Un’Edizione Deluxe Che Non Poteva Mancare! Hootie & The Blowfish – Cracked Rear View 25th Anniversary

hootie and the blowfish cracked rear view

Hootie & The Blowfish – Cracked Rear View 25th Anniversary – Rhino/Warner 2CD – 3CD/DVD Box Set

Mi sembrava strano che Cracked Rear View, album di debutto del quartetto della Carolina del Sud Hootie & The Blowish (uscito nel 1994), non avesse ancora beneficiato di una edizione commemorativa. Stiamo infatti parlando del nono album di tutti i tempi per copie vendute, con la cifra esorbitante di 21 milioni di unità (copie fisiche, niente download all’epoca), un numero impressionante e da un certo punto di vista perfino incomprensibile anche dopo 25 anni. Intendiamoci, Cracked Rear View (titolo preso dal testo della canzone Learinng How To Love You di John Hiatt) è un ottimo disco di puro rock americano classico, basato sul suono delle chitarre e su una serie di canzoni piacevoli e dirette con elementi roots, ma non lo giudicherei certo uno dei capolavori degli anni novanta, né uno dei dischi da portarsi sulla proverbiale isola deserta. Gli Hooties erano semplicemente il gruppo giusto al posto giusto nel momento giusto: dopo una lunga gavetta che li aveva portati a pubblicare due cassette autogestite ed un EP (Kootchypop), i nostri furono notati da un talent scout della Atlantic che li fece firmare per la storica etichetta, vedendo in loro un gruppo dall’immagine fresca e rassicurante e con un suono diretto e figlio di band come i R.E.M., in decisa contrapposizione con il movimento grunge all’epoca imperante.

Il resto è storia: un bel disco dal suono rock e radiofonico allo stesso tempo, apparizioni mirate in TV ed un tour di successo, insieme ad una campagna di marketing ben fatta, hanno fatto diventare in poco tempo i quattro ragazzi delle superstar, anche se in seguito non sarebbero più riusciti a ripetere l’exploit. Oggi la Rhino ristampa Cracked Rear View in due edizioni, una doppia con un secondo CD di inediti e rarità, ed un bel box set (dalla confezione simile ad un digipak per DVD) con in aggiunta un terzo dischetto audio contenente un concerto inedito del 1995 ed un DVD con l’album originale in due diverse configurazioni sonore, cinque inediti del secondo CD ed altrettanti videoclip. Gli Hootie erano (o dovrei dire sono, dato che si sono riformati proprio quest’anno per un tour americano e, pare, un nuovo album da pubblicare in autunno) un quartetto classico, due chitarre e sezione ritmica, formato da Darius Rucker (voce solista e chitarra acustica), Marc Bryan (chitarra solista), Dean Felber (basso) e Jim Sonefeld (batteria), che in questo album di debutto vengono supportati da John Nau, organo e pianoforte, e Lili Haydn, violino in un paio di pezzi: il tutto sotto la produzione molto “rock” da parte di Don Gehman, famoso per aver dato un suono a John Mellencamp ma anche alla consolle in Lifes Rich Pageant dei R.E.M.

Il primo CD presenta quindi il disco originale rimasterizzato, che si apre in maniera scintillante con la splendida Hannah Jane, una rock song chitarristica diretta e dotata di un motivo irresistibile: si sente la mano di Gehman, l’approccio è rock, il suono potente e fluido e la bella voce di Rucker è messa in primo piano. Hold My Hand è il pezzo più noto dell’album, il singolo spacca classifiche, una rock ballad dal sound vigoroso e pieno, con una melodia corale decisamente bella e figlia dei R.E.M., con in più la ciliegina della presenza di David Crosby ai cori. Let Her Cry è uno slow chitarristico dalle sonorità ruspanti ed un motivo di grande impatto, Only Wanna Be With You è un folk-rock elettrificato vibrante e con un altro refrain di quelli che restano appiccicati in testa, mentre Running From An Angel è un pop-rock sempre con le chitarre in evidenza ed il violino che dona un tocco roots. I’m Goin’ Home è una ballata distesa e discorsiva, ancora contraddistinta da un bel ritornello e con il solito suono potente, Drowning ha un intro degno addirittura di una southern band, Time è un lucido brano di chiara influenza “remmiana” ma con una sua personalità, Look Away è meno appariscente ma dal refrain comunque degno di nota. Finale con  la rilassata Not Even The Trees (ma il suono è sempre rock), la toccante ballata pianistica Goodbye e, come ghost track, una breve versione a cappella del traditional Motherless Child.

