Per Gli Amanti Del Folk Di “Classe”! June Tabor & Oysterband – Fire & Fleet

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June Tabor & Oysterband – Fire & Fleet – Running Man Records – CD – Download

A distanza di 30 anni dalla loro prima collaborazione con l’album Freedom And Rain (90), e verso i dieci dal meraviglioso Ragged Kingdom (11) https://discoclub.myblog.it/2011/09/30/che-disco-june-tabor-oyster-band-ragged-kingdom/ , ritornano a sorpresa due “icone” del folk britannico, e precisamente la brava June Tabor, una delle voci più belle e raffinate (in circolazione dalla metà degli anni settanta), accompagnata dalla Oysterband capofila insieme ad altri attuali gruppi importanti quali Men They Couldn’t Hang, Wolfstone, Four Men & A Dog, Saw Doctors, Goats Don’t Shave, e altri, di una musica popolare viva e impegnata, che all’occorrenza sa tingersi anche di “roots”, che sono ritornati in studio per assemblare questo Fire & Fleet, con una formula molto simile a quella della fortunata esperienza precedente, composta in buona parte da brani dal vivo eseguiti nel Fire And Fleet Tour dello scorso anno, sei canzoni un mix di brani tradizionali e quattro “covers”, registrate nei Rockfield Studios vicino a Monmouth nel Galles, con la supervisione del loro produttore storico Al Scott.

Oltre a June Tabor alla voce, la “line-up” della Oysterband presenta John Jones alla fisarmonica e voce, Alan Prosser alle chitarre, Dil Davies alla batteria, Ian Telfer alle tastiere e violino, Adrian Oxaal al cello, e il citato Al Scott al basso e mandolino, per un lavoro di una quarantina di minuti che non delude le aspettative, specie per tutti quelli che avevano apprezzato i due CD precedenti.

Si parte con la rivisitazione di alcuni brani “traditional”, a partire dalla ballata “Appalachi” False True Love del gruppo The Furrow Collective, ma portata al successo da Shirley Collins, dove la calda e bella voce della Tabor incontra la delicata ritmica della Oysterband, passando per la melodia d’antan di I’ll Show You Wonders, e recuperare da una serie drammatica della BBC The Living & The Dead, un vecchio brano tradizionale inglese Lyke Wake Dirge (nel repertorio fra i tanti degli Steeleye Span e Pentangle), cantata quasi a “cappella” da June. Con On One April Morning (recuperato da Aleyn) inizia il set “live”, una dolcissima fiaba musicale con la fisarmonica di Jones e il violino di Telfer ad assecondare il canto di June, per poi omaggiare il grande Dan Penn con una straordinaria rilettura dello standard-soul The Dark End Of The Street (reso immortale da James Carr, ma ricordo versioni in ambito folk anche dei Moving Hearts e di Linda & Richard Thompson, oltre a quella spendida di Ry Cooder).

A seguire una sentita ed appassionata interpretazione di Roseville Fair di Les Barker (ne esiste anche una ottima versione country di Nanci Griffith), per poi arrivare finalmente alla reinterpretazione della celebre Love Will Tear Us Apart dei Joy Division (un classico del post-punk), dove la tristezza dell’originale viene trasformata in una struggente ballata, accompagnata da violino e chitarra acustica. Ci si avvia alla parte finale del lavoro, andando a pescare una ballata scozzese dimenticata (del 18° secolo) (When I Was No But) Sweet Sixteen, rivoltare come un calzino una straordinaria White Rabbit dal repertorio dei mai dimenticati Jefferson Airplane di Grace Slick, con la Oysterband sugli scudi, e concludere al meglio recuperando meritoriamente dalla band di Canterbury un brano dimenticato come Molly Bond (lo trovate su Step Outside(86), una ballata che nell’occasione viene riletta con un folk-rock più grintoso, che chiude nel modo migliore questo inaspettato loro terzo lavoro Fire & Fleet.

In un mio ipotetico podio musicale dei gruppi folk-rock della scena britannica, dopo gli inarrivabili Fairport Convention e gli Steeleye Span, un posticino lo troverei per questa collaborazione tra June Tabor e la Oysterband (occasionale ma meravigliosa nell’arco dei 3 CD), in quanto tutte le tre formazioni fondono perfettamente la tradizione acustica tradizionale, con le ampie possibilità di un “folk-rock” più moderno, con la similitudine (non di poco conto) che sia i Fairport come gli Span avevano nelle cantanti (Sandy Denny e Maddy Prior) uno dei punti di forza della formazione, cosa che si ripete con June Tabor e la Oysterband. Imperdibile per gli amanti del “folk” e del bel canto!

Tino Montanari

Ritorna L’Anello Di Collegamento Tra L’Aeroplano E L’Astronave. Paul Kantner/Grace Slick/David Freiberg – Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun

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Paul Kantner/Grace Slick/David Freiberg – Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun – Esoteric/Cherry Red CD

Oggi mi occupo della ristampa (senza bonus tracks) di un album di culto uscito originariamente nella primavera del 1973, un disco comunque che riveste una certa importanza in quanto rappresenta una sorta di transizione tra i Jefferson Airplane, storica band simbolo della Summer Of Love, e la sua evoluzione (ma per molti involuzione) Jefferson Starship: addirittura questo lavoro uscì a solo un mese di distanza dall’epitaffio degli Airplane, il live Thirty Seconds Over Winterland, in barba a qualsiasi legge di marketing. Infatti Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun vede protagonisti i due leader dell’Aeroplano Paul Kantner e Grace Slick (all’epoca uniti anche nella vita), ed è accreditato anche a David Freiberg, ex Quicksilver Messenger Service, con loro negli Airplane e da lì a poco membro dell’Astronave con Paul e Grace (in realtà il nome Jefferson Starship era già stato usato da Kantner per la backing band del suo primo album solista Blows Against The Empire, ma solo dal 1974 sarà un vero gruppo, fino al 1984 quando Paul se ne andrà portando con sé legalmente il suffisso “Jefferson” e lasciando la Slick e gli altri a fare canzonette pop da classifica).

Ma Baron Von Tollbooth è un disco importante anche perché è uno degli ultimi esempi di Laurel Canyon Sound, con dentro una serie di musicisti che erano presenze pressoché fisse negli album californiani di quel periodo: oltre agli Airplane dell’epoca al completo (oltre a Slick e Kantner, i fondatori Jorma Kaukonen e Jack Casady ed i “nuovi” Papa John Creach e John Barbata, oltre allo stesso Freiberg che fece parte dell’Aeroplano per un anno soltanto) troviamo David Crosby alla voce nel brano iniziale (ed il titolo del disco deriva proprio dai soprannomi dati da David a Paul e Grace), i due Grateful Dead Jerry Garcia e Mickey Hart, il giovane chitarrista Craig Chaquico (che si alterna alla solista con Garcia e che farà poi parte degli Starship) ed il bassista Chris Ethridge dei Flying Burrito Brothers. Baron Von Tollbooth è ancora oggi un ottimo disco di puro rock californiano dell’epoca, non inferiore ai primi due lavori solisti di Kantner e forse superiore all’ultimo studio album degli Airplane Long John Silver, e questa edizione in digipak a cura della Esoteric con remastering nuovo di zecca gli rende piena giustizia.

Soprattutto il disco contiene la meravigliosa Sketches Of China, una canzone che è una delle mie preferite degli anni settanta, un brano che inizia lento ma con un continuo crescendo melodico, base strumentale di stampo folk-rock con le voci di Paul e Grace che si rincorrono intorno ad un motivo strepitoso ed emozionante: cinque minuti di pura magia. L’album parte con la ritmata e trascinante Ballad Of The Chrome Nun, che inizia con un vivace pianoforte subito doppiato dall’inconfondibile chitarra di Garcia, e la voce della Slick che aggredisce il brano da par suo fino al ritornello corale, con Jerry che si sdoppia suonando anche la steel. Fat è una deliziosa ballata pianistica ma con la band al completo, che ci conferma che Grace era in un momento ispirato: bello il coro di matrice gospel, grazie anche all’intervento delle Pointer Sisters; Flowers Of The Night contrappone una splendida melodia di stampo folk ad una strumentazione “californiana”, ed è una canzone davvero bella e ricca di pathos, con un grande assolo hendrixiano di Chaquico.

