Si E’ Fatto Quel Momento: 50° (+1) Anniversario Anche Per C S N & Y – Déjà Vu. Esce Il 14 Maggio Il Box

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Crosby, Stills, Nash And Young “Deja Vu (50th Anniversary Deluxe Edition)” 4CD/1LP set – Atlantic/Rhino 14-05-2021

Se ne parlava da diverso tempo, visto che il 50° anniversario dell’uscita di questo album storico di Crosby, Stills, Nash & Young avrebbe dovuto essere nel 2020, poi ovviamente per i ben noti motivi della pandemia l”uscita era stata silenziata e rinviata, ma oggi è stata annunciata la data ufficiale della ristampa potenziata che sarà il 14 maggio. Personalmente avrei preferito che le uscite in CD e in vinile fossero divise, ma la Rhino del gruppo Warner agisce così per cui bisogna farsene una ragione e vedere i lati positivi, tra i quali pare non ci sia il prezzo, annunciato per ora, molto indicativamente, tra i 65 e gli 80 euro.

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Tra le cose positive ci sono ben 38 brani aggiunti all’album originale, tra demo, outtakes e versioni alternative, di cui 29 inediti, per un totale di 2 ore e mezza di musica extra in totale rispetto al disco originale che uscì l’11 marzo del 1970. Tra le chicche annunciate Know You Got To Run, la prima canzone in assoluto registrata nel luglio dell’anno precedente da CSN&Y durante la session nella casa che Stephen Stills aveva affittato a Studio City da Peter Tork dei Monkees, il demo di Almost Cut My Hair di David Crosby, la outtake di Bluebird Revisited di Stills, la versione con armonica aggiunta di Helpless di Neil Young e quella di Our House di Graham Nash cantata insieme a Joni Mitchell, oltre al demo di Birds cantato da Neil Young e Graham Nash https://www.youtube.com/watch?v=I4zSLoMCvfg . Le note del cofanetto sono state curate dal regista ed ex giornalista di Rolling Stone Cameron Crowe.

Crosby Stills Nash and Young perform on stage at Wembley Stadium, London, 14th September 1974, L-R Stephen Stills, David Crosby, Graham Nash, Neil Young. (Photo by Michael Putland/Getty Images)

Crosby Stills Nash and Young perform on stage at Wembley Stadium, London, 14th September 1974, L-R Stephen Stills, David Crosby, Graham Nash, Neil Young. (Photo by Michael Putland/Getty Images)

Comunque, come al solito, ecco la lista completa dei contenuti del box.

[CD1: Original Album]
1. Carry On
2. Teach Your Children
3. Almost Cut My Hair
4. Helpless
5. Woodstock
6. Déjà Vu
7. Our House
8. 4 + 20
9. Country Girl
a. Whiskey Boot Hill
b. Down, Down, Down
c. Country Girl (I Think You’re Pretty)
10. Everybody I Love You

[CD2: Demos]
1. Our House – Graham Nash *
2. 4 + 20 – Stephen Stills *
3. Song With No Words (Tree With No Leaves) – David Crosby & Graham Nash
4. Birds – Neil Young & Graham Nash *
5. So Begins The Task/Hold On Tight – Stephen Stills *
6. Right Between The Eyes – Graham Nash
7. Almost Cut My Hair – David Crosby *
8. Teach Your Children – Graham Nash & David Crosby
9. How Have You Been – Crosby, Stills & Nash
10. Triad – David Crosby
11. Horses Through A Rainstorm – Graham Nash
12. Know You Got To Run – Stephen Stills *
13. Question Why – Graham Nash *
14. Laughing – David Crosby *
15. She Can’t Handle It – Stephen Stills *
16. Sleep Song – Graham Nash
17. Déjà Vu – David Crosby & Graham Nash *
18. Our House – Graham Nash & Joni Mitchell *

[CD3: Outtakes]
1. Everyday We Live *
2. The Lee Shore – 1969 Vocal *
3. I’ll Be There *
4. Bluebird Revisited *
5. Horses Through A Rainstorm
6. 30 Dollar Fine *
7. Ivory Tower *
8. Same Old Song *
9. Hold On Tight/Change Partners *
10. Laughing *
11. Right On Rock ’n’ Roll *

[CD4: Alternates]
1. Carry On – Early Alternate Mix *
2. Teach Your Children – Early Version *
3. Almost Cut My Hair – Early Version *
4. Helpless – Harmonica Version
5. Woodstock – Alternate Vocals *
6. Déjà Vu – Early Alternate Mix *
7. Our House – Early Version *
8. 4 + 20 – Alternate Take 2 *
9. Know You Got To Run *

[LP: Original Album]
1. Carry On
2. Teach Your Children
3. Almost Cut My Hair
4. Helpless
5. Woodstock
6. Déjà Vu
7. Our House
8. 4 + 20
9. Country Girl
a. Whiskey Boot Hill
b. Down, Down, Down
c. Country Girl (I Think You’re Pretty)
10. Everybody I Love You

* Previously Unreleased

Per il momento è tutto, ovviamente dopo l’uscita ci ritorneremo per la recensione, visto che si tratta di uno dei dischi più belli del 1970, ma direi anche di sempre.

Bruno Conti

Un Grande Concerto, Tra I Primi In Assoluto Senza “Il Morto”. Jerry Garcia/Merl Saunders – Garcia Live Volume 15

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Jerry Garcia/Merl Saunders – Garcia Live Volume 15 – ATO 2CD

A pochi mesi dal bellissimo quattordicesimo volume acustico, riprende la fortunata serie Garcia Live dedicata appunto ai migliori concerti solisti del grande Jerry Garcia: l’episodio numero 15 vede di nuovo il nostro nella più abituale dimensione elettrica, anche se in uno show abbastanza unico rispetto ai precedenti. Intanto stiamo parlando di una delle prime serate in assoluto in cui Jerry si è esibito lontano dai Grateful Dead, il 21 maggio del 1971 al Keystone Korner di San Francisco, e poi il nostro divide il cartellone con il bravissimo tastierista/organista Merl Saunders, con il quale collaborerà parecchio nella prima metà degli anni settanta (famosi i loro concerti del ’73 al Keystone, che non è lo stesso locale del doppio CD di cui vi parlo oggi ma una location più grande aperta dallo stesso proprietario a poca distanza). Il fatto che questa uscita non sia accreditata solo a Garcia ha perfettamente senso, in quanto Saunders durante lo show assume spesso il ruolo di co-protagonista accanto a Jerry, deliziando i presenti con una performance assolutamente strepitosa in cui rock, jazz, blues e psichedelia si fondono alla grande, ed in cui la tendenza alla jam tipica del barbuto chitarrista dei Dead viene amplificata all’ennesima potenza.

