Una Bella Festa Musicale All’Insegna Del Miglior Country-Rock Californiano. Richie Furay – 50th Anniversary Return To The Troubadour/Deliverin’ Again

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Richie Furay – 50th Anniversary Return To The Troubadour /Deliverin’ Again– DSDK 2CD o DVD

Quando si pensa al country-rock californiano in voga a cavallo tra gli anni 60 ed i 70, la mente va subito agli Eagles (anche se il loro esordio avverrà solo nel 1972) e poi ai Byrds (gli ultimi anni), ai Flying Burrito Brothers e per molti anche a CSN&Y, nonostante nel famoso supergruppo la componente country non fosse molto presente. In pochi invece si ricordano dei Poco (scusate il bisticcio di parole), gruppo formato nel 1968 per iniziativa degli ex Buffalo Springfield Richie Furay e Jim Messina (quest’ultimo era entrato negli Springfield un attimo prima del loro scioglimento) ed autori di alcuni ottimi album specie nel primo periodo fino al 1976 (ma vi parlerà prossimamente del gruppo in maniera più dettagliata Bruno, con una retrospettiva ad hoc). Oggi i Poco sono ancora in vita con una formazione completamente rimaneggiata (l’unico membro presente in tutte le varie lineup, Rusty Young, è passato a miglior vita da neanche un mese, ma comunque si era già ritirato da qualche anno), e quindi l’unico ex componente a tenere alto il vessillo del gruppo è rimasto proprio Furay, che ha appena pubblicato un bellissimo doppio CD dal vivo, 50th Anniversary Return To The Troubadour, che celebra la stagione d’oro della band da lui fondata, e della quale fino al 1973 è stato uno dei principali autori e voci soliste.

A dire il vero in questo live, che documenta una serata speciale al Troubadour di Los Angeles nel 2018, non è ben chiaro cosa venga festeggiato, in quanto i 50 anni del titolo partono in effetti dal ’68, con i nostri che all’inizio si facevano chiamare Pogo ed al Troubadour avevano tenuto i loro primi concerti, ma poi nel secondo CD viene riproposto canzone per canzone il live Deliverin’, uscito in effetti a gennaio del 1971 ma che col Troubadour non c’entra una mazza essendo stato registrato nel 1970 a Boston e New York. Facezie a parte, 50th Anniversary Live At The Troubadour è un album davvero bellissimo, in cui un Richie in ottima forma ci fa rivivere una stagione unica e irripetibile della nostra musica, con una prima parte di concerto, intitolata Still Deliverin’, che offre una panoramica del meglio della sua carriera, mentre nel secondo dischetto (Deliverin’ Again), come ho già detto troviamo l’omaggio al live del ’70. Furay è ancora in possesso di una voce bella e giovanile, e viene accompagnato da una band solidissima che vede sua figlia Jesse Furay Lynch alle armonie vocali, Scott Sellen alle chitarre e banjo, Jack Jeckot alle tastiere, armonica e chitarra, Aaron Sellen al basso, Alan Lemke alla batteria, Dave Pearlman alla steel guitar e dobro e, nella seconda parte, un ospite speciale a sorpresa che vedremo a breve.

Si parte col botto con il classico dei Buffalo Springfield On The Way Home, scritta da Neil Young ma cantata da Richie anche in origine, preceduta da una lunga intro strumentale in crescendo e col ritmo subito alto: grande melodia e refrain, chitarre in palla e coretti che profumano di California. Dal repertorio degli Springfield in questa prima parte Furay suona anche Go And Say Goodbye (di Stephen Stills, ma l’avevano incisa anche i Poco), gustoso country-rock con banjo e chitarre in gran spolvero ed un eccellente ritornello corale, e quattro pezzi dei Poco, a partire dalla splendida Let’s Dance Tonight (dall’album Crazy Eyes, l’ultimo con Richie), rock song di livello assoluto con un motivo solare ed irresistibile, eseguita in modo grintoso e con ottimi intrecci vocali tra padre e figlia (e Furay dimostra di avere ancora l’ugola di un trentenne). Due brani provengono dall’omonimo secondo album della band, la slow ballad Don’t Let It Pass By, distesa, rilassata e con un bell’assolo di armonica, ed una strepitosa rilettura di quasi nove minuti della sontuosa rock ballad Anyway Bye Bye, piena di stop and go, cambi di ritmo, melodia superba, chitarra di Sellen in tiro ed anche un intermezzo pianistico quasi jazzato.

Stranamente Furay sceglie anche una canzone recente dei Poco, e che quindi non gli appartiene: Hard Country proviene dall’ultimo studio album del gruppo All Fired Up (2013), ed è una incantevole ed ariosa country ballad splendidamente eseguita e lasciata alla voce squillante di Jesse, una piccola ed inattesa gemma. Infine Richie propone quattro pezzi dal suo repertorio solista (purtroppo nessuno dal bellissimo The Heartbeat Of Love del 2006), che reggono molto bene il paragone con i pezzi classici, e di cui tre provengono dal suo lavoro più recente Hand In Hand, 2015: la pulsante e coinvolgente We Were The Dreamers, dedicata proprio ai suoi anni nei Poco e con un’altra melodia da applausi, la limpida e toccante ballata Wind Of Change, altri sei minuti di grande musica tra organo, chitarre ed armonie vocali da brivido, e l’incalzante Someday, puro country-rock che dimostra la sicura influenza che il nostro ha avuto sugli Eagles; per finire con il travolgente bluegrass elettrico Wake Up My Soul (una delle bonus track di studio inserite nel disco dal vivo Alive del 2016), ennesimo pezzo delizioso sotto ogni punto di vista, con il banjo ancora sugli scudi.

E veniamo alla seconda parte ed alla riproposizione di Deliverin’, che conteneva ben cinque canzoni inedite, una da Poco, quattro dall’esordio Pickin’ Up The Pieces e due dei Buffalo Springfield. Si inizia con un uno-due decisamente potente e rockeggiante formato da I Guess You Made It e C’mon, entrambe con il solito aroma country di base; a questo punto sale sul palco il già citato ospite, ovvero un applauditissimo Timothy B. Schmit, che dopo l’esordio del 1969 aveva sostituito nei Poco il bassista Randy Meisner (cosa che si ripeterà negli Eagles): il lungocrinito Tim impreziosisce con la sua voce angelica Hear That Music, da lui anche scritta, un altro country-rock assolutamente trascinante. E’ poi la volta della languida country ballad Kind Woman con la steel in grande evidenza, una delle più belle canzoni di Richie, scritta all’epoca degli Springfield per la sua futura moglie (con la quale è ancora insieme dopo 51 anni), seguita da tre pezzi suonati in medley esattamente come sul live del 1970: lo squisito country-grass Hard Luck e le note A Child’s Claim To Fame e Pickin’ Up The Pieces, due canzoni una più bella dell’altra. L’orecchiabile ed avvincente You Better Think Twice è un omaggio del nostro al suo autore Jim Messina, ed è seguita dal ruspante rockin’ country A Man Like Me; finale con un altro strepitoso medley di ben undici minuti che mette in fila Just In Case It Happens, Yes Indeed, lo strumentale Grand Junction e Consequently So Long, in un tripudio di ritmo, chitarre, steel e cori da pelle d’oca. Ma c’è spazio anche per un bis (ancora con Schmit sul palco a duettare con Richie), una fulgida versione della title track dell’album A Good Feelin’ To Know (1972, uno dei più belli dei Poco), che chiude definitivamente un concerto magnifico ed un live che sarà sicuramente tra i migliori dischi dal vivo del 2021.

Marco Verdi

Non Delude Neppure Questa Volta, Con Un Disco Acustico Disponibile Solo Per Il Download E In Vinile Colorato Limitato – Anders Osborne – Orpheus And The Mermaids

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Anders Osborne – Orpheus And The Mermaids – 5th Ward Records Download/Streaming e Vinile Limitato Colorato

Credo che per tutti coloro che amano la buona musica, oltre che un piacere, sia quasi un dovere conoscere quella di Anders Osborne. Nativo di Uddevalla, Svezia, è ormai da moltissimo tempo cittadino di New Orleans, Louisiana, dove arriva dopo una infanzia ed una adolescenza passate ad ascoltare blues, jazz, e i grandi cantautori, da Dylan a Joni Mitchell, Ray Charles e Lowell George, Neil Young e Jackson Browne, ma anche il cowboy di Belfast, Van Morrison): quando arriva negli States, fine anni ‘80, inizio anni ‘90, dopo il giusto periodo di gavetta, tra tour e le prime pubblicazioni con la Rabadash, una etichetta locale di New Orleans, ha la fortuna di trovare un contratto discografico per la Okeh, e pubblica nel 1995 l’eccellente Which Way To Here, che ottiene un discreto riscontro di vendite, con l’utilizzo dei suoi brani anche in colonne sonore di film importanti, e ottimi giudizi dalla critica.

