“Mini” Nel Formato, Ma Non Nei Contenuti E Nella Durata: L’Altro Blue Rodeo. Greg Keelor – Last Winter

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Greg Keelor – Last Winter – Warner Music Canada

A pochi mesi dall’uscita dell’album solista di Jim Cuddy https://discoclub.myblog.it/2018/03/08/anche-senza-il-suo-pard-abituale-sempre-un-gran-bel-sentire-jim-cuddy-constellation/ , ecco arrivare la risposta del suo pard nei Blue Rodeo Greg Keelor: entrambi hanno rilasciato delle prove piuttosto convincenti, ma mentre Cuddy aveva scelto un sound ed un approccio molto vicino a quello della sua band, ovvero un country-rock solare e a tratti chitarristico, grazie anche alla presenza nel disco di ben tre componenti del gruppo canadese, Keelor ha optato per un suono più malinconico e meditativo, come ricorda il titolo del l’album, anche se il CD esce alle soglie dell’estate, pur essendo stato registrato nel marzo del 2017. La quinta prova solista del musicista nordamericano esce sotto la forma dell’EP o mini CD, infatti comprende solo quattro brani, ma per ben 34 minuti di musica: il punto di contatto nei due dischi è rappresentato dalla presenza del chitarrista e multistrumentista  Jim Bowskill degli Sheepdogs, che suona tutti gli strumenti a corda e ha curato anche gli arrangiamenti degli archi.

Il nostro amico Greg, che nella foto interna sfoggia il lungo barbone bianco da Babbo Natale che ne caratterizza l’immagine da qualche tempo, è sempre stato l’anima più meditabonda e riflessiva dei Blue Rodeo, ma comunque spesso ha scritto e collaborato anche alle sarabande chitarristiche del quintetto canadese. Da quando però i suoi problemi di udito causati dal tinnito ne hanno limitato l’uso della chitarra elettrica, ha virato ancor di più la sua musica verso un approccio più intimista e raccolto, anche se, come dimostrano le quattro canzoni presenti in Last Winter, il suono rimane sempre pieno ed avvolgente, caratterizzato dalla sua voce profonda, piana e vissuta, dove c’è ampio spazio per le solite improvvisazioni strumentali tipiche delle sue canzoni migliori. E le quattro presenti in questo EP rientrano tutte in questa categoria: quattro lunghe ballate, tutte sugli otto/nove minuti , tempi quieti e dilatati, con la presenza costante del piano e dell’organo, che da subito risalta nella stupenda Gord’s Tune dedicata al recentemente scomparso leader dei Tragically Hip Gord Downie, e che nelle tematiche musicali e nel testo ricorda anche un brano proprio di Downie Bobcaygeon, dedicato ad una piccola comunità dell’Ontario (anche se mi risulta strano, perché Downie è morto ad ottobre 2017, mentre il disco di Keelor sarebbe stato registrato a marzo di quell’anno).

Ma al di là di  eventuali sfasature spaziotemporali il brano è bellissimo, contemplativo e sentimentale, con Bowskill che lavora di fino con la chitarra e soprattutto la pedal steel, mentre gli archi e le tastiere aggiungono ulteriore profondità al sound, e la presenza della sezione ritmica è discreta e minimale, come pure le armonie vocali di Bowskill, a conferma dell’aria malinconica e nostalgica del brano. City Is A Symphony non sposta l’equilibrio sonoro, che se possibile si fa ancora più disadorno ed essenziale, con il pianoforte strumento guida, anche se dopo qualche minuto entrano di nuovo gli archi, una batteria elettronica per una volta non fastidiosa e una chitarra elettrica appena accennata che sottolinea la voce dolente di Keelor e gli arrangiamenti si fanno più complessi.

Early In the Morning è l’unico brano non a firma Keelor, si tratta di una vecchia canzone di Noel “Paul” Stookey, che si trovava sul primo album di Peter, Paul & Mary del 1962, che dal breve brano folk originale si trasforma in una mini sinfonia di otto minuti, dove un organo quasi da chiesa sottolinea l’aria solenne  e sospesa di questa bellissima ballata, dolce ed insinuante, mentre le armonie vocali di Ashley Moffatt le conferiscono una ulteriore solennità. Per chiudere rimane 3 Coffins (Tre Bare), altro brano diciamo non allegrissimo, dove l’uso del Weissenborn e dell’hurdy-gurdy di Bowskill porta una mistica quasi indianeggiante a tempo di lento raga, mentre gli archi e le tastiere amplificano l’aria cogitabonda e spirituale della canzone ed evidenzia lo spirito globale e complessivo non facile ma affascinante di questo (mini)album.