La mossa ed elettrica Walkin’ è quella più simile agli Airplane come script, ma nel suono è quasi sfiorata dal country (con tanto di Garcia al banjo), a differenza di Your Mind Has Left Your Body che vede per l’ultima volta il quartetto Kantner-Slick-Kaukonen-Casady suonare insieme prima della estemporanea reunion dell’Aeroplano nel 1989, ed è un lento dall’atmosfera cupa e con richiami, fin dal titolo, all’epoca psichedelica e la chitarra di Jorma che ricama mirabilmente insieme alla steel di Jerry. Across The Board è un’altra bella rock ballad dominata dal piano e dalla splendida voce della Slick, con una delle linee melodiche più convincenti del disco ed un testo ricco di metafore a sfondo sessuale; la lenta Harp Tree Lament vede Freiberg mettere in musica un testo del paroliere dei Dead Robert Hunter, per un brano fluido, disteso e dai toni crepuscolari, mentre White Boy è un’altra suggestiva ballata di estrazione folk con sonorità elettroacustiche e Kantner che canta nel suo tipico stile declamatorio ben doppiato dalla Slick. Il disco termina con la breve Fishman, rock song dal mood incalzante, e con la già citata Sketches Of China, un brano fantastico che non mi stancherò mai di ascoltare.

Baron Von Tollbooth & The Chrome Nun è un album da riscoprire assolutamente, ancor più prezioso perché rappresenta una delle ultime testimonianze di un periodo irripetibile della nostra musica.

Marco Verdi

Una Splendida Full Immersion Nella Leggenda, 3 Giorni Di Pace E Musica! Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive. Giorno 3

woodstock_deluxebox_productshot_1VV:AA: Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – Rhino/Warner 38CD/BluRay Box Set

Terza ed ultima parte.

Day 3/CD 24-37. 

CD24/25 – Jefferson Airplane. Il terzo giorno inizia col botto, ovvero con il gruppo che forse incarna più di tutti la Summer Of Love. A distanza di 50 anni il sestetto Slick-Kantner-Balin-Kaukonen-Casady-Dryden (e con la non trascurabile presenza di Nicky Hopkins alle tastiere) suona però datatissimo, ma è una cosa che pensavo anche negli anni ottanta. Restano comunque una  band coi controfiocchi, che esegue un set solido con molte grandi canzoni suonate come Dio comanda (Somebody To Love, White Rabbit, Volunteers, Wooden Ships, ma anche The Ballad Of You & Me & Pooneil e la cover di The Other Side Of Life di Fred Neil si difendono): peccato che il tempo non sia stato galantuomo con queste sonorità. Discorso a parte per i due pezzi a carattere rock-blues nei quali Kaukonen assume il ruolo di leader (Uncle Sam Blues, bluesaccio elettrico e cadenzato, e la splendida e potente Come Back Baby), anticipando in un certo senso l’avventura degli Hot Tuna.

CD26/27 – Joe Cocker. Così come Santana anche il cantante di Sheffield era relativamente sconosciuto (aveva da poco pubblicato il primo album), e nello stesso modo la sua performance entrò nel mito, indirizzando nel verso giusto la sua carriera futura: gran parte del merito va sicuramente al pezzo che chiude lo show, una cover totalmente stravolta ma legggendaria della beatlesiana With A Little Help From My Friends, con Joe letteralmente posseduto, quasi trasfigurato. Ma anche prima il nostro ha intrattenuto la platea da consumato soul-rocker, accompagnato al meglio dalla Grease Band (che prima dell’ingresso di Cocker ha riscaldato l’ambiente con due brani strumentali): Joe propone una serie di standard (non è mai stato un songwriter, anche se le qui presenti Something’s Coming On e Something To Say portano la sua firma) eseguiti in maniera sanguigna e diretta, ed un accompagnamento perfetto da parte della Grease Band. Ben tre brani di Dylan (Dear Landlord, bellissima, Just Like A Woman e I Shall Be Released), due di Ray Charles (Let’s Go Get Stoned ed una monumentale I Don’t Need No Doctor) ed una notevole Feelin’ Alright dei Traffic, con un grande  Chris Stainton al piano elettrico.

CD28 – Country Joe & The Fish. Torna Country Joe McDonald in compagnia del chitarrista Barry “The Fish” Melton ed altri tre elementi per un set elettrico molto diverso da quello acustico del primo giorno. Sonorità principlamente tra rock e psichedelia (anche qui forse un po’ datate), come si evince dall’apertura di Rock & Soul Music, le potenti Love e Not So Sweet Martha Lorraine, in cui dominano chitarra ed organo (Mark Kapner) ed un suono molto simile a quello dei Doors. Lo show, piuttosto lungo, si segnala anche per lo sconfinamento in altri stili, come la gradevole pop song Sing Sing Sing, il folk-rock sotto steroidi Summer Dresses, la lenta e fluida Maria o la magnifica Crystal Blues, un bluesaccio elettrico degno dei grandi del genere, fino alla ripresa full band finale di I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag.

CD29 – Ten Years After. Non poteva mancare il gruppo guidato da Alvin Lee, tra le band più popolari dell’epoca. Un concerto molto blues, con eccellenti riletture di brani di Willie Dixon (Spoonful), Sonny Boy Williamson (Good Morning Little Schoolgirl, con due false partenze dovute a problemi con gli strumenti, ed una straordinaria Help Me), o la suadente I Can’t Keep From Crying Sometimes, intrigante remake di un brano scritto da Al Kooper (con accenno a Sunshine Of Your Love dei Cream). Gli unici due pezzi originali sono Hobbit, scritta dal batterista Ric Lee (in pratica un lungo drum solo) e la sempre strepitosa I’m Going Home, in cui Alvin si conferma il “chitarrista più veloce del West”.

CD30 – The Band. A mio parere la chicca assoluta del box, dato che per 50 anni non era mai uscita neppure una canzone dal set del gruppo canadese. Ed il quintetto di Robbie Robertson non delude le aspettative, producendo un concerto in cui fa uscire al meglio il suo tipico sound da rock band pastorale del profondo Sud; solo tre brani originali (l’iniziale Chest Fever, la meno nota We Can Talk ed il capolavoro The Weight), un paio di pezzi di derivazione soul (Don’t Do It e Loving You Is Sweeter Than Ever), altrettanti standard (Long Black Veil e Ain’t No More Cane, entrambe splendide) e ben quattro canzoni di Dylan (Tears Of Rage, emozionante, This Wheel’s On Fire, Don’t Ya Tell Henry e I Shall Be Released, che diventa quindi l’unico brano ripreso nei tre giorni da tre acts diversi). Gran concerto, e d’altronde i nostri, oltre ad essere di casa a Woodstock, erano nel loro miglior periodo di sempre.

CD31 – Johnny Winter. Il texano albino si presenta alla testa di un power trio ed infiamma la platea con una performance ad altissimo tasso elettrico: subito in palla con due rock-blues tonici e vigorosi del calibro di Mama, Talk To Your Daughter e Leland Mississippi Blues (che servono come riscaldamento), il nostro poi piazza due prestazioni mostruose con il boogie Mean Town Blues e You Done Lost Your Good Thing Now (quest’ultima di B.B. King) di 10 e 15 minuti rispettivamente, due brani in cui dire che fa i numeri con la chitarra è persino riduttivo. Nelle seguenti tre canzoni, tra le quali spicca una dirompente Tobacco Road (John D. Loudermilk), Johnny è raggiunto sul palco dal fratello tastierista Edgar; chiusura con una formidabile e potentissima Johnny B. Goode di Chuck Berry, rock’n’roll come se non ci fosse domani.

CD32 – Blood, Sweat & Tears. Pur senza Al Kooper, che aveva già lasciato i compagni, il gruppo qua guidato da David Clayton-Thomas e Steve Katz suona un set potente, caldo e colorato, un vero esempio di rock band con fiati in leggero anticipo sui Chicago. Pochi i brani originali (I Love You More Than You’ll Ever Know, dal periodo con Kooper, Spinning Wheel e Sometimes In Winter), e soprattutto cover dalla provenienza disparata ma col marchio di fabbrica dei nostri: ottima la ballad di Randy Newman Just One Smile, e di pari livello sono le riletture di Smiling Phases (Traffic), God Bless The Child (Billie Holiday, molto intensa) e And When I Die (Laura Nyro). Un set creativo e stimolante, tra rock, jazz, swing, soul ed errebi.