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Infatti i concerti solisti di Garcia che abbiamo ascoltato negli anni sono sempre stati basati sulle canzoni (spesso più cover che originali), certo dilatate oltremodo nella lunghezza ma sempre mantenendo la struttura di base, mentre qui accanto a brani più canonici troviamo delle vere e proprie jam sessions in cui i nostri (coadiuvati solamente da Bill Vitt alla batteria e, in cinque pezzi, da Martin Fierro al sax) danno veramente il meglio di loro stessi. Dieci brani per due ore totali di musica (e questo la dice lunga sulla durata delle singole canzoni), manca stranamente solo Deal che era stata suonata come unico bis. Lo show parte alla grande con Man-Child, favolosa jam di 17 minuti in cui Jerry e Merl si destreggiano da veri maestri con i rispettivi strumenti, con Saunders forse addirittura un gradino più su del collega: il brano è un piacere per le orecchie, con la sua andatura insinuante e fluida che ricorda certe cose di Santana ed un finale quasi free jazz https://www.youtube.com/watch?v=UC_S1D6tnKs . Ma la serata è anche all’insegna del blues, dal momento che il secondo pezzo è una sinuosa rilettura di One Kind Favor di Blind Lemon Jefferson, con Jerry che mostra di essere anche in forma vocale più che buona (quella chitarristica non ve lo dico neanche) e Merl che ricama con sonorità clade, ed il terzo è una strepitosa I Know It’s A Sin di Jerry Reed, lenta, soffusa e di gran classe: Garcia non è mai stato un bluesman ma con quella chitarra poteva suonare qualsiasi cosa senza perdere un grammo del suo feeling.

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I Was Made To Love Her è un brano di Stevie Wonder, pretesto per un’altra straordinaria e vibrante jam di dieci minuti in cui anche Fierro fa la sua parte (sembra di sentire i primi Chicago); a proposito di improvvisazioni, che dire di Keystone Korner Jam? Più di sedici minuti tra rock, jazz e psichedelia, musica libera, creativa, di grande forza ma fruibile al tempo stesso, con Jerry che lascia a Merl i suoi spazi confermando che in questo concerto è meno solista e più “uomo-squadra” https://www.youtube.com/watch?v=G4YMdXfhVJw . Il primo dischetto termina con un’ottima versione di The Night They Drove Old Dixie Down di The Band, che nel 1971 è vecchia di due soli anni ma è già un classico (ed il nostro la manterrà in repertorio fino agli ultimi spettacoli con la Jerry Garcia Band negli anni novanta) https://www.youtube.com/watch?v=bMx4oRFMDiQ . Il secondo CD inizia con Save Mother Earth, altra superba prova di puro jazz-rock che di minuti ne dura 25 (ma la noia non affiora mai), con Jerry e Merl che riempiono alla grande gli spazi che uno lascia all’altro ed ai quali si aggiunge il contributo prezioso e quasi indispensabile di Fierro https://www.youtube.com/watch?v=2JqGY7os8q8 . Ed il bello è che il brano è completamente diverso da qualsiasi cosa proposta in carriera da Garcia, sia prima del ’71 che dopo. Ancora blues con una solida That’s All Right di Jimmy Rogers, con Jerry e Fierro in cattedra, seguita da una rarissima The Wall Song di David Crosby (proposta addirittura due anni prima dell’originale, che uscirà nel 1973 sul primo album di David in coppia con Graham Nash) https://www.youtube.com/watch?v=qJkZJH-Hn4E , in assoluto la più “deadiana” del lotto; chiusura con una scoppiettante Mystery Train di Elvis Presley, perfetta per chiudere la serata in quanto anch’essa dotata di una struttura decisamente blues.

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Uno dei migliori episodi della serie.

Marco Verdi

Il Magico Mondo Di Robin Pecknold Capitolo Quarto. Fleet Foxes – Shore

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Questo album è stato reso disponibile per il download alle 15 e 31 minuti dello scorso 22 settembre, nell’esatto momento in cui era stato calcolato l’equinozio, ovvero il passaggio dall’estate all’autunno. Tale pignoleria rende l’idea dell’estrosa personalità di Robin Pecknold, l’indiscusso leader dei Fleet Foxes, giunti alla quarta uscita, a distanza di dodici anni dal loro omonimo brillantissimo esordio. Shore, (che verrà pubblicato nel suo formato fisico in questo mese di febbraio il giorno 5) già dal titolo e dall’immagine di copertina ci indica le ambiziose intenzioni del suo autore, vale a dire creare un disco che suoni semplice e sofisticato allo stesso tempo, ennesimo tentativo di coniugare modernità e classicismo, avventura e approdo sicuro, come la battigia del titolo evoca la zona dove terra e mare si incontrano e si fondono l’una con l’altro.

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La sua gestazione è partita due anni fa, essendo stato registrato in gran parte a New York negli studi di Aaron Dessner dei National e poi completato in Francia e a Los Angeles, con l’apporto di numerosi musicisti ospiti. Tanta musica, ma i testi sono arrivati solo lo scorso giugno, in pieno lockdown, lasciando l’impressione più di una prova da solista che di un lavoro di gruppo. A conferma di ciò Pecknold ha dichiarato di voler rientrare in studio quest’anno per incidere la decina di canzoni rimaste fuori da Shore insieme ai suoi attuali compagni di viaggio, il chitarrista Skyler Skjelset, il bassista Christian Wargo, il tastierista Casey Wescott e il polistrumentista Morgan Henderson. Rispetto al precedente Crack-Up https://discoclub.myblog.it/2017/06/02/fortunatamente-non-si-sono-persi-per-strada-anteprima-fleet-foxes-crack-up/  qui si apprezza una maggiore immediatezza e solarità. Sono presenti tutti gli ingredienti che hanno reso i Fleet Foxes una band di culto per un pubblico molto variegato, che comprende new hippies, appassionati di folk prog inglese, nostalgici delle sonorità californiane degli anni settanta, seguaci del folk revival dell’ultima decade o semplici estimatori di pop raffinato.

