Blues, Boogie And Roll! Rick Holmstrom, John “Juke” Logan, Stephen Hodges – “Twist-O-Lettz

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RICK HOLMSTROM, JOHN “JUKE” LOGAN, STEPHEN HODGES

Twist-O-Lettz

Mocombo Records

***1/2

Diventa sempre più difficile fare dei dischi di Blues interessanti: o sei un Padreterno o uno dei grandi del blues (ma a questo punto hai i tuoi annetti e quindi o vivi di rendita con dischi “tributo” o Live with friends e l’occasionale colpo di genio, tipo l’ultimo B.B. King prodotto da T-Bone Burnett). In caso contrario ti devi inventare o re-inventare qualcosa se non di nuovo almeno di originale.

Rick Holmstrom, che non è più un giovanotto, nato nel 1965 in Alaska (si direbbe uno dei posti meno Blues del mondo), si è fatto lentamente una reputazione come uno dei migliori stilisti della chitarra in circolazione, suonando con vari musicisti blues californiani (dove si era trasferito con la famiglia a metà anni ’80) e in particolare nei Mighty Flyers di Rod Piazza.

Poi nel 1996 con l’album strumentale Lookout e negli anni 2000, i famosi noughties, ha iniziato una carriera solista che lentamente lo ha portato alle luci della ribalta. Devo essere sincero e dirvi che i suoi album (già recensiti sul Busca) non mi hanno mai particolarmente entusiasmato, li ho sempre trovati “bellini”, tecnicamente ineccepibili ma un po’ come dire, turgidi. Faccio mea culpa, sulla scia di questo album in trio e delle ottime performances nelle ultimo bellissimo album di Mavis Staples anche se il disco del 2007, Late In The Night, al di là dell’ottima cover di Dylan continua a non entusiasmarmi.

Ma questo Twist-O-Lettz sì! Cosa è andato a pensare questo diavolo di un Holmstrom (perché l’idea è sua): mi prendo il mio batterista Stephen Hodges, chiamo il mio amico, l’armonicista e cantante John “Juke” Logan (che ha suonato con chiunque, dai Los Lobos a Ry Cooder, Etta James, Lucinda Williams, Dave Alvin, Leon Russell perfino John Lee Hooker e che è matto come un cavallo) e ci chiudiamo in un vecchio studio di registrazione, Pacifica Studio (The ‘Soul Cauldron’) a El Lay, California, tutti, musicisti, strumenti, equipaggiamenti selvaggi e vecchi impianti di amplificazione, microfoni vintage da tutte le parti, appesi al soffitto, nascosti, spariamo l’eco a mille e poi iniziamo a dare fuori da matti e improvvisare.

Il risultato, contro ogni aspettativa (o forse no) funziona alla grande: pensate ai grandi Houserockers di Hound Dog Taylor (indispensabile almeno un suo disco in una discoteca blues che si rispetti) o, in tempi recenti, i Black Keys, due formazioni senza bassista, rispettivamente per il boogie e per il roll, unite il Blues dell’armonica (e della voce) di Logan, la “follia” sonora, almeno in questo disco, di Rick Holmstrom che sperimenta una quantità di sonorità che dal blues originale passano per i primi grandi chitarristi rumoristi (Link Wray e Lonnie Mack, ma anche i Ventures e Cliff Gallup) del rock and roll.

Il risultato,si diceva, in alcuni brani è strepitoso e, in generale di ottima qualità: sentitevi i sei minuti iniziali della cover di The Land Of A Tousand dances di Chris Kenner (il titolo del disco prende il nome dalla sua band), il rollare della batteria, la voce filtrata e urlante, gli effetti di chitarra e il sound potente ma che viene pari pari da un qualche disco di R&R degli anni ’50, l’insieme sprigiona una energia incredibile e richiama, per certi versi, quanto in un ambito più blues facevano gli artisti della Fat Possum, poi quando le apparecchiature fischiano e scoppiettano sembra di essere in qualche laboratorio di sgangherati scienziati di film di serie B.

Anche quando prende il sopravvento l’anima più blues di Logan e la sua armonica fronteggia la chitarra di Holmstrom come nel blues più tradizionale di If I Should Die l’ambito sonoro “live” del disco è sempre presente e loro si divertono come pazzi. Be Home Soon con la bass-harp-from-hell (non sono normali!) di Juke Logan a segnare il ritmo e la chitarra di Holmstrom molto fifties è un altro buon esempio. Ma anche il blues atmosferico di Lone Wolf e quello più classico di Let’s Rock and Roll con la sua anima boogie piacciono.

Waitin’ Too Long è ancora un R&R molto coinvolgente mentre Jukestaposition (che titolo!) è un altro di quei momenti di misurata anarchia sonora, uno strumentale con l’armonica di Logan a duellare ancora una volta con la chitarra di Holmstrom, ma prima che il Rock venisse inventato. Ottimo anche il funky di I’d Like to see e la cavalcata freeform finale dell’ottima Ways of action per citarne ancora un paio ma tutto l’album è una piacevole sorpresa.

Bruno Conti