Un Tipo “Strano”, Bravo Però! Pokey LaFarge.

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Pokey LaFarge – Pokey LaFarge – Third Man Records

Un tipo “strano” questo Pokey LaFarge,  forse non “unico” ma certamente originale, anzi, come diceva la mia mamma, “un originale”. Se gli aggiungete un paio di baffetti, un cravattino e un panama (e secondo me li ha) potrebbe trasformarsi anche in Leon Redbone. Altro personaggio, peraltro tuttora in attività, che circa 35, 40 anni fa, ebbe un notevole successo di critica, ma anche di pubblico ( i suoi dischi entrarono nelle classifiche di vendita, fino alla Top 40 di Double Time nel 1977) con una miscela di jazz, ragtime, vaudeville, blues, folk, il tutto solidamente fondato nella musica degli anni ’20 e ’30, quelli subito prima, durante e dopo la Grande Depressione. E prima ancora c’era stato Dan Hicks e andando a ritroso Jim Kweskin con la sua jug band e tanti altri che nel corso degli anni si sono appassionati a questo recupero delle tradizioni della musica popolare americana.

In questi tempi da Seconda Grande Depressione si assiste ad un ritorno alla musica acustica, nelle sue varie forme, musicisti come i Carolina Chocolate Drops o Luke Winslow-King si possono considerare dei “neo-tradizionalisti”, come pure gli Old Crow Medicine Show nel loro ambito più country e bluegrass, con un pizzico di old time music. E, non a caso, il loro leader Ketch Secor produce questo omonimo Pokey LaFarge, che è già il suo nono disco (compreso un 45 giri per la Third Man Records di Jack White, alla quale sono tornati per questo CD) in vari formati e formazioni e in meno di sette anni di carriera. Dalla ragione sociale della formazione è sparito quel South City Three che aveva caratterizzato tutti i dischi della formazione dal 2009 ad oggi, compreso il Live In Holland, uscito lo scorso anno in Europa per la Continental Song City, comunque la formazione si è ampliata e si sono aggiunti al trio originale di chitarra, contrabbasso e armonica, anche una cornetta e un clarinettom Chloe Feoranzo, anche voce femminile aggiunta. Quindi sempre più anni ’30 ma senza dimenticare quella patina country, old time che lo differenzia parzialmente, ma non troppo, dal citato Redbone, per un genere che è stato definito Riverboat Sound.  Lui, il nostro amico Andrew Heissler, 30 anni, da Bloomington, Illinois, viene da una passione giovanile per il blues (in fondo è nativo dello stato dove si trova Chicago, una delle capitali del Blues), ma anche per il bluegrass di Bill Monroe, suona il mandolino e la chitarra e canta con una bella voce che  si ispira soprattutto al country, ma ha naturalmente retrogusti jazz e blues.

La musica è veloce e ritmata, con gli strumentisti che si alternano alla guida del piccolo combo e supportano LaFarge con brio e tecnica, come nella iniziale Central Time che è subito indicativa di quanto ascolteremo nel resto del disco. Divertente l’old time swing di The Devil Ain’t Lazy con l’armonica frenetica di Ryan Koenig (è lui Leon Redbone, guardatelo) in alternativa alla chitarra di Adam Hoskins e la voce di Pokey che ci riporta al suono dei vecchi 78 giri dell’epoca,  riprodotti con la tecnologia di oggi, con testi che parlano di quanto ci succede intorno, forse anche per questo si può parlare di modernismo retrò. Quando entrano il clarinetto e la cornetta, come nella bella ballata malinconica What The Rain Will Bring, si accentua questo spirito jazzato da bei tempi andati, non guastano in questo senso anche le saltuarie ma precise armonie vocali che accompagnano l’incedere del cantato del leader in quasi tutti i brani. Il tenore nasale di LaFarge (ma gustatevi il falsetto della deliziosa Let’s Get Lost) ci scaraventa in questi brani che profumano di inizio secolo (quello scorso), come Woncha Please Don’t Do It e l’effetto è più quello dei musicisti bianchi di quell’epoca, un Jimmie Rodgers, o a livello strumentale, Django Rheinhardt e Stephane Grappelly, quando Ketch Secor aggiunge il suo violino alle procedure come in One Town At A Time, che per la presenza di una steel guitar ante litteram potrebbe avvicinarsi allo swing di Bob Wills.

