende omaggio ad uno degli standard della canzone americana, una versione melanconica ed orchestrale, forse leggermente “datata”, ma con la voce sincera e navigata della Moore a sostenerla https://www.youtube.com/watch?v=Y6L-Qp4RKVQ , anche You Don’t Have To Tell Me, scritta da Jim Wheatherly, suo collaboratore abituale, è una ballatona romantica, dagli arrangiamenti magari troppo “carichi”, ma che si lascia ascoltare grazie alla voce sempre affascinante di Dorothy, lasciando all’altro pezzo di Eddie Floyd I’ll Get By, una ulteriore vellutata ballata cantata a gola spiegata da Dorothy Moore, il compito di chiudere un onesto album dedicato a chi ama le belle voci nere, latitante per l’occasione nel settore gospel, ma comunque estremamente piacevole e godibile nell’insieme.

Assolutamente da (ri)scoprire!

Bruno Conti

Un’Antologia Diversa Ed Interessante, Anche Se Costosa. Bob Dylan – Japanese Singles Collection

bob dylan japanese singles collection

Bob Dylan – Japanese Singles Collection – Sony Japan 2 Blu-Spec CD2

La discografia ufficiale di Bob Dylan è piena di antologie e Greatest Hits, alcune più interessanti di altre ed in qualche caso perfino indispensabili (penso al box set del 1985 Biograph, uno dei primi cofanetti ricchi di materiale inedito della storia): un capitolo a parte lo occupano poi le raccolte prodotte esclusivamente per il mercato giapponese, come ad esempio Dylan Ga Rock del 1993 e poi ristampata nel 2010 ma con una tracklist diversa, oppure il bellissimo box quintuplo Dylan Revisited del 2016, con un CD intero dedicato al meglio delle Bootleg Series. L’ultima uscita esclusiva per il paese del Sol Levante è questo doppio CD Japanese Singles Collection, che come fa intuire il titolo raccoglie tutti i brani usciti su 45 giri nella nazione asiatica, nel periodo che va dal 1965 (cioè quando là hanno cominciato ad uscire i dischi di Dylan) al 1985 (quando hanno smesso di pubblicare i 45 giri di Bob, anche se per la precisione nel 1986 sarebbe uscito il raro singolo Band Of The Hand, ma essendo targato MCA non è qua presente: peccato perché ad oggi manca ancora su CD).

Il viaggio inizia dunque con Subterranean Homesick Blues e termina con Tight Connection To My Heart (che ebbe anche un videoclip girato in Giappone, in assoluto il più MTV-oriented tra i pochi di Bob, con alcune scene che oggi va di moda definire “cringe”, imbarazzanti), ed al suo interno presenta più di una chicca come vedremo tra poco; ecco comunque la tracklist:

CD 1:

  1. Subterranean Homesick Blues
  2. Like a Rolling Stone
  3. Positively 4th Street
  4. Can You Please Crawl Out Your Window?
  5. One of Us Must Know (Sooner or Later)
  6. Rainy Day Women #12 & 35
  7. I Want You
  8. Just Like a Woman
  9. Blowin’ in the Wind
  10. The Times They Are a-Changin’
  11. Lay, Lady Lay
  12. Take a Message to Mary
  13. Watching the River Flow
  14. When I Paint My Masterpiece
  15. George Jackson (Big Band Version)
  16. Knockin’ on Heaven’s Door
  17. A Fool Such as I

Track 1 released on Japanese CBS single LL-764-C, 1965.
Track 2 released on Japanese CBS single LL-821-C, 1965.
Track 3 released on Japanese CBS single LL-847-C, 1965.
Track 4 released on Japanese CBS single LL-882-C, 1966.
Track 5 released on Japanese CBS single LL-919-C, 1966.
Track 6 released on Japanese CBS single LL-928-C, 1966.
Track 7 released on Japanese CBS single LL-956-C, 1966.
Track 8 released on Japanese CBS single LL-987-C, 1966.
Track 9 released on Japanese CBS/Sony single SONG-80132, 1968.
Track 10 released on Japanese CBS/Sony single SONG-80156, 1969.
Track 11 released on Japanese CBS/Sony single CBSA-82001, 1969.
Track 12 released on Japanese CBS/Sony single CBSA-82070, 1970.
Track 13 released on Japanese CBS/Sony single SBSA-82116, 1971.
Track 14 released on Japanese CBS/Sony single CBSA-82132, 1971.
Track 15 released on Japanese CBS/Sony single SOPA-1, 1972.
Track 16 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-257, 1973.
Track 17 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-269, 1974.