Da allora inizia la solita trafila degli artisti di culto: prima una serie di dischi per la Shanachie, poi uno per la M.C. Records e il successivo contratto per la Alligator, dove pubblica complessivamente quattro dischi che sfiorano il livello del capolavoro, l’ultimo Peace, con la bimba in copertina che mostra il dito medio. Ma siamo arrivati alla grande crisi dell’industria discografica e quindi bisogna passare al fai da te: album creati in proprio e distribuiti tramite la sua Back On Dumaine Records, sempre molto belli, magari un filo inferiori ai precedenti, sempre difficili da trovare, per quanto pubblicati anche in CD https://discoclub.myblog.it/2016/06/01/nuove-avventure-underground-lo-svedese-new-orleans-anders-osborne-spacedust-and-oceans-views/ , incluso Freedom And Stars, la collaborazione come NMO insieme ai fratelli Dickinson https://discoclub.myblog.it/2015/02/23/disco-bellissimo-peccato-esista-nmo-anders-osborne-north-mississippi-allstars-freedom-and-dreams/ .

L’ultimo capitolo, il suo 17°, questo Orpheus And The Mermaids, è un ulteriore passaggio: esce solo per il downlaod oppure in vinile colorato costosissimo. Ma la musica rimane sempre di una bellezza inalterata, Osborne è forse meno incazzoso verso il mondo di un tempo (forse il fatto di avere ritrovato la sobrietà, grazie ad una famiglia con due figli, aiuta) ma è comunque in grado di sfornare brani di grande qualità che citano spesso i suoi punti di riferimento ricordati all’inizio: l’iniziale Jacksonville To Wichita, con l’armonica aggiunta ad una acustica arpeggiata, sta al crocevia tra Dylan, Young e Morrison, un brano malinconico e tremendamente bello, con citazioni di Townes Van Zandt nel testo e una serenità invidiabile. La successiva Light Up The Sun ha una struttura sonora più complessa, ma si basa sempre sulla calda voce di Anders e sulla sua chitarra, di cui è un virtuoso anche in modalità acustica, ogni tanto la voce viene raddoppiata, ma l’impianto complessivo è minimale, non per questo meno affascinante, in queste reminiscenze sulla vita che passa nella propria famiglia e sui suoi demoni tenuti a bada https://www.youtube.com/watch?v=vIw3kZJQbvo . Last Days In The Keys è una affettuosa e commossa dedica a Neal Casal scomparso suicida due anni fa, anche attraverso le storie di altri amici e persone che ci hanno lasciato attraverso questo atto estremo e disperato, che non perdona i momenti di sconforto e debolezza, sempre con la chitarra acustica e l’armonica che sottolineano questo racconto in modo crudo ma partecipe.

Forced To ha una struttura più bluesy, sempre con quel tocco da cantautore raffinato che me lo fa avvicinare ad un altro Beautiful Loser come il bravissimo Grayson Capps https://discoclub.myblog.it/2020/09/01/una-sorta-di-antologia-rivisitata-per-celebrare-un-grande-cantautore-grayson-capps-south-front-street-a-retrospective-1977-2019/ , senza dimenticare il primo “Bobby Dylan” https://www.youtube.com/watch?v=A81xq-1pukI  . Pass On By, accompagnata da un bellissimo video dedicato a New Orleans, pubblicato il giorno di Natale, e che vi consiglio di cercare, nella quale Osborne si destreggia tra accordature “normali” e uso del bottleneck per una canzone che ricorda un altro dei suoi preferiti, quel Jackson Browne di cui attendiamo a breve il nuovo album (ora si parla di luglio). Welcome To The Earth, voce riverberata e chitarra incalzante è un altro ottimo esempio di questo folk ricercato che sembra essere la chiave del nuovo album, Dreamin’, ca va sans dire, è più sognante, con una armonica che rimanda a Elliott Murphy e il tessuto musicale a Paul Simon, comunque bellissima https://www.youtube.com/watch?v=mfrK267VNG0 , mentre Earthly Things, di nuovo con la voce raddoppiata, emana ancora una aura di grande serenità attraverso un complesso lavoro di due chitarre acustiche e la conclusiva Rainbows ci riporta di nuovo al primo Neil Young, per l’uso della armonica, sempre con accenni dell’amato Jackson. *NDB Se volete provare ad acquistarlo lo trovate qui https://anders-osborne.myshopify.com/collections/orpheus-and-the-mermaids ma costa un bel 35 dollari più la spedizione dagli USA.

Bruno Conti

Un Moderno Hippie Sfida Il Triste Tempo Del Covid. Israel Nash – Topaz

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Israel Nash – Topaz – Desert Folklore Music/Loose Records

Per fortuna in questi travagliati anni duemila il mestiere del cantautore non sembra esser passato di moda, almeno in America, con una nuova generazione di talenti che, disco dopo disco, si stanno mettendo in luce grazie alla loro musica e alle loro personali visioni della realtà contemporanea. Ognuno di voi, certo, avrà la sua personale lista di preferiti, nella mia posso citare Jonathan Wilson, Drew Holcomb, Jason Isbell, Griffin House, Will Hoge e, last but not least, Israel Nash (all’inizio noto anche per un secondo cognome, Gripka), di cui vado a descrivervi l’ultimo album, Topaz. Anticipato alla fine dello scorso anno dall’omonimo EP con cinque brani scaricabili online, questo nuovo lavoro ha preso la sua forma definitiva dopo una lunga gestazione nello studio personale di Nash ad Austin, luogo dove il songwriter originario del Missouri si è stabilito da parecchio tempo. Gli anni degli esordi newyorkesi appaiono lontani, a giudicare da come si presenta l’amalgama sonoro che caratterizza Topaz, successore diretto dei precedenti Lifted del 2018 e Silver Season del 2015, già contraddistinti da quel sound denso e stratificato che qualcuno ha voluto definire cosmic country, dove si vuol far convergere il prog dei Pink Floyd bucolici modello Obscured By Clouds con la delicata patina di psichedelia presente nel roots rock targato Laurel Canyon.

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Paragoni legittimi, tuttavia anche a un ascolto distratto non si può fare a meno di notare l’influenza più rilevante tra tutte, quella di Neil Young e dei suoi gioielli che dagli anni settanta non hanno mai cessato di ispirare le successive generazioni di musicisti. Il brano di apertura, Dividing Lines, mostra il lato più pinkfloydiano di Israel col suo lisergico crescendo, il ruolo determinante della pedal steel guitar suonata dall’ottimo Eric Swanson e l’uso potente dei cori femminili, le bravissime Jenny Carson e Rockyanne Bull https://www.youtube.com/watch?v=VBvy2f9Tdr8 . La morbida Closer è immediatamente accattivante, ancora pedal steel, banjo e armonica a guidare una melodia sognante che sembra perdersi nella vastità degli orizzonti texani https://www.youtube.com/watch?v=OcqFPn8-7zs . La chitarra di Adrian Quesada, leader dei Black Pumas e coproduttore di Topaz, dà l’avvio al turgido soul di Down In The Country, dove ha modo di mettersi in luce l’accompagnamento fiatistico in puro stile Stax dell’ensemble Afrobeat Hard Proof https://www.youtube.com/watch?v=6lluZL-So7Y . In Southern Coasts le campionature ritmiche non rovinano l’atmosfera contemplativa del pezzo, impreziosito nel finale da un bel fraseggio di chitarre https://www.youtube.com/watch?v=KJbRNq18PmU , mentre Stay cattura subito per le sue note calde ed avvolgenti, soul ballad purissima che potrebbe ambire al ruolo di singolo da classifica, sfruttando ancora un brillante uso dei fiati e dell’elettrica di Quesada https://www.youtube.com/watch?v=dykiv1T5-FQ .

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Canyonheart è talmente younghiana che potrebbe essere scambiata per un outtake di Harvest o After The Gold Rush, col suo incedere indolente e l’armonica che accarezza l’anima insieme a banjo e steel guitar https://www.youtube.com/watch?v=X0BePC-qJL0 . Ancora l’ombra del grande canadese si stende sul robusto tessuto melodico di Indiana, (o Alabama, mi verrebbe quasi da cantare!) https://www.youtube.com/watch?v=VA0KKfm1hUA  che si stempera nella contemplativa bellezza della successiva Howling Wind. Tanta spiritualità ed introspezione potrebbero indurci a pensare che Nash viva sospeso nel suo mondo dominato dalle suggestioni di Madre Natura, lontano dalla realtà contingente. A smentire quest’idea arriva la struggente Sutherland Spring, rievocazione della strage compiuta nel novembre 2017 nella chiesa battista dell’omonima località da parte dello squilibrato Devin Patrick Kelley che uccise ventisette persone e ne ferì altre venti. Ogni strumento contribuisce alla resa di questa allucinante vicenda, facendo di questa drammatica ballad uno dei vertici dell’album https://www.youtube.com/watch?v=KZVeal2qbjY . Pressure, con la sua bella enfasi fiatistica in chiave southern soul https://www.youtube.com/watch?v=jA6vEP2rL4o , chiude degnamente un disco piacevolissimo e rigenerante, ricco di sonorità azzeccate e suggestioni meditative, facendo di Israel Nash non più solo una promessa ma un sicuro protagonista della musica che amiamo.

