Un Altro Live Delle Aquile, Ma Almeno Questo E’ Completo! Eagles – Live From The Forum MMXVIII

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Eagles – Live From The Forum MMXVIII – Rhino/Warner 2CD – 2CD/DVD – 2CD/BluRay – 4LP

Quando nel gennaio del 2016 è mancato prematuramente Glenn Frey, membro fondatore e co-leader degli Eagles insieme a Don Henley, ho immediatamente pensato che la storia dello storico gruppo californiano fosse finita per sempre. Inizialmente questo era stato anche il pensiero dei suoi ex compagni (Henley, Timothy B. Schmit e Joe Walsh), ma poi evidentemente il profumo della pecunia è stato talmente forte da far loro cambiare presto idea; siccome però la loro attività principale ormai era circoscritta ai tour e di dischi nuovi non se ne parlava neanche, era sorto il problema di sostituire l’amico scomparso, ed i tre hanno optato per due nomi anziché uno. La decisione di andare avanti è già moralmente discutibile di suo (ma se i Queen trovano legittimo proseguire con un ex vincitore di talent show al posto di Freddie Mercury allora vale tutto), ma la scelta di rimpiazzare Frey con ben due musicisti è oltremodo bizzarra: il primo è Vince Gill, notissimo countryman titolare di una lunga carriera di tutto rispetto, ma che non ha nulla da spartire con il passato delle Aquile (se non il fatto di esserne sicuramente stato ispirato), mentre l’altro è il figlio di Glenn, Deacon Frey, che ha dovuto in fretta e furia “inventarsi” musicista per rispondere alla chiamata di Henley e soci, che con questa mossa pensavano di legittimare l’operazione.

Personalmente giudico abbastanza triste il fatto che Frey Jr. debba girare l’America riproponendo le canzoni del padre e non possa tentare di costruirsi una carriera sua, dato che ormai ha 27 anni, un’età comunque giovane ma non proprio da pischello. Dopo due anni di concerti ora i nostri hanno dato alle stampe la prima pubblicazione ufficiale con la nuova formazione a cinque, un album dal vivo intitolato Live From The Forum MMXVIII, registrato nel corso di tre serate di settembre del 2018 al The Forum di Inglewood, Los Angeles (disponibile in varie configurazioni audio e video, e con le immagini girate con la tecnologia 4K): a monte di tutto avere un nuovo disco degli Eagles, seppur live, è un piccolo evento dato che stiamo parlando di una delle band più popolari del pianeta, e siccome alla maggior parte degli ascoltatori non importa poi molto dei discorsi fatti prima sul buon gusto di continuare o meno senza Frey, prevedo vendite cospicue soprattutto nell’imminente periodo natalizio.

E poi non dimentichiamo che l’unico live della loro storia che forniva l’esperienza di un concerto completo era il Live From Melbourne del 2005, tra l’altro uscito solo in video. I nostri sul palco sono sempre stati impeccabili e continuano ad esserlo: Henley ha ancora una gran voce, Schmit armonizza sempre alla grande con il suo timbro angelico, Walsh non sarà un genio ma è un ottimo chitarrista ed un vero animale da palcoscenico, Gill è un professionista serissimo ed anche il giovane Frey mostra di cavarsela egregiamente; in più il suono è davvero spettacolare, ed i vari brani sono eseguiti con una precisione svizzera grazie anche all’aiuto di una notevole backing band alle spalle formata da due tastieristi, un batterista, un chitarrista (l’ottimo Steuart Smith), una sezione archi di cinque elementi ed altrettanti fiati. E poi, dulcis in fundo, ci sono le canzoni, veri e propri classici il cui ascolto è in grado di mettere d’accordo tutti, titoli famosissimi come Take It Easy, One Of These Nights, Take It To The Limit, Tequila Sunrise, I Can’t Tell You Why, New Kid In Town, Peaceful Easy Feeling, Love Will Keep Us Alive, Lyin’ Eyes, Already Gone, Heartache Tonight, Life In The Fast Lane, fino alla conclusione del concerto con le mitiche Hotel California, ancora oggi uno dei più bei pezzi in circolazione, e la ballata pianistica Desperado, che normalmente rappresenta la fine dello show ma qui c’è ancora tempo per una potente e coinvolgente resa di The Long Run: alla fine quasi non vi accorgerete che i brani di Frey sono cantati da altri due musicisti.

In scaletta però troviamo anche qualche canzone meno suonata, come l’iniziale cover di Seven Bridges Road (Steve Young), con i cinque che armonizzano alla grande, la roccata In The City che è il miglior contributo di sempre alle Aquile da parte di Walsh, la splendida versione di Ol’ 55 di Tom Waits, il pimpante country-rock di How Long (unico pezzo tratto dall’altalenante comeback album del 2007 Long Road Out Of Eden), e purtroppo anche la pessima Those Shoes. Infine c’è anche spazio per qualche brano dei vari repertori solisti, e se The Boys Of Summer di Henley è sempre molto piacevole (ma perché non suonano mai The End Of The Innocence?), Walsh passa dalle trascinanti Walk Away e Life’s Been Good al rock potente ma nulla più di Rocky Mountain Way per finire con la bruttarella Funk # 49, mentre pure Gill ha un momento tutto per sé con Don’t Let Our Love Start Slippin’ Away, uno dei suoi successi più noti.

Quindi, indipendentemente dal fatto che gli Eagles con Glenn Frey erano un’altra cosa, questo Live From The Forum MMXVIII si ascolta con grande piacere e può stare dignitosamente nella discografia del gruppo californiano, anche se gira e rigira sono sempre le stesse canzoni.

Marco Verdi

Un Doppio CD Molto Bello In Ricordo Di Un Autentico Outsider. David Blue – These 23 Days In September/Stories/Nice Baby And The Angel/Cupid’s Arrow

david blue These 23 Days In September Stories Nice Baby And The Angel Cupid's Arrow (2CD

David Blue – These 23 Days In September/Stories/Nice Baby And The Angel/Cupid’s Arrow – Morello/Cherry Red 2CD

Anche negli anni sessanta e settanta, cioè quando la buona musica vendeva ed andava in classifica, c’era una lunga schiera di artisti di talento che per vari motivi, tra i quali anche una buona dose di sfortuna, non riuscì ad assaporare il successo neppure per un weekend. Uno di questi “beautiful losers” è stato senza dubbio David Blue, cantautore di stampo classico e titolare di sette pregevoli album nella decade tra il 1966 ed il 1976, che ebbe il suo unico momento di gloria (forse più finanziaria che in termini di popolarità) quando gli Eagles incisero la sua Outlaw Man pubblicandola poi sull’album Desperado del 1973. Nato Stuart David Cohen a Providence, Rhode Island, da padre ebreo e madre cattolica, il nostro si spostò giovanissimo a New York dove iniziò a far parte della scena folk del Greenwich Village, diventando amico tra gli altri di Eric Andersen (che gli suggerì di cambiare il cognome da Cohen a Blue per il colore dei suoi occhi, dato che c’era già un David Cohen che bazzicava l’ambiente – e che poi diventerà membro di Country Joe & The Fish) e soprattutto di Bob Dylan, che lo stimava a tal punto da chiamarlo molti anni più tardi, nel 1975, a far parte della prima versione della Rolling Thunder Revue (nel film Renaldo & Clara David compare in una sola scena, mentre gioca a flipper in un bar) ed a partecipare nello stesso anno alla sessione fotografica per la copertina dei Basement Tapes (e pare che Blue ebbe il privilegio di essere presente mentre Dylan componeva Blowin’ In The Wind, che è un po’ come assistere a Leonardo che dipinge la Gioconda).

La prima testimonianza su disco del nostro avvenne su un album della Elektra del 1965 intitolato Singer Songwriter Project, una sorta di sampler di giovani talenti in cui David divideva lo spazio con Richard Farina ed i semi-sconosciuti Patrick Sky e Bruce Murdoch, ma l’esordio vero e proprio ci fu l’anno seguente con l’omonimo David Blue, sempre per la Elektra, un lavoro dal riscontro commerciale fallimentare che convinse l’etichetta a lasciare a piedi l’artista. Oggi la benemerita Cherry Red pubblica questo interessante doppio CD in cui vengono raccolti quattro album della carriera di Blue (senza bonus tracks), in ordine cronologico ma non consecutivi: nei due dischetti troviamo infatti il secondo disco These 23 Days In September (1968), il quarto Stories (1972), il quinto Nice Baby And The Angel (1973) ed il settimo ed ultimo Cupid’s Arrow (1976), lasciando quindi fuori il già citato David Blue oltre a Me e Com’n Back For More (che varrebbe comunque la pena di cercare).

Questa ristampa giunge quindi particolarmente gradita, in quanto pone sotto i riflettori un musicista artisticamente sfortunatissimo (come vedremo tra poco, anche nella vita) ed oggi totalmente dimenticato, ma che era in possesso di un indubbio talento e della capacità di scrivere ottime canzoni, oltre ad avere un approccio raffinato ed elegante nell’eseguirle. These 23 Days In September è un album che vede un David ancora un po’ acerbo e derivativo ma già sulla buona strada per diventare un artista completo: il disco è puro folk, con la voce stentorea del nostro e la sua chitarra al centro di tutto e pochi altri strumenti di contorno, tra cui la seconda chitarra del produttore Gabriel Mekler ed il pianoforte di Bob Rafkin. Il disco (uscito all’epoca per la Reprise) inizia con la drammatica ed emozionante title track che contrasta con la solare Ambitious Anna, dai sapori quasi caraibici, mentre altri pezzi degni di nota sono il valzerone folk The Grand Hotel, la struggente ballata pianistica The Sailor’s Lament ed il vibrante folk-rock The Fifth One.