CD 33 – Crosby, Stills & Nash (& Young). Altro dischetto tra i più attesi, si apre con la performance acustica del trio, che come dice Stephen Stills è appena alla sua seconda apparizione pubblica e quindi un po’ teso. Sette brani che mettono in evidenza le splendide armonie vocali dei tre, con menzioni speciali per Suite: Judy Blue Eyes, Helplessly Hoping e Marrakesh Express, mentre David Crosby ci delizia con la tenue Guinnevere. Poi arriva Neil Young che prosegue la parte “unplugged” con due ottime Mr. Soul e I’m Wonderin’, seguito ancora da Stills con You Don’t Have To Cry. Poi i quattro chiamano sul palco Greg Reeves al basso e Dallas Taylor alla batteria e ci danno dentro con cinque canzoni elettriche e decisamente rock, che anticipano di due anni le magnifiche evoluzioni di Four Way Street. Dopo l’orecchiabile Pre-Road Downs di Graham Nash abbiamo le celebri Long Time Gone e Wooden Ships di Crosby (due esecuzioni superbe), la meno nota Bluebird Revisited di Stills e Sea Of Madness, un inedito assoluto di Young che il canadese non riprenderà mai come solista (particolare importante: la Sea Of Madness apparsa all’epoca sul triplo album originale di Woodstock era stata registrata più avanti al Fillmore East, mentre in questo box appare per la prima volta quella del Festival). Finale ancora acustico con una brevissima Find The Cost Of Freedom e ritorno all’elettrico per la guizzante 49 Bye-Byes.

CD34 – The Butterfield Blues Band. Pur senza Mike Bloomfield (ma con Howard “Buzzy” Feiten che si destreggia comunque abilmente alla sei corde) la BBB regala al pubblico un robusto set di blues al 100%, con Paul Butterfield in buona forma sia alla voce che soprattutto all’armonica, ed un gruppo notevole alle spalle (oltre a Feiten, segnalerei il bassista Rod Hicks, le tastiere di Ted Harris ed il sax della futura star David Sanborn). Belle versioni di classici come una sulfurea Born Under A Bad Sign di Albert King, una lenta e raffinata Driftin’ And Driftin’ di John Lee Hooker, quasi afterhours, fino al finale con una Everything’s Gonna Be Alright di Little Walter decisamente tonica e grintosa. Ma ci sono anche ottimi brani originali come la vigorosa No Amount Of Loving e la fiatistica Morning Sunrise, tra blues e jazz.

CD35 – Sha Na Na. La presenza a Woodstock di questo gruppo che portava avanti una sorta di revival del rock’n’roll e doo-wop degli anni cinquanta è sempre stata un mistero. Non perché non fossero bravi (anche se sparirono presto dalla circolazione), ma perché secondo me erano fuori posto in una manifestazione simile, ed ancora più incomprensibile la scelta di metterli appena prima del momento forse più atteso. Il loro breve set, che recupera brani anche poco noti della golden age del rock’n’roll (di gruppi come The Silhouettes, The Dell Vikings, The Monotones o Danny & The Juniors, anche se c’è spazio anche per una divertita (Marie’s The Name) Of His Latest Flame, portata al successo sia da Del Shannon che da Elvis) è comunque piacevole, divertente ed in alcuni momenti persino trascinante, ma, ripeto, abbastanza fuori contesto.

CD36/37 – Jimi Hendrix. Ed ecco il gran finale del Festival, che verrà ricordato per uno di quei momenti che hanno scritto la storia del rock, cioè quando all’alba del quarto giorno, davanti ad un pubblico stravolto, il mancino di Seattle ha tirato fuori dalla sua chitarra una versione allucinata, potente, psichedelica e distorta dell’inno americano The Star-Spangled Banner. Il resto dell’esibizione di Jimi (qui a capo di un sestetto battezzato per l’occasione The Gypsy Sun And Rainbows, che comprende comunque i fedeli Billy Cox e Mitch Mitchell) è sempre stata giudicata ottima ma forse non all’altezza di altre leggendarie (tipo quella a Monterey). Io la giudico eccellente, a partire da una strepitosa Voodoo Child di 13 minuti ed a seguire con bellissime versioni di Spanish Castle Magic, Foxy Lady e Purple Haze, una Fire sanguigna e diretta ed una delle migliori rese di sempre della bluesata Red House. Finale con due strepitose improvvisazioni strumentali con Jimi che fa cose non umane alla chitarra (Woodstock Improvisation e Villanova Junction) e con la sempre spettacolare Hey Joe.

CD38 – Appendix. Dischetto per completisti, che comprende tutti gli “stage announcements” pre e post concerto, oltre a tutto ciò di non musicale che è avvenuto durante i tre giorni. Dubito che qualcuno lo ascolterà mai.

Spero di non avervi tediato, ma secondo me valeva la pena rivivere quei tre giorni di Agosto 1969 che, volenti o nolenti, hanno rivoluzionato il mondo della musica contemporanea e hanno in un certo senso chiuso la stagione della Summer Of Love, preparando l’ingresso negli anni settanta nei quali il rock diventerà sempre di più un business perdendo la sua innocenza. So che quest’anno sono già uscite importanti riedizioni (il box della Rolling Thunder Revue) ed altre sono in arrivo (Abbey Road), ma credo che nessuno si offenderà se eleggo fin d’ora questo mastodontico cofanetto “ristampa del 2019”.

Marco Verdi

Replay. Succedeva Giusto 50 Anni Fa! La Rhino Ha Pubblicato Il 2 Agosto Il Mega Cofanetto Del Secolo: Edizione Limitata E Numerata in 38 CD Per Woodstock Back To The Garden The Definitive 50th Anniversary Archive

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Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – 38 CD + 1 Blu-ray – Rhino Tiratura Limitata E Numerata 1969 Copie!! – 02-08-2019

Quest’anno è il 50° Anniversario Dei Famosi “3 Giorni Di Pace E Musica” che si tennero in quel di Woodstock dal 15 al 18 agosto del 1969 (in effetti quattro perché alcune esibizioni, tra cui quella conclusiva di Jimi Hendrix, si tennero la mattina di lunedì 18 agosto, e per essere ancora più precisi il luogo esatto fu Bethel, una piccola località nei pressi di New York, vicina appunto alla cittadina di Woodstock). Come avrete letto o sentito era stata annunciata da Michael Lang, l’organizzatore della manifestazione originale, una edizione per festeggiare il 50° Anniversario Dell’Evento da tenersi a Watkins Glen tra il 16 ed il 18 agosto del 2019, ma poi il 29 aprile molti degli sponsors e degli investitori coinvolti nel finanziamento della produzione hanno annunciato che il Festival era stato cancellato. Ma Lang e gli altri organizzatori hanno cercato lungamente di tenere ugualmente lo spettacolo, ma poi all’inizio di agosto il “nuovo” Fesival è stato definitavamente cancellato. Tra i musicisti annunciati c’erano anche alcuni dei principali protagonisti della Woodstock originale: John Fogerty (dei Creedence Clearwater Revival), Carlos Santana (dei Santana), David Crosby (in rappresentanza di Crosby, Stills & Nash), Melanie, John Sebastian, Country Joe McDonald, 3 dei Grateful Dead sopravvissuti (come Dead & Company), i Canned Heat, e gli Hot Tuna (con due dei Jefferson Airplane originali). Alla fine però, come detto, non se ne è fatto nella, per cui occupiamoci della notizia certa.

La Rhino ha pubblicato il 2 agosto, con vendita solo sul proprio sito, questa mega versione “definitiva” che contiene le esibizioni complete di tutti gli artisti che si esibirono al Festival, quasi, perché mancano 2 brani di JImi Hendrix, la cui famiglia non ha dato l’autorizzazione alla pubblicazione, e uno degli Sha Na Na, per problemi tecnici: un totale di 432 brani, 267 mai pubblicati prima, divisi su 38 CD, più il Blu-ray della Director’s Cut ampliata del film, un libro rilegato con la storia del Festival raccontata da Michael Lang, la replica del poster e dei programmi originali, le stampe delle foto di Henry Diltz e una tracolla per chitarra. Il tutto inserito in una confezione di legno compensato e tela con copertina serigrafata, in tiratura limitata e numerata, manco a dirlo, di 1969 copie. Questa edizione costava, per quei pochi che se la sono potuta permettere in giro per il mondo, la modica cifra di 799.98 dollari (per noi europei ed italiani, tradotto e maggiorato con l’aggiunta di spese di spedizione, spese doganali, tasse e quant’altro, voleva dire circa 1000 euro presumo, ed è andata comunque completamente esaurita, ebbene sì! La lista completa dei brani non è stata annunciata (comunque si trovava facilmente in rete), ma gli artisti presenti, in rigoroso ordine cronologico di apparizione sono i seguenti.