Marco Frosi

Uno Dei “Figli Di…” Migliori In Circolazione! AJ Croce – By Request

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AJ Croce – By Request – Compass Records

Nell’ampia categoria che include i “figli di” AJ Croce è sicuramente uno dei più validi ed interessanti (senza fare la lista della spesa, lo metterei più o meno a livello di Jeff Buckley, Jakob Dylan, Adam Cohen, i primi che mi vengono in mente): una vita ricca di tragedie, orfano a meno di due anni per la morte del padre Jim Croce, a quattro anni cieco completamente, anche se poi ha riacquistato parte della visione dell’occhio sinistro, a quindici anni l’incendio della casa in cui aveva sempre vissuto con la madre Ingrid, con la quale ha avuto un rapporto complesso e turbolento, nel 2018 la moglie Marlo, con lui da 24 anni, è morta di una rara malattia cardiaca, lasciandolo con due figli. Nonostante la pesante eredità del padre Jim ha saputo creare un suo approccio alla musica, non seguendo pedissequamente lo stile del babbo, ma ispirandosi al blues, al soul (punti di riferimento Ray Charles e Stevie Wonder), ma con elementi rock, a tratti country, e anche di pop raffinato, grazie all’uso costante del piano di cui AJ è una sorta di virtuoso, ma suona anche tastiere assortite e chitarre: ha realizzato una serie di 10 album, incluso questo By Request, più un disco di rarità dai primi anni di carrierahttps://discoclub.myblog.it/2017/08/20/di-padri-in-figli-aj-croce-just-like-medicine/.

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Dopo la morte della moglie Croce ha voluto rientrare, come suggerisce il titolo, con un disco di cover, realizzate con garbo, classe e ottimi risultati, un album veramente godibilissimo: aiutato da una piccola pattuglia di ottimi musicisti, tra i quali spiccano Gary Mallaber alla batteria, Jim Hoke a sax vari, armonica e pedal steel, David Barard al basso, Bill Harvey e Garrett Stoner alle chitarre, Scotty Huff alla tromba e Josh Scaff al trombone, più un terzetto di backing vocalist, in pratica la sua touring band e con la presenza di Robben Ford in un brano, AJ sceglie una serie di canzoni molte adatte al suo stile, in base alla formula “a gentile richiesta” che si applica nei concerti più intimi. E così ecco scorrere Nothing From Nothing, un vecchio brano di Billy Preston, con i fiati molto in evidenza, in questo classico e mosso R&B dove Croce si disbriga con classe al piano https://www.youtube.com/watch?v=dp2sd7IhGsg , la molto più nota Only Love Can Break Your Heart di Neil Young, una delle ballate più belle del canadese, resa molto fedelmente da AJ e soci che però aggiungono un retrogusto da blue eyed soul o country got soul, con la voce sottile di Croce che ricorda quelle dei Bee Gees degli inizi https://www.youtube.com/watch?v=SKy_PcSEyR0 ; scatenata la versione di Have You Seen My Baby di Randy Newman, un’altra delle maggiori influenze del nostro https://www.youtube.com/watch?v=K-Ec5Od0WsI , Nothing Can Change This Love è un oscuro ma delizioso brano di Sam Cooke, con elementi doo-wop, e il piano che viaggia sempre spedito https://www.youtube.com/watch?v=FmeCGbt7glE , Better Day è un country-blues-swing di Brownie McGhee, con Robben Ford alla slide che contrappunta in modo elegante il lavoro della band https://www.youtube.com/watch?v=nQuHTW7viVc . O-O-H Child è il vecchio brano soul dei Five Stairsteps che ultimamente pare tornato di moda, visto che appare anche nel recente disco Paul Stanley con i Soul Station https://discoclub.myblog.it/2021/03/20/ebbene-si-e-proprio-lui-si-e-dato-al-funky-soul-con-profitto-paul-stanleys-soul-station-now-and-then/ , versione adorabile e delicata. https://www.youtube.com/watch?v=56btlAqRZLY 

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A seguire una robusta rilettura di Stay With Me il classico R&R di Rod Stewart con i Faces, con AJ al piano elettrico e una ficcante slide, Harvey per l’occasione. a ricreare lo spirito ribaldo del brano originale, e non manca neppure il New Orleans soul di Brickyard Blues una canzone di Allen Toussaint, qui resa in una versione a metà strada tra Dr. John e i Little Feat, grazie all’uso del bottleneck del chitarrista Garrett Stoner che interagisce con il piano di Croce, ricreando il dualismo Lowell George/Bill Payne https://www.youtube.com/watch?v=mH-dKTFOfbU . Incantevole anche la versione di San Diego Serenade di Tom Waits, con un arrangiamento che ricorda lo stile dei brani “sudisti” della Band, con tanto di pedal steel sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=CinzazO7Ti8 , e che dire di una versione barrelhouse blues di Sail On Sailor dei Beach Boys? Geniale e sorprendente! Tra i brani poco noti anche Can’t Nobody Love You di Solomon Burke: non potendo competere con la voce del “Bishop of Soul” AJ opta per un approccio gentile e minimale, con l’organo a guidare e con le coriste che danno il tocco in più, e per completare un disco di sostanza arriva infine Ain’t No Justice un esaltante funky-soul strumentale di Shorty Long targato Motown 1969.

Bruno Conti

Dopo La Scorpacciata Elettrica Coi Crazy Horse, Ecco Il “Giovane Nello” In Beata Solitudine, Esce Il 26 Marzo! Neil Young – Young Shakespeare

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Neil Young – Young Shakespeare – Reprise/Warner CD – CD/LP/DVD Box Set

Ho ancora nelle orecchie il magnifico live del 1990 Way Down In The Rust Bucket, registrato insieme ai Crazy Horse, che già Neil Young pubblica un altro album dal vivo tratto dai suoi sterminati archivi: Young Shakespeare è però l’esatto opposto di Rust Bucket per quanto riguarda il suono, in quanto vede il nostro da solo sul palco armato unicamente di chitarra ed occasionalmente pianoforte. L’album (pubblicato in CD, LP e cofanetto che comprende entrambe le configurazioni aggiungendo un DVD con le riprese video della serata, *NDB al solito prezzo assurdo)) presenta tredici canzoni tratte dal concerto del 22 gennaio 1971 allo Shakespeare Theatre di Stratford, Connecticut, uno spettacolo che si tenne appena tre giorni dopo il famoso show alla Massey Hall di Toronto già pubblicato nel 2007 nell’ambito degli archivi younghiani (ed infatti la setlist di Stratford ricalca per dodici tredicesimi quella canadese).

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Nel presentare Young Shakespeare il nostro non ha nascosto la sua personale preferenza per questo show rispetto a quello di tre giorni prima, a suo dire troppo autocelebrativo e meno spontaneo: io sinceramente dopo aver ascoltato Young Shakespeare non so decidermi, in quanto siamo comunque di fronte a due eccellenti performance. D’altronde stiamo parlando di uno dei grandi della nostra musica in uno dei periodi più creativi della sua carriera, un songwriter di livello sopraffino e performer nato, in grado, ed in questo è uno dei pochi al mondo, di tenere alta l’attenzione del pubblico per un intero concerto anche stando da solo sul palco. Young Shakespeare offre quindi una performance splendida da parte di un artista eccezionalmente ispirato, il tutto di fronte ad un pubblico attento e preparato, e se Way Down In The Rust Bucket è la quintessenza del Neil Young rocker, questo live acustico non è certo inferiore in quanto ad intensità e capacità di emozionare; tra l’altro il suono è stato meticolosamente ripulito e rimasterizzato, ed il risultato è tale da farlo sembrare un concerto registrato un mese fa. E poi i titoli in scaletta parlano da soli, con Neil che già all’epoca era avvezzo a sorprendere il pubblico presentando, su tredici pezzi totali (ma il concerto completo era di sedici), ben sei canzoni all’epoca ancora inedite su disco.