Nel 1972 David entra a far parte del roster della neonata Asylum di David Geffen e pubblica Stories, il lavoro di un songwriter decisamente più maturo che viene prodotto dallo stesso Blue insieme a Rafkin ed a Henry Lewy, e che vede all’interno musicisti del calibro di Ry Cooder, Russ Kunkel, Joe Barbata, Chris Etheridge e Rita Coolidge, con gli archi arrangiati da Jack Nitzsche. L’album parte con l’intimista Looking For A Friend e si snoda attraverso altre sette canzoni, tra le quali meritano un cenno Sister Rose, bella ed intensa, la splendida House Of Changing Faces, ispirata alla dipendenza dall’eroina dell’autore e con la slide tagliente di Cooder in evidenza, strumento protagonista anche della conclusiva The Blues (All Night Long). Menzione a parte per Marianne, ballata dai sapori messicani dedicata dal nostro a Marianne Ihlen, proprio la musa ispiratrice di Leonard Cohen che ebbe una fugace relazione anche con David (evidentemente aveva un debole per i Cohen).

Con Nice Baby And The Angel Blue pubblica il suo lavoro più ambizioso fino a quel momento, facendoselo produrre da Graham Nash e chiamando a suonare nomi illustri come Dave Mason, Glenn Frey e David Lindley, oltre al ritorno di Etheridge al basso e Barbata alla batteria (ed il disco con le sue 25.000 copie sarà il più venduto in assoluto da David). Questo è anche l’album di Outlaw Man, una rock ballad elettrica che non solo è la più popolare tra quelle scritte da Blue (grazie, come abbiamo visto, agli Eagles), ma è anche una delle migliori, con un eccellente Mason alla solista. Decisamente belle anche Lady O’Lady, deliziosa folk song in purezza, la countreggiante True To You, la profonda On Sunday, Any Sunday, la roccata e coinvolgente Darlin’ Jenny (inconfondibile la slide di Lindley), la fulgida ed emozionante Dancing Girl, una delle più belle ballate del nostro, la coheniana (nel senso di Leonard) Troubadour Song ed il quasi rock’n’roll di Train To Anaheim, altro pezzo che avrei visto bene rifatto dalle Aquile.

E veniamo a Cupid’s Arrow, ultimo disco in assoluto di David, caratterizzato dalla produzione di stampo rock a cura di Barry Goldberg, che suona anche piano ed organo insieme ad un parterre di stelle che comprende Jesse Ed Davis ed ancora Lindley alle chitarre, Donald “Duck” Dunn al basso e Levon Helm alla batteria, oltre al cantante inglese Jackie Lomax ai cori. Spicca la stupenda title track, commosso omaggio del nostro a Phil Ochs, ma sono sopra la media anche la squisita country song The Ballad Of Jennifer Lee, le roccate e trascinanti Tom’s Song e I Feel Bad, la malinconica Cordelia, ancora sfiorata dal country, e l’elettrica e dylaniana Primeval Tune, decisamente bella. Da quel momento David smise con la musica e si dedicò alla carriera cinematografica (va detto, senza consegnare ai posteri nessuna interpretazione da ricordare), fino a quando un mattino di dicembre del 1982 un infarto lo stroncò mentre faceva jogging a New York (e siccome la morte sa essere ironica in maniera macabra, il fatto successe a Washington Square Park, proprio dove era iniziata la sua carriera musicale), portandolo via a soli 41 anni; come ulteriore beffa il suo corpo rimase non identificato per ben tre giorni dal momento che Blue non aveva addosso alcun documento, ennesima prova del fatto che ormai nessuno si ricordava più di lui.

Ragione in più per fare vostra questa ottima ristampa: farete giustizia, anche se tardiva, ad un cantautore che avrebbe meritato ben altro destino.

Marco Verdi

Cofanetti Autunno-Inverno 3. L’Usignolo Dagli Occhi Azzurri: Seconda Parte. Judy Collins – The Elektra Albums, Volume Two (1970-1984)

judy collins the elektra albums volume two

Judy Collins – The Elektra Albums, Volume Two (1970-1984) – Edsel/Demon 9CD Box Set

Dopo avervi parlato qualche giorno fa del primo box pubblicato dalla Edsel e riguardante gli album degli anni sessanta di Judy Collins (il suo periodo migliore) https://discoclub.myblog.it/2019/10/10/cofanetti-autunno-inverno-2-lusignolo-dagli-occhi-azzurri-prima-parte-judy-collins-the-elektra-albums-volume-one-1961-1968/ , ecco qua il secondo cofanetto che completa il periodo Elektra della cantante di Seattle, spingendosi fino alla metà degli anni ottanta.

Gli Anni Settanta. Una decade ancora abbastanza proficua in termini di vendite, con album di qualità almeno nella prima parte, in cui Judy, ormai interprete esperta e con anche buone capacità di songwriting, si circonda nei vari lavori di musicisti del calibro di David Grisman, David Spinozza, Steve Goodman, Tony Levin, Steve Gadd, Norton Buffalo, Dean Parks, Fred Tackett e Jim Keltner. Whales & Nightingales (1970) segna un parziale ritorno alle atmosfere folk-rock dei sixties, un disco raffinato e molto piacevole con ottime rese di A Song For David (Joan Baez), Oh, Had I A Golden Thread (Pete Seeger, grande versione), un Dylan poco noto (Time Passes Slowly, meglio dell’originale su New Morning), due traduzioni di Jacquel Brel, una deliziosa The Patriot Game di Dominic Behan (la cui melodia è ispirata al traditional irlandese The Merry Month Of May, la stessa “presa in prestito” da Dylan per With God On Our Side), ed una ripresa della classica Amazing Grace per sola voce e coro, quasi ecclesiastica.

True Stories And Other Dreams (1973) è un album discreto, con la Collins che scrive ben cinque pezzi sui nove totali, tra i quali spicca la politicizzata (ed un tantino pretenziosa) Che, sette minuti e mezzo dedicati ad Ernesto Guevara: molto meglio la limpida e countreggiante Fisherman Song. Tra i brani altrui spiccano la squisita Cook With Honey di Valerie Carter, quasi una bossa nova, la delicata e folkie So Begins The Task di Stephen Stills e la mossa The Hostage di Tom Paxton, ispirata alla rivolta della prigione di Attica.

Judith (1975) è un album molto bello, il migliore della decade, una prova di maturità eccellente grazie anche alla lussuosa produzione di Arif Mardin. Il disco avrà anche un buon successo, e propone versioni impeccabili e raffinatissime di classici appartenenti a Jimmy Webb (The Moon Is A Harsh Mistress), Rolling Stones (Salt Of The Earth) e Steve Goodman (una splendida City Of New Orleans), nonché una rilettura in stile bossa nova della famosa Brother, Can You Spare A Dime, classico della Grande Depressione. Ma l’evergreen del disco è la struggente Send In The Clowns, scritta da Stephen Sondheim e che diventerà uno dei brani più popolari di Judy (che qui compone anche tre buone canzoni di suo pugno, soprattutto Born To The Breed).

Bread And Roses (1976) vede ancora Mardin in consolle, ed è un buon disco seppur un gradino sotto al precedente. Ma i brani di livello non mancano, come la maestosa title track che apre il disco (canzone di Mimi Farina, sorella della Baez), la sempre bella Spanish Is The Loving Tongue (brano che Dylan negli anni ha mostrato di amare molto) ed il “ritorno” di Leonard Cohen con la pura Take This Longing. In altri pezzi però si comincia ad intravedere una deriva troppo pop, come nel singolo Special Delivery e nella resa un po’ “leccata” di Come Down In Time di Elton John, che si salva in quanto grande canzone.

Hard Times For Lovers (1979) chiude il decennio in tono minore, inaugurando per Judy la parabola discendente per quanto riguarda le vendite dei suoi album. Disco dal suono fin troppo elegante, che perde il confronto con i suoi predecessori per una confezione troppo attenta a sonorità radiofoniche, nonostante la presenza di canzoni come Marie di Randy Newman, Desperado degli Eagles e la bella title track, dallo stile molto James Taylor. La cosa più notevole dell’album è il retro di copertina, che ritrae Judy di spalle completamente nuda.

Nel cofanetto non manca Living (1971), che per lungo tempo rimarrà l’ultimo live album della Collins, registrato in varie date del tour del 1970. Un disco molto bello, con Judy accompagnata da una super band che ha i suoi elementi di spicco nel paino di Richard Bell (all’epoca con la Full Tilt Boogie Band di Janis Joplin) e soprattutto nella chitarra di un giovane ma già bravissimo Ry Cooder. L’album predilige le ballate, a tratti è persino cupo ma intensissimo nelle varie performance, con versioni da brividi ancora di Cohen (Joan Of Arc e Famous Blue Raincoat), una rilettura pianistica della stupenda Four Strong Winds di Ian Tyson, ottime riletture del traditional All Things Are Quite Silent e di Chelsea Morning (Joni Mitchell), per finire con una migliore versione di Just Like Tom Thumb’s Blues di Dylan rispetto a quella orchestrata che apriva In My Life. C’è anche un brano in studio, la deliziosa Song For Judith, una delle migliori canzoni mai scritte dalla Collins, con Cooder che brilla particolarmente alla slide.

Gli Anni Ottanta.

Running For My Life (1980) è un lavoro per il quale Judy si affida perlopiù a compositori esterni che scrivono brani apposta per questo disco, azzerando le cover di pezzi famosi. L’album è di nuovo contraddistinto da arrangiamenti raffinati e decisamente pop, con il ricorso ad orchestrazioni che rendono il suono un po’ ridondante: le canzoni stesse non sono il massimo (Green Finch And Linnet Bird, Marieke e Wedding Song sono quasi imbarazzanti) e, se escludiamo la fluida ballata iniziale che dà il titolo al disco (scritta da Judy), la noia affiora spesso.