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Photo Credit Emily Johnston

Già nell’iniziale suite Wading In Waist-High Water che sfocia in Sunblind veniamo proiettati in una dimensione sospesa tra reale e fantastico, in cui all’iniziale arrangiamento vocale degli ospiti San Fermin fa seguito una di quelle melodie vincenti che Pecknold ha ereditato dal maestro Brian Wilson  . Can I Believe You prosegue il viaggio spirituale del suo autore tra cori sognanti e chitarre che riportano indietro agli anni sessanta https://www.youtube.com/watch?v=L2E2DpWO3-Y , mentre Jara si apre e si sviluppa con le allucinazioni vocali della cantante e compositrice Meara O’Reilly che accentuano il suo carattere atemporale https://www.youtube.com/watch?v=YWJSKwgQjSs . Featherweigh e la successiva A Long Way Past The Past sono impreziosite dal notevole apporto canoro degli Whitney, band emergente di Chicago, e si rivelano una vera delizia per le orecchie. For A Week Or Two è un breve onirico intermezzo (con tanto di coda con cinguettio di uccellini), che sfocia nella turgida Maestranza. Young Man’s Game spinge sull’acceleratore in territori consoni ai gioielli della premiata ditta Crosby, Stills & Nash https://www.youtube.com/watch?v=OHsGsMD9wW0 , prima di un’oasi intima ed acustica intitolata I’m Not My Season.

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Gli ultimi fuochi d’artificio di questo album piacevolissimo amplificano la nostra immaginazione con le stratificazioni vocali e i contrappunti jazz della suite Quiet Air/Gioia e con l’uso solenne degli ottoni nella sognante Going-To-The-Sun Road, (splendido il finale con gli ultimi versi cantati in portoghese dall’ospite Tim Bernardeshttps://www.youtube.com/watch?v=DQ48DeooyTQ . Ancora un gioiellino acustico con ricamo di fiati in Thymia, poi uno dei vertici della raccolta, Cradling Mother, Cradling Woman, che parte quasi citando la DèjaVu di David Crosby per poi esplodere in una sovrapposizione di suoni e voci davvero efficace https://www.youtube.com/watch?v=n2SZCIZrllc . La chiusura è riservata alla lenta e meditativa title-track, manifesto di un lavoro che nelle stesse parole del suo giovane autore “deve esistere in uno spazio subliminale tra passato e presente, in una dimensione spirituale che comunichi un senso di sollievo”. Per quanto mi riguarda, missione compiuta mister Pecknold!

Marco Frosi

Ritorna L’Anello Di Collegamento Tra L’Aeroplano E L’Astronave. Paul Kantner/Grace Slick/David Freiberg – Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun

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Paul Kantner/Grace Slick/David Freiberg – Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun – Esoteric/Cherry Red CD

Oggi mi occupo della ristampa (senza bonus tracks) di un album di culto uscito originariamente nella primavera del 1973, un disco comunque che riveste una certa importanza in quanto rappresenta una sorta di transizione tra i Jefferson Airplane, storica band simbolo della Summer Of Love, e la sua evoluzione (ma per molti involuzione) Jefferson Starship: addirittura questo lavoro uscì a solo un mese di distanza dall’epitaffio degli Airplane, il live Thirty Seconds Over Winterland, in barba a qualsiasi legge di marketing. Infatti Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun vede protagonisti i due leader dell’Aeroplano Paul Kantner e Grace Slick (all’epoca uniti anche nella vita), ed è accreditato anche a David Freiberg, ex Quicksilver Messenger Service, con loro negli Airplane e da lì a poco membro dell’Astronave con Paul e Grace (in realtà il nome Jefferson Starship era già stato usato da Kantner per la backing band del suo primo album solista Blows Against The Empire, ma solo dal 1974 sarà un vero gruppo, fino al 1984 quando Paul se ne andrà portando con sé legalmente il suffisso “Jefferson” e lasciando la Slick e gli altri a fare canzonette pop da classifica).

Ma Baron Von Tollbooth è un disco importante anche perché è uno degli ultimi esempi di Laurel Canyon Sound, con dentro una serie di musicisti che erano presenze pressoché fisse negli album californiani di quel periodo: oltre agli Airplane dell’epoca al completo (oltre a Slick e Kantner, i fondatori Jorma Kaukonen e Jack Casady ed i “nuovi” Papa John Creach e John Barbata, oltre allo stesso Freiberg che fece parte dell’Aeroplano per un anno soltanto) troviamo David Crosby alla voce nel brano iniziale (ed il titolo del disco deriva proprio dai soprannomi dati da David a Paul e Grace), i due Grateful Dead Jerry Garcia e Mickey Hart, il giovane chitarrista Craig Chaquico (che si alterna alla solista con Garcia e che farà poi parte degli Starship) ed il bassista Chris Ethridge dei Flying Burrito Brothers. Baron Von Tollbooth è ancora oggi un ottimo disco di puro rock californiano dell’epoca, non inferiore ai primi due lavori solisti di Kantner e forse superiore all’ultimo studio album degli Airplane Long John Silver, e questa edizione in digipak a cura della Esoteric con remastering nuovo di zecca gli rende piena giustizia.

Soprattutto il disco contiene la meravigliosa Sketches Of China, una canzone che è una delle mie preferite degli anni settanta, un brano che inizia lento ma con un continuo crescendo melodico, base strumentale di stampo folk-rock con le voci di Paul e Grace che si rincorrono intorno ad un motivo strepitoso ed emozionante: cinque minuti di pura magia. L’album parte con la ritmata e trascinante Ballad Of The Chrome Nun, che inizia con un vivace pianoforte subito doppiato dall’inconfondibile chitarra di Garcia, e la voce della Slick che aggredisce il brano da par suo fino al ritornello corale, con Jerry che si sdoppia suonando anche la steel. Fat è una deliziosa ballata pianistica ma con la band al completo, che ci conferma che Grace era in un momento ispirato: bello il coro di matrice gospel, grazie anche all’intervento delle Pointer Sisters; Flowers Of The Night contrappone una splendida melodia di stampo folk ad una strumentazione “californiana”, ed è una canzone davvero bella e ricca di pathos, con un grande assolo hendrixiano di Chaquico.