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E non siamo parlando di brani secondari: quattro sono anteprime da Harvest (che uscirà dopo un anno), e cioè le splendide The Needle And The Damage Done e Old Man, la drammatica A Man Needs A Maid, eseguita al pianoforte ed in medley con la sempre formidabile Heart Of Gold (anch’essa al piano, e questa è una rarità), mentre l’oscura Journey Through The Past uscirà nel 1973 sul live Time Fades Away e Dance Dance Dance sarà ceduta ai Crazy Horse per il loro omonimo debut album (ma Neil ne riutilizzerà più avanti la melodia per Love Is A Rose). Il resto del CD è una superba full immersion nel meglio del songbook younghiano dell’epoca, con versioni intime ma allo stesso tempo coinvolgenti di capolavori del calibro di Tell Me Why https://www.youtube.com/watch?v=X_dWqfmPfU8 , Don’t Let It Bring You Down, Helpless, l’arrabbiata (ed applauditissima) Ohio, la conclusiva Sugar Mountain e due imperdibili Cowgirl In The Sand e Down By The River https://www.youtube.com/watch?v=Up0dI-QpqF8 . Dopo un 2020 ricco di pubblicazioni, il 2021 di Neil Young si annuncia ancora più interessante, e se le future uscite saranno del livello di Way Down In The Rust Bucket e di Young Shakespeare il godimento musicale è assicurato.

Marco Verdi

Replay. Quando Non E’ Impegnato A Molestare Le Donne, Si Ricorda Di Essere Anche Un Grande Songwriter. Ryan Adams – Wednesdays: Ora Anche In CD Dal 19 Marzo

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Ryan Adams – Wednesdays – PAX AM Download – CD 19-03-2021

C’è stato un momento, compreso tra gli ultimi due album dei Whiskeytown ed i primi tre della sua carriera solista, in cui Ryan Adams sembrava destinato a diventare il musicista migliore della sua generazione. Il suo debutto senza la sua prima band, Heartbreaker (2000), era un grande disco, ma Gold dell’anno successivo era senza mezzi termini un capolavoro, un album geniale e creativo di cantautorato rock senza sbavature, il classico disco che se non raggiunge le cinque stellette ci va molto vicino. Anche Demolition del 2002 era ottimo, ma poi Adams ha cominciato a produrre fin troppo materiale badando più alla quantità che alla qualità, alternando bei dischi (Cold Roses, Jacksonville City Nights, Easy Tiger e Ashes & Fire, lavoro targato 2011 che forse è il suo ultimo grande album) ad altri decisamente meno riusciti quando non velleitari (Rock’n’Roll, i due EP Love Is Hell poi riuniti insieme, il pessimo Orion e l’omonimo Ryan Adams del 2014), oltre ad operare scelte abbastanza discutibili come 1989, cover album pubblicato nel 2015 che ricalcava canzone per canzone il disco di Taylor Swift uscito l’anno prima con lo stesso titolo, o come quando nel 2006 ha fatto uscire ben undici album sotto diversi pseudonimi, tutte porcherie tra hardcore e hip-hop.

LOS ANGELES, CA - FEBRUARY 10: (EXCLUSIVE COVERAGE) Mandy Moore and Ryan Adams attend The 2012 MusiCares Person Of The Year Gala Honoring Paul McCartney at Los Angeles Convention Center on February 10, 2012 in Los Angeles, California. (Photo by Kevin Mazur/WireImage)

LOS ANGELES, CA – FEBRUARY 10: (EXCLUSIVE COVERAGE) Mandy Moore and Ryan Adams attend The 2012 MusiCares Person Of The Year Gala Honoring Paul McCartney at Los Angeles Convention Center on February 10, 2012 in Los Angeles, California. (Photo by Kevin Mazur/WireImage)

Quando si parla di Adams bisogna poi separare l’artista dalla persona, visto che il nostro non è certo tra i più simpatici in circolazione, essendo soggetto a comportamenti talvolta irascibili (anche nei confronti dei fans) e talvolta tipici di una rockstar viziata, anche se il peggio Ryan lo ha dato negli ultimi anni dal momento che è stato accusato di molestie sessuali dall’ex moglie Mandy Moore, dalla cantautrice Phoebe Bridgers e da altre cinque donne, fatti che hanno poi avuto un’implicita conferma dalle vaghe ed imbarazzate scuse pubbliche dello stesso Adams. Questa controversia ha rischiato anche di mandargli a pallino la carriera, dal momento che il suo progetto di pubblicare ben tre album nel 2019 è stato sospeso ed il primo CD della trilogia, Big Colors, cancellato all’ultimo momento. Lo scorso 11 dicembre però Ryan a sorpresa ha messo a disposizione sulle principali piattaforme Wednesdays, un nuovo album che doveva essere il secondo dei tre programmati due anni fa (con dentro un paio di brani in origine su Big Colors), una mossa che avrà un seguito il prossimo 19 marzo quando uscirà la versione “fisica”.

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Ebbene, mettendo da parte per un attimo le considerazioni sul personaggio Ryan Adams, la sua controparte artistica in Wednesdays ha davvero dato il meglio, consegnandoci un disco di cantautorato coi fiocchi che lo pone senza molti dubbi come il suo lavoro migliore da Ashes & Fire ad oggi. Prodotto da Ryan insieme a Don Was (che suona anche il basso) e Beatriz Artola, Wednesdays è un disco di ballate intime, profonde e meditate, in cui non troverete il lato rock di Adams ma bensì quello più intenso e melodico, ed una serie di canzoni di limpida bellezza che forse hanno come unica controindicazione il fatto di non essere consigliabili a chi soffre di depressione. Gli strumenti sono quasi tutti nelle mani del nostro con poche ma importanti eccezioni: infatti, oltre al già citato Was, troviamo Benmont Tench al piano (e si sente), Jason Isbell alla chitarra ed Emmylou Harris alle armonie vocali in un paio di brani. La prima volta che ho ascoltato l’iniziale I’m Sorry And I Love You ho pensato di avere scaricato per sbaglio un inedito di Neil Young, dal momento che sia il timbro di voce che lo stile ricordano nettamente le ballate pianistiche del grande canadese (ed anche qualcosa di John Lennon): bella canzone, classica nel suono e con una leggera spolverata d’archi (o forse è un synth, usato però nel modo corretto) https://www.youtube.com/watch?v=vTwRrP9Ovq4 . Who Is Going To Love Me Now, If Not You è un piccolo bozzetto per voce e chitarra, un brano intimista ed interiore con una slide in lontananza che si fa sentire ogni tanto, ed anche When You Cross Over prosegue con lo stesso mood introverso ed il medesimo impianto sonoro scarno, con l’aggiunta del pianoforte, della seconda voce di Emmylou e, circa a metà, della sezione ritmica che contribuisce ad aumentare il pathos https://www.youtube.com/watch?v=NjcnSTn6zqA .

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Walk In The Dark è ancora un lento molto intenso, a confermare che siamo di fronte ad un lavoro serio e profondo e non alla fanfaronata di un artista che molto spesso si è fatto prendere la mano https://www.youtube.com/watch?v=pmC3Fo02fM0 ; Poison & Pain è pura folk music, una slow song suonata in punta di dita (e qui mi viene in mente Paul Simon, quello classico di Hearts And Bones), così come la title track che ha uno sviluppo molto simile https://www.youtube.com/watch?v=COYioAybALw . Birmingham è splendida: intanto è full band dall’inizio (c’è anche l’organo), ed è servita da una melodia straordinaria e da un suono che più classico non si può, un brano che ci fa ritrovare il Ryan Adams dal pedigree immacolato di inizio carriera https://www.youtube.com/watch?v=3RPZs25D3Gk . Con So, Anyways tornano le atmosfere intime e rarefatte, e spunta anche un’armonica ad impreziosire un pezzo dal motivo delizioso, Mamma, sempre acustica, è un po’ meno immediata ma è eseguita in maniera toccante, mentre Lost In Time è di nuovo un folk tune cristallino, nobilitato da una steel che fende l’aria qua e là. Chiude l’album la bellissima Dreaming You Backwards, voce, piano, batteria e feeling in dosi massicce (ed uno dei pochi interventi di chitarra elettrica), che la pongono tra le più riuscite del lavoro https://www.youtube.com/watch?v=hcoRDsy77-M .

In definitiva, se Ryan Adams come personaggio mi stava sulle balle anche prima delle accuse di molestie, devo ammettere che il musicista che è in lui ha dimostrato con questo Wednesdays di essere ancora a pieno titolo tra noi.

Marco Verdi

Si E’ Fatto Quel Momento: 50° (+1) Anniversario Anche Per C S N & Y – Déjà Vu. Esce Il 14 Maggio Il Box

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Crosby, Stills, Nash And Young “Deja Vu (50th Anniversary Deluxe Edition)” 4CD/1LP set – Atlantic/Rhino 14-05-2021

Se ne parlava da diverso tempo, visto che il 50° anniversario dell’uscita di questo album storico di Crosby, Stills, Nash & Young avrebbe dovuto essere nel 2020, poi ovviamente per i ben noti motivi della pandemia l”uscita era stata silenziata e rinviata, ma oggi è stata annunciata la data ufficiale della ristampa potenziata che sarà il 14 maggio. Personalmente avrei preferito che le uscite in CD e in vinile fossero divise, ma la Rhino del gruppo Warner agisce così per cui bisogna farsene una ragione e vedere i lati positivi, tra i quali pare non ci sia il prezzo, annunciato per ora, molto indicativamente, tra i 65 e gli 80 euro.