Il secondo dischetto, 20 canzoni, parte con l’outtake inedita All That I Believe, un pop-rock gagliardo ed orecchiabile che non solo non si spiega come mai sia stato lasciato fuori dall’album, ma secondo me poteva ben figurare anche come singolo. Poi abbiamo quattro rari lati B, un brano originale (Where Were You) e tre cover (le saltellanti I Go Blind della band canadese 54-40 e Almost Home dei Reivers – molto bella questa – ed una splendida rilettura di Fine Line di Radney Foster, puro rockin’ country), oltre ad una versione decisamente “rootsy” di Hey Hey What Can I Do dei Led Zeppelin, tratta da un raro tributo del 1995 al gruppo inglese. Si prosegue con i cinque pezzi dell’EP del 1993 Kootchypop, con versioni già belle di Hold My Hand e Only Wanna Be With You (i nostri erano già pronti per il grande salto) e tre canzoni non riprese su Cracked Rear View, ma che avrebbero fatto la loro figura (The Old Man And Me, che verrà poi ripresa sul loro secondo lavoro Faiweather Johnson, If You’re Going My Way e Sorry’s Not Enough): il suono era già tosto ed elettrico al punto giusto. Ecco poi le quattro rarissime canzoni della cassetta Time del 1991 (quattro pezzi che poi finiranno in altra veste nel debut album, tra cui Let Her Cry che era già bellissima) e cinque da quella del 1990 intitolata semplicemente Hootie & The Blowfish, le note Look Away e Hold My Hand e le inedite I Don’t Understand, Little Girl e Let My People Go: il suono è meno esplosivo ma la capacità dei nostri nel songwriting c’era già.

E poi c’è il terzo CD, altri 20 pezzi (17 dei quali inediti e gli altri tre finiti su vari singoli, e comunque rari) registrati a Pittsburgh, Pennsylvania, il 3 Febbraio del 1995. Sono presenti tutte e undici le canzoni di Cracked Rear View (ed anche la traccia nascosta Motherless Child), tutte in versioni più essenziali e dirette di quelle in studio in quanto sul palco non ci sono sessionmen e quindi mancano strumenti presenti sul disco come organo, piano, violino, ecc. Ci sono anche i tre inediti di Kootchypop e pure due dei lati B presenti sul secondo dischetto (I Go Blind e Fine Line); completano il quadro altre tre cover: una solida Use Me  di Bill Withers, una irresistibile The Ballad Of John And Yoko (The Beatles, of course) ed una deliziosa, ma breve, versione del classico di Stephen Stills Love The One You’re With, che chiude il concerto. Rucker e compagni non riusciranno più a ripetere in seguito l’exploit di questo esordio (anche se il già citato Fairweather Johnson venderà la comunque rispettabile cifra di tre milioni di copie), ma direi che si possono accontentare in ogni caso di avere consegnato con Cracked Rear View il loro nome alla storia della nostra musica.

Marco Verdi

Ancora Un Disco Di Qualità Per Questo Texano Mancato. Jon Wolfe – Any Night In Texas

jon wolfe any night in texas

Jon Wolfe – Any Night In Texas – Fool Hearted CD

Jon Wolfe, countryman originario di Tulsa, Oklahoma (ma texano d’adozione) si è rivelato al mondo con il suo secondo album, l’ottimo It All Happened In A Honky Tonk, uscito una prima volta nel 2010 e ristampato in versione deluxe dalla Warner ben tre anni dopo. Wolfe non è molto prolifico, in quanto da allora ha pubblicato solo altri due lavori, Natural Man nel 2015 ed ora questo nuovissimo Any Night In Texas, ma è uno che non fa dischi tanto per farli, né incide prodotti commerciali tipicamente made in Nashville solo per vendere, insomma ci tiene alla qualità. La sua musica è un country robusto ed elettrico, dal ritmo spesso alto e con canzoni di buon livello: Jon è dotato anche di un’ottima voce, ed il suo stile è maturato disco dopo disco, al punto che si può dire che Any Night In Texas è il suo miglior lavoro dopo l’album del 2010. Un disco di puro country texano, roccato e ritmato a puntino, e con il giusto equilibrio tra arte e commercio: quattordici canzoni suonate come si deve e prodotte con mano sicura da Jon stesso con Lex Lipsitz, e con diverse collaborazioni illustri nella stesura dei brani, con nomi come Ashley Monroe, Jon Pardi, Radney Foster, Brandi Clark, Rhett Akins e l’ex leader degli Hootie & The Blowfish, Darius Rucker, da tempo reinventatosi cantante country.

Girl Like You è un brano elettrico e potente dal motivo decisamente orecchiabile, che fonde mirabilmente atmosfere radio friendly ed un’attitudine da vero country rocker, cosa che si ripete, se possibile accentuata, nella seguente Time On My Hands, molto diretta e con le chitarre in evidenza. La title track mette in primo piano la bella voce del nostro e la sua propensione al ritmo, per una fluida country ballad che si lascia apprezzare in toto; Boots On A Dance Floor, nonostante il titolo, è uno slow, anche se le chitarre lavorano di fino sullo sfondo e non ci sono cedimenti di sorta, mentre Baby This And Baby That torna a parlare la lingua del country rock: forse qualche brano è prevedibile, ma il suono è quello giusto, non ci sono aiuti da parte di synth, programming, pro-tools e diavolerie varie e la qualità complessiva ne guadagna. A Country Boy’s Life Well Lived è un irresistibile country’n’roll del tipo che si balla nei bar texani, ritmo e divertimento assicurati, Drink For Two è un vibrante duetto con la graziosa Sunny Sweeney, un pezzo che cresce man mano che lo si ascolta, Airport Kiss è forse un tantino ripetitiva, ma sempre piacevole e ben fatta, mentre Hang Your Hat On That è un lento dal refrain intenso e con un ottimo assolo chitarristico. La ultime cinque canzoni confermano quanto di buono si è sentito nelle prime nove, con una menzione particolare per la roccata Whenever I’m With You, la mossa That’s What A Song Will Do, contraddistinta da un bel riff, e la tersa We’re On To Somethin’.