La mossa ed elettrica Walkin’ è quella più simile agli Airplane come script, ma nel suono è quasi sfiorata dal country (con tanto di Garcia al banjo), a differenza di Your Mind Has Left Your Body che vede per l’ultima volta il quartetto Kantner-Slick-Kaukonen-Casady suonare insieme prima della estemporanea reunion dell’Aeroplano nel 1989, ed è un lento dall’atmosfera cupa e con richiami, fin dal titolo, all’epoca psichedelica e la chitarra di Jorma che ricama mirabilmente insieme alla steel di Jerry. Across The Board è un’altra bella rock ballad dominata dal piano e dalla splendida voce della Slick, con una delle linee melodiche più convincenti del disco ed un testo ricco di metafore a sfondo sessuale; la lenta Harp Tree Lament vede Freiberg mettere in musica un testo del paroliere dei Dead Robert Hunter, per un brano fluido, disteso e dai toni crepuscolari, mentre White Boy è un’altra suggestiva ballata di estrazione folk con sonorità elettroacustiche e Kantner che canta nel suo tipico stile declamatorio ben doppiato dalla Slick. Il disco termina con la breve Fishman, rock song dal mood incalzante, e con la già citata Sketches Of China, un brano fantastico che non mi stancherò mai di ascoltare.

Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun è un album da riscoprire assolutamente, ancor più prezioso perché rappresenta una delle ultime testimonianze di un periodo irripetibile della nostra musica.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss “Diverso”, Ma Non Privo Di Sorprese! Bruce Springsteen – Bridge School 1986

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Bruce Springsteen – Bridge School, October 13th 1986 – live.brucespringsteen.net/nugs.net CD – Download

Per la penultima uscita della serie di concerti d’archivio di Bruce Springsteen la scelta è caduta su uno show molto particolare, una performance rara e poco conosciuta anche dai collezionisti di bootleg del Boss. Sto parlando della partecipazione del nostro al primo Bridge School Benefit in assoluto, tenutosi nell’Ottobre del 1986 allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View in California, serata organizzata da Neil Young con l’allora moglie Pegi per supportare la Bridge School, istituto che si occupa di aiutare i bambini disabili (ricordo che Neil ha due figli affetti da problemi cerebrali), una manifestazione che da allora si è ripetuta per quasi tutti gli anni fino al 2016 e che ha ospitato alcuni tra i migliori artisti del panorama internazionale in performance perlopiù acustiche. Inutile dire che Springsteen era uno degli artisti di punta della serata, ed il nostro ha ripagato il pubblico con una prestazione breve ma intensa (dieci canzoni per un totale di 58 minuti, finora l’unica uscita su singolo CD dell’intera serie dei Live Archives di Bruce), che tra l’altro era il suo primo show dopo la trionfale tournée di Born In The U.S.A., ed il suo primo set acustico degli anni ottanta.

L’inizio del breve concerto è abbastanza strano, con una You Can Look (But You Better Not Touch) cantata a cappella, non il primo brano di Bruce che mi verrebbe in mente per una esecuzione per sola voce (ed infatti il risultato non mi convince molto, anche se il pubblico apprezza). Born In The U.S.A. è in una irriconoscibile versione folk-blues, che se nei futuri tour acustici diventerà familiare, in questa serata del 1986 era alla prima performance in assoluto con questo arrangiamento. Al terzo brano la prima sorpresa, in quanto salgono sul palco Danny Federici alla fisarmonica e Nils Lofgren alla chitarra e seconda voce, e rimarranno fino alla fine: Seeds è più tranquilla rispetto alle versioni elettriche con la E Street Band ma sempre coinvolgente, Dartlington County è vivace anche in questa veste stripped-down, e Mansion On The Hill è come al solito davvero intensa e toccante. Fire è il consueto divertissement, con Bruce che stimola le reazioni del pubblico alternando ad arte stacchi e ripartenze, mentre sia Dancing In The Dark che Glory Days, spogliate dalle sonorità “ruspanti” di Born In The U.S.A., sembrano quasi due canzoni nuove (e la seconda è trascinante anche in questa versione “ridotta”).

Dopo una godibilissima Follow That Dream in chiave folk (brano di Elvis Presley tra i preferiti del nostro), gran finale con il Boss che viene raggiunto nientemeno che da Crosby, Stills, Nash & Young alle voci (Stills e Young anche alle chitarre) per una corale e splendida Hungry Heart, rilettura decisamente emozionante con l’accordion di Federici grande protagonista, degna conclusione di un set breve ma intrigante, le cui vendite frutteranno la cifra di due dollari a copia (o download) da destinare alla Bridge School. Squilli di tromba e rulli di tamburo per la prossima uscita della serie, che si occuperà di quella che è forse la performance più leggendaria di sempre del Boss. Un indizio? Trattasi di un vero “cavallo di battaglia”…

Marco Verdi

Carole King, The Queen Of Classic Pop: Una Breve Cronistoria, Seconda Parte.

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Seconda Parte.

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Music – 1971 Ode/Epic – ***1/2

E per la serie l’ispirazione inarrestabile non finisce mica qui, a dicembre dello stesso 1971 ecco già pronto un altro album Music, sempre prodotto da Lou Adler, con il consueto nucleo di musicisti dei dischi precedenti, a cui si aggiungono Bobbye Hall alle percussioni e un nutrito gruppo di fiatisti. Non è un altro capolavoro, e come potrebbe essere, ma ancora un ottimo album. Proprio nell’iniziale Brother, Brother si apprezzano le percussioni di Mrs. Hall che danno quasi un’impronta soul alla Marvin Gaye al sound, con il sax in bella evidenza, It’s Going To Take Some Time, uno dei tre brani scritti con la Stern, ha la allure delle migliori canzoni di Carole, anche se la qualità non raggiunge le vette celestiali del precedente album, pur se una certa serenità di fondo traspare anche nella musica.