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Tra le cose positive ci sono ben 38 brani aggiunti all’album originale, tra demo, outtakes e versioni alternative, di cui 29 inediti, per un totale di 2 ore e mezza di musica extra in totale rispetto al disco originale che uscì l’11 marzo del 1970. Tra le chicche annunciate Know You Got To Run, la prima canzone in assoluto registrata nel luglio dell’anno precedente da CSN&Y durante la session nella casa che Stephen Stills aveva affittato a Studio City da Peter Tork dei Monkees, il demo di Almost Cut My Hair di David Crosby, la outtake di Bluebird Revisited di Stills, la versione con armonica aggiunta di Helpless di Neil Young e quella di Our House di Graham Nash cantata insieme a Joni Mitchell, oltre al demo di Birds cantato da Neil Young e Graham Nash https://www.youtube.com/watch?v=I4zSLoMCvfg . Le note del cofanetto sono state curate dal regista ed ex giornalista di Rolling Stone Cameron Crowe.

Crosby Stills Nash and Young perform on stage at Wembley Stadium, London, 14th September 1974, L-R Stephen Stills, David Crosby, Graham Nash, Neil Young. (Photo by Michael Putland/Getty Images)

Crosby Stills Nash and Young perform on stage at Wembley Stadium, London, 14th September 1974, L-R Stephen Stills, David Crosby, Graham Nash, Neil Young. (Photo by Michael Putland/Getty Images)

Comunque, come al solito, ecco la lista completa dei contenuti del box.

[CD1: Original Album]
1. Carry On
2. Teach Your Children
3. Almost Cut My Hair
4. Helpless
5. Woodstock
6. Déjà Vu
7. Our House
8. 4 + 20
9. Country Girl
a. Whiskey Boot Hill
b. Down, Down, Down
c. Country Girl (I Think You’re Pretty)
10. Everybody I Love You

[CD2: Demos]
1. Our House – Graham Nash *
2. 4 + 20 – Stephen Stills *
3. Song With No Words (Tree With No Leaves) – David Crosby & Graham Nash
4. Birds – Neil Young & Graham Nash *
5. So Begins The Task/Hold On Tight – Stephen Stills *
6. Right Between The Eyes – Graham Nash
7. Almost Cut My Hair – David Crosby *
8. Teach Your Children – Graham Nash & David Crosby
9. How Have You Been – Crosby, Stills & Nash
10. Triad – David Crosby
11. Horses Through A Rainstorm – Graham Nash
12. Know You Got To Run – Stephen Stills *
13. Question Why – Graham Nash *
14. Laughing – David Crosby *
15. She Can’t Handle It – Stephen Stills *
16. Sleep Song – Graham Nash
17. Déjà Vu – David Crosby & Graham Nash *
18. Our House – Graham Nash & Joni Mitchell *

[CD3: Outtakes]
1. Everyday We Live *
2. The Lee Shore – 1969 Vocal *
3. I’ll Be There *
4. Bluebird Revisited *
5. Horses Through A Rainstorm
6. 30 Dollar Fine *
7. Ivory Tower *
8. Same Old Song *
9. Hold On Tight/Change Partners *
10. Laughing *
11. Right On Rock ’n’ Roll *

[CD4: Alternates]
1. Carry On – Early Alternate Mix *
2. Teach Your Children – Early Version *
3. Almost Cut My Hair – Early Version *
4. Helpless – Harmonica Version
5. Woodstock – Alternate Vocals *
6. Déjà Vu – Early Alternate Mix *
7. Our House – Early Version *
8. 4 + 20 – Alternate Take 2 *
9. Know You Got To Run *

[LP: Original Album]
1. Carry On
2. Teach Your Children
3. Almost Cut My Hair
4. Helpless
5. Woodstock
6. Déjà Vu
7. Our House
8. 4 + 20
9. Country Girl
a. Whiskey Boot Hill
b. Down, Down, Down
c. Country Girl (I Think You’re Pretty)
10. Everybody I Love You

* Previously Unreleased

Per il momento è tutto, ovviamente dopo l’uscita ci ritorneremo per la recensione, visto che si tratta di uno dei dischi più belli del 1970, ma direi anche di sempre.

Bruno Conti

E Questa Sarebbe Una Edizione Deluxe? Neil Young – After The Gold Rush 50

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Neil Young – After The Gold Rush 50 – Reprise/Warner CD

Il 2020 appena trascorso ha visto un Neil Young molto attivo dal punto di vista discografico: a parte il secondo volume degli Archivi che è stato l’apice delle varie pubblicazioni abbiamo avuto il leggendario unreleased album Homegrown (che però poi è stato inserito anche nel cofanettone degli Archives, creando così un poco gradito doppione), l’EP registrato in lockdown The Times ed il doppio Greendale Live con i Crazy Horse. Per quest’anno ci sono già in calendario diverse cose, tra cui altri due live (Way Down In The Rust Bucket ancora con il Cavallo Pazzo e l’acustico Young Shakespeare) e l’inizio di una serie di Bootleg Series sempre dal vivo, anche se al momento non sono state annunciate date di pubblicazione (ma proprio ieri mentre scrivevo queste righe il buon Neil ha confermato che il doppio Way Down In The Rust Bucket uscirà il 26 febbraio).

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lo scorso dicembre però il cantautore canadese, avendo forse deciso che non aveva inondato abbastanza il mercato, ha fatto uscire una versione deluxe per i 50 anni del suo famoso album del 1970, After The Gold Rush, cosa insolita per lui dal momento che né l’esordio Neil Young né il seguente Everybody Knows This Is Nowhere avevano beneficiato dello stesso trattamento. C’è un problema però, grosso come una casa, e cioè che chiamare deluxe una ristampa (ok, in digipak) aggiungendo appena la miseria di due bonus tracks, delle quali solo una inedita, necessita di una buona dose di fantasia per non dire faccia di tolla. E chiaro comunque che è sempre un piacere immenso riascoltare un disco epocale, che molti considerano il migliore di Young (io posso essere d’accordo, anche se sullo stesso piano ci metto Harvest e forse Rust Never Sleeps), un album inciso assieme ai suoi consueti collaboratori dell’epoca, cioè i Crazy Horse al completo (Danny Whitten, Billy Talbot e Ralph Molina), Nils Lofgren, l’amico Stephen Stills, Jack Nitzsche e Greg Reeves, oltre a Bill Peterson che suona il flicorno in un paio di pezzi e prodotto insieme al fido David Briggs.

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After The Gold Rush è principalmente un disco di ballate, e la magnifica trilogia all’inizio è uno splendido esempio in tal senso: Tell Me Why https://www.youtube.com/watch?v=sSWxU-mirqg , la title track (uno dei più bei lenti pianistici di sempre) https://www.youtube.com/watch?v=d6Zf4D1tHdw  e Only Love Can Break Your Heart, tre classici assoluti del songbook del Bisonte e del cantautorato in generale https://www.youtube.com/watch?v=364qY0Oz-xs . Ma anche le meno note Birds e I Believe In You sono due ballad fantastiche, completate dalla malinconica e riuscita cover di Oh Lonesome Me di Don Gibson. Detto di due piacevoli bozzetti di poco più di un minuto ciascuno (Till The Morning Comes e Cripple Creek Ferry), l’album non dimentica comunque il Neil Young rocker, con la tesa Don’t Let It Bring You Down https://www.youtube.com/watch?v=eVy1h2FcRiM  e soprattutto le mitiche Southern Man (dal famoso e controverso testo, al quale i Lynyrd Skynyrd risponderanno con Sweet Home Alabama) https://www.youtube.com/watch?v=-KTpIQROSAw  e When You Dance I Can Really Love.

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Le due bonus tracks riguardano due versioni della stessa canzone, vale a dire l’outtake Wonderin’, un gustoso e cadenzato honky-tonk: la prima era già uscita sul volume uno degli Archivi, mentre la seconda (più rifinita, dal tempo più veloce ed in definitiva migliore) è inedita https://www.youtube.com/watch?v=2hE5w-2sz-w . Tutto qui? Ebbene sì, ma se avete dei soldi da buttare via a marzo uscirà una versione a cofanetto con l’album in LP a 180 grammi ed un 45 giri con le due takes di Wonderin’, il tutto alla “modica” cifra di 90-100 euro! Attendiamo dunque pubblicazioni più stimolanti da parte di Neil Young, anche se è abbastanza evidente che se per qualche strana ragione non possedete After The Gold Rush, questa è l’occasione giusta per riparare alla mancanza.