Le cose vanno un po’ meglio con Times Of Our Lives (1982), che ha la stessa struttura del precedente ma con orchestrazioni molto più leggere, ed in molti casi i brani sono di buona fattura pur mantenendo un suono radio-friendly. I pezzi migliori sono la gradevole Great Expectations, il pop di classe di It’s Gonna Be One Of Those Things, una emozionante rilettura della splendida Memory, tratta dal musical Cats di Andrew Lloyd-Webber (e che voce la Collins), e la limpida Drink A Round To Ireland, che recupera le atmosfere folk di un tempo.

Pollice verso invece per l’album conclusivo del box e del periodo Elektra: Home Again (1984), nonostante la produzione del noto arrangiatore e compositore di colonne sonore Dave Grusin, è pieno zeppo di sonorità anni ottanta fatte di sintetizzatori, drum machines e fairlight a go-go, un sound orripilante che rovina anche canzoni all’apparenza discrete come Only You (cover del duo pop Yazoo) e Everybody Works In China. C’è anche un inedito di Elton John (Sweetheart On Parade), una potenziale buona ballata che avrebbe però beneficiato di un arrangiamento semplice basato sul pianoforte. E’ tutto quindi per i due cofanetti dedicati a Judy Collins: chiaramente meglio il primo, ma anche nel secondo se ci si limita agli anni settanta c’è parecchia buona musica. E poi è quasi doveroso apprezzare ancora una volta una grande cantante di cui oggi si parla molto poco.

Marco Verdi

Il Suo Disco Migliore (Non Ci Voleva Molto): Diciamo Una Sufficienza Piena? Don Felder – American Rock’n’Roll

don felder american rock'n'roll

Don Felder – American Rock’n’Roll – BMG CD

Don Felder, noto per essere stato una delle due chitarre soliste degli Eagles dal 1974 al 1980 prima e dal 1994 al 2001 poi, ha sempre vissuto di rendita sull’appartenenza al famoso gruppo californiano. Originario della Florida (nativo di Gainesville, proprio come Tom Petty), Felder è sempre stato un ottimo chitarrista, ma mai un vero cantante e neppure un compositore prolifico: con le Aquile l’unico brano scritto e cantato interamente da lui è Visions, non esattamente un pezzo indimenticabile, mentre le canzoni della band che lo vedono come co-autore si contano sulle dita di una mano, anche se una di esse è nientemeno che Hotel California (ma è noto che l’accredito gli è stato concesso da Henley e Frey per via del meraviglioso assolo finale, del quale Don è il solo responsabile). Come artista solista ha sempre confermato di non essere molto prolifico, e di preferire al limite l’attività di sessionman di lusso: appena due dischi dalla prima separazione fino all’anno scorso, il non certo imperdibili Airborne (1983) e Road To Forever (2012), entrambi lavori all’insegna di un soft-rock piuttosto banale, ed il primo dei due pure infarcito da sonorità tipicamente anni ottanta.

Per questi motivi inizialmente la notizia di un nuovo album di Felder in uscita non mi aveva fatto vibrare più di tanto, ma poi sia il titolo, American Rock’n’Roll, che la copertina, evocativa anche se un po’ ruffiana, avevano attirato la mia attenzione, ed ancora di più aveva fatto l’ascolto in anteprima del brano che dà il titolo al CD: una canzone che mantiene quello che promette, chitarre a manetta, gran ritmo, suono molto potente anche se un po’ bombastico ed un testo che nomina un po’ tutti (da Hendrix a Santana, passando per Grateful Dead, Janis Joplin, Seger, Springsteen e finendo con Guns’n’Roses e Motley Crue), un pezzo che fa di tutto per essere “piacione” ma che non manca di trascinare chi lo ascolta. Devo comunque ammettere che il resto dell’album non è tutto a questo livello, in quanto Felder si dimostra un cantante appena sufficiente (ed infatti negli Eagles era l’unico che non cantava, ma è comunque migliore di altri sidemen, penso, per esempio, a Bill Wyman) ed un compositore che fatica a scrivere un intero disco senza incappare in alti e bassi. Musicalmente l’album è diverso dai due precedenti, in quanto spinge parecchio l’acceleratore sul rock, con sonorità spesso un po’ grezze e tamarre, tra hard rock e AOR non troppo levigato: va in ogni caso detto che le parti chitarristiche sono egregie e la grinta non manca, anche se siamo parecchio lontani dal sound delle Aquile.

Un’altra caratteristica peculiare è il fatto che American Rock’n’Roll sia letteralmente pieno zeppo di ospiti illustri, e se da una parte c’è gente dal pedigree immacolato o quasi (Bob Weir, Mick Fleetwood, Peter Frampton, Nathan East, Steve Gadd, Greg Leisz, Jim Keltner, Lenny Castro, Mike Finnigan, i due Toto Steve Porcaro e David Paich), dall’altra troviamo elementi che non si immaginerebbero su un disco di un ex Eagle, come i chitarristi Slash, Alex Lifeson (dei Rush), Richie Sambora e Joe Satriani, il batterista Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) e l’ugola di Sammy Hagar. Un gruppo di musicisti che dà quindi un’idea abbastanza chiara del fatto che Don ha cercato di fare un disco mischiando capre e cavoli, con ballate (poche) in odore di California e soprattutto tanto rock di grana un po’ grossa. La cosa buona è che il disco alla fine non è poi così brutto, si lascia ascoltare abbastanza bene, e pur non avvicinandosi neanche per un istante alla parola “capolavoro” riesce a rimanere comunque al di sopra della sufficienza. Della title track ho già detto, ma anche Charmed è un pezzo a tutto rock, possente e con i riff tagliati con l’accetta, un suono forse più adatto ad una band hard rock che ad un ex californiano degli anni settanta, ma non posso dire che il tutto mi dispiaccia; Falling In Love è una ballatona quasi AOR, ma dal punto di vista compositivo non è malaccio (forse necessiterebbe di un cantante più dotato), e Don rilascia un lungo assolo molto lirico, che da solo vale il brano. Hearts On Fire ha una ritmica un po’ finta a causa della batteria elettronica, ma è dotata di un ritornello abbastanza piacevole anche se sembra più una canzone di Bryan Adams (che tra l’altro ha in repertorio un pezzo con lo stesso titolo), Limelight è dura e granitica (c’è Sambora, non proprio uno raffinato), sembra una rock song “hair metal” degli anni ottanta, non una grande canzone ma suonata con molta energia.

Little Latin Lover ha delle velleità, appunto, latine, grazie alla fisarmonica e ad una bella chitarra spagnoleggiante, ma anche qui è meglio la confezione del contenuto. Rock You è decisamente hard e un po’ tamarra, con la presenza di Satriani ed un duetto vocale con Hagar, sempre un po’ sguaiato ma più cantante di Felder (ai cori c’è Weir, che immagino un po’ spaesato in mezzo a queste sonorità), mentre con She Just Doesn’t Get It siamo ancora dalle parti di Adams, ma il brano non è male, ha il giusto tiro ed un discreto refrain; Sun è in assoluto il pezzo più vicino agli Eagles, una ballatona corale molto californiana di buon livello sia compositivo che esecutivo (ed infatti in session ci sono East, Gadd e Leisz, gente giusta quindi), di sicuro la canzone migliore insieme alla title track. The Way Things Have To Be è un altro lentone che inizia pianistico e con la strumentazione che si arricchisce a poco a poco, ancora un pezzo di buona fattura e cantato abbastanza bene, con Don che viene assistito da Frampton sia alla chitarra che alla voce; chiusura con You’re My World, pop song elettroacustica gradevole e diretta.  Al terzo lavoro da solista Don Felder non è ancora riuscito a consegnarci un lavoro senza sbavature dall’inizio alla fine, anche se stavolta qualche buona canzone c’è, e chi ama i suoni di chitarra (magari non proprio per palati finissimi) troverà trippa per i suoi gatti, mentre i fans degli Eagles e di un certo rock californiano continueranno a guardare altrove.

Marco Verdi

Arrivano Le Prime Ristampe Del 2019, Alcune Interessanti, Altre Al Solito Inutili. Parte II: Humble Pie, Van Morrison, Pink Fairies, Eagles, Pamela Polland.

humble pie joint effort

Eccoci alla seconda parte dedicata alle ristampe in uscita tra febbraio e marzo. In teoria avevamo completato la lista di quelle di febbraio, ma all’ultimo minuto ho notato questo Humble Pie “inedito” che verrà pubblicato l’8 febbraio dai “miei amici” della Cleopatra e quindi l’ho aggiunto in extremis al Post. Partiamo proprio da questo.

Humble Pie – Joint Effort: The Lost Album 1974/75 – Cleopatra Records – 08-02-2019

Di cosa si tratta? Secondo le informazioni annunciate dalla etichetta  e dal sottotitolo del CD, si tratta di materiale inedito registrato tra il 1974 e il 1975 ai Clear Sounds Studios per un album che sarebbe dovuto uscire dopo Eat It Thunderbox, ma prima di Street Rats. Brani che però vennero rifiutati dalla A&M, anche perché Steve Marriott essendo uno dei papabili per entrare negli Stones a sostituire Mick Taylor, era distratto dalla gestione della propria band. O così sembrerebbe, perché la cover di Rain dei Beatles e quella di Let Me Be Your Lovemaker di Betty Wright poi apparvero su Street Rats (dove c’erano altri due brani firmati Lennon-McCartney e uno da Chuck Berry), un album manipolato dalla etichetta che aggiunse e modificò del materiale che era destinato per un probabile album solo di Marriott. Quindi ora arriva una etichetta precisa come la Cleopatra (ah ah) che fa apparire questi nastri che sicuramente faranno comunque la gioia dei fans degli Humble Pie, ma già la copertina è tutta un programma, visto che nella foto c’è ancora Peter Frampton, che se ne era già andato dalla band nel 1971! Comunque oltre a Marriott suonano nel CD Greg Ridley basso, Dave “Clem” Clempson chitarra, e Jerry Shirley batteria. Appurato che due dei brani non sono inediti ne rimangono comunque otto mai sentiti, tra cui due versioni di Think di James Brown. Vedremo come sarà, manca poco all’uscita, ecco la lista completa delle canzoni.

