E Dopo La Moglie (Iris Dement) Ecco Il Marito! Greg Brown – Hymns To What Is Left

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Greg Brown – Hymns To What Is Left – Sawdust Records

Come ricordavo nella rubrica delle Novità di Ottobre, la mia frequentazione con la musica di Greg Brown risale molto indietro nel passato, direi a One Big Town del 1989, il primo album con Bo Ramsey (quindi siamo “arrivati insieme” alla musica di Greg) e da lì sono anche risalito a ritroso agli album precedenti, dedicandogli pure una lunga retrospettiva sul Buscadero di qualche anno dopo (non ricordo quale, ho i vecchi numeri ma messi un po’ alla rinfusa). Marco Verdi vi ha parlato qualche giorno fa del nuovo, bellissimo, disco di Iris Dement (Sing The Delta Flariella Records), la moglie di Greg Brown dal 2002 è presente anche alle armonie vocali in un paio di brani di questo Hymns To What is Left, questo detto incidentalmente. Se prendiamo i lavori della coppia e li sommiamo direi che pochi al mondo (in un ambito familiare), forse nessuno, può competere a livello qualitativo, nel panorama musicale, con questo formidabile duo di autori.

Tornando all’opera precedente di Brown, se consideriamo anche le antologie, i dischi dal vivo e i tributi, il totale supera abbondantemente le trenta unità e la qualità è sempre quantomeno buona quando non eccellente. Forse non ha mai realizzato un capoloro assoluto, vista la enorme prolificità, ma tra dischi come il citato One Big Town (uno dei pochi con una sezione ritmica e dei brani di stampo quasi rock), il vecchio live in solitaria One Night del 1983, Friend Of Mine in coppia con un altro grande outsider come Bill Morrissey, un altro disco dal vivo The Live One del 1995 dove canta anche Richard Thompson e Van Morrison, e ancora l’accoppiata del 2000, Over And Under e Covenant, di nuovo un live per gli anni 2000 come In The Hills Of California con Shawn Colvin e Nina Gerber, senza dimenticare l’ottima antologia Dream City e, sempre dal passato, l’ottimo In The Dark With You, ognuno può trovare un Greg Brown (o anche più di uno) di proprio gradimento.

Una delle caratteristiche peculiari di Brown, oltre alla sua facile capacità di scrittura che attinge in eguale misura dal country e dal folk rurale, dal blues, dalla tradizione dei migliori cantautori americani, è quella “voce” incredibile, un baritono profondo e risonante, quasi cavernoso, ma anche capace di improvvise dolcezze, due qualità che lo legano a gente come Tom Waits o Johnny Cash.

Proprio di quest’ultimo, da molti, giustamente, il nostro amico viene considerato l’erede naturale, sia per il tipo di voce, sia per l’approccio musicale scarno e glabro, arricchito solo dalle evoluzioni delle chitarre elettriche e slide del suo fido pard Bob Ramsey, un altro musicista di cui bisognerebbe parlare di più, anche per le sue virtù di produttore (estrinsecate per esempio con Lucinda Williams) che unite a quelle di Brown, evidenziano, anche se non sempre e necessariamente, questa peculiarità del “meno è meglio”, cioè l’andare per sottrazione, che nella musica è un’arte difficilissima e non esatta. Le affinità sono soprattutto con il Cash dell’ultimo periodo quello delle American Recordings (il primo volume esce nel 1994, quando aveva 59 anni), non un “vecchio” quindi come spesso si dice per comodità, un artista maturo sicuramente, ma non anziano. Anche Greg Brown, che di anni ne ha 63 (come Springsteen), non si può certo definire tale, ma ha anche lui quella aura di “antichità nella tradizione” che lo accomuna all’Uomo In Nero.

