“Americani” Di Lombardia! Chemako

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Chemako – “Chemako” – Ultrasound Records

Spesso…spesso? Di tanto in tanto mi capitano tra le mani album (ok, CD) i cui autori potrebbero provenire da qualche desolata e sperduta landa degli Stati Uniti d’America, in un ipotetico territorio che sta tra Memphis, Tennessee, la Lousiana di New Orleans o perfino il Texas, Austin o anche dai sobborghi di Chicago, poi leggi le note del libretto: Belgioioso, Pavia, Lombardia, Italy. Ohibò, ma allora è proprio vero che in quei dintorni, come testimoniano i “miei amici” Lowlands o Jimmy Regazzon e i suoi Mandolin Brothers (e tanti altri, qualcuno ha detto Chicken Mambo?), c’è qualcosa nell’aria che ti rimanda alla migliore musica americana.

Quando mi è stato recapitato questo dischetto da recensire, come al solito, ero pronto a valutarlo con il gusto dell’appassionato che da tanti anni si premura di cercare di ascoltare e poi “divulgare” tramite il Bog e sul Buscadero della buona musica (soprattutto da quando sono diventato più stanziale e giro meno per concerti), e non è propriamente un fan della musica italiana ma, sin dal primo ascolto, questi “giovani” Chemako mi hanno portato ad esclamare: “ma dove vi eravate nascosti!”. Intanto il nome, presumo sia ispirato dal nomignolo indiano di Ken Parker nella sua saga fumettistica, un po’ l’equivalente di Aquila della Notte per Tex Willer, Colui Che Non Ricorda, ma potrei sbagliarmi. E invece i tre Gianfranco “French” Scala, Roberto Re e Stefano Bertolotti, ricordano benissimo, direi che hanno imparato a menadito la lezione del Blues, ma non Solo quello (con la S maiuscola) e ora la riprongono con piglio professionale e grande passione in questo loro esordio discografico.

Come riportano le note del libretto, inserito in una tasca dello sciccosissimo digipack che racchiude questo CD, firmate da Jimmy Regazzon in quel di Cà del Bruno (un segno del destino? Il Bruno risponde) i Chemako sono un trio di musicisti che hanno una grande passione per il Blues e tutta la musica che gli gira intorno, per parafrasare uno dei pochi cantautori italiani che vale la pena ascoltare. Dal primo arpeggio di banjo nei primi secondi di Red Diamond Train ti accorgi di essere a bordo per un giro musicale che ti affascinerà, blues del delta incarnato anche da un dobro e dall’armonica dell’ospite Fabio Bommarito. Altra particolarità del disco è l’assenza di un vocalist fisso nella formazione (anche se…) e quindi, con saggezza, se non sai cantare fai fare il suo mestiere a chi è in grado di farlo al meglio: nell’album si alternano diversi cantanti, da Shan Kowert della traccia iniziale, voce vissuta e adatta allo spirito del brano, con il supporto di Annie Acton ai controcanti, si passa ad una deliziosa Angelica Depaoli in azione nella bellissima Maintenance Free, un brano country got soul got blues che non ha nulla da invidiare a quelle contaminazioni “rockiste” à la Susan Tedeschi con Derek Trucks al seguito dell’ultimo disco, che discendono a loro volta, in una lunga sequenza, da Delaney & Bonnie, Bonnie Raitt, la carovana di Mad Dogs & Englishmen, il Clapton americano e Gianfranco Scala con la sua elettrica e mandoguitar non fa rimpiangere i nomi citati. Sound professionale che nemmanco ai Fame Studios dei Muscle Shoals (ogni tanto esageriamo), con un pianino aggiunto affidato a Riccardo Maccabruni che riscalda i cuori dell’ascoltatore. 

Sempre piano ma elettrico per l’incipit della successiva Lost My Way, con il vocione di Marcello Milanese (una via di mezza tra Richie Havens e Roger Chapman) che sarà il cantante della formazione nel prossimo futuro: un ballatone midtempo atmosferico con una slide insinuante e una solista che si rincorrono dai canali del vostro stereo con sonorità quasi cinematografiche e cooderiane. Let It Burn Wild cantata con intensità da Debbi Walton è quasi un gospel profano, acustico, solo chitarra e ukulele e un basso solitario ad accompagnare la voce malinconica dell’ennesima ospite del disco. Altro ospite, altro regalo: arriva anche Jimmy Regazzon che non si accontenta di scrivere le note del CD ma appare anche come cantante ed armonicista nel Blues puro di Dry Your Tears che si avvale anche di un secondo armonicista Alexander Von Braunmuhl per allargare lo spettro sonoro del brano percorso anche dalla National Triolian di Paolo Canevari.

Piccolo interludio: i primi 5 brani sono firmati tutti da Gianfranco “French” Scala e Gianni Rava.

Ripendiamo, come fosse un vecchio LP. Save The Moon è una delicata e dolcissima ballata che ci trasporta nei territori della vecchia West Coast quando il country si mescolava al rock nei dischi di Jackson Browne, Linda Ronstadt o di Gram & Emmylou, canta ancora una volta Angelica Depaoli mentre il buon Scala aggiunge anche una Resophonic al suo armamentario di chitarre, oggi comunque Rosanne Cash o Patty Griffin o Lucinda Williams fanno ancora questa musica e questo brano non sfigurerebbe nel loro repertorio. Di colpo siamo sbalzati su un battello che percorre il Mississippi e la voce di Milanese e le chitarre di Scala e la slide del “Gnola” ci accompagnano verso sonorità più gagliarde quasi in odore di rock-blues, ideali per una bella jam dal vivo. Altra ospite, altra voce femminile, Gayla Drake Paul che si scrive e si canta The Ocean Song dai suoni elettroacustici con il flugelhorn di Max Paganini che gli dà quel tocco vagamente jazzy e blue eyed soul. Tears for breakfast, cantata con passione da Annie Acton, ha quel ritmo incalzante che avevano i primi brani dei Dire Straits, quelli più “americani” del primo album, con l’elettrica di Scala che punteggia con i suoi continui interventi il tessuto sonoro del brano e la sezione ritmica che ci dà dentro.

Una delle più belle canzoni scritte da George Harrison All Things Must Pass è l’unica cover del CD, altro brano tratto da un disco che mescolava meravigliosamente mille stili e generi in una serie di canzoni memorabili, questa versione più acustica e raccolta con “la solita” slide è cantata ancora una volta da Angelica Depaoli, bella musica. Per concludere un blues dai ritmi “militari” con una slide minacciosa, Momma’s Words e il sax di Gianni Rava a fare le le veci del basso in una sorta di omaggio alle marching bands di New Orleans: canta Martell Walton (ma non era Debbi?). Traccia nascosta strumentale conclusiva con acustica e fisarmonica che guidano brevemente le danze. Non so dirvi il significato recondito delle tre galline nella penultima pagina del libretto ma pare sia importante.

Mi sono dilungato troppo? Come mi piace dire: ecchisenefrega, il Blog è mio, spero lo leggano gli appassionati della buona musica e qui ce n’è parecchia e quindi ve lo consiglio vivamente, se non lo trovate in giro provate http://www.chemako.com/index.php/it/ o guardate qui.

Bruno Conti

“Americani” Di Lombardia! Chemakoultima modifica: 2012-03-14T18:38:00+01:00da bruno_conti
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