1. Think
2. This Ol’ World
3. Midnight Of My Life
4. Let Me Be Your Lovemaker
5. Rain
6. Snakes & Ladders
7. Good Thing
8. A Minute Of Your Time
9. Charlene
10. Think 2

van morrison the healing game

Van Morrison – The Healing Game (20th Anniversary Edition) – 3CD set Legacy Sony – 01-03-2019

Questo, come suggerisce il titolo, doveva uscire due anni fa, nel 2017, per il 20° Anniversario dall’uscita dell’album The Healing Game, avvenuta nel 1997: ma poi Van Morrison ha iniziato a pubblicare dischi nuovi a raffica e quindi il triplo CD è stato rinviato più volte, non grande gioia dell’irlandese, come ha esternato anche nella intervista concessa al Buscadero. La lista dei brani prevista è la stessa che doveva uscire all’epoca, e oltre al disco originale rimasterizzato e ai singoli estratti dall’album nel primo CD, contiene molto materiale raro o completamente inedito, oltre ad un concerto a Montreux, sempre del 1997, che non c’entra nulla con i due contenuti nel DVD Live At Montreux, che erano del 1974 e 1980. Una rarità questa messe di aggiunte per una ristampa di un disco che è comunque tra i migliori di Van The Man dell’ultimo periodo e speriamo che segnali la ripresa della ripubblicazione del suo catalogo. Ecco la lista completa dei contenuti. Come evidenziato uscirà il 1° marzo (si spera, perché parrebbe sia stata posticipata la data al 22 marzo).

CD1: The Original Album + CD Singles]
1. Rough God Goes Riding
2. Fire In the Belly
3. This Weight
4. Waiting Game
5. Piper At The Gates Of Dawn
6. Burning Ground
7. It Was Once My Life
8. Sometimes We Cry
9. If You Love Me
10. The Healing Game
Bonus Tracks:
11. Look What The Good People Done (First issued on the CD Single #VANCD 13, 1997)
12. At The End Of The Day (First issued on the CD Single #HEAL 3, 1997)
13. The Healing Game (Single Version) (First issued on the CD Single #HEAL 3, 1997)
14. Full Force Gale ’96 (First issued on the CD Single #VANCD 13, 1997)
15. St. Dominic’s Preview (First issued on Sult – Spirit Of The Music, 1996)

[CD2: Sessions & Collaborations]
1. The Healing Game (Alternate Version) (Previously Unissued)
2. Fire In The Belly (Alternate Version) (Previously Unissued)
3. Didn’t He Ramble (Previously Unissued)
4. The Healing Game (Jazz Version) (Previously Unissued)
5. Sometimes We Cry (Full Length Version) (Previously Unissued)
6. Mule Skinner Blues (First issued on The Songs Of Jimmie Rodgers: A Tribute, 1997)
7. A Kiss To Build A Dream On (Previously Unissued)
8. Don’t Look Back – John Lee Hooker (First Issued on Don’t Look Back, 1997)
9. The Healing Game – John Lee Hooker (First Issued on Don’t Look Back, 1997)
10. Boppin’ The Blues – Carl Perkins & Van Morrison (Previously Unissued)
11. Matchbox – Carl Perkins & Van Morrison (Previously Unissued)
12. Sittin’ On Top Of The World – Carl Perkins & Van Morrison (First Issued on Good Rockin’ Tonight – The Legacy Of Sun Records, 2001)
13. My Angel – Carl Perkins & Van Morrison (Previously Unissued)
14. All By Myself – Carl Perkins & Van Morrison (Previously Unissued)
15. Mule Skinner Blues – Lonnie Donegan & Van Morrison (First issued on Muleskinner Blues, 1999)

[CD3: Live At Montreux 19 July, 1997]
1. Rough God Goes Riding
2. Foreign Window
3. Tore Down A La Rimbaud
4. Vanlose Stairway/Trans-Euro Train
5. Fool For You
6. Sometimes We Cry
7. It Was Once My Life
8. I’m Not Feeling It Anymore
9. This Weight
10. Who Can I Turn To (When Nobody Needs Me)
11. Fire In The Belly
12. Tupelo Honey/Why Must I Explain
13. The Healing Game
14. See Me Through/Soldier Of Fortune/Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)/Burning Ground

pink fairies the polydor years

Pink Fairies – The Polydor Years – 3 CD Retroworld/Floating World – 01-03-2019

Sempre il 1° marzo è prevista la pubblicazione di questo box da parte della Floating World: si tratta dei 3 CD già pubblicati dalla Universal nel 2002, in teoria fuori catalogo, ma cercando qualcosa si trova ancora. Comunque se ve li siete persi allora, tutti e tre, per una volta, contengono anche le bonus tracks aggiunte, e il tutto dovrebbe avere un prezzo più che abbordabile, consentendo di riascoltare una delle band culto di quel periodo, parliamo degli anni tra il 1971 e il 1973. Uno dei gruppi più “strani” del rock dei primi anni ’70, nati dalle ceneri dei Deviants, la band psych-rock di Mick Farren, che però venne estromesso dal gruppo dagli altri tre componenti il chitarrista Paul Rudolph, il bassista Duncan Sanderson, e il batterista Russell Hunter, cui si aggiunge un altro batterista e cantante, Twink, già nei Pretty Things, che rimase solo per il primo album Never Never Land del 1971.

Mentre nel secondo What A Bunch Of Sweeties, uscito nel 1972, rimasero in tre, con alcuni ospiti aggiunti del giro Move T-Rex, e nel terzo Kings Of Oblivion del 1973, arrivò un nuovo chitarrista, Larry Wallis. In quegli anni succedevano queste cose. Comunque i tre dischi, tra hard-rock fuori di testa, psichedelia e lo space rock alla Hawkind, sono tutti e tre interessanti.

eagles hell freezes over

Eagles – Hell Freezes Over – Geffen/Rhino – 08-03-2019

Tra le ristampe inutili e francamente forse anche incomprensibili, esce di nuovo questo CD della band per il 25° Anniversario dall’uscita del 1994. Ovviamente nessuna bonus, cambia solo la casa discografica di distribuzione, da Geffen/Universal a Geffen/Rhino, per il resto tutto come prima: quattro brani in studio e 11 presi dalla esibizione dell’aprile 1994 per MTV. La nuova data di pubblicazione è quella che vedete sopra: non si poteva fare un bel CD+DVD, mah?!?

1. Get Over It
2. Love Will Keep Us Alive
3. The Girl From Yesterday
4. Learn To Be Still
5. Tequila Sunrise
6. Hotel California
7. Wasted Time
8. Pretty Maids All In A Row
9. I Can’t Tell You Why
10. New York Minute
11. The Last Resort
12. Take It Easy
13. In The City
14. Life In The Fast Lane
15. Desperado

pamela polland pamela polland have you heard

Pamela Polland – Pamela Polland/ Have You Heard The One About The Gas Station Attendant? – 2 CD BGO – 08-03-2019

Sempre venerdì 8 marzo esce per la BGO questo doppio CD, dedicato ai (pochi temo) appassionati di questa bravissima cantautrice degli anni ’70. Essendo stato felice possessore ai tempi del vinile omonimo uscito nel lontano 1972 per la Columbia, mi ero sempre chiesto perché non fosse mai stato ristampato in CD (se non in Giappone), pur essendo un bellissimo disco, prodotto da George Daly, con la partecipazione di Norbert Putnam, Kenny Buttrey, Marc McClure, Taj Mahal, David Briggs, Nicky Hopkins, Eddie Hinton Tommy Cogbill, tra gli altri. Classico esempio di cantautorato made in California, per una cantante che era una protetta di Clive Davis, il potente presidente della CBS all’epoca, e anche una delle voci femminili usate da Joe Cocker nel 1970 nel famoso tour di Mad Dogs And Englishmen https://www.youtube.com/watch?v=qxWXEjri2nUed in precedenza autrice di un album a nome The Gentle Soul, uscito per la Epic nel 1968, disco che vedeva la presenza di Ry Cooder, Van Dyke Parks Larry Knechtel, oltre alla produzione di Terry Melcher, stampato in CD dalla Sundazed nel 2003, ma ahimè non più disponibile.

Non solo, nella nuova edizione dell’album della BGO, viene edito per la prima volta in assoluto Have You Heard The One About The Gas Station Attendant?, disco registrato subito dopo il primo omonimo, mai pubblicato prima, anche se era stato completato nel 1973, con la produzione di Gus Dudgeon, non il primo che passava per strada, l’uomo che aveva prodotto il primo Ten Years After, il primo David Bowie, gli album migliori di Elton John, Michael Chapman, Audience, Joan Armatrading, Fairport Convention, e potremmo andare avanti per ore. Il disco della Polland, venne registrato a Londra con L’ingegnere del suono Ken Scott, l’arrangiatore degli archi Del Newman, e musicisti come Ray Fenwick, Herbie Flowers, e il percussionista di Elton Johh,  Ray Cooper, nonché, per la parte americana delle sessioni, anche Russ Kunkel, Leland Sklar, e di nuovo Taj Mahal e Marc McClure, e come ospite Bruce Johnston dei Beach Boys. Il disco fu completato ed era pronto per uscire, ma non fu mai pubblicato perché Clive Davis se ne era andato dalla Columbia e quindi è rimasto negli archivi fino ad oggi, grazie a questa riscoperta della BGO, Pamela Polland, che da allora se ne è andata a vivere alle Hawaii, diventando una insegnante di canto, e pubblicando ancora un album nel 1995, penso sarà contenta di vedere finalmente la sua opera (ri)pubblicata su CD.