CD 2:

  1. On A Night Like This
  2. Something There Is About You
  3. Most Likely You Go Your Way (And I’ll Go Mine) (Before the Flood version)
  4. Tangled Up in Blue
  5. Mr. Tambourine Man
  6. Hurricane (Part 1)
  7. Mozambique
  8. One More Cup of Coffee
  9. Stuck Inside of Mobile With the Memphis Blues Again (Hard Rain version)
  10. Baby, Stop Crying
  11. Gotta Serve Somebody
  12. Man Gave Names to All the Animals
  13. Sweetheart Like You
  14. Tight Connection to My Heart (Has Anybody Seen My Love)

Track 1 released on Japanese Asylum single P-1293Y, 1974.
Track 2 released on Japanese Asylum single P-1315Y, 1974.
Track 3 released on Japanese Asylum single P-1293Y, 1974.
Track 4 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-307, 1975.
Track 5 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-321, 1975.
Track 6 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-349, 1975.
Track 7 released on Japanese CBS/Sony single SOPB-360, 1976.
Track 8 released on Japanese CBS/Sony single 06SP-1, 1976.
Track 9 released on Japanese CBS/Sony single 06SP-126, 1976.
Track 10 released on Japanese CBS/Sony single 06SP-241, 1978.
Track 11 released on Japanese CBS/Sony single 06SP-410, 1979.
Track 12 released on Japanese CBS/Sony single 06SP-433, 1979.
Track 13 released on Japanese CBS/Sony single 07SP-765, 1983.
Track 14 released on Japanese CBS/Sony single 07SP-901, 1985.

La confezione è molto curata come sempre capita con le edizioni nipponiche, con ben due booklet che rispettivamente contengono le copertine di tutti i singoli ed i testi dei brani in giapponese ed inglese (la copertina invece è davvero brutta per gli standard occidentali ma in linea con la cultura di quel paese), ed il suono, realizzato con la tecnologia Blu-Spec CD2, è decisamente spettacolare. Peccato per il costo, che da noi si aggira intorno ai 50 euro abbondanti: in rete però le lamentele dei fans più che il prezzo hanno riguardato la scelta di pubblicare solo i lati A dei vari singoli, tralasciando quandi una bella serie di rarità in CD come Spanish Is The Loving Tongue per piano solo, Rita May, Trouble In Mind e la cover di Willie Nelson Angels Flying Too Close To The Ground. E’ il caso di fare però qualche considerazione sulla tracklist: intanto ci sono canzoni che non si trovano spesso sulle antologie dylaniane (One Of Us Must Know, Take A Message To Mary, A Fool Such As I, When I Paint My Masterpiece, Something There Is About You, Mozambique, Baby Stop Crying), ed il fatto che in Giappone i singoli siano stati stampati dal 1965 porta brani come Blowin’ In The Wind e The Times They Are A-Changin’ a venire dopo gli estratti da Blonde On Blonde (e Mr. Tambourine Man addirittura nel 1975).

Detto che essendo presenti due pezzi dal vivo (Most Likely You Go Your Way da Before The Flood e Stuck Inside Of Mobile da Hard Rain), trovo strano che non fossero usciti singoli dal live At Budokan, ci sono anche delle versioni “single edit” e quindi rare, come Gotta Serve Somebody ed i due brani dal vivo citati poc’anzi, anche se non ha molto senso includere solo la prima parte di Hurricane (la seconda era sul lato B), visto che così la narrazione si interrompe sul più bello. Ma la vera chicca che “costringerà” i fans a ricomprare per l’ennesima volta le stesse canzoni è la presenza della “big band version” del singolo del 1971 George Jackson, introvabile su CD a meno che non possediate la rarissima stampa in compact dell’antologia australiana del 1978 Masterpieces (infatti la George Jackson presente sul doppio Sidetracks uscito nel cofanetto The Complete Album Collection era la versione acustica).

Forse un po’ poco per accaparrarsi questo Japanese Singles Collection, ma si sa che i “dylaniati” (categoria alla quale mi vanto di appartenere) sono teste particolari.

Marco Verdi