Deliziose anche Sweet Seasons e la ripresa della dolcissima Some Kind Of Wonderful, un brano targato Goffin/King che fu un successo proprio per Marvin Gaye. Larkey lavora sempre di fino al basso e il suono complessivo del LP ricorda da vicino quello che anche Laura Nyro stava sviluppando in quegli anni, per esempio nella raffinatissima Surely e nella pianistica title-track Music, graziata anche da uno splendido assolo del sax di Curtis Amy, mentre Song Of Long Ago è una sorta di duetto con la King e James Taylor che vocalizzano insieme nello stile West Coast tipico di Carole che rimane una costante di molte canzoni.

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Rhymes And Reasons – 1972 Ode/Epic ***1/2

Come il precedente anche Rhymes And Reasons arriva ai primissimi posti della classifica Usa: Music al 1° e questo al 2°, ma la qualità rimane sempre altissima. Alla batteria arriva Harvey Mason, David T. Walker si alterna a Kortchmar come chitarrista, Carole King oltre che al pianoforte è impegnata anche a clavinet, Wurlitzer e Fender Rhodes,  e i fiati e gli archi sono sempre presenti nella produzione di Adler. Per l’occasione c’è solo una canzone della coppia Goffin/King, ma ben quattro scritte con Toni Stern, le prime  del disco. Piacevole ma non memorabile per i suoi standard, però l’iniziale Come Down Easy, Peace In The Valley, l’orchestrata First Day In August, la ritmata Bitter With The Sweet e Been To Canaan, quasi alla Bacharach, confermano la classe innata.

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Fantasy – 1973 Epic/Ode – ***1/2

E’ una specie di concept album, anzi un song cycle, che viene portato in tour, pure in Europa, e lo ritroviamo nel bellissimo CD/DVD Live At Montreux 1973, di cui leggete la recensione in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2019/09/05/dal-passato-di-una-delle-piu-grandi-cantautrici-di-sempre-una-perla-sconosciuta-carole-king-live-at-montreux-1973/, un disco ancora una volta molto influenzato dalla black music, e dal funky leggero ma con tocchi jazz, visto che è accompagnata da una band “nera”, qualche titolo dei brani migliori lo trovate proprio nella recensione.

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Wrap Around Joy – 1974 Epic/Ode – ***

E’ l’ultimo disco in cui appare Larkey, neppure in tutti I brani, visto che nell’album suonano in metà di mille: comunque ancora un buon disco, in cui troviamo l’iniziale deliziosa Nightingale, un singolo di successo come Jazzman, e un paio di ballate Change in Mind, Change of Heart e We Are In All This Together, ma nell’insieme il disco, con la presenza delle figlie Louise e Sherry alle armonie vocali, è fin troppo lavorato e “zuccherino” in molti brani.

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Se volete crearvi la vostra discografia perfetta di Carole King aggiungete questo box a prezzo speciale con gli album del periodo Ode e aggiungete Tapestry e avrete tutto l’indispensabile della prima parte della carriera.

Vediamo Il Meglio ( E Il Peggio) del Resto.

Mentre invece per gli anni successivi il meglio del periodo seguente lo trovate in questo piccolo cofanetto qui sopra sempre a prezzo speciale.

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In effetti Thoroughbred (1976 -***) sarebbe l’ultimo album per la Ode, ancora con Adler alla produzione, e sulla carta, visti i musicisti presenti, a fianco di Kunkel e Kootch Kortchmar ci sono Waddy Wachtel, Lee Sklar, David Crosby, Graham Nash, James Taylor, JD Souther, Tom Scott, dovrebbe essere eccellente, ma a parte qualche brano, come l’iniziale So Many Ways, Daughter Of Light, il singolo Only Love Is Real, There’s Space Between Us, ogni tanto si sfiora l’easy listening, sia pure di gran classe. Nel 1977 firma con la Capitol, ma si sposa anche con Rick Evers, un tossico, ex homeless, che abusa anche fisicamente di lei, per quanto si dica che pure lei avesse il suo caratterino e rapporti difficili con gli altri ex e con gli “amici”. Dopo una serie di album deludenti giustamente decide di rivolgersi al meglio del suo repertorio passato e pubblica nel 1980 Pearls: Songs of Goffin and King  (Capitol 1980 – ***1/2) dove rivisita dieci canzoni del suo songbook, con l’aiuto del cantautore Mark Hallman, che produce l’album. Non male anche One To One – Atlantic -*** del 1982, sempre prodotto da Hallman, con i rientranti Kortchmar e Larkey, ma poi è notte fonda, City Streets suono orrido anni ’80, vede nel 1989 la presenza di Eric Clapton e Branford Marsalis, ma stenderei un velo pietoso.  Negli anni ’90 esce solo Colour Of Your Dreams, disco del 1993 con Slash alla solista, e ho detto tutto.

Negli anni 2000 ricordiamo il discreto disco natalizio del 2011 A Holiday Carole e soprattutto alcuni notevoli  dischi dal vivo, The Living Room Tour (2005 Hear Music  -***), l’ottimo Live At The Troubadour con James Taylor (2010 Concord ***1/2), registrato nel 2007 e l’eccellente Tapestry: Live In Hyde Park (Sony Legacy 2017 – ****) , registrato nel 2016 per festeggiare i 45 anni del suo disco più bello https://discoclub.myblog.it/2017/10/15/uno-dei-dischi-piu-belli-della-storia-della-musica-rock-anche-in-versione-dal-vivo-carole-king-tapestry-live-at-hyde-park/ .

Direi che questo è quanto.

Bruno Conti

Dopo I Gemelli Del Gol, Le Gemelle Del Folk-Rock! Shook Twins – Some Good Lives

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Shook Twins – Some Good Lives – Dutch CD

Non conoscevo le Shook Twins, due gemelle identiche (Katelyn e Laurie Shook) originarie dell’Idaho ma da anni stabilitesi a Portland, Oregon. In realtà le Shook Twins non sono un semplice duo, anche se sono loro ad occuparsi di tutte le parti vocali ed in parte anche di quelle strumentali, ma una vera e propria band, completata da Niko Daussis (chitarre), Sydney Nash (basso) e Barra Brown (batteria), e la loro musica si potrebbe considerare una fusione moderna di folk e rock, con elementi pop qua e là. Le loro sonorità di base sono perlopiù acustiche, ma spesso la chitarra elettrica avanza in prima fila e c’è anche un uso moderato della tecnologia, che dona freschezza al suono complessivo. Some Good Lives è il titolo del nuovo album delle gemelle Shook, il quinto complessivo (sono attive dal 2008), ed è una gradevole e riuscita miscela di canzoni ben scritte e ben cantate, che come dicevo prima partono dal folk per toccare vari stili pur mantenendo una buona fruibilità di fondo. Gli arrangiamenti sono moderni ma mai esasperati, ed il disco si ascolta dall’inizio alla fine senza problemi.