Al quarto disco Jon Wolfe non è ancora stato risucchiato dal pericoloso calderone di Nashville (anche se è proprio là che va ad incidere i suoi lavori), e ad occhio e croce credo che riuscirà a mantenere la barra dritta anche in futuro.

Marco Verdi

Una Longeva Band Dal Suono “Camaleontico”! Sister Hazel – Lighter In The Dark

sister hazel lighter in the dark

Sister Hazel – Lighter In The Dark – Croakin’ Poets Records/Rock Ridge

I Sister Hazel (di cui ci eravamo già “occupati” per il Live celebrativo del ventennale http://discoclub.myblog.it/2014/10/29/venti-stagioni-on-the-road-sister-hazel-20-stages/ ), sono una delle band più longeve attualmente in circolazione nell’ambito del rock americano, e in tutto il loro percorso non hanno mai avuto un cambiamento nella loro “line-up”. Assenti da sei anni, ovvero dall’ultimo lavoro in studio l’ottimo Heartland Highway (10), i Sister Hazel tornano con questo nuovo Lighter In The Dark, dove come al solito fanno una musica che spazia dal folk-rock al country, dal rock più classico al southern rock, privilegiando più la qualità che la quantità (certificata dai solo nove dischi in più di vent’anni, compreso questo). I cinque che vengono da Gainesville (come un certo Tom Petty), formano un gruppo capitanato dal leader Ken Block, voce solista e chitarra acustica, Andrew Copeland alla chitarra ritmica, Ryan Newell,  chitarra solista, oltre a banjo, dobro e mandolino, Jett Beres al basso, Mark Trojanowski alla batteria, e come ospiti il polistrumentista Dave LaGrande, soprattutto alle tastiere, Kyle Aaron al violino, Steve Hinson alla pedal-steel, si sono ritrovati a Nashville nei Tin Ear Studio sotto la produzione del loro ingegnere del suono di lunga data Chip Matthews (Lady Antebellum, Brooks & Dunn, Richard Marx), per 14 tracce per la maggior parte firmate globalmente dai membri della band e che segnalano una decisa svolta counrtry-southern nel suono del gruppo.

Lighter In The Dark inizia con la bella ritmica galoppante di Fall Off The Map con ottime armonie vocali https://www.youtube.com/watch?v=Ag5niMusW-g , a cui fanno seguito una rock song chitarristica come That Kind Of BeautifulKaraoke Song in duetto con l’ex Hootie And The Blowfish, Darius Rucker (coautore del brano) https://www.youtube.com/watch?v=hjjozkkmQKo , per poi passare ad un guizzo di alta classe come la ballata Something To Believe In, e ad una intrigante Kiss Me Without Whiskey con un saltellante pianoforte honky-tonk. Con la pianistica e dolce Almost Broken si fa la conoscenza con la voce emergente di Jillian Jacqueline, mentre con la gioiosa Take It With Me si cambia marcia con un bel mid-tempo, per poi lasciare spazio di nuovo alle chitarre spiegate di We Got It All Tonight, il moderno-gospel di Danger Is Real, il country classico di Prettiest Girl At The Dance, con un eccellente lavoro di Hinson alla pedal-steel e belle armonie vocali che ricordano per certi versi le prime canzoni degli Eagles. Armonie che si ripetono anche in una dolce e acustica Thoroughbred Heart, e nel puro rock’n’roll di Run Highway Run (da ascoltare magari mentre si guida), e finire con le ballate Back To Me e una sontuosa Ten Candle Days, dalla inconfondibile aria celtica, scritta e cantata  da Jett Beres che fa il suo esordio come voce solista e con il violino di Kyle Aaron a toccare le corde del cuore.

Anche se negli ultimi anni si erano leggermente defilati, con questo Lighter In The Dark i Sister Hazel rimettono in un certo senso le cose a posto e il disco si colloca come uno dei più riusciti nella carriera del quintetto, in quanto ormai Ken, Andrew, Ryan, Jett e Mark suonano a memoria, proponendo una musica varia e senza fronzoli, con brani solari e energici, suonati con grinta e in modo professionale. La carriera dei Sister Hazel sicuramente non cambierà di una virgola la storia del rock americano, ma è difficile non restare favorevolmente colpiti dalla loro musica, e se volete conoscere più a fondo questa band vi consiglio di partire con gli ascolti dei loro primi dischi, e siate certi che non rimarrete delusi, il loro rock è di prima fascia.

Tino Montanari