Marco Verdi

Magari E’ Un Casinista, Ma Se Parliamo Di Musica Ha Pochi Eguali! Neil Young – Archives Vol. II: 1972-1976

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Neil Young – Archives Vol II: 1972-1976 – Reprise/Warner 10 CD Box Set

E finalmente è arrivato il momento: ho infatti tra le mani da pochi giorni il pluri-rimandato secondo box degli archivi di Neil Young a ben undici anni dal primo volume (che a sua volta aveva subito numerosi rinvii), una pubblicazione che ormai era diventata talmente aleatoria da attirare su di sé le ironie degli addetti ai lavori. In realtà le polemiche sono continuate anche a causa delle modalità di commercializzazione, inizialmente prevista solo sul sito dell’artista in quantità limitata a tremila copie e ad un costo molto alto (circa 250 dollari più spese di spedizione). In pratica il 16 ottobre scorso, giorno scelto per la messa in vendita online, il box ha continuato ad apparire e sparire dal sito, fino al momento in cui è stato dichiarato esaurito per la “gioia” delle migliaia di fans rimasti con un palmo di naso (ritengo quasi miracoloso il fatto che io sia riuscito ad accaparrarmene una copia, ma praticamente ho passato la serata su internet dalle 18 a mezzanotte, interrompendomi solo per la cena…).

Dopo aver dato la colpa alla Reprise, Neil ha incasinato ancora di più le cose, prima lasciando intendere che non ci sarebbero state ristampe, poi annunciando che nel 2021 sarebbe uscita una versione “povera” solo con i CD ma senza libro (che comunque costerà 150 dollari, quindi povera un par di ciufoli) e che l’edizione diciamo “super deluxe” non sarebbe stata ristampata per rispetto ai tremila che sono riusciti a prenderla, mentre pochi giorni dopo il nostro ha fatto una giravolta degna di un democristiano della Prima Repubblica annunciando una seconda uscita anche del box “a parallelepipedo”, sempre a 250 testoni e con l’unica differenza che la scritta “II” sarà in rosso anziché in nero (entrambe le versioni sono previste per il 5 marzo 2021). A parte ogni giudizio di carattere morale, il cofanetto è comunque una goduria: dieci CD (non ci sono questa volta edizioni in DVD o Blu-Ray) che vanno dal 1972 al 1976, ricoprendo quindi un lasso di tempo molto più breve rispetto al primo volume, cosa comprensibile dato che stiamo parlando di un periodo tra i più fertili artisticamente per Young. Il libro è uno spettacolo (ancora meglio del primo), 252 pagine ricche di foto mai viste, cronologia delle sessions del periodo interessato e crediti brano per brano, ma ancora più imperdibile ovviamente è la parte musicale, con ben 131 canzoni di cui circa la metà inedite tra versioni dal vivo, alternate e brani mai sentiti prima, ed un titolo diverso per ogni singolo CD.

Come nel primo volume ci sono parecchi pezzi nella loro versione originale che danno al progetto una valenza semi-antologica, ma purtroppo Neil ha confermato l’antipatica scelta di inserire nel box anche album già usciti in precedenza, con il risultato che uno si trova a possedere due dischi uguali: in questo caso abbiamo due live (Tuscaloosa https://discoclub.myblog.it/2019/06/18/ecco-il-disco-dal-vivo-che-aspettavamo-da-46-anni-neil-young-stray-gators-tuscaloosa/  e Roxy: Tonight’s The Night Live https://discoclub.myblog.it/2018/04/26/nessun-paradosso-solo-grande-musica-neil-young-roxy-tonights-the-night-live/ , che però ha come bonus track un’ottima rilettura di The Losing End, uno dei pezzi meno conosciuti di Everybody Knows This Is Nowhere) ed il mitico Homegrown, che a questo punto mi chiedo perché Neil abbia pubblicato non più tardi di cinque mesi fa https://discoclub.myblog.it/2020/06/20/non-avrei-mai-pensato-che-un-giorno-lo-avrei-recensito-neil-young-homegrown/ . E poi capisco che non si possano inserire tutti gli inediti (ci vorrebbero venti volumi), ma forse un paio di dischetti in più sì. Polemiche a parte, ecco una disamina disco per disco, nella quale mi limiterò agli inediti: non troverete citati i CD n. 2, 4 e 7, che sono le tre ripetizioni citate poc’anzi, e per le quali vi rimando alle mie recensioni originali.

CD1: Everybody’s Alone (1972-1973). Il primo dischetto inizia dove finiva il precedente box, e cioè da dopo le sessions di Harvest. A parte Yonder Stands The Sinner tratta da Time Fades Away ed una rarissima Last Trip To Tulsa dal vivo proveniente da una b-side, tutto il resto è inedito, tra pezzi in studio con Neil da solo o con gli Stray Gators (nell’abortito seguito di Harvest) e dal vivo durante il tour da cui è stato tratto Time Fades Away. Tra le canzoni inedite abbiamo la delicata ballata Letter From ‘Nam (che negli anni 80 ritroveremo sull’album Life con il titolo di Long Walk Home), Come Along And Say You Will, bella country song in stile Harvest, l’elettroacustica e leggermente blues Goodbye Christians On The Shore e Sweet Joni, registrata dal vivo a Bakersfield e dedicata ovviamente alla Mitchell, in una performance molto intima al pianoforte. Le versioni alternate vedono un abbozzo dell’intensa Monday Morning, che si evolverà in Last Dance, e finalmente le due takes di studio di The Bridge (pianistica e struggente, davvero splendida) ed una Time Fades Away elettrica e decisamente trascinante, quasi country-punk. Gli altri pezzi dal vivo sono la classica The Loner, con il piano di Jack Nitzsche in evidenza, ed una L.A. diversa da quella apparsa sul live del 1973, Per finire una delle chicche del box, cioè una bella prima versione acustica di Human Highway insieme a CSN, per quello che sarebbe dovuto essere il seguito di Deja Vu (ci riproveranno come vedremo nel 1976 con lo stesso risultato).

CD3: Tonight’s The Night (1973). Le sessions con i Santa Monica Flyers per il famoso album del titolo, che uscirà però due anni dopo. L’album originale è presente con nove pezzi su dodici, anche perché gli altri tre erano uno dal vivo nel 1970, uno era una outtake di Harvest ed il terzo sarebbe stato inciso insieme al materiale di On The Beach. Gli inediti qui sono solo tre: una interessante jam improvvisata dai toni blues basata su Speakin’ Out, la bella Everybody’s Alone, canzone elettrica e vibrante dalla melodia solare che contrasta con il mood del resto delle sessions (ed infatti rimarrà fuori dal disco), e soprattutto una fantastica rock’n’roll version di Raised On Robbery di Joni Mitchell, proprio con la bionda cantautrice canadese alla voce solista e Neil che si limita alle armonie ed a suonare l’elettrica. Uno dei brani di punta del box.

CD5: Walk On (1973-1974). Le sessions di On The Beach, che è presente con sette brani, mentre Borrowed Tune finirà su Tonight’s The Night e Winterlong su Decade (ma che bella che è). Questo è il CD più avaro di inediti, solo tre per un totale complessivo di appena sei minuti: le prime versioni acustiche del traditional Greensleeves e di Traces (ripresa poi dal vivo da CSN&Y, è anche sul box CSN&Y 1974), ed una rilettura elettrica con i Crazy Horse della bellissima Bad Fog Of Loneliness, qui nella sua prima versione ufficiale in studio.

CD6: The Old Homestead (1974). Questo invece è il dischetto più lungo e più ricco di inediti: le uniche canzoni già note sono la title track, che finirà nel 1980 su Hawks & Doves, e Deep Forbidden Lake che andrà su Decade. Il resto si divide tra pezzi acustici ed elettrici, con alcune chicche strepitose come brani mai sentiti prima ed altri suonati solo dal vivo, tra cui ben tre versioni dell’honky-tonk Love/Art Blues, una acustica e due con la band alle spalle (l’ultima è la migliore). Poi c’è la take originale di Through My Sails, solo Neil voce e chitarra e senza le sovraincisioni di CSN, le prime versioni di Pardon My Heart, Vacancy (che verrà rifatta per Homegrown) e Give Me Strength, oltre ad inediti assoluti come Homefires, LA Girls And Ocean Boys e Frozen Man, tutte acustiche, la deliziosa country ballad Daughters, con Levon Helm alla batteria e Nicolette Larson alla seconda voce, la prima take di Changing Highways coi Crazy Horse (verrà reincisa addirittura nel 1996 per Broken Arrow) e Bad News Comes To Town che invece sarà ripresa dal vivo nel 1988 con i Bluenotes. Come ciliegina finale ci sono due imperdibili brani dal vivo a Chicago con CSN, ovvero la fluida Push It Over The End ed una On The Beach semplicemente grandiosa, entrambe ben al di sopra dei sette minuti ciascuna.