Il CD è autoprodotto, e parte con What Have We Done, che è il classico inizio che non ci si aspetta: si tratta infatti di un funk-rock diretto e decisamente godibile, dal ritmo cadenzato e con l’aggiunta di una piccola sezione fiati e buoni spunti chitarristici, cantato all’unisono dalle due gemelle. Safe è un pezzo dallo sviluppo insinuante, una melodia limpida ed un crescendo lento ma costante, con la chitarra a ricamare discreta sullo sfondo fino all’ingresso della sezione ritmica dopo due minuti buoni; niente male anche Figure It Out, un lento dal pathos notevole sempre con la chitarra in evidenza ed una struttura melodica di tutto rispetto. Stay Wild inizia con una chitarrina arpeggiata, poi entra una ritmica pulsante che porta il brano su lidi a metà tra pop e folk, con un uso parsimonioso della tecnologia, al contrario della delicata Vessels che è un gentile bozzetto acustico di sapore folk, mentre What Is Blue ha il respiro e l’intensità dei brani di David Crosby.

In Got Your Message spunta un banjo, e la canzone sembra quasi procedere un po’ sghemba, ma poi ci si rende conto che è tutto in voluto contrasto con la melodia pura e limpida, mentre una bella chitarra introduce Want Love, piacevole canzone dal retrogusto pop cantata in scioltezza. No Choice è dotata di un motivo corale molto interessante ed un accompagnamento più rock, un brano intrigante che è tra i migliori del CD, mentre Talkie Walkie è una folk-rock ballad fluida e tersa; il dischetto termina con la cadenzata Buoy e con una stranezza, cioè una registrazione datata 1989 di un brano intitolato Dog Beach e cantato da tale Ted Bowers, un amico di famiglia degli Shook, con le due sorelle allora bambine ai cori (performance dedicata al loro nonno, scomparso di lì a poco e presente all’epoca dell’incisione).

Un album piacevole, ben costruito e, perché no, creativo.

Marco Verdi

Un Gradito Ritorno Da Parte Di Un Vecchio Amico. Jesse Colin Young – Dreamers

jesse colin young dreamers

Jesse Colin Young – Dreamers – BMG CD

La fama di Jesse Colin Young, cantautore originario di New York ma californiano d’adozione, sarà per sempre legata alla stupenda Get Together, inno pacifista scritto da Chet Powers e portato al successo nel 1966 dagli Youngbloods, gruppo del quale Jesse era all’epoca leader.  Pensavo che Young (nato Perry Miller) si stesse ormai godendo una meritata pensione alle Hawaii, dove si è trasferito da diversi anni per coltivare piantagioni di caffé (dopo che la sua casa californiana bruciò in un tremendo incendio nel 1995) e per curarsi dalla malattia di Lyme, un morbo di origine batterica per fortuna curabile che provoca continui eritemi della pelle, infezioni o lesioni. Il suo ultimo album, il dimenticato Celtic Mambo, risale ormai al 2006, ma Young non ha ancora voglia di appendere la chitarra al chiodo, e con questo nuovissimo Dreamers ha voluto regalarci quella che potrebbe essere  la sua ultima testimonianza, 14 canzoni tra brani nuovi e rifatti che ci mostrano un artista ancora in sorprendente forma. Jesse, quasi 78 anni portati splendidamente (nonostante i lunghi capelli ed i folti baffi neri siano ormai un ricordo), ha ancora la stessa voce di un tempo, e non ha assolutamente perso il suo tocco: forse non è mai stato un fuoriclasse all’altezza dei grandi nomi del cantautorato mondiale, ma un musicista sincero, serio e preparato questo sì, e Dreamers è con tutta probabilità il suo miglior lavoro solista dagli anni settanta in poi.

Young non è uno che si arrende facilmente, ha ancora voglia di scrivere canzoni di attualità come ai vecchi tempi, ed in questo disco c’è più di un esempio in tal senso (come They Were Dreamers, dedicato ai figli degli immigrati clandestini rimpatriati dall’amministrazione Trump, o For My Sisters, ispirato al movimento femminista MeToo). Jesse si fa accompagnare da una band di giovani musicisti diretti dal figlio Tristan Young (che suona il basso), in cui spiccano Aleif Hamdan alla chitarra solista, Jenn Hwan Wong al piano ed organo e Donnie Hogue alla batteria, con in più un ospite del calibro di Colin Linden presente in tutte le canzoni tranne tre. E se vi aspettate un tipico disco da cantautore, voce, chitarra e poco altro (che pure sarebbe stato ben accetto) dovete riformulare il vostro pensiero, in quanto Dreamers è un disco di puro pop-rock di stampo californiano dal suono elettrico e pimpante, in alcuni casi decisamente rock, ma caratterizzato comunque dalla indiscutibile classe ed esperienza del leader. Cast A Stone fa iniziare il CD in maniera grintosa e potente, direi sorprendente per uno che da anni non metteva piede in uno studio: brano rock elettrico e coinvolgente con più di un elemento folk e sapori d’Irlanda, grazie anche al violino suonato da Rhiannon Giddens (che però non canta). Shape Shifters è pure meglio, una rock song distesa e fluida, sfiorata dal blues ed impreziosita dalla slide di Linden (ed un ottimo assolo da parte di Hamdan), e Jesse che canta con la sua famosa voce vellutata ma con piglio deciso.