 Richie Havens

Sweetwater

Bert Sommer

Tim Hardin

Ravi Shankar

Melanie

Arlo Guthrie

Joan Baez

Quill

Country Joe McDonald

Santana

John B. Sebastian

The Keef Hartley Band

The Incredible String Band

Canned Heat

Mountain

Grateful Dead

Creedence Clearwater Revival

Janis Joplin

Sly & The Family Stone

The Who

Jefferson Airplane

Joe Cocker

Country Joe & The Fish

Ten Years After

The Band

Johnny Winter

Blood, Sweat & Tears

Crosby, Stills & Nash

Crosby, Stills, Nash & Young

The Butterfield Blues Band

Sha Na Na

Jimi Hendrix

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Per fortuna la Rhino per i più poveri ha pubblicato anche due versioni (tre con il vinile quintuplo) “normali” con degli estratti dalla edizione completa. In uscita il 28 giugno abbiamo quindi avuto un cofanetto da 10 CD, definito Experience, con 162 brani a rappresentare con almeno un pezzo, anche in questo caso per la prima volta, tutti i gruppi e i solisti che si esibirono nei tre giorni. Questa versione costa “solo” circa 125 dollari o euro, mentre quella da 3 CD, definita Collection, con 42 delle più belle canzoni estratte dall’integrale, intorno ai 20 euro; “stranamente” sempre senza Jimi Hendrix in quella tripla, mi è cascato subito l’occhio leggendo la lista dei contenuti, che comunque trovate qui sotto, prima quella da 10 CD.

Disc One

Richie Havens

1. Hello!

2. “From The Prison>Get Together>From The Prison”

3. “High Flying Bird”

4. “With A Little Help From My Friends”

5. “Handsome Johnny”

6. “Freedom”

7. It seems there are a few cars blocking the road – John Morris

Sweetwater

8. “Look Out”

9. “Day Song”

10. “Two Worlds”

Bert Sommer

11. “Jennifer”

12. “And When It’s Over”

13. “America”

14. “Smile”

15. Let’s see how bright it can be – John Morris

Tim Hardin

16. “How Can We Hang On To A Dream”

17. “If I Were A Carpenter”

18. “Reason To Believe”

19. “Misty Roses”

20. We’re a pretty big city right now– John Morris

 

Disc Two

1. Somebody, somewhere is giving out some flat blue acid – John Morris

Ravi Shankar

2. “Raga Manj Kmahaj”

Melanie

3. “Momma Momma”

4. “Beautiful People”

5. “Mr. Tambourine Man”

6. “Birthday Of The Sun”

7. It’s a free concert from now on – John Morris

Arlo Guthrie

8. “Coming Into Los Angeles”

9. Lotta freaks!

10. “Wheel Of Fortune”

11. “Walking Down The Line”

12. “Every Hand In The Land”

13. Let’s just make the festival, not the other stuff – John Morris

Joan Baez

14. “The Last Thing On My Mind”

15. “I Shall Be Released”

16. He already had a very, very good hunger strike going

17. “Joe Hill”

18. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – featuring Jeffrey Shurtleff

19. That brings us fairly close to the dawn – John Morris

20. I guess the reason we’re here is music – John Morris

Quill

21. “They Live The Life”

22. “That’s How I Eat”

 

Disc Three

1. Can those of you in the back hear well? – Chip Monck

Country Joe McDonald

2. “Janis”

3. “Donovan’s Reef”

4. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag”

5. Those wishing to be lost, those wishing to be found – Chip Monck

Santana

6. “Savor”

7. “Jingo”

8. “Persuasion”

9. “Soul Sacrifice”

10. An exciting set is understandable – Chip Monck

John B. Sebastian

11. “How Have You Been”

12. “Rainbows All Over Your Blues”

13. “I Had A Dream”

14. “Darling Be Home Soon”

The Keef Hartley Band

15. Halfbreed Medley: “Sinning For You>Leaving Trunk>Just To Cry>Sinning For You”

16. Bring Jerry’s nitroglycerin pills to the Indian Pavilion – Chip Monck

 

Disc Four

1. Go to Mr. Lang’s office right away – Chip Monck

The Incredible String Band

2. “Invocation”

3. “The Letter”

4. “Gather ‘Round”

5. “When You Find Out Who You Are”

6. If things aren’t going well for you or whatever – Chip Monck & Hugh Romney

Canned Heat

7. “Going Up The Country”

8. “Woodstock Boogie”

9. Can we have a little juice on this other microphone, please? – Bob Hite & Chip Monck

10. “On The Road Again”

11. It’s your own trip – Chip Monck

 

Disc Five

1. We’ll take care of that right away – Chip Monck

Mountain

2. “Theme For An Imaginary Western”

3. “Long Red”

4. “Who Am I But You And The Sun (For Yasgur’s Farm)”

5. “Southbound Train”

6. Open your eyes wide – Chip Monck & Joshua White

7. So many people have been able to participate in such a debacle – Ken Babbs

Grateful Dead

8. “Mama Tried”

9. It’s a sinister plot! – Ken Babbs, Country Joe McDonald, et al

10. “Dark Star”

11. “High Time”

12. You’re carrying Janis’s wah-wah pedals – John Morris

Creedence Clearwater Revival

13. “Green River”

14. “Bad Moon Rising”

15. “I Put A Spell On You”

16. It’s going to be a very long evening – Chip Monck

 

Disc Six

Janis Joplin

1. “To Love Somebody”

2. “Kozmic Blues”

3. “Piece Of My Heart”

4. Music’s for grooving, man

5. “Ball And Chain”

6. Just in case you should get any ideas about leaving – Chip Monck

Sly & The Family Stone

7. Medley: “Everyday People>Dance To The Music>Music Lover>I Want To Take You Higher”

8. Are you supposed to be up there rapping? No, man. – Abbie Hoffman & stagehand

The Who

9. “I Can’t Explain”

10. “Pinball Wizard”

11. I can dig it – Abbie Hoffman & Pete Townshend

12. “We’re Not Gonna Take It”

13. “Shakin’ All Over”

14. “My Generation”

15. Welcome this new day – Chip Monck

 

Disc Seven

Jefferson Airplane

1. “The Other Side Of This Life”

2. “Somebody To Love”

3. Let’s play it out of tune – Grace Slick

4. “3/5 Of A Mile In 10 Seconds”

5. “Won’t You Try/Saturday Afternoon”

6. We got a whole lot of orange and it was fine – Grace Slick

7. “Plastic Fantastic Lover”

8. “Volunteers”

9. If you’re too tired to chew, pass it on – Hugh Romney

10. The roads are fairly clear now – John Morris

11. This is the largest group of people ever assembled in one place – Max Yasgur

Joe Cocker

12. “Dear Landlord”

13. “Feelin’ Alright”

14. “Let’s Go Get Stoned”

15. “Hitchcock Railway”

16. “With A Little Help From My Friends”

17. Isn’t the rain beautiful? – John Morris, Barry Melton, rainstorm & audience

 

Disc Eight

Country Joe & The Fish

1. “Rock And Soul Music”

2. “Love”

3. “Silver And Gold”

4. “Rock And Soul Music” (Reprise)

Ten Years After

5. “Help Me”

6. “I’m Going Home”

7. Come down and say hello to us – Chip Monck

The Band

8. “Chest Fever”

9. “Tears Of Rage”

10. “This Wheel’s On Fire”

11. “I Shall Be Released”

12. “The Weight”

13. We’ve just had a slight change in running order – Chip Monck

 

Disc Nine

1. It’s really a drag – Chip Monck

Johnny Winter

2. “Leland Mississippi Blues”

3. “Mean Town Blues”

4. “Johnny B. Goode”

5. It just doesn’t seem to be necessary – Chip Monck

Blood, Sweat & Tears

6. “More And More”

7. “Spinning Wheel”

8. “Smiling Phases”

9. “You’ve Made Me So Very Happy”

Crosby, Stills & Nash

10. Tell ‘em who we are, man

11. “Suite: Judy Blue Eyes”

12. “Blackbird”

13. “Marrakesh Express”

Crosby, Stills, Nash & Young

14. “Sea Of Madness”

15. “Wooden Ships”

16. Bummer!

17. “49 Bye-Byes”

 

Disc Ten

The Butterfield Blues Band

1. “No Amount Of Loving”

2. “Love March”

3. “Everything’s Gonna Be Alright”

Sha Na Na

4. Test – Chip Monck & Sha Na Na

5. “Get A Job”

6. “Come Go With Me”

7. “Silhouettes”

8. “At The Hop”

9. “Duke Of Earl”

10. “Get A Job” (Reprise)