[CD1: Pamela Polland]
1. In My Imagination
2. Out Of My Hands (Still In My Heart)
3. Sing-A-Song Man
4. When I Got Home
5. Please Mr. D.J.
6. Abalone Dream
7. The Rescuer
8. Sugar Dad
9. The Teddy Bears’ Picnic
10. The Dream (For Karuna)
11. Texas
12. Lighthouse

[CD2: Have You Heard The One About The Gas Station Attendant?]
1. The Refuge
2. Wild Roses
3. You Stand By Me
4. To Earl
5. Music Music
6. Thank You, Operator
7. Willsdon Manor
8. (Untitled) Dusty Rose
9. The Ship
10. Prelude
11. The Clearing
12. Didn’t Get Enough Of Your Love
13. Take In The Light

Domani la terza e ultima parte con le altre ristampe di marzo.

Bruno Conti

Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 9. Un Box Lussuoso (E Costoso) Ma Fondamentalmente Inutile. A Meno Che… Eagles – Legacy

eagles legacy front

Eagles – Legacy – Warner 12CD/DVD/BluRay – 15LP Box Set

…a meno che del gruppo abbiate poco o niente, nel qual caso il cofanetto in questione diventa imperdibile, in quanto elegante, ben fatto e tutto sommato dal costo equo (se dividete il totale per il numero dei dischetti, a meno che non vogliate la versione in vinile, che però omette la parte video), ma soprattutto per il fatto che la musica in esso contenuta è di livello eccelso. Ma andiamo con ordine: penso che non servano tante parole per spiegare chi sono gli Eagles, band simbolo del rock californiano degli anni settanta ed uno dei gruppi cardine della decade, nonché tra i più popolari al mondo (Italia compresa): basti pensare che, nel lungo periodo di separazione tra il 1980 ed il 1994 la loro fama non è calata di un millimetro, nonostante nel frattempo le carriere soliste dei vari membri non fossero mai veramente decollate. Ma, come ho già avuto modo di dire in passato, il gruppo guidato da Don Henley e Glenn Frey (scomparso nel nefasto 2016, primo e finora unico membro presente e passato ad averci lasciato) ha sempre avuto il braccino parecchio corto nella gestione degli archivi, regalando negli anni ai fans davvero poco a livello di materiale inedito (in studio praticamente nulla, qualcosa in più dal vivo ma quasi sempre con concerti monchi), ed anche con questo cofanetto celebrativo, intitolato Legacy, pare abbiano badato più alla confezione che al contenuto.

Eagles Legacy

Il box è, come già accennato, davvero bello, con inseriti all’interno, tre libretti a copertina dura, uno comprendente tutti gli album di studio, uno i live (compreso un DVD ed un BluRay) ed il terzo le note disco per disco e parecchie foto, ma niente testi o nomi di chi suona cosa nei vari dischi (e qualcuno online ha criticato anche la scelta di ignorare le vesti grafiche originali dei vari album). Il tutto senza l’ombra di mezza bonus track: l’unica chicca, se così vogliamo chiamarla, è un CD di dieci pezzi che contiene lati A e B di singoli, esclusivo per questo box, ma anche lì vedremo con poche sorprese. Ma analizziamo nel dettaglio il contenuto del cofanetto, che è comunque strepitoso, specie per i neofiti o per i super fan.

CD1: Eagles (1972) Suona strano che il disco d’esordio della band californiana sia stato registrato a Londra (con la produzione del grande Glyn Johns). Ma Eagles è un debutto coi fiocchi per il gruppo di Henley e Frey (completato da Bernie Leadon e Randy Meisner), e sono già presenti classici come lo splendido country-rock Take It Easy (scritta da Jackson Browne insieme a Frey), la potente ed intrigante rock song Witchy Woman e la deliziosa e countreggiante Peaceful, Easy Feeling. Tra i restanti brani si segnalano la trascinante Chug All Night, il rockin’ country Nightingale, ancora di Browne, e lo squisito honky-tonk Train Leaves Here This Morning di Leadon, responsabile anche del bluegrass elettrico Earlybird.  CD2: Desperado (1973) L’album migliore del primo periodo delle Aquile, un disco quasi perfetto in cui spiccano la splendida title track, tra le più belle canzoni dei seventies, la soft ballad di classe Tequila Sunrise e la sontuosa Doolin-Dalton, così bella che viene ripresa due volte. Ma non sono da meno Twenty-One, altro scintillante bluegrass di Leadon, l’irresistibile rock’n’roll di Out Of Control e la fulgida Saturday Night, con le perfette armonie vocali tipiche del gruppo.

CD3: On The Border (1974) Gli Eagles ringraziano Johns ed iniziano una lunga collaborazione con Bill Szymczyk, che dura fino ai giorni nostri. On The Border è un album di transizione, privo di vere hits, ma solido e di buon livello, a partire dal pimpante rock’n’roll d’apertura Already Gone, per proseguire con la bella cover di Tom Waits Ol’ 55 e con la 100% californiana The Best Of My Love. Brani minori ma comunque validi sono la squisita Midnight Flyer, ancora tra rock e bluegrass, la raffinata ballad My Man e la potente ed elettrica James Dean. In due brani fa la sua comparsa alla solista Don Felder, che da lì a breve entrerà a far parte stabile del gruppo. CD4: One Of These Nights (1975) La solita formula iniziava a mostrare la corda, e quindi i nostri aumentano le sonorità rock, pop ed anche errebi (come nel caso della famosa title track) entrando in disaccordo con Leadon che se ne andrà di lì a poco, non prima di aver lasciato in eredità l’ambizioso strumentale tra rock e musica western Journey Of The Sorcerer (per la verità tirato un po’ per le lunghe). Ci sono comunque un paio di omaggi al suono country-rock degli esordi con la tersa Lyin’ Eyes e la deliziosa e malinconica Hollywood Waltz. Ma il capolavoro del disco, e della carriera di Meisner, è la straordinaria ballata Take It To The Limit, tra le più belle in assoluto dei nostri. L’album è anche l’unico delle aquile a contenere un brano cantato da Felder, Visions, e dopo averlo ascoltato non è difficile capire perché non abbiano insistito.

CD5: Hotel California (1976) Il capolavoro degli Eagles, un disco quasi senza sbavature che deve gran parte della sua fama all’epica title track, una canzone magnifica dall’agghiacciante testo sul tema dell’autodistruzione e con uno dei più begli assoli di chitarra di sempre. Ma l’album contiene diverse altre perle, dal pop-rock quasi perfetto di New Kid In Town, alle roccate e coinvolgenti Life In The Fast Lane e Victim Of Love, fino alla buona slow ballad Wasted Time. Sul finale il disco cala leggermente, con il congedo di Meisner (che lascerà dopo l’uscita del disco) Try And Love Again, e l’esordio del nuovo chitarrista Joe Walsh (ex James Gang e subentrato al posto di Leadon), che con Pretty Maids All In A Row dimostra che le ballate non sono il suo pane. Ma c’è ancora tempo per un colpo di coda con la straordinaria The Last Resort, altra sontuosa ballad dalla melodia memorabile e con un crescendo emozionante. CD6: The Long Run (1979) Timothy B. Schmit, ex Poco, sostituisce Meisner giusto in tempo per partecipare a quello che per molti anni sarà l’ultimo album del gruppo, distrutto dai conflitti interni. The Long Run è un lavoro discontinuo, con tre pezzi ottimi (il gustoso errebi della title track, il rock’n’roll trascinante di Heartache Tonight, scritto con Bob Seger, e la malinconica The Sad Café), due buoni (la sofisticata I Can’t Tell You Why, perfetta per la voce angelica di Schmit, e la roccata In The City, con Walsh stavolta nel suo ambiente naturale) ed altri non proprio eccelsi, soprattutto le brutte The Disco Strangler e Those Shoes e la pessima Teenage Jail, forse la peggiore canzone in assoluto dei nostri. The Greeks Don’t Want No Freaks, che vede la presenza ai cori di Jimmy Buffett, è divertente nonostante sia un po’ stupidotta.

CD7/8: Long Road Out Of Eden (2007) un nuovo disco 28 anni dopo The Long Run, quasi un miracolo (anche se i nostri sono di nuovo insieme dal 1994 come live band), e la formazione è la stessa meno Felder, che ha “abbandonato” all’inizio del nuovo secolo per dissidi con Henley e Frey. Long Road Out Of Eden è formato da due CD, ed è il classico caso di un buon doppio album che avrebbe potuto essere un eccellente singolo, tenendo solo i brani migliori. Che sono concentrati in gran parte nel primo dischetto: la suggestiva apertura corale a cappella di No More Walks In The Wood, l’irresistibile country-rock How Long (scritta da J.D. Souther e suonata più volte dal vivo negli anni settanta dalle Aquile, ma mai incisa fino a quel momento), le belle Busy Being Fabulous, What Do I Do With My Heart e Waiting In The Weeds, la raffinata No More Cloudy Days e la delicata You Are Not Alone. Non male anche Guilty Of The Crime di Walsh, mentre gli highlights del secondo CD sono la grintosa Somebody e l’epica title track (10 minuti di durata), una signora canzone che però non è, come ha detto qualcuno, la nuova Hotel CaliforniaCD9: Eagles Live (1980) il primo disco dal vivo della band esce praticamente postumo, e contiene brani tratti dal tour del 1980 ma anche del 1976 (quindi ancora con Meisner in qualche brano). Ed è comunque un live splendido, con i nostri che forniscono scintillanti riletture delle pagine più belle del loro songbook (ma pare che i pezzi siano stati pesantemente ritoccati in studio), con l’aggiunta di due episodi del repertorio solista di Walsh (All Night Long e la trascinante Life’s Been Good, la signature song del biondo chitarrista) e della bellissima cover corale di Seven Bridges Road di Steve Young.