Walk The Talk è un pop-rock cadenzato dal sapore californiano e con ottimi intrecci chitarristici, anch’esso servito da un motivo di quelli che piacciono al primo ascolto. For Orlando è una ballata sofisticata e raffinata strumentata con gusto e che profuma ancora di California lontano un miglio, Take Me To The River è pop-rock di classe, ricorda certe cose del David Crosby meno etereo e più diretto e si ascolta con piacere, They Were Dreamers è uno slow pianistico dal motivo toccante, sempre sostenuto da una strumentazione vigorosa alle spalle. Cruising At Sunset è un pezzo ritmato e delizioso tra blues e jazz, ben suonato e con un bel piano elettrico, Lyme Life uno scintillante folk-rock in cui Jesse affronta con leggerezza l’argomento della malattia che lo affligge, ed è tra le più belle del lavoro (solo a me qui ricorda Ian Hunter?) https://www.youtube.com/watch?v=1MVnJFixl1A , mentre Here Comes The Night (Van Morrison non c’entra) vede il nostro ancora alle prese con un pop-rock diretto e vibrante. For My Sisters è una rock ballad sontuosa e melodicamente impeccabile (e Jesse canta benissimo), While Texas Is Drowning è uno splendido slow tra country ed un pizzico di soul, con la partecipazione in duetto di Rosanne Cash https://www.youtube.com/watch?v=9Q84WjqwamY , One More Time è invece una rock’n’roll song coinvolgente ed orecchiabile. Il CD si chiude con la tenue ed acustica On And On e con Look Over Yonder, trascinante rock-blues che curiosamente ha un attacco identico a quello di Proud Mary.

Sinceramente mi ero un po’ dimenticato di Jesse Colin Young, ma per fortuna lui non si è dimenticato di noi: bentornato.

Marco Verdi

Un’Edizione Deluxe Che Non Poteva Mancare! Hootie & The Blowfish – Cracked Rear View 25th Anniversary

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Hootie & The Blowfish – Cracked Rear View 25th Anniversary – Rhino/Warner 2CD – 3CD/DVD Box Set

Mi sembrava strano che Cracked Rear View, album di debutto del quartetto della Carolina del Sud Hootie & The Blowish (uscito nel 1994), non avesse ancora beneficiato di una edizione commemorativa. Stiamo infatti parlando del nono album di tutti i tempi per copie vendute, con la cifra esorbitante di 21 milioni di unità (copie fisiche, niente download all’epoca), un numero impressionante e da un certo punto di vista perfino incomprensibile anche dopo 25 anni. Intendiamoci, Cracked Rear View (titolo preso dal testo della canzone Learinng How To Love You di John Hiatt) è un ottimo disco di puro rock americano classico, basato sul suono delle chitarre e su una serie di canzoni piacevoli e dirette con elementi roots, ma non lo giudicherei certo uno dei capolavori degli anni novanta, né uno dei dischi da portarsi sulla proverbiale isola deserta. Gli Hooties erano semplicemente il gruppo giusto al posto giusto nel momento giusto: dopo una lunga gavetta che li aveva portati a pubblicare due cassette autogestite ed un EP (Kootchypop), i nostri furono notati da un talent scout della Atlantic che li fece firmare per la storica etichetta, vedendo in loro un gruppo dall’immagine fresca e rassicurante e con un suono diretto e figlio di band come i R.E.M., in decisa contrapposizione con il movimento grunge all’epoca imperante.

Il resto è storia: un bel disco dal suono rock e radiofonico allo stesso tempo, apparizioni mirate in TV ed un tour di successo, insieme ad una campagna di marketing ben fatta, hanno fatto diventare in poco tempo i quattro ragazzi delle superstar, anche se in seguito non sarebbero più riusciti a ripetere l’exploit. Oggi la Rhino ristampa Cracked Rear View in due edizioni, una doppia con un secondo CD di inediti e rarità, ed un bel box set (dalla confezione simile ad un digipak per DVD) con in aggiunta un terzo dischetto audio contenente un concerto inedito del 1995 ed un DVD con l’album originale in due diverse configurazioni sonore, cinque inediti del secondo CD ed altrettanti videoclip. Gli Hootie erano (o dovrei dire sono, dato che si sono riformati proprio quest’anno per un tour americano e, pare, un nuovo album da pubblicare in autunno) un quartetto classico, due chitarre e sezione ritmica, formato da Darius Rucker (voce solista e chitarra acustica), Marc Bryan (chitarra solista), Dean Felber (basso) e Jim Sonefeld (batteria), che in questo album di debutto vengono supportati da John Nau, organo e pianoforte, e Lili Haydn, violino in un paio di pezzi: il tutto sotto la produzione molto “rock” da parte di Don Gehman, famoso per aver dato un suono a John Mellencamp ma anche alla consolle in Lifes Rich Pageant dei R.E.M.

Il primo CD presenta quindi il disco originale rimasterizzato, che si apre in maniera scintillante con la splendida Hannah Jane, una rock song chitarristica diretta e dotata di un motivo irresistibile: si sente la mano di Gehman, l’approccio è rock, il suono potente e fluido e la bella voce di Rucker è messa in primo piano. Hold My Hand è il pezzo più noto dell’album, il singolo spacca classifiche, una rock ballad dal sound vigoroso e pieno, con una melodia corale decisamente bella e figlia dei R.E.M., con in più la ciliegina della presenza di David Crosby ai cori. Let Her Cry è uno slow chitarristico dalle sonorità ruspanti ed un motivo di grande impatto, Only Wanna Be With You è un folk-rock elettrificato vibrante e con un altro refrain di quelli che restano appiccicati in testa, mentre Running From An Angel è un pop-rock sempre con le chitarre in evidenza ed il violino che dona un tocco roots. I’m Goin’ Home è una ballata distesa e discorsiva, ancora contraddistinta da un bel ritornello e con il solito suono potente, Drowning ha un intro degno addirittura di una southern band, Time è un lucido brano di chiara influenza “remmiana” ma con una sua personalità, Look Away è meno appariscente ma dal refrain comunque degno di nota. Finale con  la rilassata Not Even The Trees (ma il suono è sempre rock), la toccante ballata pianistica Goodbye e, come ghost track, una breve versione a cappella del traditional Motherless Child.