11. Thank you for making all this possible – Chip Monck

Jimi Hendrix

12. “Hear My Train A Comin’”

13. “Izabella”

14. “The Star Spangled Banner>Purple Haze”

15. Good wishes, good day, and a good life – Chip Monck

E poi, quella da 3 CD:

Disc One

1. “Handsome Johnny” – Richie Havens

2. “Freedom (Motherless Child)” – Richie Havens

3. Everybody’s ground getting comfortable? – John Morris

4. “Reason To Believe” – Tim Hardin

5. It’s deadly serious, man – John Morris

6. “Coming Into Los Angeles” – Arlo Guthrie

7. Lotta Freaks! – Arlo Guthrie

8. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – Joan Baez With Jeffrey Shurtleff

9. Please come down – Chip Monck

10. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag” – Country Joe McDonald

11. “Jingo” – Santana

12. “Soul Sacrifice” – Santana

13. Helen Savage, please call your father – Chip Monck

14. “Darling Be Home Soon” – John B. Sebastian

15. It’s not poison! – Hugh Romney

16. “Going Up The Country” – Canned Heat

17. “On The Road Again” – Canned Heat

 

Disc Two

1. Country common sense! – Chip Monck, Country Joe Mcdonald, Ken Babbs

2. “Dark Star” – Grateful Dead

3. We’ve got the keys to your house – John Morris

4. “Bad Moon Rising” – Creedence Clearwater Revival

5. “I Put A Spell On You” – Creedence Clearwater Revival

6. “Kozmic Blues” – Janis Joplin

7. “Piece Of My Heart” – Janis Joplin

8. Medley: “Dance To The Music>Music Lover>I Want To Take You Higher” – Sly & The Family Stone

9. “We’re Not Gonna Take It” – The Who

10. “My Generation” – The Who

11. “Somebody To Love” – Jefferson Airplane

12. “Volunteers” – Jefferson Airplane

13. We must be in heaven, man! – Hugh Romney

 

Disc Three

1. I think you people have proven something to the world – Max Yasgur

2. “With A Little Help From My Friends” – Joe Cocker

3. Looks like we’re gonna get a little bit of rain – John Morris

4. “I’m Going Home” – Ten Years After

5. “The Weight” – The Band

6. “Spinning Wheel” – Blood, Sweat & Tears

7. “Suite: Judy Blue Eyes” – Crosby, Stills & Nash

8. “Sea Of Madness” – Crosby, Stills, Nash & Young

9. “Wooden Ships” – Crosby, Stills, Nash & Young

10. “Love March” – The Butterfield Blues Band

11. “At The Hop” – Sha Na Na

12. It’s been a delight seeing you – Chip Monck

Come avrebbe detto Totò “Alla faccia del bicarbonato di sodio”! Non male per una manifestazione che era nata contro il consumismo.

Bruno Conti

Jorma Kaukonen E Gli Hot Tuna: 50 Anni Tra Blues E Rock, Parte I.

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JORMA KAUKONEN E GLI HOT TUNA. 50 ANNI TRA BLUES E ROCK!

Lo scorso anno è uscita Been So Long: My Life and Music, l’autobiografia di Jorma Kaukonen (con prefazione di Grace Slick): non ho avuto occasione di leggerla, salvo alcuni estratti qui e là, e le critiche sono state comunque abbastanza positive, segnalando il giusto spazio riservato alla sua storia personale e ai problemi con droga e alcol, anche se alcuni hanno lamentato una certa ripetitività, poco spazio dedicato ai rapporti interpersonali all’interno dei Jefferson Airplane e la mancanza di un approfondimento più dettagliato delle dinamiche musicali nel gruppo, privilegiando forse troppo il suo “altro” gruppo, gli Hot Tuna, ma d’altronde è forse giusto così, visto che con il “Tonno Bollente”, tra alti e bassi, lunghe pause, ma anche ritorni clamorosi, ha passato giusto 50 anni, che si festeggiano quest’anno, anche con la pubblicazione di un CD Bear’s Sonic Journals: Before We Were Them, a nome Jorma Kaukonen & Jack Casady, registrato da Owsley Stanley, il famoso “soundman” dei Grateful Dead, nel giugno del 1969, quindi prima della nascita degli Hot Tuna, e con la presenza di Joey Covington dei Jefferson alla batteria, quindi in veste elettrica, disco di cui leggete in altra parte del Blog https://discoclub.myblog.it/2019/02/14/nuovi-dischi-live-dal-passato-6-prima-di-essere-gli-hot-tuna-erano-gia-formidabili-jorma-kaukonen-jack-casady-bears-sonic-journals-before-we-were-them-live-june-2/. Per l’occasione ci occupiamo proprio della parte di carriera, la più consistente di Kaukonen, con gli Hot Tuna: una discografia non copiosa, soprattutto a livello di album di studio, solo sette in tutto, oltre a quasi una quindicina di Live, sia ufficiali, che dischi diciamo di “archivio”, nonché una dozzina di album solisti di studio e tre dal vivo.

Gli Inizi.

La storia dell’ultimo dei grandi chitarristi dell’era dell’acid rock e della musica psichedelica, inizia il 23 dicembre del 1940, quando Jorma nasce a Washington, da una famiglia di origini finlandesi da parte paterna, e ebree russe da parte della madre: il padre era un diplomatico, quindi la famiglia Kaukonen ha vissuto in giro per il mondo (con il piccolo Jack, come lo chiamavano genitori e il fratello Peter, anche lui futuro musicista), tra Pakistan, Filippine e molte altre località sparse per il globo terracqueo, fino al ritorno a Washington negli anni ’50 e l’incontro con l’amico di una vita, Jack Casady, con il quale inizia a suonare nelle prime band, i Triumphs in particolare, in cui Jack era il solista e Jorma suonava la ritmica. Negli anni delle scuole superiori si sposta a Yellow Springs, Ohio, dove frequenta l’Antioch College e viene iniziato ai misteri del blues e nello specifico dello stile fingerpicking del Reverend Gary Davis da un amico. Nel 1962 arriva nella Bay Area per studiare alla Santa Clara University, e per mantenersi dava lezioni di chitarra e si esibiva dal vivo nei locali della zona, dove incontra Janis Joplin, evento documentato nelle famose “Typewriter Tapes”, quelle dove si sente la prima moglie Margareta (perché nel frattempo si era già sposato) impegnata a scrivere sulla macchina da scrivere.

Ma già nel 1965 il compagno di classe Paul Kantner lo invita a un unirsi ad un gruppo che sta formando insieme a Marty Balin: anche se all’inizio Jorma era riluttante ad entrare in un gruppo dove lui, come autoproclamato purista del blues, avrebbe dovuto passare ad un suono elettrico, stimolato però nello stesso tempo dalle possibilità di esplorare appunto il suono della chitarra elettrica e delle nuove tipologie di suono. Però poi aderisce alla idea, anzi è lui stesso a suggerire il nome Jefferson Airplane, ispirato da un amico che aveva un cane che si chiamava “Blind Lemon Jefferson Airplane”. E già che c’era chiama a raccolta l’amico Jack Casady per suonare il basso nella nascente formazione: ma quella dei Jefferson + un’altra storia, quindi saltiamo al 1969.

Nascono gli Hot Tuna.

La genesi della band è in una serie di concerti a metà di quell’anno, quando il gruppo era in stand-by perché Grace Slick era stata operata alle corde vocali e non poteva cantare, quindi gli altri componenti del gruppo per rimanere in attività sperimentavano altri incroci: in alcuni concerti, oltre a Kaukonen e Casady, suonavano (e cantavano) con loro, anche Paul Kantner e Joey Covington (e ogni tanto pure Marty Balin), una delle date è quella del concerto inedito di cui sopra. Quando però gli Airplane tornano a fare concerti, gli Hot Tuna si sono ritagliati uno spazio all’interno degli spettacoli, diventando l’opening act di sé stessi, con un set di brani classici blues e qualche composizione di Jorma. Nel settembre del 1969 arrivano per una serie di concerti alla New Orleans House in Berkeley, California, dai quali nasce il leggendario primo disco del gruppo, l’omonimo Hot Tuna, pubblicato nel maggio del 1970.

hot tuna hot tuna

Hot Tuna – Rca Victor  1970 ****

Nel concerto, come ospite, appare anche Will Scarlett all’armonica, e nella ristampa Deluxe in doppio CD pubblicata dalla Iconoclassic nel 2012, oltre all’album originale con le cinque bonus aggiunte, c’è anche un secondo dischetto con il concerto completo della serata del 19 settembre 1969, che è anche uscito, da solo, prima per Collector’s Choice e Friday Music, di recente per la Floating World, con un’altra sequenza dei brani e con il titolo Live At New Orleans House, Berkeley Ca 9/69. Come lo si voglia girare questo disco (e i relativi seguitii) rimane un piccolo capolavoro di equilibri sonori, suonato in modo splendido da Kaukonen e Casady che vanno ad esplorare le radici del blues in versioni impeccabili di classici come Hesitation Blues, dove si apprezzano il fingerpicking di Jorma, il contrabbasso secco e quasi percussivo di Jack e la voce particolare e unica di Kaukonen, non eccezionale ma ricca di calore ed umanità, splendida anche How Long Blues, dagli intricati arabeschi sonori dell’acustica, come pure Uncle Sam Blues, con Scarlett all’armonica, e il rumore di vetri infranti durante l’esibizione che darà al disco il soprannome di “breaking glass album”.