Proprio il primo brano di questo Hymns…, Arkansas, la storia del viaggio intrapreso con la moglie Iris per andare a seppellirne la madre, ha questa aria paesana (country) alla Cash, con banjo, violino e acustica a duettare con il boom chicka boom della elettrica di Ramsey che scandisce il tempo, mentre Brown per l’occasione sfodera una voce più profonda del solito, una sorta di Johnny Cash che ha inghiottito Tom Waits e si è trovato bene. Ma poi il secondo brano ti stupisce perché Greg, con sullo sfondo la slide atmosferica e cooderiana di Bo, estrae dal cilindro un falsetto incredibile per un omone così, Besham’s Bokerie ha un che di mistico, come non sentivo dai tempi di Linden Arden Stole The Highlights, altro brano che si reggeva sul falsetto inconsueto di Van Morrison e si trovava sull’epocale e sottovalutato Veedon Fleece del 1974. Lasciati sotto shock i suoi ascoltatori Greg Brown torna ai suoi quadretti tipici con una Bones Bones che già dal titolo ci riporta al Waits più “lupesco”, ma anche ai bluesmen ancestrali che con i loro vocioni intrattenevano agli angoli delle strade. Non sempre è musica facile da ascoltare, perché Brown avrebbe anche il dono della melodia e la capacità di scrivere  “canzoni” come One Cool Remove, che non hanno nulla da individiare, chessò, a un Bob Seger o a Springsteen stesso, ma negli ultimi anni le usa raramente. A proposito di inni, Brand New Angel, con la seconda voce di Iris Dement, è una sorta di preghiera con uso di banjo e violino che si trovava anche nella colonna sonora di Crazy Heart, cantata da Jeff Bridges (i suoi brani sono stati eseguiti da molti cantanti ed autori nel corso degli anni).

Un brevissimo interludio. Gli amanti della musica indie (quella buona) si sono già imbattuti nel vocione di Greg Brown, perché nell’ottimo Hadestown di Anais Mitchell interpretava proprio la parte di Ade, il signore degli Inferi. Ed era perfetto.

Now That I’m My Grandpa è un brano quasi dylaniano, ma come fosse cantato dal Cash degli ultimi anni, ancora con il picking di chitarra e banjo, l’immancabile evocativa slide di Ramsey di supporto, è il racconto delle generazioni che scorrono lungo gli anni di un individuo, con una poetica e un trasporto che pochi hanno nell’attuale musica popolare. All Of Those Things è un’altra malinconica canzone degna del suo miglior songbook mentre Fatboy Blues è di nuovo un blues, alla Tom Waits (e qui la voce e l’inflessione sono molto simili), ma Brown ci aggiunge l’arguzia di un Randy Newman con un paio di frasi fulminanti: “One day I Woke up, fat as i could be, Now I Stumble Out To The Kitchen, for another chicken or two…” e “Oh yes I am The Walrus, and I’ve Got the fat boy blues”. C’è una bellissima e dolcissima canzone sull’amore familiare come I Could Just Cry (How Sweet You Are). Molto bella anche la title-track,”Inno a quello che è rimasto”, con le chitarre, quella acustica di Brown e l’elettrica slide di Ramsey che si intrecciano, mentre quella voce, profonda ed evocativa, quasi declama. Good To You è un perfetto country-blues, ancora una volta vicino allo stile scarno dell’ultimo Cash.

E rimangono gli ultimi quattro brani: una sontuosa On The Levee, che qualcuno sul suo sito ha addirittura paragonato alle ultime pagine di “Cento Anni Di Solitudine”, in effetti la voce è minacciosa, discorsiva, su un tappeto acustico di chitarre (grande Bo Ramsey, ancora una volta) e banjo, semplice ma complesso al tempo stesso, si racconta di tutti quelli che sono stati “sull’argine”, da Gesù Cristo a “Polly”, e tutti quelli che hanno visto il mondo dall’argine. E a questo punto c’è Hanging Man, il capolavoro assoluto di questo album, un brano stupendo, ricco di melodia, una di quelle canzoni memorabili che ogni tanto Greg Brown dissemina sui suoi lavori, uno di quelli che si usa dire valgono da solo il disco (se non fosse bello tutto), un inno che cita alcuni dei “grandi” della storia, che fanno venire i brividi sulla schiena, Francois Villon, Neruda, JB Lenoir e Billie Holiday, evidentemente alcuni di coloro che hanno cambiato la sua vita. E nell’ultima strofa cita anche Mary Burns, la compagna silenziosa di una vita di Friedrich Engels. Per End Of the Party sfodera anche un’armonica dylaniana e la figlia Pieta siede al piano per un altro pezzo di grande spessore. E a concludere, Earth Is A Woman, un’altra delle sue canzoni metafora con la seconda voce della moglie Iris Dement a ingentilire il tutto, insieme al piano che affianca le due immancabili chitarre.

Forse non Uno Dei Dischi Dell’Anno ma, per chi scrive, tra i dischi dell’anno, da scoprire.

Bruno Conti

E Dopo La Moglie (Iris Dement) Ecco Il Marito! Greg Brown – Hymns To What Is Leftultima modifica: 2012-12-01T18:28:00+01:00da bruno_conti
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