Il secondo dischetto, 20 canzoni, parte con l’outtake inedita All That I Believe, un pop-rock gagliardo ed orecchiabile che non solo non si spiega come mai sia stato lasciato fuori dall’album, ma secondo me poteva ben figurare anche come singolo. Poi abbiamo quattro rari lati B, un brano originale (Where Were You) e tre cover (le saltellanti I Go Blind della band canadese 54-40 e Almost Home dei Reivers – molto bella questa – ed una splendida rilettura di Fine Line di Radney Foster, puro rockin’ country), oltre ad una versione decisamente “rootsy” di Hey Hey What Can I Do dei Led Zeppelin, tratta da un raro tributo del 1995 al gruppo inglese. Si prosegue con i cinque pezzi dell’EP del 1993 Kootchypop, con versioni già belle di Hold My Hand e Only Wanna Be With You (i nostri erano già pronti per il grande salto) e tre canzoni non riprese su Cracked Rear View, ma che avrebbero fatto la loro figura (The Old Man And Me, che verrà poi ripresa sul loro secondo lavoro Faiweather Johnson, If You’re Going My Way e Sorry’s Not Enough): il suono era già tosto ed elettrico al punto giusto. Ecco poi le quattro rarissime canzoni della cassetta Time del 1991 (quattro pezzi che poi finiranno in altra veste nel debut album, tra cui Let Her Cry che era già bellissima) e cinque da quella del 1990 intitolata semplicemente Hootie & The Blowfish, le note Look Away e Hold My Hand e le inedite I Don’t Understand, Little Girl e Let My People Go: il suono è meno esplosivo ma la capacità dei nostri nel songwriting c’era già.

E poi c’è il terzo CD, altri 20 pezzi (17 dei quali inediti e gli altri tre finiti su vari singoli, e comunque rari) registrati a Pittsburgh, Pennsylvania, il 3 Febbraio del 1995. Sono presenti tutte e undici le canzoni di Cracked Rear View (ed anche la traccia nascosta Motherless Child), tutte in versioni più essenziali e dirette di quelle in studio in quanto sul palco non ci sono sessionmen e quindi mancano strumenti presenti sul disco come organo, piano, violino, ecc. Ci sono anche i tre inediti di Kootchypop e pure due dei lati B presenti sul secondo dischetto (I Go Blind e Fine Line); completano il quadro altre tre cover: una solida Use Me  di Bill Withers, una irresistibile The Ballad Of John And Yoko (The Beatles, of course) ed una deliziosa, ma breve, versione del classico di Stephen Stills Love The One You’re With, che chiude il concerto. Rucker e compagni non riusciranno più a ripetere in seguito l’exploit di questo esordio (anche se il già citato Fairweather Johnson venderà la comunque rispettabile cifra di tre milioni di copie), ma direi che si possono accontentare in ogni caso di avere consegnato con Cracked Rear View il loro nome alla storia della nostra musica.

Marco Verdi

Un Duo “Strano” Che Suona Solo In Assenza Di Rumore! Lowland Hum – Glyphonic

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Lowland Hum – Glyphonic – Lowland Hum CD

I Lowland Hum sono uno strano gruppo, anzi in realtà un duo formato dai coniugi Daniel e Lauren Goans, proveniente da Charlottesville in Virginia. Ho detto strano non per il tipo di musica proposta, che si può tranquillamente definire cantautorato di stampo folk, ma per l’approccio che hanno verso la loro arte e la vita di tutti i giorni. Infatti i nostri tendono a fuggire dal caos quotidiano, dal mondo odierno che va ad una velocità folle e se sei più lento sono affari tuoi: Lauren e Daniel hanno i loro ritmi, i loro tempi e le loro pause, e la musica che suonano è la diretta conseguenza di questo tipo di visione. Canzoni lente, meditate, con pochi strumenti e suoni centellinati al millimetro: i Lowland Hum si occupano di tutto, dall’uso di tutti gli strumenti (principalmente chitarre, occasionalmente un pianoforte, la sezione ritmica quando proprio non ne possono fare a meno), alle voce, fino alla produzione e distribuzione dei loro album.

Giusto per avere un idea di come lavorano, basti pensare che per registrare il loro nuovo disco, Glyphonic (il quarto della loro carriera, a due anni da Thin), i coniugi Goans si alzavano prestissimo, quando la città dormiva ancora, in modo da poter incidere nel silenzio del mattino, ed interrompendosi ogni qualvolta passava un treno, o sopraggiungevano i rumori del traffico cittadino che noi comuni mortali siamo talmente abituati a sentire che non ci facciamo neanche più caso. Come se non bastasse, Lauren è un’artista a tutto tondo, pittrice e regista, ed è solita girare piccoli video per ogni canzone da proiettare durante i loro show dal vivo, così da fornire al pubblico un’esperienza sensoriale completa. La musica, come ho già accennato, è folk cantautorale intenso e profondo, canzoni lente nobilitate dal contrasto tra la voce dolce di Lauren e quella baritonale di Daniel: Glyphonic dura appena 31 minuti, ma la noia non affiora neppure per un attimo. Il disco si apre con la breve Will You Be, due voci e due chitarre (una acustica ed una elettrica e “knopfleriana”), ma il suono è comunque forte e vigoroso anche in assenza di basso e batteria, con una melodia incalzante.

A Drive Through The Countryside vede solo Lauren alla voce, per un pezzo dall’atmosfera sognante, chitarra arpeggiata ed armonie vocali che fanno venire in mente lo stile di David Crosby; nell’eterea e gentile Salzburg Summer entrano anche un piano e, con molta discrezione, una batteria, e la voce di Lady Goans è perfetta per questo tipo di musica, tra folk, pop ed una leggera spruzzata di psichedelia. Equator Line, a due voci, è vivace nonostante la strumentazione scarna, con un andamento da filastrocca folk, I Like You That Way è ancora acustica e sfiorata dal piano, un brano intenso ed interiore, mentre la bucolica Raise The Ring è una boccata d’aria fresca e pura, ed è eseguita con estrema finezza. Slow è folk d’autore al 100%, e risulta una delle più riuscite dal punto di vista melodico, il tutto sempre con due strumenti in croce ma con parecchio feeling. W/Sam è l’unica cantata dal solo Daniel, un pezzo intimista in cui il nostro è in perfetta solitudine (anche se verso la fine arriva il piano ed una leggera percussione), e Waite ne è l’ideale controparte al femminile, dato che canta solo Lauren accompagnata da chitarra e piano. Il CD si chiude con Eye In The Sky, che non è la famosa hit dell’Alan Parsons Project, ma un brano ancora etereo e quasi crepuscolare, e con la breve In Darkness, una ninna nanna di estrema dolcezza.

I Lowland Hum avranno anche una visione arcaica del mondo moderno e della velocità con cui si evolve, ma non nascondo di provare una certa invidia per il loro modo di vivere.

Marco Verdi