Ma tutto il disco è sontuoso, con il blues acustico suonato con una verve ed una solarità che è difficile riscontrare in molti album del genere: Death Don’t Have No Mercy del Rev. Gary Davis, con uno degli incipit più celebri delle 12 battute, l’incalzante traditional I Know You Rider, di nuovo con uno scintillante intreccio tra chitarra ed armonica, Winin’ Boy Blues, uno dei due brani ragtime di Jelly Roll Morton. Significativo che un disco per certi versi così rigoroso arriverà fino al 30° posto delle classifiche di Billboard, risultando il più venduto nella storia del gruppo.

hot tuna first pulled up

First Pull Up Then Pulled Down – Rca Victor 1971 ***1/2

Per il secondo disco, uscito nel 1971, la band svolta con un approccio elettrico, con Papa John Creach aggiunto al violino elettrico e Sammy Piazza alla batteria (oltre al solito Scarlett all’armonica). Di nuovo registrato dal vivo, questa volta allo Chateau Liberté di Los Gatos, California, il disco pesca ancora a piene mani nel repertorio blues, ma il suono è elettrico e vibrante, con il violino guizzante di Papa John Creach subito in azione nello strumentale vorticoso John’s Other, dove anche Kaukonen e Casady ci danno dentro alla grande e  si distingue con la sua armonica Will Scarlett, segue un altro brano dell’amato Rev. Gary Davis.

la deliziosa Candy Man cantata con la solita voce “lamentosa” da Jorma, sempre con il violino in grande evidenza e assolo di basso di Casady incorporato, Been So Long (titolo della sua autobiografia) è uno dei rari brani originali di Kaukonen del periodo, un classico pezzo dalla struttura rock. Non mancano vivaci e lunghe versioni elettriche di Keep Your Lamp Trimmed And Burning e Come Back Baby, dove si ascolta quasi il chitarrista acido e psych dei Jefferson, per brani  già apparsi in veste acustica nelle edizioni espanse del primo disco.

hot tuna burgers

Burgers – Grunt 1971 ****

Probabilmente il capolavoro assoluto degli Hot Tuna, un disco magnifico dove Kaukonen si rivela anche autore di notevole spessore, a cavallo tra folk-rock, blues-rock e canzone d’autore, con una serie di canzoni veramente incantevoli, dove la melodia si sposa ad arrangiamenti perfetti per un disco che ancora oggi si ascolta con grande piacere, una sorta di antesignano della Americana e roots music dei giorni nostri. In True Religion, dove l’interazione tra strumenti  acustici ed elettrici, le chitarre di Jorma e il violino ispiratissimo di Papa John Creach, ma anche il piano e l’organo di Nick Buck, è pressoché perfetta, si ottiene un suono caldo ed avvolgente, anche con un pizzico di influenze gospel; molto bella pure Highway Song, una canzone dove le armonie vocali sono di David Crosby, e le atmosfere ricordano quelle della Band o dei Creedence più rurali. Non manca il blues in 99 Year Blues, dalla pigra e ciondolante andatura, e quello più acido e psichedelico, a tutto wah-wah della vigorosa Ode For Billy Dean, in odore di Jefferson Airplane.

Ma anche il solito Rev. Gary Davis d’annata in una Let Us Get Together Right Down Here dove non mancano elementi country. Per non dire del rock vibrante di Sea Child e della deliziosa Keep On Truckin, sempre a cavallo tra blues, country e rock, oltre a due brani strumentali, la cristallina Water Song, con le chitarre acustiche a duettare con il basso di Casady, e Sunny Day Strut, una sferzata elettrica, sempre con assolo fiammeggiante di wah-wah che conferma lo status complessivo di album  di culto per questo Burgers, disco che non verrà più superato.

Fine della prima parte.

Bruno Conti

“Nuovi” Dischi Live Dal Passato 6. Prima Di Essere Gli Hot Tuna Erano Già Formidabili: Jorma Kaukonen & Jack Casady – Bear’s Sonic Journals: Before We Were Them Live June 28 1969

Jorma Kaukonen & Jack Casady - Bear’s Sonic Journals Before We Were Them

Jorma Kaukonen & Jack Casady – Bear’s Sonic Journals: Before We Were Them Live 28-6-1969 – Owsley Stanley Records Foundation

Prima della nascita “ufficiale” degli Hot Tuna, sancita dalla settimana di concerti alla New Orleans House di Berkeley, nel settembre del 1969, da cui sarebbe stato estratto il primo omonimo album della band, Jorma Kaukonen e Jack Casady, avevano già fatto alcuni concerti in tarda primavera, nel periodo in cui i Jefferson Airplane erano fermi a causa della operazione per rimuovere i noduli alla gola subita da Grace Slick. Quindi, prima di riprendere l’attività concertistica, anche per promuovere il futuro album Volunteers, in uscita a novembre, ma già registrato, e pure la partecipazione al Festival di Woodstock, alcuni membri del gruppo, oltre a Kaukonen e Casady, anche Kantner, e ogni tanto Marty Balin, e con l’aiuto di Joey Covington, che aveva partecipato come percussionista alle registrazioni di Volunteers, ma non faceva ancora parte in pianta stabile dei Jefferson (dove c’era Spencer Dryden come batterista), si esibirono, come detto, in alcune serate speciali tra cui quella del 28 giugno del 1969 al Veterans Memorial Building di Santa Rosa, California, per un evento che venne registrato da Owsley Stanley, il leggendario soundman dei Grateful Dead, e che ora diventa il terzo capitolo in questa serie di pubblicazioni dai suoi archivi, dopo quelli dedicati agli Allman Brothers, Fillmore East 1970 (CD singolo e box triplo) https://discoclub.myblog.it/2018/08/11/le-loro-prime-registrazioni-dal-vivo-di-nuovo-disponibili-allman-brothers-band-fillmore-east-february-1970/ , e il cofanetto da 7 CD  di Doc & Merle Watson.

Anche questa volta la qualità sonora è sorprendente, grazie al lavoro di masterizzazione effettuato da Jeffrey Norman, attuale addetto alle “restaurazioni soniche” degli archivi dei Dead. E pure la qualità musicale è notevole: il suono è elettrico e vibrante, un power trio che rivaleggia con Cream e Jimi Hendrix Experience come potenza di fuoco, senza dimenticare che in fondo, a ben vedere, anche i Jefferson Airplane erano un trio rock-blues con elementi psych e acid rock, sia pure con due grandi cantanti e un autore visionario, a guidarli. A mio parere si tratta di un gran disco Live, probabilmente superiore a tutti quelli ufficiali della band, orientato verso lo spirito più improvvisativo e jam degli Hot Tuna, solo sette brani, tutti piuttosto lunghi, di cui quattro mai ascoltati prima e quindi inediti sotto questa forma. Quindi anche se era “prima che fossero loro”, erano già Loro, con Joey Covington perfettamente integrato nella formazione, che poi come abbiamo visto, avrebbe preso altre strade. L’interscambio tra i tre è fantastico, soprattutto Kaukonen e Casady sono formidabili nelle loro evoluzioni sonore, ma anche il batterista si dimostra uno strumentista di tutto rispetto; come è palese sin dalla partenza con il classico blues Rock Me Baby, suonato con un impeto, una grinta, una capacità tecnica che lasciano quasi senza fiato, Jorma è un chitarrista formidabile, in grado di improvvisare assoli su assoli all’impronta, il suono è muscolare e da jam band ante litteram, con continui rilanci e le parti vocali (quando ci sono), molto brevi, i paragoni con Cream ed Hendrix non sono per nulla azzardati, anzi: il pedale del wah-wah è spesso pigiato a manetta, il “rigore” del bluesman Kaukonen è accantonato a favore di un edonismo sonoro dove il rock segna sovrano.