CD10: Hell Freezes Over (1994) la tanto attesa reunion avviene per un concerto negli studi della MTV a Burbank, al quale seguirà un tour di clamoroso successo. Il titolo si riferisce ad una frase di Henley dei primi anni ottanta, quando asserì che gli Eagles avrebbero suonato ancora assieme “quando l’inferno ghiaccerà”. I cinque (c’è anche Felder) sono in forma eccellente, e ci regalano versioni splendide di Take It Easy, Tequila Sunrise, I Can’t Tell You Why, The Last Resort e Desperado, e soprattutto una sontuosa Hotel California suonata interamente unplugged. Peccato scelgano di inserire anche le mediocri Pretty Maids All In A Row e New York Minute (di Henley solista quest’ultima). Ma la ciliegina sono quattro pezzi nuovi di zecca registrati in studio, tutti molto belli: il rock’n’roll quasi alla ZZ Top Get Over It, la romantica Love Will Keep Us Alive, scritta da Jim Capaldi e Paul Carrack ed affidata alla limpida voce di Schmit, la country ballad vecchio stile The Girl From Yesterday e l’intensa Learn To Be Still, slow song di Henley sulla falsariga di The End Of The InnocenceCD11: The Millenium Concert (2000) Uscito originariamente all’interno del cofanetto celebrativo Selected Works 1972-1999, in questo album si comincia a vedere il braccino corto dei nostri. Registrato il 31 Dicembre 1999 a Los Angeles, il CD (che è anche l’ultima apparizione su disco di Felder all’interno del gruppo) propone solo una parte del concerto, la miseria di dodici canzoni. Il suono e la performance sono impeccabili, e, a parte Hotel California e Peaceful, Easy Feeling, le Aquile propongono una scaletta “diversa”, con le raramente suonate Victim Of Love, Please Come Home For Christmas, Ol’ 55, The Best Of My Love ed una Take It To The Limit eseguita per la prima volta dal 1976 (la canta Frey). Però, porca pupazza, con solo 12 canzoni a disposizione, dovevamo per forza sorbirci le non eccezionali (eufemismo) Those Shoes, Dirty Laundy, All She Wants To Do Is Dance, Funky New Year e Funk # 49?

CD12: Singles And B-Sides (2018) Il CD “esclusivo” presenta, su dieci pezzi totali, sei versioni “single edit” di brani contenuti nei dischi precedenti; l’unica vera rarità, mai uscita prima in CD, è Get You In The Mood, un discreto rock-blues che era sul lato B di Take It Easy. Poi abbiamo le due facciate del singolo natalizio del 1978, Please Come Home For Christmas, decisamente bella (è un classico di Charles Brown), e Funky New Year, decisamente trascurabile. Chiude il dischetto la splendida Hole In The World, toccante canzone scritta all’indomani della tragedia dell’11 Settembre 2001, e caratterizzata dalle inimitabili armonie vocali del gruppo. DVD: Hell Freezes Over (1994) Trasposizione video del concerto già uscito in CD, con l’aggiunta di The Heart Of The Matter di Henley e Help Me Through The Night di Walsh e, come bonus audio, Seven Bridges Road, che però è un remaster della versione di Eagles Live (?!?). E, particolare non trascurabile, le quattro canzoni nuove che sul CD erano in studio qua sono dal vivo. BluRay: Farewell I Tour: Live From Melbourne (2005) Finalmente un concerto completo delle Aquile, e stavolta pure lungo, ma anche uno dei live in video più belli in circolazione, con i quattro in forma strepitosa, compreso Walsh (che nelle interviste degli extra sembra invece suonato come una campana). Inutile dire che i classici ci sono tutti, e sono suonati e cantati in maniera perfetta. Non mancano comunque le chicche, come alcuni ottimi episodi delle carriere soliste: The Boys Of Summer di Henley, You Belong To The City di Frey, Walk Away e Life’s Been Good di Walsh. Ci sono anche due brani all’epoca nuovi, No More Cloudy Days, che andrà su Long Road Out Of Eden, e One Day At A Time, che Walsh pubblicherà sul suo album solista Analog Man. Come ciliegina, la prima versione live ufficiale dell’emozionante Hole In The World, con armonie vocali da brivido.

A parte tutti i giudizi già espressi sull’avarizia discografica degli Eagles, Legacy è un cofanetto con dentro tantissima grande musica: diciamo che se conoscete qualcuno che a Natale vi vuol fare un bel regalo, questa potrebbe essere un’ottima opzione.

Marco Verdi

I Figli “Illegittimi” Di Frank Proliferano: Dopo Bob, Ecco Willie Sinatra! Willie Nelson – My Way

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Willie Nelson – My Way – Legacy/Sony CD

Sembra che, nonostante veleggi ormai verso gli ottant’anni di età, Bob Dylan non abbia smesso, anche involontariamente, di creare tendenze: infatti dopo i tre album (o cinque, dato che Triplicate era, appunto, un triplo) dedicati dal vate di Duluth alle canzoni del leggendario Frank Sinatra, ora anche Willie Nelson ha deciso di celebrare la musica di “Ol’ Blue Eyes” con questo nuovissimo My Way. C’è da dire che, a differenza di Dylan, Nelson non è la prima volta che si cimenta con gli standard della musica americana: a parte il famoso Stardust del 1978, negli anni il texano ha pubblicato diversi album a tema “Great American Songbook”, come What A Wondeful World, Moonlight Becomes You, parte di Healing Hands Of Time, American Classic, Summertime. E con My Way Willie ci regala uno dei suoi album migliori, e non solo del genere standard, un lavoro splendido che fa il paio con l’altrettanto bellissimo Last Man Standing uscito pochi mesi fa. E’ incredibile infatti come il nostro riesca a coniugare quantità e qualità con una tale nonchalance: se dal vivo, per vari problemi fisici, qualche colpo ultimamente lo ha perso, in studio è ancora una sentenza.

In My Way Willie ha usato lo stesso approccio di Bob, cioè non prendendo solo le canzoni più famose di Sinatra, ma rivolgendosi a standard che anche Frank ha cantato nella sua carriera: così a veri e propri classici associati principalmente al cantante italo-americano (Fly Me To The Moon, One For My Baby, la stessa My Way) si alternano pezzi dei quali la versione di Sinatra non è magari neanche la più nota (A Foggy Day, Night And Day). Quello che più conta però è il risultato finale, che come dicevo poc’anzi è davvero splendido: Willie canta e swinga con classe immensa, e con una voce che è ancora più che mai in grado di dare i brividi, ed i suoni sono nelle mani sicure del fido Buddy Cannon e del grande pianista ed organista Matt Rollings (Lyle Lovett, Mark Knopfler, Mary Chapin Carpenter), che è anche il leader e direttore musicale di un gruppo da sogno: Jay Bellerose alla batteria, Dean Parks alla chitarra, Paul Franklin alla steel, l’inseparabile Mickey Raphael all’armonica, il notevole bassista David Piltch ed una sezione fiati nella quale spicca un trio di sassofonisti formato da Jeff Coffin, Denis Solee e Doug Moffet. Un disco raffinato ma pieno di feeling, che sprizza classe da ogni nota, suonato in maniera sicura e rilassata nello stesso tempo. L’album si apre con la celeberrima Fly Me To The Moon, con Willie che inizia subito a swingare che è un piacere, seguito dai fiati che accompagnano in maniera calorosa, la sezione ritmica che punteggia alla grande ed un doppio delizioso assolo chitarristico, prima del nostro con la sua Trigger e poi di Parks.

Summer Wind è una pura jazz ballad, che vede Nelson cantare in perfetto relax, il gruppo suonare in punta di dita (con il piano di Rollings in evidenza) e l’armonica dare il tocco country; ancora piano ed armonica introducono la nota One For My Baby (And One More For The Road), dall’accompagnamento soffuso, atmosfera afterhours, una sezione d’archi non invasiva e la consueta classe sopraffina. A Foggy Day è un brano di George ed Ira Gershwin, e come tutti i pezzi scritti dal duo di compositori di Brooklyn ha avuto negli anni varie versioni, delle quali quella di Sinatra non è necessariamente la più famosa: la rilettura di Willie è nuovamente ricca di swing, ed è punteggiata dal solito splendido pianoforte di Rollings e dai fiati al gran completo; It Was A Very Good Year è intensa e maestosa, Willie la canta come se fosse una western tune e gli archi aggiungono pathos e drammaticità, mentre Blue Moon è uno dei pezzi più famosi di tutti i tempi, con il texano che la rifà in maniera raffinata e godibile, mettendoci una bella dose di verve: piano, steel e Trigger completano il quadro. La lenta I’ll Be Around (che era uno degli highlights del mitico In The Wee Small Hours) è limpida e tranquilla, con Willie che canta come se avesse un bicchiere di whisky in una mano ed un sigaro nell’altra, e con la strumentazione al solito superba (ottima la steel):

Ecco a questo punto due canzoni di Cole Porter: Night And Day è conosciutissima anche in versioni alternative a Sinatra (per esempio è molto popolare quella di Fred Astaire, e pure Nelson l’aveva già incisa, ma solo in veste strumentale) ed è ancora eseguita ottimamente, con grande gusto e swing, mentre What Is This Thing Called Love?, calda, vivace e guidata magistralmente dal piano, vede il nostro duettare con la brava Norah Jones, un’altra che in queste sonorità ci sguazza. La piacevolissima e jazzata Young At Heart, brano che Sinatra fu il primo ad incidere, precede la conclusiva My Way, materia pericolosa in quanto uno degli evergreen assoluti del cantante di Hoboken, un pezzo di Paul Anka che The Voice ha eletto a manifesto di un certo stile di vita: Willie la canta intelligentemente alla sua maniera, solo voce e pochi strumenti, arrangiandola in modo molto vicino al suo stile abituale, riuscendo a provocare più di un brivido in chi ascolta. In mancanza, pare, di un nuovo disco di Van Morrison nelle prossime settimane (anche perché ne ha fatti tre in meno di un anno), questo My Way è il classico album perfetto per allietare le serate autunnali che ci attendono.

