Un “Cliente” Abituale: Eccolo di Nuovo! Joe Bonamassa – Black Country Communion 2

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BLACK COUNTRY COMMUNION – Black Country Communion 2 – Mascot/Edel         

Ennesimo disco nello spazio di pochi mesi per Joe Bonamassa. Ormai è palese che uno ne pensa e cento ne fa. Da solo o con questo gruppo dei Black Country Communion sforna dischi a ripetizione. E’ ovvio che la star del progetto è lui, se ne parla così diffusamente per la sua presenza, l’ultima Great White Hope della chitarra hard, e rock, e blues. Quando è in compagnia dei soci Hughes, Sherinian e Bonham è quasi naturale che prenda il sopravvento il lato più hard della sua musica. D’altronde qualcuno che faccia questo tipo di musica, dura e rocciosa, e sostituisca gruppi come i Led Zeppelin o i Deep Purple (come dite, ci sono ancora? Ah, scusate) non è in sé affatto negativo, se picchiano come dei fabbri non ci vedo nulla da male, ci sono dei fabbri che sono Maestri artigiani e loro mi sembra facciano parte di quest’ultima categoria.

I richiami ai seventies sono molteplici: diretti, ovvero la presenza di Glenn Hughes, bassista e cantante, che prima nei Trapeze e poi nei Deep Purple di Burn e Stormbringer questa musica l’ha vissuta a lungo ed è ancora in possesso di una voce potente e sicura con la giusta dose di “tamarrità” insita nel genere. Temperata dalle divagazioni delle tastiere di Sherinian che si muovono sempre più verso un sound alla Jon Lord rispetto al Prog degli ex Dream Theather. Jason Bonham d’altro canto, come il babbo John, è una forza della natura e picchia sui tamburi con una ferocia quasi goduriosa. Ad impedire che il tutto sfoci in un hard rock, quasi metal, di maniera (e non sempre ci riescono), è la classe del chitarrista, quel Joe Bonamassa che in questi dischi può sfogare ancora di più le sue velleità alla Blackmore o meglio ancora alla Jimmy Page più che il lato Blues-Claptoniano.

Se andiamo ad ascoltare l’iniziale, violentissima The Outsider una sorta di incrocio tra Deep Purple d’annata (più o meno 1975) e Black Sabbath, con la voce di Hughes ancora in grande spolvero e l’organo di Sherinian che prepara la strada per gli assoli tirati e di gran pregio di Bonamassa si respira anche aria di rock progressivo. Man in The Middle con le sue atmosfere dark, ma anche improvvise aperture dovrebbe essere il singolo della situazione con la chitarra di Bonamassa che si muove tra sonorità che ricordano il “vecchio” Tony Iommi, ma soprattutto nelle scale velocissime il Jimmy Page più feroce dei primi Zeppelin. Page che sembra essere l’ispiratore di alcuni dei momenti più felici di questo disco: a partire da The Battle For Hadrian’s Wall un epico brano di ambientazione storica che prende il via da un’introduzione acustica che ricorda gli Zeppelin più bucolici, in quella giusta interazione tra acustico ed elettrico che li ha resi giustamente una delle band più amate della storia del rock. Il brano è cantato da Joe Bonamassa che si cimenta anche ad una poco consueta per lui slide e indulge anche in sonorità diverse pescate dal suo armamentario di chitarre (e può sfoderare anche la chitarra a doppio manico)!

Save me parte da una idea sviluppata da Jason Bonham quando lavorava ancora con la premiata ditta Page/Plant e si trasforma presto in un sequel del riff (e degli assoli, bravissimo Bonamassa) della celeberrima Kashmir ma il cantato di Hughes al contempo ricorda i vecchi Deep Purple, si potrebbe parlare di Led Purple.

Smokestack Woman già dal titolo dovrebbe essere una outtake di Burn se non ci fosse quel riffare di chitarra che sà di Page. Per l’inizio di Faithless il nostro amico Bonamassa si inventa un suono corposo, grasso, di chitarra che ricorda il Clapton più rock dei Cream o dei Blind Faith con il cantato di Hughes che oscilla tra Plant e Gillan, forse anche stimolato dal chitarrista che nella seconda parte del brano vira verso atmosfere quasi spagnoleggianti.

An ordinary man è l’altro contributo vocale di Joe Bonamassa e un tributo sentito alla sua famiglia che l’ha sempre appoggiato fin da giovanissimo nella sua ascesa verso la grande popolarità, una bella canzone con il solito lavoro di finezza delle chitarre. I Can see your spirit è un altro sentito omaggio al riff&roll degli Zeppelin più duri mentre Little Secret potrebbe essere la Since I’ve been loving you della situazione, uno slow blues in salsa hard con la tecnica di Bonamassa e la voce di Hughes a duettare. Crossfire è un bel pezzo rock semplice e tirato che sarà (è stato) pretesto per gagliarde improvvisazioni nei loro concerti come pure la conclusiva Cold dalle strutture sonore più complesse e ricercate che sembra più farina del sacco di Bonamassa.

In definitiva: derivativo, già sentito mille volte, con tanti assoli, una voce sopra le righe, tutti gli ingredienti di un disco di musica rock, va bene, hard rock, ma ogni tanto ci vuole. Non mi dispiace, anzi, un po‘ di piaceri proibiti e vai col il echissenefrega alle critiche.

Bruno Conti     

Un “Cliente” Abituale: Eccolo di Nuovo! Joe Bonamassa – Black Country Communion 2ultima modifica: 2011-07-10T18:59:00+02:00da bruno_conti
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