In Kentucky Mae, sempre malinconica si aggiunge un quartetto archi e torna la coppia di fiati, piccoli interventi di una chitarra elettrica che insinua la sua modernità apportano leggere correzioni al sound del disco che per il resto è abbastanza atemporale. Doveva essere nel preambolo ma lo dico qui, ovviamente per ascoltare questa musica avete due opzioni: o siete grandi appassionati del genere e in questo caso potete aggiungere anche una stelletta al giudizio critico dell’album, oppure vi dovete calare in un mondo musicale dove il rock o il blues, ma anche il country non hanno nulla del suono dal R&R in avanti, magari da prendere in piccole dosi. Nella frenetica Bowlegged Woman fa anche capolino un pianino indiavolato, ci spingiamo fino al boogie woogie ma il suono rimane rigorosamente unplugged e old time come in City Summer Blues che ti può ricordare sinuose donnine in gonnellino in vecchi locali di un’epoca che non c’è più, ma potrebbe ritornare! Insomma ci siamo capiti, forse, “vecchia musica per giovani” o “musica giovane per vecchi”?  Boh. Bravo, però!

Bruno Conti

Un Vero Outsider! Delta Joe Sanders – Working Without A Net

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Delta Joe Sanders – Working Without A Net – Madjack Records

Dischetto piacevole questo di Delta Joe Sanders, un disco di country-blues intriso nelle radici musicali di uno che è nato e vissuto nei pressi della Glower Plantation, Desoto County, Mississippi, ma vive ed opera nel sottobosco della scena musicale di Memphis, Tennessee da oltre trent’anni. Non per nulla il disco è stato registrato nei leggendari Sun e Ardent Studios (che non saranno più quelli di un tempo ma il nome evoca sempre grande musica)!

Tra i suoi compagni di etichetta (la Madjack Records) i più “noti” sono Susan Marshall  (che appare in questo disco) e Cory Branan, come lui onesti praticanti delle sette note, anche se in ambiti più rock, mentre Delta Joe Sanders in passato ha fatto parte pure dei Memphis Sheiks, con cui ha inciso tre album negli anni ’90. Il nome non vi dice nulla? No. Per la verità neppure a me, ma pare che i dischi siano validi, mi fido di quello che ho letto (anche se per l’effetto “San Tommaso” una ascoltatina gliel’ho voluta dare, del blues acustico, chitarra e armonica, in coppia con tale Robert Nighthawk II (!)). Sanders ha inciso altri due dischi da solista oltre a questo Working Without A Net, che offre una strumentazione parca ma più complessa del solito, oltre a brani decisamente acustici come l’iniziale Five O’ Clock (In The Morning Time) che mette in evidenza la voce vissuta ma interessante del protagonista, tra piano, chitarra e percussioni o A Beautiful Song, altra variazione su questo Blues rurale e minimale, ma anche Sweet Monicera che potrebbe uscire da qualche vecchio vinile degli anni ’60, con il suo violino intrigante e quella inflessione country della voce molto sudista e anche un po’ rassegnata, di chi è capitato in studio per caso, perché non aveva niente di meglio da fare quel giorno!

Da questo stile musicale non ci si distacca mai troppo, ma l’accordion di Preachin’ To No One o le armonie vocali quasi gospel di Susan Marshall & Reba Marshall, unite al piano di Rick Steff e a ritmi più mossi danno maggiore brio alla musica in un brano come Windswept Plains Of Memphis, che ha sempre questa aria laconica e malinconica, ancorché vissuta dalla voce di Sanders che ci mette del suo. Con i dovuti distinguo questo Delta Joe Sanders potrebbe ricordare (vagamente) una sorta di Leon Redbone dei giorni nostri (ma anche quelli che furono), più sul blues rurale e sul country, ma quando parte la tromba in That Dress le analogie ci sono. Verso la fine del disco, in That’s Just The Way She is appare addirittura una timida chitarra elettrica affidata a Tommy Burroughs che si occupa un po’ di tutti gli strumenti a corda, mandolino compreso. Il disco si chiude con la lunga The Toast, una sorta di talking country blues alla Bromberg o alla Jerry Jeff Walker nelle loro versioni più acustiche. Uno “strano” disco, curioso e minore, indicato più che per gli archeologi del Blues (e del country “arcano”), insomma per chi gira per mercatini o per antiquari alla ricerca di qualche scoperta incredibile, ma che si accontenta anche di qualche onesta “copia” dei classici. Non disprezzabile comunque, assolutamente fuori dal tempo e da qualsiasi moda (guardate anche il numero dei contatti su YouTube)!

Bruno Conti