Bruno Conti

Ancora Una Volta Degni Della Loro Fama! Blue Rodeo – 1000 Arms

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Blue Rodeo – 1000 Arms – TeleSoul Records Canada

Ogni appassionato della buona musica ha una predilezione particolare per un gruppo o un solista, al di fuori dei grandi nomi più ricorrenti: il sottoscritto ce l’ha, tra gli altri, per i canadesi Blue Rodeo. Chi legge queste pagine virtuali avrà visto sempre giudizi più che lusinghieri di chi scrive per la band di Jim Cuddy e Greg Keelor, che considero una delle migliori in assoluto di quelle uscite nell’ultimo trentennio (come si vede dai video non sono più dei giovanotti), tra i migliori eredi della grande tradizione che ha avuto soprattutto nella Band l’esempio più fulgido nell’ambito Americana, country-rock, roots music, come diavolo volete chiamarlo, in generale tra i gruppi provenienti dal continente nord-americano. Dopo l’eccellente Live At Massey Hall dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/12/06/dei-migliori-album-dal-vivo-del-2015-blue-rodeo-live-at-massey-hall/ , i Blue Rodeo tornano con questo 1000 Arms, il loro quattordicesimo album di studio, che conferma una rinnovata verve del quintetto canadese, dopo le derive un filo più bucoliche del peraltro ottimo In Our Nature http://discoclub.myblog.it/2013/11/14/festeggiano-25-anni-e-spiccioli-di-carriera-con-un-grande-di/ , e del successivo album di carattere natalizio http://discoclub.myblog.it/2014/12/07/il-solito-disco-natalizio-blue-rodeo-merrie-christmas-to-you/ . Il gruppo raramente ha sbagliato un colpo, con loro si va a colpo quasi sicuro Nell’album in questione appare per l’ultima volta il membro aggiunto (ma in pratica fisso nella band da 17 anni) Bob Egan, sopraffino suonatore di pedal steel e mandolino fin dai tempi di Palace Of Gold. Ovviamente il gruppo ruota soprattutto intorno alle canzoni, alle voci e armonie vocali di Cuddy e Keelor, ma anche il secondo chitarrista (con Cuddy) Colin Cripps e il tastierista Michael Boguski contribuiscono con i loro tocchi di finezza al risultato finale, oltre al dancing bass inimitabile del veterano Bazil Donovan.

Al solito Jim Cuddy è quello dalla voce più solare, giovanile, che rimanda a Paul Cotton o Richie Furay dei Poco, mentre Greg Keelor ha un timbro più roco e crepuscolare, anche se il meglio lo danno, come di consueto, negli splendidi intrecci vocali che sono il loro marchio di fabbrica. E le canzoni di qualità non mancano neppure in questa occasione: che sia il country-rock riflessivo dell’iniziale splendida Hard To Remember, con il marchio di Keelor, tocchi jingle-jangle quasi byrdsiani, quelle armonie vocali immancabili e un suono caldo ed avvolgente https://www.youtube.com/watch?v=j44YVch6Qbk , oppure una solare I Can’t Hide This Anymore, un brano di Cuddy, che con il suo mandolino e le chitarre acustiche ed elettriche, sembra uscito da uno dei primi dischi dei Poco o degli Eagles. Molto bella anche la mossa Jimmy Fall Down dove fa capolino anche una armonica https://www.youtube.com/watch?v=dg0B_-eX-6I  o la riflessiva Long Hard Life, dove Jim Cuddy racconta di una relazione finita male con la consueta passione. Rabbit’s Foot di nuovo a guida Keelor, vira decisamente verso il rock, sembra un pezzo, e pure di quelli belli, di Tom Petty con gli Heartbreakers, di nuovo chitarre tintinnanti, ritmi incalzanti e intrecci vocali splendidi, fino ad un break chitarristico da manuale; 1000 Arms è una delle consuete ballate strappacuore di Cuddy, con la pedal steel sugli scudi, come se il country-rock degli anni ’70 non fosse mai tramontato.

Dust To Gold viceversa è uno di quei pezzi più “lunatici” ed ombrosi di Greg Keelor, con la pedal steel, l’organo e il piano a sottolineare l’atmosfera più cupa della canzone, sempre infiorata dalle loro armonie vocali inconfondibili https://www.youtube.com/watch?v=E4ZhU8aQEZ4 . Superstar, con un corno francese ad arricchire il sound, è uno dei consueti tuffi di Cuddy nell’amato songbook beatlesiano, a passo di carica e con una melodia accattivante, controcanti vorticosi ed interventi chitarristici e pianistici ficcanti https://www.youtube.com/watch?v=SXDSLFQv5NI ; Mascara Tears con Cuddy al Wurlitzer, è pero un brano crepuscolare di Keelor che sembra uscire da On The Beach di Neil Young, tra pedal steel e organo “piangenti”. Can’t Find My Way Back To You, un altro resoconto su un amore finito male di Cuddy (sono sfortunati questi ragazzi!) ha però una bella melodia vivace e mossa, ancora con tocchi younghiani, ma anche aperture country-blues deliziose, mentre So Hard To See è un’altra delicata ballata, questa volta di impianto decisamente acustico, con una spennellata di guitar-synth che fa le veci di una sezione archi e il piano e le chitarre acustiche a caratterizzarne il sound. A chiudere il solito pezzo epico che i Blue Rodeo ci riservano sempre per il gran finale: The Flame è uno dei loro classici brani in crescendo, firmato da Keelor (anche se sul disco tutte le canzoni sono marchiate Cuddy-Keelor), un organo quasi doorsiano, la solita pedal steel e le chitarre che scaldano l’atmosfera nella vibrante parte centrale strumentale. Gran finale per un ottimo album, ancora una volta degno della loro fama.

Bruno Conti