Come conferma il lungo strumentale Turnaround, oltre dieci minuti, dove il trio imperversa in pieno trip free form, partendo da un giro rock che ricorda molto i contemporanei Allman Brothers, peraltro ancora ben lungi dall’avere acquisito la loro reputazione, le mani di Casady volano sul suo basso, Covington costruisce un muro di suoni sul quale la chitarra improvvisa con una fluidità magnifica, alla ricerca di sempre diverse soluzioni sonore. Anche Star Track, il pezzo tratto dal repertorio dei Jefferson Airplane (era su Crown Of Creation), è solo un pretesto per le continue divagazioni dei tre che qui ricordano parecchio qualcosa della psichedelia dei Quicksilver Messenger Service, con qualche deriva hendrixiana; Through The Golden Gate, con i suoi oltre tredici minuti, prima attendista e suadente, poi in continuo crescendo. ci permette di apprezzare ulteriormente un Jorma Kaukonen in serata di grazia, con la sua chitarra fluente ed acidissima in grado di aggredire i confini del rock dell’epoca, come e più di altri solisti magari più celebrati di lui.

Il futuro cavallo di battaglia Come Back Baby in questa veste sonora elettrica ha di nuovo quell’afflato allmaniano, con il drive rock innestato con ferocia su un brano blues con grande maestria, anche qui in una lettura che supera i dieci minuti, poi reiterata negli oltre undici della “inedita” Through The Grove, che parte lentamente ma  poi entra subito nuovamente nelle spire della improvvisazione strumentale pura da parte di Kaukonen e soci. L’ultimo brano, un altro inedito, Inspirations In The Hall Of Arrivals, è di nuovo uno strumentale acido che rivaleggia con le improvvisazioni sonore psichedeliche più estreme dei Quicksilver, con Jorma Kaukonen che distilla nuovamente dalla sua chitarra una serie di sonorità che profumano appunto della California più acida e “sballata” della fine anni ’60 https://www.youtube.com/watch?v=mrGJtM-JE0o , con gran finale ferocissimo dove il gruppo va quasi in overdrive. Una domanda sorge spontanea: ma dove li avevano tenuti nascosti questi nastri per così tanto tempo?

Bruno Conti

Dopo La Scomparsa Di Paul Kantner Nel 2016, Giovedì 27 Ottobre Ci Ha Lasciato Anche Marty Balin, Aveva 76 Anni. Dei Tre Grandi Cantanti Dei Jefferson Airplane Ora Rimane Solo Grace Slick!

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All’incirca due anni fa, nel gennaio del 2016, ci lasciava Paul Kantner, uno dei fondatori dei Jefferson Airplane https://discoclub.myblog.it/2016/01/29/direbbero-i-romani-mo-basta-ci-ha-lasciato-anche-paul-kantner/ora se ne è andato anche Marty Balin, che di quella formazione era una delle due formidabili voci soliste, insieme a Grace Slick, con cui era in grado di imbastire strepitosi interscambi vocali, sostenuti dalla voce più piana di Kantner e dalla perizia strumentale di Jorma Kaukonen alla chitarra e Jack Casady al basso (senza dimenticare Spencer Dryden alla batteria). Balin, nato Martyn Jerel Buchwald a Cincinnati,Ohio, nel gennaio del 1942, era presente sin dagli inizi del 1965 dei Jefferson, quando l’altra cantante era ancora Signe Toly Anderson, e l”‘Aeroplano” prese quota sui cieli della California con il primo album Takes Off. Ma fu nel quinquennio dal 1967 al 1971, con l’ingresso della Slick in formazione che i Jefferson Airplane divennero una delle leggende della Bay Area e della musica rock psichedelica americana di quegli anni, con una serie di album formidabili che rispondevano al nome di Surrealistic Pillow,  After Bathing At Baxter’s, Crown Of Creation Volunteers, senza dimenticare il live Bless Its Pointed Little Head (pubblicato nel 1969 come Volunteers, ma registrato nel 1968). Sul finire del 1969 Balin, nel famoso concerto degli Stones di Altamont, immortalato in Gimme Shelter, fu steso privo di sensi dagli stessi Hell’s Angels che causarono la morte di uno spettatore in quel tragico evento.

E l’anno successivo alla fine del tour del 1970, decise di abbandonare la band (scosso anche dalla morte di Janis Joplin), formalizzando l’abbandono poi nell’aprile del 1971, senza partecipare alla realizzazione dei due ultimi dischi di studio Bark Long John Silver. Nel 1973 iniziò la sua carriera solista con un album Bodacious DF, che non è rimasto certamente negli annali della musica rock, anche se la splendida voce di Marty Balin, questa sì tra le più belle ed espressive della storia della nostra musica, era comunque in piacevole evidenza. Poi Balin, richiamato da Kantner, entrò nella formazione dei Jefferson Starship (di nuovo ancora con la Slick), prima come ospite in Dragon Fly, dove cantava Caroline, una notevole power ballad scritta con Kantner.

Poi rimase in formazione per il successivo Red Octopus, il disco del 1975 che includeva la deliziosa Miracles, la canzone che arrivando al n*3 delle classifiche americane, fu il più grande successo di qualsiasi configurazione del giro Airplane/Starship: forse non era più il rock barricadero dei primi album, ma la voce di Balin si stagliava forte e sicura con quel suo cantato dai toni alti, fin quasi a sfiorare il falsetto, ricco di acuti, che da sempre era stato il suo grande pregio, tanto da farne una voce unica e subito riconoscibile. Marty rimase anche per Spitfire del 1976, anche questo finito al terzo posto delle charts, e per Earth del 1978, dove i problemi di alcolismo di Grace Slick si fecero sempre più evidenti, tanto da causarne l’uscita dalla band, subito seguita ad ottobre da Balin, che comunque non era mai stato un grande amante della vita on the road, anche lui in passato con qualche problema di droga e questa foto leggendaria con una canna lo ricorda.

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Nel 1979 produce una rock opera Rock Justice, dove però non appare come cantante, e poi inizia la sua carriera solista nel 1981 con l’omonimo album Balin, che come tutti quelli che seguiranno negli anni a seguire conteneva dell’AOR abbastanza banale e poco memorabile, impreziosita a tratti dalla solo dalla sua voce, lasciando alla reunion del 1989 della formazione originale dei Jefferson Airplane, l’ultimo “acuto” della sua carriera, con un album più che dignitoso e degno della loro reputazione. Poi a parte qualche partecipazione con i riuniti Jefferson Starship di Kantner, la sua carriera ha vivacchiato fino ad arrivare ai due dischi del 2015 e del 2016, il primo Good Memories dove riproponeva oneste riprese dei suoi vecchi cavalli di battaglia, e il secondo The Greatest Love, il primo dove aveva scritto parecchi canzoni originali, ma in uno stile tendente all’hard rock dove impazzava un chitarrista, tale Chuck Morrongiello, un nome, un programma, con cui Balin aveva scritto le canzoni dell’album. Se vi interessa li trovate effigiati qui sotto.

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A marzo del 2016, nel corso del tour per promuovere l’ultimo album, Balin a causa di dolori al petto, fu ricoverato in un ospedale di New York dove fu sottoposto ad un intervento a cuore aperto, che anche se gli salvò la vita lo ha lasciato chiaramente menomato, una corda vocale paralizzata, senza il pollice della mano sinistra sinistra, una parte della lingua, seri problemi alle reni e altri problemi che probabilmente sono stati tra quello che hanno portato alla sua attuale dipartita, avvenuta già al 27 di settembre in quel di Tampa, Florida, ma comunicata solo oggi dalla famiglia con un Post sul suo Facebook ufficiale (dove si trova anche il ricordo del suo amico Jorma Kaukonen https://www.facebook.com/martybalinmusic/ )  che non riporta peraltro la causa ufficiale della morte, ma visto quanto detto poc’anzi è immaginabile, Per il resto la moglie e le figlie ricordano affettuosamente un personaggio che almeno per una decade, tra gli anni ’60 e ’70, è stato una delle voci più belle della musica rock, l’interprete di canzoni indimenticabili, oltre a quelle citate, It’s No Secret, Comin’ Back To Me, Plastic Fantastic Lover, Young Girl Sunday Blues, The House At Pooneil Corners, l’epocale Volunteers, e tante altre trascinanti, cantate a due o tre voci con la Slick e Kantner, che lo aspetta sull’astronave per un viaggio nel futuro, dove potrà riposare le sue membra stanche.