Marco Verdi

Prossime Uscite Autunnali 8. Eagles – Legacy. Un Altro Cofanetto Della Serie “Inutili E Costosi”, esce il 2 Novembre.

Eagles Legacy

Eagles – Legacy – 12 CD/1DVD/1 Blu-ray – 15 LP – Warner/Rhino – 02-11-2018

Ormai all’autunno ci siamo arrivati, ma visto che parliamo sempre più o meno di uscite che avverranno a stagione inoltrata, e nello specifico quasi tutte tra il 2 e il 9 novembre, con grande gioia dei portafogli degli interessati, manteniamo il titolo di questa sotto rubrica del Blog. Stiamo parlando di un ennesimo cofanetto dedicato agli Eagles, che giustamente essendo tra i gruppi che più hanno venduto nella storia del rock vengono spremuti fino all’inverosimile.

.Eagles (1972)
Desperado (1973)
On The Border (1974)
One of These Nights (1975)
Hotel California (1976)
The Long Run (1979)
Eagles Live (1980)
Hell Freezes Over (1994)
Millennium Concert (2000)
Long Road Out of Eden (2007)
Singles and B-Sides (2018)
DVD: Hell Freezes Over (1994)
Blu-ray: Farewell I Tour: Live From Melbourne (2005)

Scorrendo la lista dei contenuti del box notiamo che contiene gli album riportati nel cofanetto Studio Albums 1972-1979, che si trova a poco più di 20 euro, il famoso Millenium Concert “monco” (nel senso che non è completo), che è il bonus contenuto nel quadruplo Eagles Selected Works 1972-1999, anche questo reperibile poco più di 20 euro, il doppio CD Eagles Live e le versioni in CD e in DVD di Hell Freezes Over, senza bonus, tuttora in catalogo a special price. Inoltre il disco della seconda reunion Long Road Out Of Eden, ma non nella versione Deluxe con le extra tracks, che comunque si trovano in parte nel dischetto dedicato ai singoli e alle b-sides, che sarebbe il motivo di interesse del cofanetto. Infine il Blu-ray del tour di addio in Australia. Se uno non ha nulla, ma proprio nella degli Eagles, potrebbe anche essere interessante, se il tutto non avesse un prezzo indicativo variante a seconda dei paesi tra i 130 ed i 150 euro. Tra le note positive la bella confezione e un libretto da 54 pagine, però visti i contenuti, al solito rientra nella categoria degli “inutili” oppure dei regali natalizi.

Se volete studiare il contenuto completo comunque lo trovate qui sotto.

[CD1]
1. Take It Easy (Remastered)
2. Witchy Woman (Remastered)
3. Chug All Night (Remastered)
4. Most Of Us Are Sad (Remastered)
5. Nightingale (Remastered)
6. Train Leaves Here This Morning (Remastered)
7. Take The Devil (Remastered)
8. Earlybird (Remastered)
9. Peaceful Easy Feeling (Remastered)
10. Tryin’ (Remastered)

[CD2]
1. Doolin-Dalton (Remastered)
2. Twenty-One (Remastered)
3. Out Of Control (Remastered)
4. Tequila Sunrise (Remastered)
5. Desperado (Remastered)
6. Certain Kind Of Fool (Remastered)
7. Doolin-Dalton (Instrumental Version) [Remastered]
8. Outlaw Man (Remastered)
9. Saturday Night (Remastered)
10. Bitter Creek (Remastered)
11. Doolin-Dalton/Desperado (Reprise) [Remastered]

[CD3]
1. Already Gone (Remastered)
2. You Never Cry Like A Lover (Remastered)
3. Midnight Flyer (Remastered)
4. My Man (Remastered)
5. On The Border (Remastered)
6. James Dean (Remastered)
7. Ol’ 55 (Remastered)
8. Is It True? (Remastered)
9. Good Day In Hell (Remastered)
10. The Best Of My Love (Remastered)

[CD4]
1. One Of These Nights (Remastered)
2. Too Many Hands (Remastered)
3. Hollywood Waltz (Remastered)
4. Journey Of The Sorcerer (Remastered)
5. Lyin’ Eyes (Remastered)
6. Take It To The Limit (Remastered)
7. Visions (Remastered)
8. After The Thrill Is Gone (Remastered)
9. I Wish You Peace (Remastered)

[CD5]
1. Hotel California (Remastered)
2. New Kid In Town (Remastered)
3. Life In The Fast Lane (Remastered)
4. Wasted Time (Remastered)
5. Wasted Time (Reprise) [Remastered]
6. Victim Of Love (Remastered)
7. Pretty Maids All In A Row (Remastered)
8. Try And Love Again (Remastered)
9. The Last Resort (Remastered)

[CD6]
1. The Long Run (Remastered)
2. I Can’t Tell You Why (Remastered)
3. In The City (Remastered)
4. The Disco Strangler (Remastered)
5. King Of Hollywood (Remastered)
6. Heartache Tonight (Remastered)
7. Those Shoes (Remastered)
8. Teenage Jail (Remastered)
9. The Greeks Don’t Want No Freaks (Remastered)
10. The Sad Cafe (Remastered)

[CD7]
1. No More Walks In The Wood
2. How Long
3. Busy Being Fabulous
4. What Do I Do With My Heart
5. Guilty Of The Crime
6. I Don’t Want To Hear Any More
7. Waiting In The Weeds
8. No More Cloudy Days
9. Fast Company
10. Do Something
11. You Are Not Alone

[CD8]
1. Long Road Out Of Eden
2. I Dreamed There Was No War
3. Someday
4. Frail Grasp On The Big Picture
5. Last Good Time In Town
6. I Love To Watch A Woman Dance
7. Business As Usual
8. Center Of The Universe
9. It’s Your World Now

[CD9]
1. Hotel California (Live in Santa Monica, 7/29/1980) [Remastered]
2. Heartache Tonight (Live in Santa Monica, 7/29/1980) [Remastered]
3. I Can’t Tell You Why (Live in Santa Monica, 7/29/1980) [Remastered]
4. The Long Run (Live in Santa Monica, 7/29/1980)
5. New Kid In Town (Live at The Forum, 10/22/1976) [Remastered]
6. Life’s Been Good (Live at Santa Monica, 7/29/1980) [Remastered]
7. Seven Bridges Road (Live at Santa Monica, 7/28/1980) [Remastered]
8. Wasted Time (Live at The Forum, 10/22/1976) [Remastered]
9. Take It To The Limit (Live at The Forum, 10/20/1976) [Remastered]
10. Doolin’-Dalton (Reprise II) [Live at The Forum, 10/21/1976] [Remastered]
11. Desperado (Live at The Forum, 10/21/1976) [Remastered]
12. Saturday Night (Live at Santa Monica, 07/28/1980) [Remastered]
13. All Night Long (Live at Santa Monica, 7/28/1980) [Remastered]
14. Life In The Fast Lane (Live at Long Beach, 07/31/1980) [Remastered]
15. Take It Easy (Live at Santa Monica, 7/27/1980)

[CD10]
1. Get Over It
2. Love Will Keep Us Alive
3. The Girl From Yesterday
4. Learn To Be Still
5. Tequila Sunrise
6. Hotel California
7. Wasted Time
8. Pretty Maids All In A Row
9. I Can’t Tell You Why
10. New York Minute
11. The Last Resort
12. Take It Easy
13. In The City
14. Life In The Fast Lane
15. Desperado

[CD11]
1. Hotel California (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
2. Victim Of Love (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
3. Peaceful Easy Feeling (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
4. Please Come Home For Christmas (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
5. OL’ 55 (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
6. Take It To The Limit (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
7. Those Shoes (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
8. Funky New Year (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
9. Dirty Laundry (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
10. Funk 49 (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
11. All She Wants To Do Is Dance (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]
12. The Best Of My Love (Live at Staples Center, Los Angeles, CA, 12/31/1999) [Remastered]

[CD12]
1. Take It Easy (Single Version) [Remastered]
2. Get You In The Mood (Remastered)
3. Outlaw Man (Single Version) [Remastered]
4. Best Of My Love (Single Edit) [Remastered]
5. One Of These Nights (Single Edit) [Remastered]
6. Lyin’ Eyes (Single Edit) [Remastered]
7. Take It To The Limit (Single Edit) [Remastered]
8. Please Come Home For Christmas (Single Version) [Remastered]
9. Funky New Year (Remastered)
10. Hole In The World (Remastered)

[DVD]
1. Hotel California
2. Taquila Sunrise
3. Help Me Through The Night
4. The Heart Of The Matter
5. Love Will Keep Us Alive
6. Learn To Be Still
7. Pretty Maids All In A Row
8. The Girl From Yesterday
9. Wasted Time
10. I Can’t Tell You Why
11. New York Minute
12. The Last Resort
13. Take It Easy
14. Life In The Fast Lane
15. In The City
16. Get Over It
17. Desperado
18. Seven Bridges Road