CD8: Dume (1975). Ed ecco le sessions con i Crazy Horse per Zuma, che infatti viene incluso nella sua interezza (a parte Through My Sails che come abbiamo visto è dell’anno prima). Ci sono comunque otto inediti, a partire dalle prime versioni di brani che poi finiranno su Rust Never Sleeps ma già bellissimi (Ride My Llama, una Powderfinger più lenta ed una strepitosa Pocahontas elettrica). Poi troviamo un rifacimento sempre elettrico di Kansas, che era stata provata in veste acustica per Homegrown, le rare Hawaii e No One Seems To Know, la splendida Too Far Gone (che non vedrà la luce fino al 1989 quando verrà reincisa per Freedom) e, come inedito assoluto, Born To Run (il Boss non c’entra), brano rock potente ma non particolarmente originale.

CD9: Look Out For My Love (1975-1976). Dopo i primi tre pezzi, comunque già editi (Like A Hurricane, Lotta Love e Look Out For My Love), il fulcro del CD sono le sessions per il poco fortunato Long May You Run della Stills/Young Band, che come non tutti forse sanno sarebbe dovuto essere il nuovo album di CSN&Y, ma a causa dei dissapori con Crosby e Nash Young cancellerà le parti vocali dei due. Ebbene, la sorpresa di questo dischetto sono proprio i tre brani finali, Ocean Girl, Midnight On The Bay ed un’altra Human Highway, nei quali sono state “ripristinate” le voci di David e Graham diventando a tutti gli effetti tre canzoni inedite del quartetto (che quindi assumono subito un altro fascino). Dalle stesse sessions abbiamo una versione alternata di Let It Shine e due ottime takes mai sentite di Traces (ancora) e di Separate Ways, che era già stata registrata per Homegrown. Completano il quadro tre unreleased songs dal vivo con Neil da solo sul palco: Mellow My Mind, Midnight On The Bay e la rara Stringman, canzone che non vedrà la luce fino al 1993 quando Young deciderà di includerla nella setlist del suo Unplugged.

CD10: Odeon Budokan (1976). Il cofanetto si conclude con un live album strepitoso, dieci canzoni equamente divise tra performance acustiche ed elettriche (coi Crazy Horse) registrate nel marzo 1976. La metà acustica vede Neil esibirsi all’Hammersmith Odeon di Londra, e comprende classici del calibro di The Old Laughing Lady, After The Gold Rush e Old Man, oltre alla poc’anzi citata Stringman ed alla bellissima Too Far Gone. La parte elettrica, proveniente dal mitico Nippon Budokan di Tokyo, propone superbe riletture di Don’t Cry No Tears, Cowgirl In The Sand (più corta del solito ma sempre splendida), Lotta Love, Drive Back e Cortez The Killer.

In conclusione, a parte le continue contraddizioni tipiche del personaggio Neil Young, questo Archives Vol. II: 1972-1976 conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che come musicista è uno dei più grandi di tutti i tempi. Ed ora speriamo solo di non dover attendere il terzo volume per altri undici anni.

Marco Verdi

Una Grande Folksinger Muove I Primi Passi, Ecco La Recensione Del Box. Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967

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Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967 – 5CD Box Set Rhino

Se volete andare a rileggervi quanto detto in sede di presentazione del cofanetto, che ovviamente rimane valido, lo trovate a questo link https://discoclub.myblog.it/2020/09/24/apre-gli-archivi-anche-laltra-grande-icona-della-musica-canadese-joni-mitchell-archives-volume-1-the-early-years-1963-1967/ , dove ho scritto le mie considerazioni generali mentre oggi ci occupiamo, come promesso, in modo approfondito dei contenuti del box, che ho avuto modo di ascoltare con attenzione dal giorno della sua pubblicazione avvenuta il 30 ottobre.

Il contenuto è stato, giustamente, pubblicato in base alla sequenza cronologica delle registrazioni, anche su suggerimento di Neil Young alla Mitchell, quindi partiamo con il primo dischetto.

CD1]
Radio Station CFQC AM, Saskatoon, Saskatchewan, Canada (ca. 1963), nove brani provenienti da quella che si ritiene la più vecchia registrazione esistente negli archivi, quando si esibiva ancora come Joan Anderson,  nella città dove abitava allora con la sua famiglia, in un repertorio prettamente tradizionale, a parte due pezzi, come testimoniano le canzoni di questa sorta di provino per una radio locale: la voce a venti anni è già cristallina e formata, con un bellissimo vibrato mutuato dalle grande voci della musica folklorica anglo-scoto-irlandese e dalle sue derivazioni americane, che però poi in seguito non avrebbe amato molto, e dalle quali non fu a sua volta molto amata, ed ecco così scorrere House Of The Rising Sun, John Hardy, il classico di MerleTravis Dark As A Dungeon, la sognanteTell Old Bill, la mossa Nancy Whiskey, Anathea con alcune ardite vocalizzazioni che anticipano le future svolte della sua carriera, per quanto sempre tenute in un ambito rigorosamente tradizionale, accompagnata solo da un ukulele a quattro corde, il suo primo strumento, a parte il pianoforte della gioventù, ad aun certo punto abbandonato, come ricorda nella amabile conversazione con il giornalista e regista Cameron Crowe, contenuta nel libretto che correda il box.

Tornando a quella prima apparizione pubblica troviamo anche, a completare questa registrazione miracolosamente ritrovata di recente, Copper Kettle di Albert Frederick Beddoe, e altri due standard del folk come Fare Thee Well (Dink’s Song) e Molly Malone. Verso la fine del 1964, poco prima di scoprire di essere incinta, Joni si esibisce nel primo importante concerto lontano da casa di fronte ad un pubblico, del quale troviamo sempre nel primo CD i due set completi, che vertono ancora su un repertorio tradizionale, anche se ci sono un paio di brani di Woody Guthrie e uno di Sydney Carter, mentre la Mitchell, come racconta sempre lei stessa, inizia ad inserire nel contesto delle sue esibizioni alcune presentazioni che fanno da raccordo alla sequenza delle canzoni e che seguono anche una ideale traccia logica tra l’una e l’altra e non sono solo pezzi eseguiti senza nessun nesso logico.

Live at the Half Beat: Yorkville, Toronto, Canada (October 21, 1964)
Lei è ancora Joni Anderson, ma appare sempre più sicura della sua vocalità, la registrazione cattura anche i rumori di fondo del piccolo locale, rumori di piatti e bicchieri, ma la qualità sonora è di nuovo eccellente:una brillante Nancy Whiskey, che il pubblico apprezza,  precede The Crow On The Cradle, una canzone contro la guerra che Joni presenta come un brano del repertorio di Ewan MacColl, ma che nel libretto viene attribuita giustamente a Carter e che comunque è sempre quella di cui esiste anche una memorabile versione di Jackson Browne.

Pastures Of Plenty è proprio quella di Woody Guthrie che Joni presenta come uno dei suoi autori preferiti, e che illustra una sempre maggiore destrezza strumentale, anche se nella registrazione appare un leggero fastidioso rumore di fondo, eccellente anche la lunga e solenne Every Night When The Sun Goes In, preceduta da una breve introduzione arriva anche Sail Away, un altro traditional che al suo interno ha anche elementi caraibici di calypso e nel quale la nostra amica timidamente incita il pubblico a cantare con lei nel ritornello, mi pare con poco successo.

Nel secondo set del concerto troviamo di nuovo una brillante John Hardy e Dark As A Dungeon, seguite dal traditional Maids When You’re Young Never Wed An Old Man, preceduta da una breve ed ironica esortazione di Joni alle giovani fanciulle; altro brano della tradizione è The Dowie Dens Of Yarrow, un brano scozzese cantato a cappella, mentre in chiusura la Mitchell esegue un altro brano di Woody Guthrie, la splendida Deportee (Plane Crash At Los Gatos), esecuzione impeccabile di una canzone poi entrata nel repertorio di tantissimi cantanti e gruppi.

Gli ultimi tre brani del primo CD provengono da una registrazione casalinga nell’abitazione dei genitori, a Saskatoon nel Saskatchewan, nel febbraio del 1965, a pochi giorni dalla nascita della figlia Kelly Dale Anderson, che fu data in adozione, visto che il padre se ne lavo le mani. Le tre canzoni sono The Long Black Rifle, Ten Thousand Miles e Seven Daffodils, tutte affascinanti e che testimoniamo la costante crescita artistica della nostra amica.

CD2)

Sempre nel 1965, ad aprile, incontra Charles Scott “Chuck” Mitchell, un nativo di New York che diventerà il suo primo marito e che la incoraggia ad intraprendere la carriera musicale suonando nelle coffee houses, e alla fine del mese, i due si avviano per gli Stati Uniti, il primo viaggio negli USA per Joni, che nel frattempo comincia a scrivere le sue canzoni, sempre spronata da Chuck che vede le sue potenzialità. Le prime tre registrazioni del secondo CD vengono da un’altra registrazione privata per il compleanno della mamma, messe su nastro a Detroit, Michigan.