Bruno Conti

Un’Altra “Esordiente”Tardiva: Il Titolo Potrebbe Ingannare. Juanita Stein – America

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Juanita Stein – America – Nude Music/Handwritten Records

Il nome, e anche il cognome, Juanita Stein, potrebbero far pensare ad una esordiente,  e per certi versi lo è, visto che questo America è il suo primo disco da solista. Ma poi basta indagare brevemente in rete, e si scopre che questa bella quarantenne (eletta nel 2009 dalla rivista online britannica Gigwise nientemeno che “the sexiest woman in rock”) ha già una lunga carriera alle spalle, prima nei Wakiki e poi negli Howling Bells (due band indie alternative rock australiane, la seconda ancora in attività, visto che è condivisa con i due fratelli della Stein), carriera iniziata nel lontano 1999. Questa provenienza ci indica anche che il titolo dell’album, venendo Juanita da Down Under, potrebbe essere fuorviante, ma in effetti si tratta della sua visione, musicale e testuale, dell’America, come si rileva dai testi delle canzoni, contenuti nel libretto del CD, che però non riporta altre indicazioni sui musicisti e sui collaboratori dell’album, anche se una piccola ricerca in rete ci informa che l’album è stato prodotto da Gus Seyffert, musicista americano in azione con Beck, Ryan Adams, di recente nell’ultimo Roger Waters, ma anche con diverse voci femminili, Michelle Branch, Jenny Lewis, Norah Jones e altre che non mi sovvengono al momento ma ci sono, il quale contribuisce al sound di questo album, che vorrebbe miscelare il suono “alternative” della Stein, con un genere più twangy, persino country, con rimandi a Chris Isaak, Roy Orbison e Patsy Cline (questi sarebbero i desiderata e le influenze, poi riuscirci è un altro paio di maniche).

Juanita+Stein

https://www.youtube.com/watch?v=2TL8yGpanYE

In effetti la voce è piacevole, per quanto, a grandi linee, sempre della categoria “sospirose”, paragonata anche, in modo sfavorevole, a Lana Del Rey (manco la musicista newyorkese fosse questo genio assoluto, forse solo per i modaioli), comunque complessivamente l’album è piacevole, ci sono dei brani di buon spessore e altri meno interessanti: l’iniziale Florence ha quel suono twangy, con le chitarre “vibranti” che potrebbero rimandare a Chris Isaak e per relata persona a Roy Orbison, ma poi lo sviluppo sonoro è più contenuto, per quanto sognante, Dark Horse è un buon brano pop-rock che potrebbe ricordare una Neko Case un filo meno talentuosa, con una melodia che rimanda a mille altre canzoni di sue colleghe femminili contemporanee, oltre alla Case, direi anche Hope Sandoval dei Mazzy Star, più psych, però entrambe più di brave di lei, o così mi pare. Black Winds potrebbero essere i Jefferson Airplane di Grace Slick dopo una forte dose di valium https://www.youtube.com/watch?v=9fGUW5E1_5o , mentre I’ll Cry ondeggia tra una roots music decisa e i soliti sospiri affettati e svenevoli che ne rovinano l’effetto, Stargazer, sempre sognante ed eterea è una canzone meglio costruita e più soddisfacente https://www.youtube.com/watch?v=_SfLrOBUCKI , con la voce che mostra interessanti sfumature.

Juanita+Stein 1

https://www.youtube.com/watch?v=I0Qm1zvojlc

Shimmering vira verso un “narcotismo” fin troppo soporifero https://www.youtube.com/watch?v=iEYzyyjhMlw , mentre Someone’s Else Dime indica quale avrebbe potuto essere la strada maestra per un buon album, con soluzioni anche da female sixties pop di buona fattura. Torna la baritone twangy guitar in It’s All Wrong, brano sempre sognante, ma forse un po’ di nerbo maggiore non guasterebbe; insomma un po’ di più rilevante ed autentica sostanza avrebbe giovato, probabilmente anche questo stile avrà i suoi estimatori, come ribadisce Not Paradise, ancora vicina al pop che avrebbe frequentato Dusty Springfield, se invece di cantare avesse sussurrato e cinguettato, comunque in confronto a Carla Bruni, la Stein sembra pur sempre Maria Callas. Alla fin fine i due brani migliori sono quelli conclusivi, una bella country ballad come Cold Comfort, che la stessa Stein avvicina alla musica di Caitlin Rose e la title track America che finalmente esplica, in modo “moderno”e delizioso, il suo amore per la musica di Orbison, Loretta Lynn e Patsy Cline e per gli Stati Uniti tutti, cosa che le farebbe ottenere le classiche tre stellette di stima e di incoraggiamento, visto che la stoffa tutto sommato c’è, se fosse possibile basterebbe affinarla maggiormente, magari con un altro produttore.

Bruno Conti

Come Direbbero I Romani: E Mo’ Basta! Ci Ha Lasciato Anche Paul Kantner!

paul kantner grace slick china kantner garcia

Il Gennaio più nero della storia del rock si sta finalmente per chiudere, e dopo le premature scomparse di David Bowie e Glenn Frey (ma anche di Otis Clay e Dale Griffin), è ora purtroppo la volta di Paul Kantner, leader e fondatore di uno dei gruppi americani principali della seconda metà degli anni sessanta, ovvero i Jefferson Airplane, forse la band che più di tutte le altre è stata il simbolo della controcultura hippy e della Summer Of Love.

Paul (scomparso all’età di 74 anni per una setticemia dovuta ad un attacco cardiaco) fondò gli Airplane nel 1965 insieme a Marty Balin, ed in breve tempo (nella formazione classica con Jorma Kaukonen, Jack Casady, Spencer Dryden e la splendida vocalist Grace Slick) diede vita ad uno dei gruppi che, insieme ai Grateful Dead, meglio rappresentavano la scena musicale di San Francisco, grazie anche alla partecipazione a festival come Monterey e Woodstock, ma soprattutto con canzoni del calibro di Somebody To Love, White Rabbit, Crown Of Creation, Volunteers ed album diventati pietre miliari del periodo come Surrealistic Pillow, After Bathing At Baxter’s e Volunteers; la loro musica, un misto di rock, blues e psichedelia, unita a testi di attualità dalla forte impronta politica (e polemica), diventò presto la colonna sonora degli hippies e dei movimenti di sinistra statunitensi (anche se indubbiamente oggi certe tematiche e certe sonorità suonano un po’ più datate di altre appartenenti allo stesso periodo), con il nostro visto quasi alla stregua di un “santone acido”, parallelamente a Jerry Garcia.

Dopo uno storico e bellissimo album solista e corale del 1970 (Blows Against The Empire, un perfetto manifesto del Laurel Canyon Sound https://www.youtube.com/watch?v=ZaHNAVgVkDY , con membri degli Airplane, dei Dead, dei Quicksilver Messenger Service e degli Electric Flag, oltre a Graham Nash e David Crosby, quasi un prologo del magnifico album solo di quest’ultimo, If I Could Only Remember My Name) ed un paio di dischi, quasi altrettanto belli come Sunfighter e  Baron Von Tollbooth  in duo con la Slick, a lui sentimentalmente legata in quel periodo, Kantner sciolse gli Airplane e formò i Jefferson Starship, evoluzione della band precedente ma con un occhio più attento alle classifiche (e con un messaggio politico via via sempre più flebile). Quando però il gruppo negli anni ottanta arriverà a sfiorare il ridicolo, Kantner li lascerà obbligandoli anche a togliere il “Jefferson” dal nome.

Nel 1989, a sorpresa, un nuovo disco omonimo dei Jefferson Airplane con la formazione classica, un album assolutamente non disprezzabile e che andrebbe rivalutato; Kantner riprenderà poi in mano la sigla Jefferson Starship fino ai giorni nostri, con risultati alterni ma anche ottimi come nel caso di Jefferson’s Tree Of Liberty del 2008.

Resta il ricordo di un artista tutto di un pezzo, che ha sempre combattuto le sue battaglie con estrema coerenza e buona fede, anche se a volte poteva sembrare un sognatore un po’ fuori dal suo tempo: vorrei ricordarlo con una delle mie canzoni preferite degli anni settanta (in assoluto), un brano tratto da un album abbastanza dimenticato intitolato Baron Von Toolbooth And The Chrome Nun ed accreditato a Kantner con Grace Slick e David Freiberg e dedicato alla figlia di Paul e Grace.

So Long Paul, sia che tu ci guardi dal tuo Airplane o dalla tua Starship.

Marco Verdi