[Blu-ray]
1. The Long Run (Live from Melbourne) (Video)
2. New Kid In Town (Live from Melbourne) (Video)
3. Wasted Time (Live from Melbourne) (Video)
4. Peaceful Easy Feeling (Live from Melbourne) (Video)
5. I Can’t Tell You Why (Live from Melbourne) (Video)
6. One Of These Nights (Live from Melbourne) (Video)
7. One Day At A Time (Live from Melbourne) (Video)
8. Lyin’ Eyes (Live from Melbourne) (Video)
9. The Boys Of Summer (Live from Melbourne) (Video)
10. In The City (Live from Melbourne) (Video)
11. Already Gone (Live from Melbourne) (Video)
12. Silent Spring (Intro) (Live from Melbourne) (Video)
13. Tequila Sunrise (Live from Melbourne) (Video)
14. Love Will Keep Us Alive (Live from Melbourne) (Video)
15. No More Cloudy Days (Live from Melbourne) (Video)
16. Hole In The World (Live from Melbourne) (Video)
17. Take It To The Limit (Live from Melbourne) (Video)
18. You Belong To The City (Live from Melbourne) (Video)
19. Walk Away (Live from Melbourne) (Video)
20. Sunset Grill (Live from Melbourne) (Video)
21. Life’s Been Good (Live from Melbourne) (Video)
22. Dirty Laundry (Live from Melbourne) (Video)
23. Funk #49 (Live from Melbourne) (Video)
24. Heartache Tonight (Live from Melbourne) (Video)
25. Life In The Fast Lane (Live from Melbourne) (Video)
26. Hotel California (Live from Melbourne) (Video)
27. Rocky Mountain Way (Live from Melbourne) (Video)
28. All She Wants To Do Is Dance (Live from Melbourne) (Video)
29. Take It Easy (Live from Melbourne) (Video)
30. Desperado (Live from Melbourne) (Video)

Alla prossima, con altre future uscite autunnali, si spera più interessanti.

Bruno Conti

Un Archeologo Texano Che Vive In Inghilterra Che Musica Fa? Facile: Del Country-Rock Californiano! George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom

george st.clair ballads of captivity

George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom – George St. Clair CD

Interessantissimo debutto per questo texano che da anni risiede in Inghilterra, dove svolge la sua professione principale di archeologo ed antropologo. George St. Clair, grande appassionato di musica, da anni si diletta nella composizione, ed oggi ha finalmente deciso di pubblicare in proprio questo Ballads Of Captivity And Freedom (bel titolo), un disco che nella sua ora di durata ci regala una bella serie di canzoni di classico country-rock cantautorale. C’è poco del nativo Texas in questi brani, la fonte di ispirazione principale di George sono le sonorità californiane degli anni settanta, il suo pane quotidiano sono gruppi come gli Eagles ed i Poco, o solisti come Jackson Browne, e le canzoni hanno arrangiamenti diretti, classici, con chitarre e pianoforte in evidenza e quasi sempre una bella steel in sottofondo: i musicisti rispondono ai nomi di David Cuetter, Dan Lebowitz, Amy Scher, Mike Stevens, Kirby Hammel e Ben Bernstein, sessionmen sconosciuti ma in grado di fornire un suono limpido e compatto, perfetto per le ballate terse di George.

L’album inizia in maniera scintillante con Tularosa, un country-rock che profuma di California anni settanta, ed il paragone con gli Eagles viene rafforzato dalla voce di George, che ricorda quella di Glenn Frey: motivo decisamente orecchiabile e solare, con steel e violino protagonisti. The Places Where They Prayed si mantiene sullo stesso livello https://www.youtube.com/watch?v=VBuQCtgXejU , e non si sposta musicalmente dal Golden State (di Texas neanche l’ombra, ma va bene lo stesso), una ballata limpida e discorsiva tra Browne ed il miglior John Denver, mentre Autumn 1889, con i suoi otto minuti di durata, è uno degli highlights del disco, uno slow dal delizioso gusto melodico e dal raffinato accompagnamento basato su chitarra acustica e pianoforte, con il motivo che si apre a poco a poco. Niente male anche Corridors, tutta giocata su una chitarra arpeggiata, un leggero gioco di percussioni ed una ritmica veloce ma leggera.

Good Times è vero country in puro stile honky-tonk, un bel piano da taverna e la chiara influenza di Byrds e Flying Burrito Brothers. La lunga Cynthia propone un’accattivante fusione tra una classica melodia folkeggiante ed una percussione che dona un tocco esotico https://www.youtube.com/watch?v=b0VSkfLF3IQ , Up To Fail è decisamente più elettrica, quasi come fosse una rock ballad sferzata dal vento alla Neil Young (ed è una delle più riuscite), mentre Lie To Them è ancora country, spedito, scorrevole e di nuovo con la steel in primo piano. Cimarrones è un lento molto classico, forse già sentito ma piacevole, New Mexico è una bellissima western song, tersa ed immediata, e che non si schioda dai seventies come decade di riferimento. Il CD, quasi un’ora di musica davvero piacevole, si chiude con Pedro Paramo, tra California e Messico https://www.youtube.com/watch?v=6L3t60H7rdA , e con il puro folk di Talkin’ Mesquite, con George che si cimenta con successo anche nel talking, come da titolo. E’ uscito da qualche mese ma vale la pena di cercarlo.

Marco Verdi

Al Quarto Album Di Buon Country-Rock Made In Nashville Si Può Proprio Dire Che Sono Una Certezza. Wild Feathers – Greetings From The Neon Frontier

wild frontiers greetings from the neon frontiers

Wild Feathers – Greetings From The Neon Frontier – Reprise Records  

Quarto album per la band di Nashville, Tennessee, dopo il Live At The Ryman del 2016  https://discoclub.myblog.it/2017/02/16/dal-vivo-sono-veramente-bravi-wild-feathers-live-at-the-ryman/ ,  sono tornati in studio con il loro storico produttore Jay Joyce per registrare questo Greetings From The Neon Frontier, che presumo prenda il titolo proprio dai Neon Cross Studios di Joyce, ubicati nella capitale del Tennessee, dove è stato realizzato il disco. I Wild Frontiers sono catalogati come una delle ormai quasi rare (ma non scomparse) band che vengono definite country-rock, non Americana, roots, alternative, southern, proprio il caro vecchio country rock che poi comunque contiene un poco di tutti i generi appena ricordati. Il primo album omonimo del 2013 non dico che mi aveva folgorato, ma mi aveva colpito più che favorevolmente https://discoclub.myblog.it/2013/09/15/ho-visto-il-futuro-del-rock-n-roll-e-il-suo-nome-e-the-wild/ , il secondo Lonely Is A Lifetime un filo inferiore e più “lavorato”, restava un buon album, e il disco dal vivo aveva confermato tutte le vibrazioni positive della loro musica.

La formazione è un quartetto classico che ruota intorno alle voci e alle chitarre di Taylor Burns e Ricky Young, al bassista e vocalist Joel King, che sono gli autori della quasi totalità del materiale, ed al batterista Ben Dumas, entrato in formazione dal secondo album, Brett Moore degli ottimi Apache Relay alla pedal steel e chitarra aggiunta è un elemento importante nel sound del gruppo, e Rachel Moore, moglie di Brett e fotografa, appare al violino in un brano. Quittin’ Time parte subito forte, chitarre spianate ed energiche, con la pedal steel e l’organo suonato da Joyce ad aumentare un sound vibrante e poderoso, con intrecci vocali splendidi che rimandano ai migliori Jayhawks e alle bande southern, Wildfire ricorda le atmosfere sonore dei primi Eagles, quelli di Desperado e On The Border per intenderci, sempre con l’evocativa steel di Moore a sottolineare i bellissimi impasti vocali che ci riportano al miglior country-rock degli anni che furono https://www.youtube.com/watch?v=sKw5XlDpIj4 , derivativo? Forse, ma chi se ne frega, finché è fatto così bene e con passione sincera; Stand By You è decisamente più rock’n’roll, ci sono elementi alla Tom Petty e le chitarre sono sempre vibranti ed onnipresenti, mentre la cadenzata No Man’s Land, dell’accoppiata King/Young, ha ancora il classico suono del miglior country-rock, con i suoi 5 oltre minuti è la canzone più lunga dell’album e le chitarre nella parte centrale e finale si lasciano andare in piena libertà, ben supportate dall’organo.

La delicata e deliziosa Two Broken Hearts, scritta in solitaria dal solo Taylor Burns, ha uno spirito country-folk accentuato dall’interscambio tra la pedal steel e il violino della coppia Moore, veramente una piccola gemma https://www.youtube.com/watch?v=LktTWx6LsDw ; Golden Days torna subito ad un suono decisamente più roccato a tutte chitarre, sempre con la produzione cristallina di Joyce che evidenzia con precisione l’uso degli strumenti  e con le voci che si alternano alla guida del pezzo, a conferma che questa volta le buone canzoni ci sono. Anche quando il tempo rallenta come in Big Sky, l’unico brano a non portare la firma della band, si respira comunque un’aria anni ’70 veramente rinfrescante, tra CSN&Y e Matthews Southern Comfort, sound elettroacustico, le solite armonie vocali splendide e crescendo strumentali da sballo https://www.youtube.com/watch?v=L_shcc6EneQ , e pure Hold On To Love, anche se è un po’ più leggerina e zuccherosa, si regge comunque sul lavoro vocale sempre di gran qualità della band, che nel finale di brano schiaccia nuovamente il pedale dell’acceleratore sul ritmo e sulla elettricità del brano ,con le chitarre che si fanno nuovamente sentire, anche in modalità slide. Every Morning I Quit Drinkin’ è uno strano valzerone country di Ricky Young, molto sixties ma anche alquanto irrisolto e non memorabile,  forse l’unico brano scarso del disco, mentre Daybreaker (Into The Great Unknown) è di nuovo un galoppante e gagliardo brano di stampo rock classico americano con chitarre a volontà, al limite con qualche reminiscenza dei migliori U2. Ancora una volta un bel disco, questa volta senza cadute di tono.

Bruno Conti