Myrtle Anderson Birthday Tape: Detroit, MI (1965)

Ed ecco la prima apparizione di Urge For Going, poi apparsa come lato B di un singolo e nella compilation Hits. A seguire la deliziosa I Was Born To Take The Highway e la leggiadra Here Today Gone Tomorrow, rimaste inedite finora. Nel giugno del 1965 si sposa con Chuck, ma nel frattempo incontra il collega Eric Andersen, che le insegna quella particolare accordatura in open G tuning (sol maggiore) che rimarrà un suo marchio di fabbrica negli anni, in quanto poi Joni la farà propria in modo unico. Con questa nuova tecnica registra un demo da presentare a Jac Holzman, il boss della Elektra, che però non la mette sotto contratto. Oggi possiamo ascoltare anche noi quei cinque brani…

Jac Holzman Demo: Detroit, MI (August 24, 1965)

Tra i quali spicca secondo Cameron Crowe la bellissima Day After Day, ma anche le altre quattro sono interessanti ed inedite a livello ufficiale: What Will You Give Me, l’intricata Let It Be Me, la danzante The Student Song, e la sospesa Like The Lonely Swallow, che già indicano la strada che verrà intrapresa negli album a venire. Ancora come Joan Anderson partecipa il 4 ottobre del 1965, sempre con due canzoni nuove, alla trasmissione televisiva Let’s Sing Out della emittente CTV Winnipeg, registrata alla University Of Manitoba: si tratta di Favorite Colour e di Me And My Uncle, dove appare anche un bassista sconosciuto, molto interessanti entrambe.

Sempre registrato a Detroit in un demo casalingo di inizio ’66, ecco Sad Winds Blowin’, altro interessante brano che non avrebbe sfigurato nei suoi primi album. Al 24 ottobre del 1966 partecipa di nuovo alla trasmissione Let’s Sing Out, come Joni Mitchell questa volta, da London, Ontario: Just Like Me e Night In The City, di cui esistono anche le immagini e, come ricorda il presentatore, oltre che già molto brava, appare anche bellissima.

L’ultima parte del 2° CD è dedicata ai 6 brani, più alcune introduzioni, estratti dalla esibizione

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (November 1966)
apparsa già in diversi bootleg, ecco la lista completa

“Brandy Eyes”
Intro to “Urge For Going”
“Urge For Going”
Intro to “What’s The Story Mr. Blue”
“What’s The Story Mr. Blue”
“Eastern Rain”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”

Questa, non nascondiamocelo, è già Joni Mitchell, fatta e finita, eccellente esibizione dal vivo.

CD3)

Che pochi mesi dopo, il 12 marzo del 1967, sempre a Flladelfia appare al

Folklore Radio Broadcast,

cantando due delle canzoni che diverranno a breve dei capolavori assoluti: Both Sides Now, su Clouds del 1969, e The Circle Game su Ladies Of The Canyon del 1970, due brani di uno splendori assoluto, anche in queste registrazioni inedite, entrambe con brevi interviste e presentazioni radiofoniche.

Nel frattempo, nei primi mesi del 1967, Joni divorzia da Chuck Mtchell, del quale comunque manterrà sempre il cognome, ma prima di trasferirsi a New York registra una seconda apparizione al Second Fret di Philadelphia il 17 marzo e pochi giorni dopo, il 19, tiene anche un secondo breve set nel Folklore Radio Broadcast, sempre da Filadelfia. in entrambe le occasioni, oltre ad eseguire anteprime di altri brani che più avanti appariranno negli album ufficiali, presenta altre canzoni che poi rimarranno a lungo inedite.

Ed ecco quindi scorrere la deliziosa Morning Morgantown, poi su Ladies Of The Canyon, Born To Take The Highway, già apparsa nel nastro per il compleanno della mamma, oltre a Song To A Seagull, la title track del primo album del 1968, Winter Lady, una intima love song che poi rimarrà inedita, la prima versione live di Both Sides Now, dal 2° e 3° set registrati al Second Fret, il primo non appare nel CD. Mentre dal broadcast arrivano le inedite Eastern Rain, con elementi orientaleggianti e blues e un complesso lavoro della chitarra acustica, di cui è sempre più padrona, già presentata a novembre, ma qui più compiuta, e anche Blue On Blue, inframmezzate da dialoghi con Gene Shay, il conduttore della trasmissione, con il quale ha un ottimo rapporto.

Per completare il terzo CD troviamo

“A Record Of My Changes” – Michael’s Birthday Tapes un altro nastro casalingo, registrato a maggio del 1967 nel North Carolina, un nastro dove fanno il loro debutto altri 5 brani, più una improvvisazione di Joni: qualità delle canzoni sempre eccellente, quella sonora un po’ meno, nastro frusciato, ma comunque decisamente buono, troviamo la malinconica Gemini Twin, Strawflower Me dove la Mitchell tenta una vocalità più profonda e ricercata, l’armoniosa A Melody In Your Name, in entrambe la canzoni mi sembra di cogliere delle affinità con il primo Tim Buckley folk, e ancora Tin Angel oscura e brumosa, e la fluida I Dont Know Where I Stand, con un bel fingerpicking e una melodia sognante, seguita da una breve improvvisazione per voce e chitarra, senza testo. L’ultimo brano del CD viene dalla apparizione finale al Folklore Radio Broadcast del 28 maggio 1967, una delle rarissime cover, ovvero una versione di un brano del collega canadese Neil Young, di cui esegue Sugar Mountain, che presenta come una grande canzone: siamo d’accordo.

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Ad aprire il CD troviamo un altro demo, questa volta registrato a New York nel giugno del 1967, dove Joni presenta alcune canzoni che poi entreranno nel suo repertorio, e altre ancora inedite: I Had A King dal primo album, la bellissima Free Darling, che rimarrà inedita, ma ha tutti crismi delle tipiche scansioni delle migliori composizioni della Mitchell, stesso discorso per la lunga Conversation, con la voce che sale e scende nel suo tipico stile vocale, Morning Morgantown, la “strana” Dr. Junk, sottotitolo The Dentist Man, che però anticipa alcune soluzioni sonore che poi verranno riprese negli anni ’70, Gift Of The Magi, che nella conversazione tra Cameron Crowe e Joni viene indicato come uno dei brani che avrebbe meritato di essere recuperato in qualcuno degli album ufficiali, cosa invece avvenuta per l’euforica Chelsea Morning poi apparsa nel 1969 su Clouds e per la leggiadra e fiabesca Michael From Mountains poi pubblicata su Song To A Seagull, ma non per un altro brano delizioso come Cara’s Castle, che avrebbe meritato una miglior fine, mentre la conclusiva Jeremy rimarrà solo un frammento incompleto, per quanto intrigante.

Da qui in avanti troviamo i tre set completi registrati il 27 ottobre del 1967 alla

Canterbury House Ann Arbor, Michigan

dove una Joni Mitchell ormai divenuta una perfetta performer delizia il pubblico con le sue canzoni e anche con presentazioni sempre illuminanti, a tratti timide, sulla sua personalità. Nel quarto CD il primo set, con il pubblico che ascolta rapito una splendida Conversation, poi in una sequenza di brani noti ed inediti troviamo Come To The Sunshine, Chelsea Morning, Gift Of The Magi, la rara Play Little David, il traditional accapella The Dowie Dens Of Yarrow, I Had A King, Free Darling, Cactus Tree, poi inserita nel primo album.

CD5)

Prosegue il concerto con il secondo set, ancora ricco di brani rari come Little Green, bellissima, Marcie, ispirata dal suo primo viaggio a Londra, la soave e spensierata Ballerina Valerie, The Circle Game, una delle sue canzoni più belle, che però ad Ann Arbor ancora non conoscono, anche se lei prova a farli cantare, Michael From Mountains, Go Tell The Drummer Man, sconosciuta ovunque, ma un altro brano che avrebbe meritato maggior fortuna e a chiudere il secondo set I Don’t Know Where I Stand, una canzone dedicata al padre, con relativa lunga introduzione.

Nel terzo set A Melody In Your Name, altra piccola meraviglia della cantante canadese, cantata con voce stentorea, come pure Carnival In Kenora, un altro dei brani che Cameron Crowe indica tra i suoi preferiti tra quelli inediti contenuti nel box, in effetti splendida, e molto bella pure Songs To Aging Children Come, poi troviamo Dr. Junk, dedicata al suo amico dentista, con citazione del riff di Hey Bo Diddley, la dolcissima Morning Morgantown, la eccellente Night In The City e gran finale con Both Sides Now Urge For Going, una più bella dell’altra. Come dice lei stessa, ridendo, alla fine della conversazione con Crowe, I Was A Folksinger”! E non aveva ancora pubblicato nulla, ma qui troviamo tutto.

Grande cofanetto da avere assolutamente: attendiamo con ansia i prossimi della serie.

Bruno Conti